IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXIV, 2022, Numero 2-3, Pagina 162

 

 

LA TRANSIZIONE VERSO UN NUOVO ORDINE MONDIALE
E L’ORGANIZZAZIONE FEDERALISTA

 

 

Quest’anno ricorre il 75° anniversario della Dichiarazione di Montreux, il testo approvato dal primo congresso del Mouvement Universel pour une Confédération Mondiale (MUCM), il 23 di agosto 1947.[1] Il Movimento cambierà poi denominazione in World Federalist Movement nel corso di una riunione tenutasi ad Aosta nel giugno 1986.[2] La ricorrenza è un buono spunto per avanzare delle prime considerazioni sulla situazione dell’organizzazione che riunisce i movimenti federalisti che operano in varie parti del mondo e sulle prospettive di azione che si possono ipotizzare per il futuro, alla luce dell’attuale situazione politica mondiale.
  

I fatti che richiedono un ripensamento della strategia verso la federazione mondiale.

Ricordiamo qui, brevemente, che gli anni che hanno preceduto e, soprattutto, seguito la Dichiarazione di Montreux sono quelli della divisione del mondo in due blocchi contrapposti, quello degli USA e dell’ex-URSS, e della successiva Guerra fredda e che, per quanto riguarda il mondo occidentale, è stato caratterizzato dalla leadership indiscussa degli USA sul piano sia militare che economico-finanziario. A questa fase ha fatto seguito il crollo dell’URSS alla fine del 1991 e il successivo dissolvimento del blocco orientale, aprendo un breve periodo in cui si è parlato di unipolarismo americano, sottolineando così l’attesa che il modello liberal-democratico potesse progressivamente estendersi a tutto il mondo sotto la direzione degli USA: l’ingresso della Cina nella World Trade Organization era visto come una tappa in questa direzione. La politica mondiale, però, ha seguito una strada diversa, che i federalisti avevano anticipato già in un momento in cui tali sviluppi erano ancora imprevedibili.[3]

Non si vogliono ripercorrere qui tutti i passaggi che hanno portato al quadro attuale, che ormai tutti definiscono come “multipolare”, ma si vogliono ricordare solo due fatti ampiamente noti ai federalisti, e che si richiamano perché sono l’impronta della direzione che sta assumendo la politica mondiale. Il primo è il momento in cui la Cina, nel 1964, ha fatto scoppiare la sua prima bomba atomica, un atto che i federalisti qualificarono subito come “fine dell’equilibrio bipolare”. Con quella decisione, infatti, la Cina voleva far presente che essa non riconosceva la leadership sovietica sul mondo comunista. Il secondo fatto è la decisione americana, dell’agosto 1971, di sospendere la convertibilità del dollaro in oro e con la quale essi non ammettevano soltanto di non essere più in grado di mantenere l’ordine monetario mondiale, ma che non accettavano neppure una soluzione nel quadro delle istituzioni multilaterali esistenti, come poteva essere la proposta di Triffin di ricorrere all’uso dei Diritti speciali di Prelievo. Questa linea americana è stata il primo colpo inferto al funzionamento delle istituzioni multilaterali che, da loro ispirate, erano state decise a Bretton Woods nel 1944.

La fase che si è aperta in questi ultimi anni è quindi quella, da un lato, della sempre più evidente incapacità degli USA di assicurare la leadership del mondo occidentale, anche sul piano della sicurezza e, dall’altro, quella del resto del mondo sempre più restìo ad accettare che l’Occidente continui ad esercitare la sua leadership esclusiva. Qui di seguito, si ricordano alcuni fatti ulteriori a supporto di questa tesi. Il primo, e che è il più importante per la sicurezza degli europei, è l’incertezza che riguarda il futuro dell’Alleanza atlantica e della sua struttura militare e che è stata alimentata dalla frase di Obama sugli “scrocconi europei[4] e soprattutto dall’annuncio, di qualche anno prima, che il fronte strategico più rilevante per la sicurezza degli USA era quello asiatico e non quello europeo, anticipando così il maggior cambiamento di strategia militare americana dalla fine della Seconda guerra mondiale. Hanno poi fatto seguito la frase di Trump sulla “NATO obsoleta”,[5] e quella di Macron sulla NATO “brain dead”,[6] fino ad arrivare al precipitoso e non concordato ritiro USA dall’Afghanistan, deciso da Biden nell’agosto 2021.

Come è stato ben messo in luce dalla campagna elettorale di Trump, accompagnata dagli slogan “America first” e “Make America Great Again”, si è probabilmente arrivati alla fine della politica bipartisan che, al di là dei richiami all’insufficiente sforzo militare europeo, non metteva in discussione l’importanza del legame atlantico. A partire da Trump, che si è fatto interprete di un diffuso sentimento, nell’opinione pubblica americana, di stanchezza sul ruolo degli USA di gendarme del mondo e di insofferenza nei confronti di un’UE che non si fa carico della propria sicurezza, la politica atlantica degli USA è divenuta oggetto di scontro nel dibattito politico americano e non si può quindi escludere che in futuro venga messa in discussione. L’UE deve quindi cominciare a prendere atto che la sua sicurezza non può dipendere dall’esito dei cicli elettorali americani.

Cinquant’anni dopo la sospensione della convertibilità del dollaro in oro, con la decisione di Biden di ritirarsi improvvisamente dall’Afghanistan, gli USA questa volta ammettono anche la loro incapacità di assicurare l’ordine politico-militare mondiale. L’invasione russa dell’Ucraina è anche la conseguenza di questa nuova realtà, malgrado, da parte dei paesi orientali dell’UE, persista una forte fiducia sulla protezione americana nel caso di un conflitto. L’incertezza sulla volontà americana di difendere l’Europa ricorrendo, se necessario, ad armi nucleari, però, non è nuova e risale all’evoluzione della strategia militare americana tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.

Negli anni Cinquanta, con l’Amministrazione Eisenhower, gli USA avevano il monopolio delle armi nucleari e l’URSS le stava solo studiando. In quegli anni, a seguito di un eventuale attacco sovietico all’Europa, la strategia americana era quella della “rappresaglia massiccia” (massive retaliation) di Foster Dulles. Successivamente, con l’Amministrazione di John F. Kennedy e con l’URSS che si stava rapidamente avvicinando alla parità con gli USA nella dotazione di armi nucleari e di missili balistici intercontinentali capaci di colpire il suo territorio — decretando quindi la fine del monopolio americano sulle armi nucleari —, il nuovo presidente chiese un aggiornamento della strategia della rappresaglia massiccia e venne adottata quella della “risposta flessibile” (flexible response) di Robert McNamara. Le implicazioni per la sicurezza europea delle due strategie non erano ovviamente le stesse. Se, nel primo caso, la protezione americana del continente europeo poteva essere considerata sicura, nel secondo caso vi era maggior incertezza, perché non sembrava verosimile che gli USA avrebbero sacrificato New York per difendere Berlino o Parigi. Infatti, De Gaulle aveva subito intuito il significato del cambio di strategia americana e decise di dotare la Francia di un proprio arsenale nucleare e, successivamente, di non far parte del Nuclear Planning Group NATO.[7]

L’altro fatto su cui si vuole attirare l’attenzione è il XIV Summit dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che si è tenuto il 23 e 24 giugno 2022. I BRICS sono un’associazione che, come si può vedere, riunisce sia paesi autoritari che democratici. La sua data di nascita viene fatta risalire alla prima riunione formale che ha avuto luogo a Yekaterinburg nel giugno 2009 tra Brasile, Cina, India e Russia. Un anno dopo, nel 2010, è stato ammesso anche il Sud Africa.[8] Al termine del Summit del giugno 2022, è stata approvata una dichiarazione con cui viene ribadito (oltre ad un ipocrita appoggio ai valori della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti umani) il sostegno alle istituzioni multilaterali, in particolare alla WTO ed al FMI.

Si può discutere se il sostegno alle istituzioni multilaterali sia dettato da ragioni di opportunità, piuttosto che da una convinta adesione al principio del rispetto di regole comuni su cui si basano, ma resta il fatto, per ora, decisivo, che non vengono messe in discussione, anzi, ad oggi, gli ostacoli al loro funzionamento arrivano piuttosto dagli USA.[9] Quello che interessa qui far osservare, è che quello che è in discussione è la leadership americana e, più in generale, del “mondo occidentale” sul resto del mondo e non tanto il confronto tra “sistemi democratici” e “sistemi autoritari”. Da questo punto di vista, è illuminante la posizione che i BRICS hanno tenuto quando si è trattato di votare, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, le risoluzioni di condanna dell’invasione russa. Il 3 marzo 2022 si è avuto un voto quasi unanime (141 voti) contro l’aggressione, con solo cinque voti contro e 35 astensioni: tra queste ultime, Cina, India e Sud Africa, mentre il Brasile ha votato a favore. Il 7 aprile, invece, la proposta americana di sospendere la Russia dal Consiglio per i diritti umani, ha avuto 93 voti a favore, 24 contro, e 58 astensioni. La Cina ha votato contro, mentre Brasile, India e Sud Africa si sono astenuti.

Si è fatto riferimento all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia come indice dell’incapacità degli USA di assicurare l’ordine politico-militare mondiale e della fine dell’unipolarismo americano. Quello che occorre ancora aggiungere è il riferimento ad un altro segnale della fase di instabilità in cui versano i rapporti internazionali, forse meno noto, ma più preoccupante: il progressivo aumento delle spese militari e il livello da loro raggiunto in assoluto. In base alle statistiche dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) si può ricostruire l’andamento delle spese militari a partire dagli anni della Guerra fredda fino ad oggi. Limitandoci agli anni più significativi, possiamo notare che il livello delle spese militari (a valori costanti 2020) aveva toccato il livello massimo nel 1988, il momento di maggior tensione del periodo della Guerra fredda, con un ammontare di 1.499 miliardi di dollari. A partire da quell’anno e dopo la caduta dell’URSS, le spese militari si sono progressivamente ridotte, toccando il livello minimo di 1.054 miliardi di dollari nel 1996, rimanendo su questi livelli grosso modo per un quinquennio, dopo di che sono progressivamente risalite, fino a raggiungere 1.969 miliardi nel 2021, quasi raddoppiando la spesa in quindici anni.[10] Va da sé che il contributo maggiore a questo incremento è dato dalle spese militari americane e cinesi, ma anche l’UE, nei prossimi anni, darà il suo contributo, in quanto ne è previsto all’incirca il raddoppio nell’arco di un quinquennio, raggiungendo i 400 miliardi di euro e portando le spese militari mondiali a superare largamente i 2.000 miliardi di dollari.
  

Lo stato dell’organizzazione federalista mondiale.

Il mutato quadro mondiale pone il problema di come si possa configurare il rapporto di collaborazione tra le organizzazioni federaliste europee, MFE e UEF, e il WFM e, in particolare, su quale punto esso può essere avviato. Prima di avanzare delle proposte, che si sperano utili per il dibattito, occorre però fare il punto sul WFM.

Per quasi un quarto di secolo, il WFM ha beneficiato di una certa notorietà a livello mondiale a partire da quando, con la nascita della Coalition for the International Criminal Court (CICC), composta da circa 2.500 organizzazioni della società civile, quest’ultima ha affidato la gestione del segretariato della campagna al World Federalist Movement. William Pace, da allora, ha svolto sia il ruolo di coordinatore della campagna che di direttore esecutivo del WFM e quando si spostava da un continente all’altro per promuovere la campagna per la Corte penale internazionale (CPI), parlava in qualità di coordinatore della campagna e di direttore esecutivo del WFM. Questo ha consentito di risolvere un problema politico dell’organizzazione e un problema finanziario, ma, probabilmente, ha messo anche in ombra un aspetto ideologico della linea politica del WFM di cui tenere conto.

Ha risolto un problema politico perché, di fatto, la campagna per l’istituzione di una Corte penale internazionale diventava anche la principale iniziativa politica del WFM, intesa come un’iniziativa che si collocava nella prospettiva dell’obiettivo della federazione mondiale. Data l’imponenza della mobilitazione delle organizzazioni coinvolte in questa campagna diventava, in buona parte, secondario capire se il WFM in quanto tale si mobilitasse o meno per essa o se, in particolare, la componente americana del WFM si sentisse coinvolta nel chiedere che il governo USA ratificasse il trattato istitutivo della CPI, cosa che, ad oggi, non è ancora avvenuta.

Ha risolto un problema finanziario perché, come si poteva dedurre dai rendiconti finanziari presentati al Council del WFM con il bilancio consolidato della Coalizione e del WFM, si presentava anche il bilancio separato delle due organizzazioni e si poteva constatare che al WFM confluiva circa il 10% delle entrate (quasi esclusivamente contributi pubblici) di cui beneficiava la Coalizione. In base ad un esame dei contributi pubblici per provenienza, si poteva riscontrare un fatto interessante per eventuali iniziative politiche future promosse in autonomia dal WFM: circa il 50% dei contributi pubblici era costituito da un finanziamento della Commissione europea; un altro 20% circa era costituito da contributi di governi e fondazioni europei e la quota restante da contributi di fondazioni americane.[11] Ciò significa che circa i due terzi dei finanziamenti della campagna per l’istituzione della CPI erano europei, conseguenza del fatto che il sostegno della campagna era una priorità dell’UE e dei paesi europei. Questo significa anche che, potenzialmente, vi potrebbe essere un analogo sostegno da parte europea per iniziative che rientrino nelle priorità europee, l’unico continente a livello mondiale interessato a sostenere il rafforzamento delle istituzioni multilaterali.

Avendo la campagna per la CPI sostanzialmente raggiunto i suoi scopi,[12] il flusso dei contributi si è progressivamente ridotto e, parallelamente, sono iniziati i problemi finanziari del WFM il quale, dopo che William Pace ha rinunciato all’incarico di direttore esecutivo del WFM, nel giro di pochi anni ha dovuto cambiare tre direttori esecutivi, ed ha ridimensionato gli uffici.

Vi è, infine, anche l’aspetto ideologico cui si è fatto cenno e che, se si vuole aprire un dibattito approfondito sul futuro del federalismo mondiale e del WFM, va tenuto presente. È infatti tutt’altro che secondario dover rilevare che, soprattutto in passato, l’organizzazione ha manifestato posizioni mondialiste che sono più il riflesso del ruolo mondiale degli Stati Uniti che non di un’autonoma e convinta posizione favorevole a sviluppi istituzionali verso una federazione mondiale.[13] In ogni caso, ad oggi, e fatta eccezione per l’importante iniziativa promossa dall’associazione Democracy Without Borders, che rivendica l’istituzione di un’Assemblea parlamentare mondiale,[14] il WFM è ancora alla ricerca di un’azione politica che abbia un respiro mondiale.[15]
  

Quali iniziative promuovere nella fase di transizione alla federazione mondiale: una proposta.[16]

Sulle iniziative che si possono promuovere, in collaborazione con il WFM, sarebbe necessario aprire un dibattito, ma intanto si possono fare delle prime riflessioni in base a quanto detto prima, facendole precedere da brevi considerazioni a completamento di quelle avanzate in merito all’ordine mondiale. Nel primo paragrafo ci si è limitati a richiamare i fatti che evidenziano come il vecchio ordine mondiale sia ormai entrato in una crisi irreversibile, ma non si è fatto cenno a come si può passare non solo ad un ordine più stabile di quello attuale, ma che lasci aperta la strada verso la federazione mondiale. Soprattutto, non si è fatto riferimento a quale possa essere l’attore politico in grado di assumersi la responsabilità di gestire questa fase. La tesi che si sostiene qui è che questo attore non può che essere l’UE.

Per le ragioni esposte all’inizio, Cina e Russia sono potenze che stanno mettendo in discussione l’ordine mondiale e sono alla ricerca di un riconoscimento da parte della comunità mondiale che si tratta di interlocutori da cui non si può prescindere per la ridefinizione di un nuovo ordine mondiale (nel caso della Russia, ricorrendo allo strumento militare). In quanto paesi autoritari, sembra poco realistico che si mettano alla guida di un ordine mondiale che tenga conto anche dei valori ai quali si ispirano i rappresentanti del vecchio ordine mondiale. La stessa cosa, sia pure per ragioni diverse, vale per gli Stati Uniti, potenza in declino ed incapace, ieri, di assicurare l’ordine economico-finanziario e, oggi, l’ordine politico-militare. Inoltre, come già osservato, la tradizionale politica atlantica bipartisan è diventata oggetto di contesa politica ed è per questo che sembra poco realistico che gli USA si facciano promotori di un nuovo ordine mondiale, assumendosene la responsabilità. L’unica iniziativa che gli USA hanno preso recentemente, e che conferma il loro declino, è la proposta di un’alleanza tra le democrazie,[17] la quale, più che l’indicazione della volontà di procedere verso un sistema mondiale che tenga conto delle potenze emergenti, sembra piuttosto un segnale di ripiegamento.

L’unico attore che può modificare gli attuali equilibri di potere e prendere l’iniziativa per un nuovo ordine mondiale è l’UE, la quale può sfruttare un cambiamento che si è avuto nei rapporti tra Stati alla fine della Seconda guerra mondiale. Come sanno i federalisti e come insegna la storia, i rapporti tra Stati sono sempre stati caratterizzati da politiche volte a conseguire una posizione di egemonia rispetto agli altri Stati o una situazione di equilibrio che impedisse l’emergere di una potenza egemone. A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, si è però aperta una terza possibilità. A Bretton Woods, nel 1944, su iniziativa americana, si è deciso di dar vita ad istituzioni multilaterali che consentissero il superamento della tradizionale alternativa tra equilibrio o egemonia. Anche se il funzionamento delle istituzioni multilaterali non è al riparo dall’evoluzione dei rapporti di potere tra le principali potenze che ne fanno parte, la decisione di istituirle ha aperto una breccia nella tradizionale politica tra Stati e l’UE è l’unico attore che, per interesse ed inclinazione, può operare per rafforzarle.

L’UE, però, per essere un interlocutore credibile su scala mondiale, non deve limitare la sua politica estera alla politica commerciale o a quella degli aiuti allo sviluppo, ma deve assumersi responsabilità autonome anche nel settore militare ed avere una politica estera che, se necessario, comporti il ricorso alla forza. Come ha affermato Josep Borrell nel corso di un’audizione al Parlamento europeo, nell’ottobre 2019, “the EU has to learn to use the language of power”.[18] In una fase iniziale, per esercitare questa politica, e come dimostra il precedente americano della dual army,[19] sarà sufficiente che vi sia una forza militare europea, anche di dimensioni limitate, purché sia indipendente dalle forze armate nazionali, le quali potranno integrare, se e quando necessario, quella europea. Negli ultimi anni, molti passi sono stati fatti ed altri si stanno facendo, come la decisione di istituire una forza di dispiegamento rapido che prenderà avvio nel corso del 2023 e sarà operativa nel 2025. Questo consente di cominciare a riflettere sulla direzione che potrà essere esercitata l’influenza europea, tenuto conto che l’UE è favorevole ad un rafforzamento delle istituzioni multilaterali e delle integrazioni regionali.

La strada verso la federazione mondiale è più lunga di quanto inizialmente si poteva prevedere, ma soprattutto, richiede un approccio realistico che, singolarmente, si richiama al testo della risoluzione con la quale Autonomia federalista si era presentata al Congresso del Movimento federalista Europeo sovranazionale, tenutosi a Montreux nel 1964 e con la quale si sollecitava l’impegno europeo a favore delle federazioni regionali, in particolare quella africana.[20] Il fatto che l’Africa sia il continente al centro dell’interesse, non solo dell’UE, ma anche delle principali potenze mondiali (Cina, USA e Russia), è oggetto della cronaca politica (e militare) quotidiana. Un recente esempio di questo interesse è quello manifestato dagli Stati Uniti che, nel corso del vertice con i capi di governo africani tenutosi il 13-15 dicembre 2022, hanno proposto l’ingresso dell’UA in quanto tale nel G20 e nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.[21]

Il Commissario europeo Paolo Gentiloni, da parte sua, intervenendo al convegno Med-Dialogues del 2-3 dicembre 2022, organizzato dal Ministero degli Affari esteri italiano, ha affermato che “le relazioni con i Paesi del Mediterraneo e dell’Africa per l’UE rappresentano il futuro, e per questo dobbiamo avere una visione che affronti non solo le emergenze, per esempio la crisi alimentare e quella energetica, ma che preveda investimenti strategici come Unione e non come singoli Stati membri”. Se, pertanto, e come si ritiene qui, quest’affermazione è l’espressione di un concreto interesse europeo nei confronti del continente africano, si tratta di vedere quali possono essere le politiche che l’UE può promuovere nei confronti dell’Africa.

I paesi del continente africano hanno firmato molti trattati che riguardano l’unificazione economico-monetaria del continente, ma questi trattati non sono mai stati ratificati da tutti i paesi che fanno parte dell’Unione Africana (UA) — compreso il più recente trattato per l’istituzione dell’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) — e non possono quindi entrare in vigore. In linea generale, i paesi che non li hanno ratificati i sono quelli coinvolti in guerre locali o guerre civili. Questo significa — come dimostra la stessa esperienza europea — che la sicurezza interna e nei rapporti tra Stati africani è la condizione decisiva perché il continente africano possa procedere gradualmente verso la propria unificazione. Da questo punto di vista, l’UE può svolgere un ruolo essenziale, come dimostra il fatto che la maggior parte delle operazioni civili e militari condotte dall’UE, quasi sempre su mandato delle Nazioni Unite, riguardano il continente africano.

Come ricorda un recente paper del SIPRI,[22] queste operazioni hanno evidenziato dei punti di debolezza, ma il rapporto non mette in luce quelli che sono i limiti politici di queste iniziative europee: esse intervengono per eccezione, cioè quando i problemi sono già scoppiati e raramente si coinvolge l’UA in quanto tale o le organizzazioni regionali africane[23]. Ma soprattutto si tratta di interventi che non sono legati ad un progetto politico condiviso con l’UA e che riguardi il futuro economico dell’Africa. Si tratterebbe quindi di vedere a quale progetto di lungo termine si può collegare una politica di sicurezza congiunta tra UE e UA e l’indicazione migliore proviene dal contenuto della dichiarazione dei Ministri delle finanze dei paesi africani a seguito dell’incontro con l’Economic Commission for Africa delle Nazioni Unite tenutasi il 1° ottobre 2021 ad Addis Abeba.

Nella dichiarazione si afferma che “African ministers also seized the opportunity to call for the establishment of a global price on carbon aligned to the Paris Agreement. African countries contribute the least to global emissions while also safeguarding some of the most important areas of biodiversity which are critical carbon sinks for all humanity. As such African countries should have the opportunity to leverage this critical role to raise financing to be invested in climate resilience and the green recovery to the benefit of their citizens”.[24]

Si può quindi pensare che lo sviluppo sostenibile, da perseguirsi attraverso un prezzo mondiale del carbonio, possa essere il punto su cui vi può essere una convergenza di interessi tra UE e UA. L’UE ha sicuramente interesse a collaborare con l’UA al fine di diversificare la fonte di approvvigionamento di energia da fonti fossili, ma, soprattutto, a finanziare investimenti nel settore delle energie rinnovabili, senza di cui l’obiettivo europeo della transizione ad una economia europea carbon free entro il 2050 difficilmente potrà essere raggiunto. L’UA, da parte sua, ha interesse ad investimenti nel settore delle economie rinnovabili perché, come ha sottolineato il parlamentare europeo Brando Benifei, intervenuto al convegno di Torino, tenutosi il 22-23 ottobre 2022, dal titolo “African European Youth Conference (AEYC) – Designing a youth inclusive future for Africans and Europeans”, il continente africano può essere il primo continente, su scala mondiale, a perseguire “l’obiettivo del suo sviluppo senza passare dall’impiego dell’energia da fonti fossili”.[25] Pertanto, UE e UA potrebbero, ad esempio, concordare l’introduzione di un “Carbon Border Adjustment Mechanism” euro-africano come passo verso l’adozione di un prezzo mondiale del carbonio. In questo quadro politico-economico, potrebbe svilupparsi anche un’intesa euro-africana per una comune politica di sicurezza.

Nel corso del 2022, sono state avviate dai federalisti europei e mondiali le prime iniziative euro-africane sul tema della sicurezza e dello sviluppo sostenibile. In particolare, in collaborazione con l’UEF e il WFM sono stati promossi un paio di convegni sul tema della sicurezza del continente africano. Il primo è stato un webinar, dal titolo “Towards a comprehensive strategy for Africa: some proposals”, che si è tenuto il 9 febbraio, poco prima del vertice UE-UA di Bruxelles. Il webinar è stato organizzato in collaborazione con l’UEF, il WFM e l’Ufficio del dibattito del MFE di Torino e vi hanno partecipato circa 40 persone. Il secondo evento, già ricordato prima, è stato l’African European Youth Conference. Quest’ultimo, promosso dall’associazione Youth for Intra-Dialogue on Europe and Africa (Y-IDEA), cui il Centro Studi sul Federalismo ha dato il suo contributo, è stato sostenuto, tra gli altri, dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea, ed ha visto la partecipazione di 250 giovani in presenza ed oltre 50 da remoto. Altre iniziative con gruppi giovanili africani sono state promosse su iniziativa del Vicepresidente della JEF, Juuso Järviniemi, mentre alcuni giovani federalisti europei hanno dato vita all’associazione, già menzionata, Youth for Intra-Dialogue on Europe and Africa.

Queste iniziative hanno consentito di stabilire rapporti di collaborazione con interlocutori africani interessati a lavorare attorno all’idea di sostenere il continente africano a fare passi avanti verso l’istituzione di una federazione africana, come tappa verso l’obiettivo di una federazione mondiale ed unico modo di consentire ai cittadini africani di parlare con una sola voce in un quadro mondiale in profonda mutazione. Questo diffuso interesse è anche un segnale interessante del fatto che esistono le condizioni perché UEF e WFM promuovano iniziative come potrebbe essere l’istituzione di una Comunità euro-africana per la sicurezza marittima,[26] oppure l’istituzione di una border carbon tax euro-africana, e che potrebbero forse beneficiare del sostegno delle istituzioni europee, così come è stato per la campagna per la Corte penale internazionale. 

Domenico Moro


[1] MUCM, Déclaration de Montreux, https://www.cvce.eu/content/publication/1999/1/1/adf279f7-80a4-4855-9215-48a5184328aa/publishable_fr.pdf.

[2] Jean-Francis Billion, Verso l’unità mondiale dei federalisti, Il federalista, 29 n. 2 (1987), p. 137.

[3] Mario Albertini, La fine dell’equilibrio bipolare, in: Mario Albertini, Tutti gli scritti, vol. 4 (1962-1964), pp. 679-686.

[4] Jeffrey Goldberg, The Obama doctrine, The Atlantic, aprile 2016: https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2016/04/the-obama-doctrine/471525/.

[5] Donald Trump Says NATO is “Obsolete”, UN is “Political Game”, The New York Times, 2 aprile 2016.

[6] Emmanuel Macron warns Europe: NATO is becoming brain-dead, The Economist, 7 novembre 2019.

[7] C. Ailleret, Opinion sur la théorie stratégique de la “flexible response”, Revue Défense Nationale, n. 227 (1964), pp. 1323-40.

[8] V., ad esempio: Carlos Federico Domìnguez, João Paulo Santos Araujo, Brazil and other BRICS countries, World Affairs: The Journal of International Issues, 16 n. 1 (2012), p. 164-179.

[9] Sven Biscop, Biden’s National Security Strategy: Three Important Truths for Europe, https://www.egmontinstitute.be/bidens-national-security-strategy-three-important-truths-for-europe/; Le déclin de l’OMC, une menace pour la stabilité mondiale, Le Monde, 28 dicembre 2022, https://www.lemonde.fr/idees/article/2022/12/28/le-declin-de-l-omc-une-menace-pour-la-stabilite-mondiale_6155881_3232.html#xtor=AL-32280270-%5Bmail%5D-%5Bios%5D.

[10] SIPRI, Military expenditure database, https://www.sipri.org/databases/milex. Questi dati necessitano un minimo di commento. È vero che si sta assistendo ad un aumento consistente delle spese militari in assoluto, ma questo fatto ne nasconde un altro ben più importante. L’aumento delle spese in armamenti è anche dovuto al fatto che è in atto un’innovazione tecnologica senza precedenti nel settore militare. Questa comporta spese crescenti per unità di sistema d’arma. Per fare un esempio recente, mentre il bombardiere strategico B-52 degli anni della Guerra fredda, a prezzi e cambi del 2012, aveva un costo unitario di 84 milioni di dollari e il bombardiere della generazione successiva, il B-1, aveva un costo unitario di 277 milioni di dollari, il bombardiere strategico B-21, destinato a sostituire sia il B-52 che il B-1, si stima abbia un costo unitario  di 692 milioni di dollari (a valori 2022) — inclusi i costi di addestramento, i ricambi e le future modifiche che si renderanno necessarie —,otto volte tanto il B-52 ed oltre il doppio il costo del B-1 (B-21 Raider makes public debut; will become backbone of Air Force's bomber fleet: https://www.globalsecurity.org/military/library/news/2022/12/mil-221202-usaf01.htm?_m=3n%2e002a%2e3485%2etm0ao0d52y%2e38hf ).

[11] Le percentuali riportate sono riferite ad un finanziamento complessivo pari a circa due milioni di dollari che riceveva la Coalizione (v., ad esempio: WFM-IGP, Financial Statements and supplementary information, as of and for the years ended December 31, 2017 and 2016 together with auditor’s report).

[12] Il trattato istitutivo della Corte penale internazionale è entrato in vigore il 1° luglio 2002.

[13] Oltre a quanto già osservato in merito alla campagna per l’istituzione della CPI e la sua ratifica da parte del governo USA, si possono fare due altri esempi. Il primo è una testimonianza personale e che risale alla permanenza a New York nel 2009, per circa due mesi. Frequentando la sede del WFM, mi sono proposto di fare una ricerca sull’uso dei diritti speciali di prelievo (SDR) come moneta mondiale. Quando ho presentato il risultato della ricerca ad un team di impiegati del WFM, compresa l’allora vicedirettrice esecutiva del WFM, quest’ultima commentò il lavoro sostenendo che “non è necessaria una moneta mondiale, perché questa esiste già: è il dollaro americano!”. L’altro esempio riguarda, invece, l’iniziativa nel settore della sicurezza mondiale — peraltro condivisibile — che è sostenuta dagli amici federalisti australiani e da altri federalisti distribuiti tra il continente americano e quello europeo. L’idea è quella dell’istituzione di una World Security Community of Democracies che, in sostanza, riprende l’idea avanzata da Clarence Streit negli anni Quaranta del secolo scorso. La leadership di questa coalizione, va da sé, farebbe capo agli Stati Uniti.

Sollevare il problema, senza avanzare proposte su come superarlo, non porterebbe da nessuna parte. Pertanto, qui si avanzano due idee. La prima potrebbe essere quella di organizzare dei webinair sul federalismo, sul modello delle scuole quadri che si organizzavano in passato e che potrebbero essere utili per i federalisti mondiali che, in grande misura, non conoscono la letteratura federalista. L’abitudine a partecipare a dibattiti da remoto che, a seguito della pandemia da Covid, si è progressivamente diffusa, fa pensare che questo potrebbe essere un buon punto di partenza. Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di riunire a Ventotene, ad esempio ogni due anni, nel corso del tradizionale seminario, non tanto i giovani indicati dal WFM, quanto i leaders delle organizzazioni che ne fanno parte, alcuni dei quali sono di alto livello e disponibili al dialogo tra forze federaliste.

[14] Maja Brauer, Andreas Bummel, A United Nations Parliamentary Assembly, Democracy Without Borders, Berlino, 2020, https://cdn.democracywithoutborders.org/files/DWB_UNPA_Policy_Review.pdf.

[15] Indicativo, a questo proposito, è quanto affermato dal Presidente del WFM nella sessione conclusiva dell’evento promosso congiuntamente dall’UEF e dal WFM in occasione del 75° anniversario della Dichiarazione di Montreux e tenutosi a Bruxelles l’8 dicembre del 2022. In quella circostanza, il Presidente del WFM ha ammesso che quest’ultimo è ancora alla ricerca di una linea politica.

[16] Il paragrafo riprende, in gran parte, l’intervento fatto nel corso della sessione dedicata alla “UEF-WFM cooperation” nell’ambito dell’evento relativo al 75° anniversario della Dichiarazione di Montreux.

[17] Per una critica dell’idea di un’alleanza delle democrazie, v.: Charles A. Kupchan, Minor League, Major Problems (The Case Against a League of Democracies), Foreign Affairs, novembre/dicembre 2008, https://www.foreignaffairs.com/world/minor-league-major-problems.

[18] https://www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20190926IPR62260/hearing-with-high-representative-vice-president-designate-josep-borrell.

[19] Vincenzo Camporini, Domenico Moro, Verso la “dual army” europea: la proposta SPD del 28° esercito, Commento n. 201, Centro Studi sul Federalismo, novembre 2020, https://www.csfederalismo.it/it/pubblicazioni/commenti/verso-la-dual-army-europea-la-proposta-spd-del-28-esercito.

[20] Il testo della posizione congressuale è riportato in: Mario Albertini, Tutti gli scritti, vol. IV (1962-1964), Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 595-597.

[21] La proposta è stata presentata nel corso del summit che gli USA hanno organizzato con 49 capi di governo africani il 13-15 dicembre 2022: https://www.whitehouse.gov/briefing-room/statements-releases/2022/12/15/vision-statement-for-the-u-s-africa-partnership/.

[22] Stockholm international peace research institute (SIPRI), EU military training missions: a synthesis report, Maggio 2022, in: https://www.sipri.org/publications/2022/other-publications/eu-military-training-missions-synthesis-report.

[23] Un primo passo in questa direzione è la recente missione militare dell’UE denominata European Union Military Partnership Mission (EUMPM) nel Niger: Council decision (CFSP) 2022/2444of 12 December 2022 on an European Union military partnership mission in Niger (EUMPM Niger), https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022D2444&from=IT.

[24] Economic Commission for Africa, ECA, African Ministers of Finance and IMF discuss changes needed to global financial architecture to support economic recovery on the continent, https://www.uneca.org/stories/eca%2C-african-ministers-of-finance-and-imf-discuss-changes-needed-to-global-financial.

[25] V.: Alberto Majocchi, Europa-Africa: una partnership per uno sviluppo sostenibile, Policy paper CSF, n. 50, aprile 2022, https://www.csfederalismo.it/images/policy_paper/CSF_PP50_Majocchi_EUROPA_E_AFRICA_Apr2022.pdf.

[26] Carola Gritella, EU-AU at Sea: Towards a Euro-African Maritime Security Organisation?, Research paper, CSF, ottobre 2021: https://www.csfederalismo.it/images/2021/05/PDF/CSF-RP_EU-AU-Maritime-Security_C-Gritella_Oct2021.pdf.

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