IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXV, 2023, Numero 2-3, Pagina 67

Le priorità geopolitiche dell’UE:
l’Africa e il Mediterraneo

DOMENICO MORO

L’obiettivo del Green Deal europeo — il raggiungimento di un’economia carbon free entro il 2050 —, è stato discusso pressoché esclusivamente dal punto di vista delle misure che i singoli governi nazionali debbono adottare per l’eliminazione delle emissioni di anidride carbonica, come se questa politica fosse slegata dai rapporti con il resto del mondo: non è così. L’obiettivo del Green Deal dimostra, una volta di più, e soprattutto con riferimento all’Europa, che il mondo è sempre più interdipendente e che le politiche economiche, anche di comunità politiche continentali, devono tenere conto dei legami con il resto del mondo. Nel caso dell’Unione europea, i legami rilevanti ai fini dell’obiettivo di un’economia carbon free, oltre a quelli con i paesi del Medio Oriente e asiatici, sono quelli con il continente africano.

Poiché il Green Deal riguarda un arco temporale che arriva fino al 2050, i rapporti tra UE ed Africa vanno analizzati da due punti di vista, tra loro collegati: la politica energetica da fonti fossili e rinnovabili e la politica di sicurezza. Dal punto di vista della politica energetica, occorre tenere presente che l’UE, per alcuni decenni, dovrà continuare a fare ancora affidamento sulle fonti di energia fossile e, dopo questo arco temporale, dovrà fare affidamento sulle fonti di energia rinnovabile, per la cui produzione non sarà del tutto autonoma. In secondo luogo, il legame con la politica estera e di sicurezza si è manifestato in maniera evidente con la guerra in Ucraina, la quale ha messo in luce la forte dipendenza di Germania ed Italia dalle forniture energetiche russe. Inoltre, l’UE, al fine di eliminare la dipendenza dalle forniture russe, ha avviato una politica di aumento delle importazioni di gas naturale da altre aree geografiche, come l’Azerbaigian, il Congo, l’Angola e il Mozambico, ma proprio in queste aree sono riesplosi vecchi conflitti, come la guerra tra Armenia ed Azerbaigian,[1] oppure nuovi conflitti come nei paesi dell’Africa sub-sahariana.

A dire il vero, il legame tra politica di sicurezza ed energia ha un aspetto mondiale di cui occorre tenere conto e che non riguarda solo la Cina che, proprio per questa ragione, ha intensificato i legami politico-economici con il continente africano, ma anche gli Stati Uniti. Questi due continenti hanno però seguito due strade diverse. La Cina che, nel 2011, dipendeva dalle forniture estere di petrolio e di gas naturale, rispettivamente, per il 64% e il 24% per i propri consumi, nel 2021 ha visto aumentare questa dipendenza, portando le importazioni di energia fossile, rispettivamente, al 74% ed al 43% dei consumi interni.[2] La Cina, pertanto, ha un interesse che converge con l’UE per quanto riguarda la stabilità politica nelle aree geografiche da cui provengono le forniture di energia.

Gli USA, invece, a fronte della loro crescente difficoltà ad assicurare l’ordine mondiale, hanno promosso una politica energetica che li emancipasse dalla dipendenza delle forniture energetiche dal resto del mondo, sostenendo investimenti nello shale oil e nello shale gas, nonostante il loro pesante impatto ambientale. Infatti, se ancora nel 2011 l’import di petrolio era pari al 49% dei consumi e l’import del gas pari all’8%, nel 2021 l’import di petrolio era pari al 3% dei consumi, mentre per quanto riguarda il gas naturale gli USA sono diventati esportatori netti.

Il collegamento tra energia e sicurezza, per quanto riguarda i rapporti UE-Africa, non è dato solo dal fatto che le implicazioni geopolitiche dell’avvio del Green Deal europeo comporteranno una progressiva riduzione degli acquisti di energia da fonti fossili dall’estero, ma anche dal principale strumento di politica economica su cui esso si basa, vale a dire il cosiddetto “meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere”. Questa misura comincerà ad influenzare i rapporti tra l’UE ed i paesi terzi già nei prossimi anni.

Qui ci si limita a delle considerazioni di carattere generale che riguardano unicamente i rapporti tra l’UE e l’Africa nel breve termine e nel medio-lungo termine. Nel breve termine, le conseguenze del Green Deal si avranno a seguito dell’entrata in vigore, a partire dal 1° ottobre 2023, del “meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere”,[3] una misura che, come è noto, tende ad equiparare progressivamente il costo delle emissioni di carbonio in atmosfera, sostenuto dalle imprese europee, al costo sostenuto dalle imprese non europee che esportano verso il mercato europeo. Pertanto, i beni importati dall’UE dai paesi terzi verranno penalizzati con una tassa sul carbonio importato e la cui incidenza dipenderà dal prezzo europeo del carbonio che verrà determinato dal meccanismo degli Emissions Trading Scheme. Inizialmente, la tassa riguarderà un numero limitato di settori industriali (ferro e acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio e produzione di energia elettrica) che avranno un impatto limitato sulle economie africane, ma la sua generalizzazione potrà porre un serio limite al loro sviluppo.

Questa tassa, che fa parte del pacchetto relativo alle nuove risorse proprie approvato dal Consiglio il 14 dicembre del 2020,[4] e che verrà applicata interamente a partire dal 2026, è una delle risorse proprie che dovranno essere introdotte anche a garanzia del rimborso del debito europeo emesso per il finanziamento del NextGenerationEU. Il gettito specifico di questo meccanismo è stimato per un importo che oscillerà tra i 5 ed i 14 miliardi di euro all’anno. Il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del 10 marzo 2021, ha chiesto che una parte delle risorse che deriveranno dall’applicazione di questo meccanismo venga destinato al finanziamento di investimenti finalizzati alla transizione energetica dei paesi meno sviluppati. È in questo quadro che la Commissione europea, a partire dal 2020, ha lanciato il partenariato UE-Africa nel settore delle energie rinnovabili. L’attuazione di questa serie di iniziative consentirebbe all’Africa di diventare la prima economia continentale, a livello mondiale, e di raggiungere l’obiettivo del proprio sviluppo economico senza passare necessariamente dall’impiego delle fonti di energia fossile.

Nel medio-lungo termine, l’obiettivo della transizione energetica europea verso un’economia carbon free entro il 2050 comporterà, invece, la scomparsa dal mercato mondiale di una domanda annua di energia da fonti fossili pari ad oltre 320 miliardi di euro.[5] Gran parte di questa domanda europea, che riguarda gas naturale e petrolio, proviene da paesi africani, come Algeria, Angola, Congo, Libia, Nigeria, ecc. Questa domanda, oltretutto, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e della conseguente riduzione degli acquisti di energia da quest’ultima, è stata compensata proprio da maggiori importazioni da paesi africani e mediorientali.

Per paesi africani come Libia, Nigeria ed Algeria, le esportazioni di gas naturale e petrolio verso l’UE, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, rappresentavano una percentuale compresa tra il 75 ed il 90% delle loro esportazioni. Considerando lo stesso fenomeno da un altro punto di vista, vale a dire il peso che il mercato europeo sulle esportazioni complessive di energia da fonti fossili di questi paesi, possiamo vedere che esse costituivano una quota che va dal 35% (Nigeria) al 60% (Algeria e Libia) delle esportazioni totali di energia da parte di questi paesi. Queste ultime percentuali, come appena notato, sono destinate a crescere dopo che l’UE ha deciso di annullare gli acquisti di energia dalla Russia. Pertanto, va da sé che il raggiungimento dell’obiettivo di un’economia europea carbon free vedrebbe sparire una quota considerevole delle esportazioni di questi paesi, aggravando la loro situazione economica e sociale.

È per questo che per l’UE, se non vuole vedere aggravate le condizioni economiche di questi paesi e quindi un ulteriore aumento del flusso di immigrati economici verso l’Europa, diventa indispensabile promuovere un piano euro-africano per lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili. Questo piano, non è solo necessario per aiutare questi paesi a riconvertire la produzione delle loro fonti di energia, ma è anche indispensabile per l’UE, in quanto essa, da sola, difficilmente riuscirà a raggiungere l’autosufficienza energetica. Quando la Commissione europea, nel 2020, ha presentato la sua strategia per la produzione di idrogeno, con il piano Hydrogen Strategy,[6] l’UE ha iniziato a promuovere numerosi progetti per la realizzazione di un’economia basata sull’idrogeno. Tuttavia, malgrado le premesse del piano, è apparso subito evidente che l’UE non avrebbe saputo raggiungere l’autosufficienza nella produzione di idrogeno sostenibile.[7] Infatti, con la successiva iniziativa, denominata REPowerEU, è stata prevista l’importazione di 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile su un fabbisogno complessivo di idrogeno proveniente da fonti rinnovabili pari a 20 milioni di tonnellate, vale a dire il 50% del proprio fabbisogno. Le previsioni della Commissione sono che le importazioni di idrogeno rinnovabile debbano provenire, in prevalenza, dai paesi africani e del Medio Oriente,[8] con i quali, peraltro, sono già stati avviati dei primi accordi.

Tenuto conto dell’instabilità politica del continente africano, della diffusione delle organizzazioni terroristiche che vi operano, delle frequenti guerre civili all’interno di molti paesi africani e, soprattutto, della presenza militare consolidata degli USA, della crescente presenza militare della Russia e della crescente influenza economica della Cina, l’obiettivo — possibile — di fare del continente africano il primo continente a svilupparsi senza fare ricorso alle fonti fossili di energia e di assicurare all’UE la necessaria energia da fonti rinnovabili, costituiscono, indubbiamente, un obiettivo molto ambizioso. Si tratterà, pertanto, per l’UE in quanto tale, di essere non solo convincente con le sue proposte, ma anche credibile sul piano politico e militare. E con questo si viene al secondo aspetto dei rapporti tra UE ed Africa.

Il punto di svolta nei rapporti tra UE ed Africa si avrà solo quando la Francia farà definitivamente i conti con il suo passato coloniale in Africa. La Francia, di fatto, non ha mai messo fine alla sua politica di stampo coloniale nei rapporti con l’Africa. L’indipendenza concessa alle sue colonie a partire dagli anni ’60 del secolo scorso è stata, in grande misura, solo formale.[9] Le conseguenze della continuazione di questa politica risalgono alla entrata in vigore del Patto Coloniale firmato dalla Francia con le sue undici colonie africane ed entrato in vigore nel 1947 e che ha continuato a sopravvivere anche nei decenni successivi, malgrado il processo di decolonizzazione. Questo Patto prevedeva il mantenimento della presenza militare della Francia nelle sue ex-colonie e forniva la base legale per interventi militari nei paesi africani di influenza francese. Sul piano politico, la prosecuzione delle misure previste dal Patto venne motivata, da De Gaulle, sulla base della prospettiva di una crescente integrazione politica tra la Francia e le sue ex-colonie e che chiamò Françafrique, una prospettiva che, però, non poteva durare. Infatti, i presidenti francesi che si sono succeduti, da Mitterrand in poi — come ad esempio, Chirac, Holland e Macron — dovettero riconoscere che la Françafrique era una prospettiva politica che non aveva più alcun significato.[10] Ma il fatto che, nonostante il susseguirsi di queste dichiarazioni, sia continuato a sussistere un legame di tipo coloniale, ha causato sfiducia e frustrazione da parte dei paesi africani nei confronti della Francia.

Il Patto, infatti, aveva anche delle implicazioni economiche, in quanto assicurava un trattamento privilegiato per le società francesi. Inoltre, esso diede vita alla costituzione di due aree integrate sul piano finanziario e che impiegano il franco CFA (dove CFA sta per Comunità Finanziaria Africana): l’Unione economico-finanziaria ovest africana (UEMOA, di cui fanno parte Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo), e la Comunità economica e monetaria dell’Africa Centrale (CEMAC, di cui fanno parte Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo). Queste due comunità economico-finanziarie, che sono parte dell’influenza esercitata dalla Francia sui paesi africani, sono entrate progressivamente in crisi. Proprio nella primavera di quest’anno si è tenuto un vertice tra la Francia ed i paesi aderenti alla CEMAC nel corso del quale la Francia ha ribadito l’impegno ad assicurare la convertibilità del franco CFA, mentre i paesi africani hanno invece chiesto il ritiro progressivo dei rappresentanti della Francia dalla banca centrale della CEMAC e il rimpatrio delle riserve detenute nella banca centrale francese.[11]

Per quanto riguarda l’UEMOA, il distacco dalla Francia è stato ancora più drammatico. Mali, Burkina Faso e Niger hanno conosciuto dei colpi di Stato in funzione antifrancese, analogamente a quanto successo nel Ciad, facente parte della CEMAC. Come si può constatare, i colpi di Stato hanno riguardato quattro dei cinque paesi che, nel 2014, avevano deciso di costituirsi nel G5 Sahel, un quadro istituzionale di coordinamento e monitoraggio della cooperazione regionale in materia di politiche di sviluppo e sicurezza. Questi esempi testimoniano il fallimento della politica francese nei confronti dei paesi africani e l’unica possibilità di recuperare un rapporto costruttivo con loro potrebbe essere compiuto dall’UE in quanto tale, ma dopo che la Francia avrà posto fine a qualunque legame di tipo coloniale. In secondo luogo, l’UE, per essere a sua volta credibile, dovrà scegliere degli interlocutori riconosciuti dai paesi africani. Questi interlocutori dovrebbero essere, da un lato, l’Unione Africana, la quale è stata invitata a far parte in quanto tale del G20 e, dall’altro, le organizzazioni regionali, come la Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale (in inglese, Economic Community of West African States – ECOWAS; in francese Communauté économique des États de l’Afrique de l’ouest – CEDEAO) e di cui fanno parte Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Togo.[12] Questa organizzazione, attraverso l’ECOMOG (Economic Community of West African States Monitoring Group), si occupa anche di sicurezza. Cinque Paesi membri della ECOWAS hanno progettato di adottare una moneta comune a partire dal 2025; la moneta dovrebbe chiamarsi Eco. L’unione monetaria verrà chiamata Zona monetaria dell’Africa occidentale (ZMAO). Il duplice riferimento all’Unione Africana ed alle organizzazioni regionali è dovuto al fatto che, essendo la prima un’organizzazione ancora molto debole, in una fase iniziale occorrerà rafforzare le prime forme di unificazione su base regionale.

L’altro passo che dovrà compiere l’UE, per essere un interlocutore credibile, è quello di dotarsi di una forza militare autonoma, in grado di intervenire, su richiesta dell’Unione Africana e dell’ONU nelle situazioni di crisi. Vi sono già missioni europee in corso in Africa, le più importanti delle quali sono la missione Atalanta nel Pacifico e la missione nel Golfo di Guinea. Quest’ultima è stata istituita nel mese di agosto di quest’anno con una Decisione del Consiglio,[13] ed avrà un pilastro civile ed uno militare. Inoltre, per quanto riguarda l’istituzione, in capo all’UE, di forze armate autonome, occorre ricordare l’istituzione di una forza di dispiegamento rapido — interforze e multinazionale — prevista dalla Bussola strategica, approvata nel corso del 2022 e che, nel mese di ottobre 2023, ha compiuto la sua prima missione di addestramento, in vista dell’istituzione di una forza di dispiegamento rapido nel corso del 2025.

Certamente, quest’ultimo è solo un primo passo verso una difesa europea la quale, per essere credibile, dovrà raggiungere almeno la dimensione minima già prevista nel corso del Consiglio europeo tenutosi ad Helsinki nel dicembre del 1999, quando venne deciso di istituire una forza di intervento rapido di 60.000 uomini. La riforma dei trattati UE, approvata dal Parlamento europeo nel corso della seduta del 22 novembre 2023, e trasmessa dal Consiglio al Consiglio europeo per la convocazione di una Convenzione europea, potrebbe consentire un ulteriore passo avanti. Nel caso in cui la Convenzione non fosse convocata o che, se convocata, non portasse ai risultati sperati, occorrerà che gli Stati disponibili procedano, nel quadro dei trattati, a promuovere l’istituzione di una forza armata europea autonoma a permanente disposizione dell’UE e delle Nazioni Unite.

 

[1] La guerra nel Caucaso, in particolare, ha messo in evidenza la forte dipendenza dell’Italia dall’Azerbaigian (in conseguenza della quale, tra i paesi UE, per l’opposizione dell’Italia, l’unico paese europeo che ha aiutato militarmente l’Armenia è stata la Francia).

[2] Per quanto riguarda gli USA e la Cina, le cifre sono basate su dati tratti da: BP Statistical Review of World Energy June 2012 (https://www.laohamutuk.org/DVD/docs/BPWER2012report.pdf), e BP Statistical Review of World Energy 2022 (https://www.bp.com/content/dam/bp/business-sites/en/global/corporate/pdfs/energy-economics/statistical-review/bp-stats-review-2022-full-report.pdf).

[3] V.: Parlamento europeo, Un meccanismo UE di adeguamento del carbonio alla frontiera compatibile con l'OMC, risoluzione del 10 marzo 2021, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2021-0071_IT.pdf.

[4] V.: Decisione (UE, Euratom) 2020/2053 del Consiglio del 14 dicembre 2020 relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea e che abroga la decisione 2014/335/UE, Euratom, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32020D2053. Il 16 dicembre 2020 è stato, inoltre, approvato un accordo interistituzionale volto a definire un calendario per l’introduzione di queste nuove risorse proprie (Accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea sulla disciplina di bilancio, sulla cooperazione in materia di bilancio e sulla sana gestione finanziaria , nonché su nuove risorse proprie, compresa una tabella di marcia per l’introduzione di nuove risorse proprie, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32020Q1222(01).

[5] M. Leonard, J. Pisani-Ferry, J. Shapiro, S. Tagliapietra and G. Wolff, The geopolitics of the European Green Deal, Bruegel, Policy Contribution Issue n. 04/21 | February 2021, https://www.bruegel.org/sites/default/files/wp_attachments/PC-04-GrenDeal-2021-1.pdf.

[6] V.: European Commission, EU Hydrogen Strategy, https://energy.ec.europa.eu/topics/energy-systems-integration/hydrogen_en#eu-hydrogen-strategy.

[7] V.: L. Collins, 'Europe is never going to be capable of producing its own hydrogen in sufficient quantities: EU climate chief, Rechargenews, 4 maggio 2022, https://www.rechargenews.com/energy-transition/europe-is-never-going-to-be-capable-of-producing-its-own-hydrogen-in-sufficient-quantities-eu-climate-chief/2-1-1212963.

[8] V.: European Commission, REPowerEU: A plan to rapidly reduce dependence on Russian fossil fuels and fast forward the green transition, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_22_3131.

[9] G.K. Busch, The U.S. and the wars in the Sahel, Academia, https://www.academia.edu/33189877/The_U_S_and_the_Wars_in_the_Sahel.

[10] La fin du pacte colonial ? La politique africaine de la France sous J. Chirac et après, Politique africaine, n. 105/2007, https://www.cairn.info/revue-politique-africaine-2007-1-page-7.htm; O. Faye, Les adieux répétés des présidents à la « Françafrique », Le monde, 10 marzo 2023, https://www.lemonde.fr/m-le-mag/article/2023/03/10/les-adieux-repetes-des-presidents-a-la-francafrique_6164976_4500055.html; Emmanuel Macron au Gabon : l’ère de la « Françafrique est révolue », déclare le président français, Le Monde, 2 marzo 2023, https://www.lemonde.fr/afrique/article/2023/03/02/emmanuel-macron-a-commence-sa-tournee-africaine-sur-le-theme-de-la-protection-des-forets-au-gabon_6163848_3212.html.

[11] C. Cosset, Ressources financières et franc CFA: à Paris, une réunion ministérielle Cemac-France aux multiples enjeux, Radio France Internationale, https://amp.rfi.fr/fr/afrique/20230425-ressources-financières-et-franc-cfa-à-paris-une-réunion-ministérielle-cemac-france-aux-multiples-enjeux.

[12] Burkina Faso, Guinea, Mali, e Niger, tra il 2021 ed il 2023, sono stati sospesi dalla Comunità a seguito dei colpi di Stato in cui sono stati coinvolti.

[13] Decisione (PESC) 2023/1599 del Consiglio del 3 agosto 2023 relativa a un’iniziativa dell’Unione europea in materia di sicurezza e di difesa a sostegno dei paesi dell’Africa occidentale del Golfo di Guinea, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32023D1599.

 

 

 

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