Anno XXVII, 1985, Numero 2, Pagina 110
DISOCCUPAZIONE, MONETA E POLITICA FISCALE NELL’AMBITO CEE
Il crescente successo dell’ECU negli impieghi privati ha dato vita ad un profluvio di proposte tendenti ad estendere l’uso della moneta europea parallela e a rafforzarne l’accettabilità, grazie a una serie di miglioramenti tecnici nei modi di emissione e di circolazione.
Alcune di queste proposte sono già state accolte e prontamente realizzate dal mercato, o hanno formato oggetto di decisioni comuni da parte dei paesi membri, come le disposizioni approvate a metà aprile a Palermo dai ministri finanziari della CEE circa l'utilizzo dell’ECU negli interventi inframarginali all’interno del meccanismo di cambio comunitario, l’autorizzazione alle banche centrali dei paesi terzi di detenere ECU ufficiali a titolo di riserve, la determinazione delle remunerazioni dei depositi in ECU ufficiali in funzione dei tassi d’interesse di mercato, abbandonando il legame con i tassi ufficiali di sconto, meno appetibili dei primi.
Altri suggerimenti non hanno avuto seguito immediato e costituiscono un prezioso materiale di riflessione, dal quale potranno scaturire nuovi progressi sulla via dell’unificazione monetaria europea. Fra questi, particolarmente interessanti risultano i progetti tendenti a favorire l’estensione dell’impiego degli ECU di emissione pubblica, come premessa di un ravvicinamento nei due usi della moneta europea parallela.
È infatti evidente che, superata con successo la fase dell’accettazione della nuova moneta da parte dei privati, fra i molti nodi che occorrerà sciogliere per giungere alla creazione di una moneta europea a pieno titolo, due sono cruciali e riguarderanno gli aspetti appena messi in luce. Da una parte occorrerà non solo regolare meglio e rendere meno erratica la creazione degli ECU di fonte ufficiale, ma soprattutto collegare tale creazione con la politica di bilancio comunitaria. Dall’altra sarà necessario superare l’attuale dicotomia tra ECU ufficiali ed ECU privati, perché una moneta a pieno titolo non può dar vita a due circuiti paralleli, fra loro non collegati. Con l’avvertenza che uno strumento di sutura fra i due circuiti può essere rappresentato dal bilancio CEE, attraverso il quale i flussi monetari si diramano verso il complesso degli operatori comunitari.
Oggi il bilancio comunitario esprime fittiziamente in ECU flussi di risorse in valute nazionali che provengono dai vari paesi a titolo di finanziamento e che ad essi riaffluiscono nella stessa forma in seguito ai pagamenti. Quando il bilancio comprendesse stanziamenti non tanto espressi in semplici unità di conto, quanto costituiti e redistribuiti ai diversi percettori in ECU, ovvero in valuta estera denominata in ECU, la dicotomia fra i due circuiti verrebbe meno.
Lungo queste linee, J.P. Planchou, deputato socialista di Parigi e direttore del Club République moderne, in un articolo apparso sul supplemento economico di «Le Monde» del 15 gennaio avanza una proposta interessante.[1]
Allo scopo di dar vita ad uno «scudo monetario» in grado di conferire una più grande autonomia allo spazio europeo, Planchou suggerisce, oltre a numerose misure intese ad ampliare l’uso ufficiale e privato dell’ECU, il lancio da parte dei governi di prestiti comuni, sottoscritti e quotati simultaneamente sui diversi mercati, ed anche l’emissione di Buoni del Tesoro denominati in ECU, il cui ricavato dovrebbe essere ripartito fra i paesi membri. Quest’ultima indicazione, se opportunamente interpretata, è suscettibile di dar luogo a importanti sviluppi sulla via dell’integrazione monetaria.
La proposta in questione è appena abbozzata e richiederebbe numerose qualificazioni per essere valutata appieno. Ad esempio, nonostante l’ambiguo riferimento ai prestiti emessi simultaneamente dai diversi governi, è implicito che l’emissione dei Buoni del Tesoro in ECU debba far capo ad una autorità comunitaria, che in una seconda fase dovrebbe procedere alla ripartizione fra i paesi membri delle risorse mobilitate, in base ad un qualche criterio non specificato. Del pari, è presumibile che gli ECU così raccolti abbiano la natura di valuta estera denominata in moneta europea, altrimenti non si vedrebbe la necessità della riproposizione di una formula già utilizzata in Italia, dove da qualche tempo il Tesoro emette dei Certificati di Credito in moneta di conto europea, né avrebbe senso la ripartizione delle somme ricavate fra i paesi membri.
Tuttavia, se l’interpretazione che ne abbiamo data corrisponde alle intenzioni dell’autore, questa proposta, una volta realizzata, avrebbe il merito di aprire la strada alla nascita di una forma intermedia di politica di bilancio europea, dotata di consistenti margini di autonomia rispetto alle politiche nazionali.
In attesa che maturino le condizioni per dar vita ad una politica di bilancio europea nel senso pieno del termine e quindi in grado, tra l’altro, di essere finanziata in disavanzo mediante la emissione di moneta europea a pieno titolo, la creazione di Buoni del Tesoro europei, da utilizzarsi per scopi comunemente definiti a livello CEE, costituirebbe indubbiamente un passo in avanti non trascurabile rispetto alla situazione attuale, in cui al più si può parlare di embrione di politica fiscale europea. Ancora più interessante è il suggerimento avanzato negli ultimi tempi dall’economista italiano Ezio Tarantelli in vista della emissione di uno «scudo dei disoccupati», per combattere la disoccupazione e rilanciare la crescita in ambito CEE mediante un’azione concertata fra i paesi membri.[2] Tarantelli è stato ucciso di recente in un agguato terroristico rivendicato dalle Brigate Rosse ed era noto in Italia e in Europa per le sue riflessioni in merito alla possibilità di pervenire ad una politica europea dei redditi (PER), come premessa per il rilancio dell’unificazione monetaria e l’approfondimento del processo di integrazione in sede CEE.
Secondo Tarantelli i sindacati dei paesi membri, attraverso una confederazione europea dei sindacati rinnovata, dovrebbero armonizzare annualmente le politiche salariali e del lavoro in modo da uniformare i tassi d’inflazione e da stabilizzare i tassi di cambio fra le monete europee.
Si realizzerebbe in tal modo una delle condizioni necessarie per l’esistenza di una moneta comunitaria, anche se evidentemente, prima che questa possa effettivamente circolare all’interno della Comunità, altre condizioni andrebbero soddisfatte, a cominciare dal controllo comune dell’espansione della spesa pubblica nei paesi membri, altro importante fattore che spiega il divario delle propensioni all’inflazione nei diversi paesi.
Contro questo sfondo teorico solido e stimolante, poco tempo prima della sua tragica scomparsa l’economista italiano ha suggerito che la Comunità provveda a stampare ECU e a distribuirli attraverso il Fondo sociale ai paesi membri, in proporzione al numero dei disoccupati in essi presenti.
L’emissione andrebbe affidata al FECOM e le somme rese disponibili nei diversi paesi andrebbero utilizzate per favorire gli investimenti produttivi o a sostegno diretto dell’occupazione, attraverso varie misure.
In una serie di articoli ripresi anche da altri autori, la proposta viene esplicitata in termini che in questa sede non è possibile riesporre e commentare in dettaglio. Basti aggiungere, per averne un quadro meno impreciso, che l’ECU dei disoccupati verrebbe emesso in contropartita delle valute nazionali con cui i paesi membri finanziano il bilancio comunitario e che pertanto, oltre a non avere alcun impatto inflazionistico, consentirebbe di allentare il vincolo della bilancia dei pagamenti nei rapporti intracomunitari, e che la sua emissione dovrebbe consentire una reflazione comune a livello CEE in modo da poter gradualmente ridurre lo zoccolo duro della disoccupazione entro un orizzonte temporale ragionevole.
La creazione dell’ECU dei disoccupati, come l’emissione dei Buoni del Tesoro europei proposta da Planchou, rispondono a due esigenze e sollevano un problema.
In primo luogo entrambi i suggerimenti mirano a creare un collegamento fra la politica monetaria e la politica fiscale della Comunità, superando lo stadio embrionale in cui si trovano entrambe. In questo senso rispondono al bisogno di forgiare strumenti efficienti a livello comunitario, in grado di governare l’economia europea e di contrastare le tendenze alla disgregazione, sempre presenti. Quanto occorre oggi per superare la situazione di stallo in cui versa da tempo l’integrazione comunitaria è il rilancio dell’unificazione monetaria, unitamente a un consistente aumento del bilancio comunitario. Il primo è necessario per garantire la permanenza del mercato integrato e per aumentare il grado di integrazione raggiunto, mettendo a frutto le immense potenzialità dell’integrazione non ancora sfruttate. Il secondo è indispensabile per assicurare la convergenza fra le economie dei paesi membri, riducendo gli squilibri fra aree centrali e aree periferiche della Comunità. Come ha messo abbondantemente in luce il Rapporto MacDougall,[3] un bilancio comunitario pari al 2-2,5% del PIL della Comunità consentirebbe di ridurre in maniera consistente i differenziali di reddito fra le regioni europee e di garantire l’attenuazione delle fluttuazioni congiunturali nell’ambito CEE. In base ai dati pubblicati dal Rapporto, a fronte di un effetto di redistribuzione del bilancio comunitario che ancor oggi può essere stimato molto debole (1-1,5%), l’aumento delle spese comunitarie o il trasferimento delle spese dal livello nazionale a quello europeo in una misura pari allo 0,7% del PIL globale della Comunità potrebbe ridurre le disuguaglianze nel livello di vita tra i paesi membri di circa il 10%. Rispetto a questi obiettivi resta ancora molto da fare, se si considera che, anche con il prossimo aumento dell’aliquota IVA devoluta al bilancio CEE, il peso di quest’ultimo sul PIL comunitario rimarrebbe inferiore all’1,5%. Un programma di sostegno alla occupazione, simile a quello proposto da Tarantelli, porterebbe invece tale incidenza al di sopra del 2%) superando la soglia critica indicata dal Rapporto MacDougall.
Il secondo bisogno cui rispondono le proposte esaminate in questa nota è quello di procedere in tempi brevi ad un rilancio della domanda nei paesi membri per ridurre entro limiti meno traumatici i livelli attuali di disoccupazione in Europa. Un’intera generazione rischia di rimanere permanentemente esclusa dal mercato del lavoro se i paesi comunitari non decideranno di rimettere al primo posto nelle loro funzioni di preferenza collettiva la salvaguardia dell’occupazione. Certo, una politica keynesiana dell’occupazione, dopo la crisi manifesta del Welfare State, non è sufficiente, e sarà necessario anche ricorrere a strumenti di politica attiva in questo settore, quali la trasformazione del Fondo sociale in un’Agenzia del lavoro europea collegata ad una rete di agenzie regionali, che fungano da fornitori d’occupazione di ultima istanza. Ma intanto, senza una ripresa dei tassi di sviluppo a ritmi superiori agli attuali livelli del 2-2,5%, è difficile pensare ad un riassorbimento della disoccupazione in tempi ragionevoli. Con l’avvertenza che dopo le esperienze del passato di reflazioni solitarie bloccate dopo pochi mesi dal vincolo della bilancia dei pagamenti, il rilancio di cui l’Europa ha bisogno potrà avvenire solo in forma concertata, se è vero, come mette in evidenza il Rapporto Albert-Ball,[4] che il moltiplicatore di efficacia comunitaria consente di ottenere risultati migliori dell’ordine da 2 a 4 volte rispetto all’alternativa dell’azione individuale per quanto concerne la crescita e da 1,2 a 3 volte per quanto riguarda la bilancia commerciale e il saldo di bilancio.
Dicevamo, infine, che le due proposte sollevano un problema. Quali sono i prerequisiti di carattere istituzionale che consentono i necessari progressi in fatto di politica monetaria e di politica fiscale europea, che conseguirebbero dalla loro realizzazione?
Si ripete che l’esperienza storica insegna che la nascita delle monete ha spesso preceduto quella della Banca centrale incaricata di regolarne l’emissione e la circolazione. È questa ad esempio la tesi di Triffin.
Dubito che questa fiducia nei meccanismi spontanei di mercato sia oggi giustificata. In ogni caso, occorrerebbe chiarire a partire da quale punto si realizza l’abbinamento fra efficienza dello strumento e autonomia del centro di politica economica incaricato di gestirlo.
In un mondo complesso e articolato come il nostro e in presenza di un assetto istituzionale fortemente squilibrato a favore dei paesi membri, il rilancio della integrazione monetaria e il potenziamento del bilancio CEE richiedono adeguate riforme delle istituzioni comunitarie. In un caso il passaggio alla seconda tappa dello SME, con la creazione del Fondo monetario europeo; nell’altro il passaggio dalla CEE all’Unione europea con il correlativo rafforzamento dell’autorità di bilancio, il Parlamento, e dell’organo incaricato di condurre la politica fiscale dell’Unione, la Commissione, trasformata in un vero e proprio governo europeo.
Franco Praussello
[1] J.P. PLANCHOU, «Renforcer le SME en le rendant plus souple pour mieux résister au dollar», Le Monde, 15 Janvier 1985.
[2] E. Tarantelli, «Lo scudo dei disoccupati», Politica ed Economia, n. 2, 1985; Id., «Come fabbricare lo scudo», Politica ed Economia, n. 3, 1985.
[3] Commission des C.E., Rapport du groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration européenne (Rapport MacDougall), Bruxelles, 1977.
[4] M. Albert, Un pari pour l’Europe, Seuil, Paris, 1983.