IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXVI, 2024, Numero 1, Pagina 35

EQUILIBRI GEOPOLITICI INTERNAZIONALI:
PERCHÉ È NECESSARIA LA FEDERAZIONE EUROPEA*

Questa riflessione prende il via dal contesto geo-politico globale. Il grafico della figura 1 ci mostra l’andamento del prodotto lordo mondiale negli ultimi sessanta anni, a prezzi correnti, e quindi incorpora l’inflazione, ma è quello che la gente vede. C’è stata una prima fase in salita, in mezzo c’è un gradino, poi nuova risalita e poi la linea inizia ad avere un singhiozzo, va su e giù.

 

Fig. 1 – Andamento del prodotto lordo mondiale 1960-2022 a prezzi correnti.

Il punto di prima del gradino degli anni Novanta è la fine del mondo nato dalla Seconda Guerra mondiale, la fine della fase in cui l’intera umanità era divisa in due parti. Era l’equilibrio con una frattura che passava però esattamente a metà dell’Europa. Passava anche per altre due parti: per la Corea, con la lunga guerra alla fine degli anni Cinquanta, e per il Vietnam, con la lunga guerra degli anni Sessanta. Il sistema cade nel 1989 quando implode l’Unione sovietica. E non bisogna dimenticare che l’Unione sovietica per l’Europa arrivava a Berlino, e quindi era un’area molto vasta.

Questa crescita fino al 1989 viene meno, e viene meno perché le due parti del mondo erano due diversi sistemi. Da una parte l’URSS che coincideva con la parte industriale della Russia (Mosca e Ucraina), dall’altra gli Stati Uniti e l’Europa occidentale. La cosa interessante è che, prima di ritrovare un assetto adeguato a livello mondiale, c’è stata una stagnazione. L’equilibrio è stato trovato spostando le regole di questa parte del mondo a tutto il mondo. Anzi, svuotando le regole, perché l’idea era: mercato, mercato, mercato.

Questo si è basato su tre illusioni. La prima illusione: se c’è un problema, il mercato lo risolve. Se c’è qualcuno che ci rimane sotto è perché doveva rimanerci sotto. Questa è l’etica protestante, lo spirito del capitalismo, come ci insegnava Max Weber. Seconda illusione: poiché il mercato si era esteso al di là degli Stati, gli Stati non erano più necessari. L’altro punto di fondo era sostanzialmente l’idea che anche la democrazia fosse inutile, perché era nell’agire delle cose che si trovava un equilibrio. Tre visioni pericolosissime coltivate da schiere di economisti che hanno anche vinto Nobel su questo, perché l’ideologia di questi anni è stata un’ideologia molto pesante.

L’accordo viene trovato più o meno a metà della stagnazione, con il World Trade Agreement e la creazione del WTO al quale poco alla volta tutti gli Stati aderiscono e nel quale nel 2000 entra la Cina. In quel punto c’è una rapidissima crescita.

La curva si interrompe nel 2008 con la crisi finanziaria. Avendo aperto tutti i mercati, anche le epidemie finanziarie si saldano tra di loro. Nel 2008 c’è una crisi che nasce negli Stati Uniti: è la crisi dei subprime che, in un’economia come quella americana essenzialmente basata sul credito, comporta un fortissimo abbassamento del livello di garanzia bancaria. Tutti si indebitano, al punto chele stesse banche non riescono più a tenere. Tanto le banche non falliscono, sono troppo grandi per fallire. Grande crisi, che però viene risolta grazie allo spirito del capitalismo: la gran parte delle risorse viene immediatamente spostata dalle banche ai mercati finanziari nelle nuove economie emergenti, cioè quelle digitali.

Dal 2008 la curva cambia natura, diventa un su e giù continuo, cioè viviamo in un’epoca di incertezze. Da un punto di vista strutturale cambiano molte cose, perché quando vengono aperti i cancelli non è semplicemente che io importo da te e tu esporti da me, ma cambia proprio la natura della produzione. Produzioni che erano fatte in casa vengono spostate da altre parti del mondo, perché è essenziale produrre le stesse cose a basso costo. Anzi tutto viene prodotto a pezzettini: in un aereo, le ali vengono fatte da una parte, la carlinga dall’altra, e poi vengono assemblati.

In questa fase entra la Cina. Ma dov’è l’Europa? Vediamo il grafico della figura 2.

Fig. 2 – Andamento del prodotto interno lordo nelle diverse economie del mondo 1960-2020.

Negli Stati Uniti la crescita è continua, c’è una crisi nel 2008 ma in un anno viene superata, c’è un’altra crisi in epoca Covid ma poi ripartono.

La Cina dal 1995 cresce meno rapidamente, avvicinandosi agli USA. Dal 1978 (quando Deng Xiaoping spodesta la moglie di Mao e finisce la rivoluzione culturale) fino al 1995 il reddito medio di un cinese era 158 dollari all’anno, poi l’apertura del commercio internazionale permette alla Cina di entrare nel WTO e la Cina entra facendo un’operazione straordinaria dicendo: “noi rimaniamo comunisti, ma siamo disponibili a lavorare con voi, sporchi capitalisti. Vi diamo la garanzia di 10/15 anni di lavoro di alta qualificazione e a basso costo e voi venite a produrre da noi.” Io a quel tempo ero in Cina e ricordo che gli americani arrivavano in Cina e dicevano: che stupidi questi cinesi, ci danno operai bravi e di grande qualificazione e a basso costo per 10 anni e vogliono solo in cambio che noi formiamo il loro personale e trasferiamo le tecnologie. La conseguenza è che i cinesi hanno imparato, e tanto è vero che il reddito medio del cinese oggi è 13.800 dollari l’anno. È aumentata però la disuguaglianza interna, oggi quasi pari a quella degli USA, il che, per esser un paese comunista, è un problema.

La Russia non c’è. Questo è un altro dei grandi problemi che si pongono: la differenza tra ruolo politico e ruolo economico. Il Pil della Russia vale il 20% in meno della valorizzazione di borsa della sola Apple, il 15% meno del Pil dell’Italia. Questa differenza in un contesto di disuguaglianza sociale fortissima (l’1% della popolazione ha quasi il 90% della ricchezza) porta alla situazione che abbiamo oggi: mentre non c’è la base economica, tutta la capacità è politica.

L’Europa invece cresce dal punto di vista economico quando si gioca insieme, mentre stagna o cade quando ognuno va per conto proprio. Ogni volta che c’è un’accelerazione del processo di integrazione c’è un aumento del PIL, ma ogni volta che di fronte a una crisi si torna al sovranismo nazionale, non solo si stagna ma si torna indietro. Il grafico è chiarissimo.

Il passaggio di crescita è tutto quello che ci ha portato da Schengen a Maastricht. Poi c’è stato un periodo di ristagno. Il periodo in cui l’UE cresce più degli USA è quello dell’euro. La crisi del 2008 è quella in cui ognuno ha pensato di fare per conto proprio: bassissima crescita e crisi. Fase pericolosissima, di bassa crescita, massima incertezza a demografia calante.  Dopo il 2008 ci sono alti e bassi. Ognuno fa per conto suo, con effetti negativi per tutti. Tanto è vero che i paesi del sud Europa hanno accumulato un debito tale che la BCE nel 2011-2012, con Draghi, ha fatto il famoso “whatever it takes”, e cioè ha surrogato le posizioni nazionali assumendosele per salvare gli Stati del sud Europa dal default. La crescita è dovuta al fatto che il Covid ci ha obbligati ad agire insieme per permettere agli Stati di riprendersi.

Il problema non è permettere ai singoli Stati di spendere, perché la capacità di spesa è diversa da Stato a Stato, è generare quelle attività e quelle infrastrutture comuni che fanno passare dal livello nazionale a quello europeo, chiamatelo federalismo. L’avere fatto il salto dell’unione monetaria è un salto notevole, perché le politiche non si fanno un pezzo alla volta. Se si fanno le politiche monetarie comuni, tenere politiche fiscali e di bilancio separate è una trappola mortale, soprattutto per i più fragili. Perché altrimenti cosa fai: devi coordinare le politiche, e poi sotto il tappeto metti la roba sporca. L’idea di far quadrare i conti portando a 3.000 miliardi il buco di bilancio, ci torna contro.

Bassa crescita, alta incertezza e caduta demografica. Questo genera una trappola pesantissima, perché il rischio è non avere lavoratori, competenze, capacità per sostenere il ricambio della crescita e generare l’innovazione e dall’altro lato si ha un impoverimento di intere fasce della popolazione perché per mantenere l’equilibrio bisogna abbassare i salari. Guadagnare 1.700 euro e pagarne 1.000 di affitto a Milano non fa andare molto lontano. Non si riesce a fare investimenti quando c’è incertezza, perché gli investimenti richiedono una visione di vari anni. Se volete fare un investimento in agricoltura (oggi la spesa è aumentata di almeno quindici volte rispetto a 30 anni fa perché bisogna fare la rete antigrandine, antibrina, anticimice ecc.) bisogna immaginarlo in 10 anni, e come si fa? Quindi, questa incertezza non è che non incida sulla nostra vita di tutti i giorni, perché blocca gli investimenti. Si può pensare a una politica sulla scuola che sia a meno di 10 anni? Altrimenti tutti i giorni fai un annuncio e il giorno dopo lo devi cambiare.

Nonostante tutto l’Europa è l’area meno ineguale del mondo, perché nel mondo questi anni di mercato hanno portato a un aumento di diseguaglianze senza precedenti. La Cina, che non è nemmeno l’area più diseguale del mondo, ha più meno lo stesso grado di ineguaglianza degli USA. In Cina il primo 10% della popolazione ha il 41% dei redditi e il 69% della ricchezza. Negli USA le proporzioni sono del 45% e 73%. Degli USA una cosa interessante è che quanto possiede di ricchezza il secondo 55% della popolazione è meno dell’1% della ricchezza del paese. Ormai quelli che noi chiamiamo Stati Uniti sono New York e Boston, la California, ma non il centro di San Francisco, tutto il resto, tranne il Texas ha questo livello dell’1%. È per questo che la gente vota Trump, perché è venuto meno il sogno americano.

Noi in Europa rimaniamo l’area meno diseguale d’Europa. L’uguaglianza è un tema fondante. L’uguaglianza non è un elemento accessorio, è l’elemento identitario dell’Europa, e se viene meno, viene meno la democrazia. In tutta Europa c’è uno smottamento della democrazia a favore di autoritarismo. Non è che ampliando l’Europa magicamente siamo tutti nella stessa situazione. In realtà in Europa oltre al corpo centrale da Oslo a Milano c’è tutta una periferia che è molto lontana. Quando si dice decentriamo alcuni poteri o attribuiamo tutti i poteri al livello nazionale, bisogna stare attenti e aver ben chiaro qual è la responsabilità. Perché il sottosviluppo non è un problema che semplicemente si possa compensare con qualche incentivo in più: c’è un problema di classi dirigenti, struttura sociale, educazione.

Tutti gli anni il Ministero dell’Istruzione fa una verifica dello stato di apprendimento della popolazione. Il Covid ha lasciato piaghe pesantissime sui bambini, e quindi abbiamo fatto benissimo a farli tornare a scuola. Paradossalmente sono migliorati in inglese, che non è la lingua del gioco, ma del computer, stanno recuperando in matematica, ma la cosa vera sono le differenze territoriali, stiamo recuperando anche le differenze degli immigrati. Tra un ragazzo della Sicilia o della Calabria e uno del Friuli ci sono due anni di differenza di capacità di apprendimento. Io non ho dubbi che vi sia un livello nazionale di istruzione, che le scuole debbano essere autonome. Questo principio di autonomia va messo insieme al principio di sussidiarietà, altrimenti non funziona. Autonomia vuol dire responsabilità. Però è responsabilità collettiva, e non è che l’educazione non sia correlata all’uguaglianza e alla democrazia. Se hai minori capacità di apprendimento sei più disposto a credere quello che ti dicono.

Cosa vende l’Europa? Su cosa si basa la competitività europea? Noi vendiamo in America e anche in Cina prodotti farmaceutici, strumenti scientifici e tutta quella parte tecnologica legata al cibo, alla salute, e all’ambiente. L’uguaglianza non è solo un valore fondante dell’Europa, è anche l’unico alla base dello sviluppo. Noi esportiamo tecnologie legate alla qualità della vita, alla centralità della persona. Non è tanto un problema di valori, è un problema di valore. E quindi l’idea che anche lo sviluppo delle capacità tecnologiche dell’intelligenza artificiale sia legato al clima e alla human technology è alla base dello sviluppo dei prossimi anni.

Pensate al ciclo produttivo del digitale: semiconduttori, circuiti, telefoni e computer, i sistemi operativi e le reti. Cina, Taiwan e Hong Kong hanno il 90% del mercato dei semiconduttori. Quando la Cina vuole Taiwan non è una questione romantica, è il controllo del mercato dei semiconduttori. Hanno il 90%, quasi il 100% con la Corea, dei circuiti stampati. Il Giappone è quasi in caduta libera. Sui sistemi operativi Google ha il 90% nel mondo. Sui browsers gli americani sono i primi. Sulle reti tra i primi sei (che in realtà sono tre perché Whatsapp, Instagram e Facebook sono sempre dello stesso proprietario), otto miliardi di contatti al mese, non c’è nemmeno un europeo. Quindi sul settore digitale, nella produzione, noi non ci siamo. Noi possiamo soltanto applicare.

L’Europa deve avere la capacità di difendere una posizione a livello mondiale in cui uguaglianza e democrazia sono fondanti, perché i valori dell’uguaglianza, della democrazia e della pace sono anche alla base della nostra crescita. Se non ci sono questi, ognuno da solo è comunque troppo piccolo, anche perché all’interno di ogni paese lo sviluppo si sta concentrando in un’area marginale del paese. In Italia ad esempio tutta la popolazione si sta concentrando sull’asse Milano-Venezia e sull’asse Milano-Bologna.

L’Europa vince solo quando gioca insieme. Caduta demografica e bassa crescita ci obbligano a guardare lontano. Se non siamo capaci di guardare lontano, questo non fa un danno solo a noi, ma a tutto il mondo.

Sarebbe bello se anche le università imparassero a giocare insieme, perché ognuno di noi altrimenti conterà sempre meno e saremo sempre più irrilevanti, marginali e vecchi. Noi dobbiamo trasformare la nostra vecchiaia in essere antichi ed essere antichi per noi europei vuol dire che comunque noi ci saremo sempre al di là di ogni governo.

Patrizio Bianchi


[*] Intervento alla riunione nazionale dell’Ufficio del Dibattito del Movimento federalista europeo tenutasi a Ferrara il 13 aprile 2024 sul tema Sovranità e sussidiarietà: due anime del federalismo europeo.

 

 

 

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