IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXX, 1988, Numero 2, Pagina 83

 

 

Dalla distensione alla pace
 
 
E’ noto che il Trattato INF, per quanto riguarda il suo contenuto effettivo, è di rilievo piuttosto modesto: esso riguarda infatti soltanto circa il 14% delle armi nucleari installate in Europa. Ma è anche certo che il significato storico del Trattato va assai al di là del suo contenuto effettivo. Per la prima volta nella storia dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica, un trattato non si limita a regolare la corsa agli armamenti, ma prevede la distruzione di una parte degli arsenali esistenti. Questo fatto è stato interpretato dall’opinione pubblica come un segnale per il futuro ed ha sollevato in tutto il mondo una grande ondata di speranza.
E’ legittimo sostenere che siamo veramente all’inizio di una «Nuova Era»? Due ragioni di fondo militano per una risposta affermativa a questa domanda. Una è l’impossibilità, per entrambe le superpotenze, di sostenere i costi sempre crescenti — sia finanziari che politici — causati dalla corsa agli armamenti. Per Gorbaciov la sua continuazione comporterebbe la necessità di abbandonare l’impresa della perestroika. Per gli Stati Uniti essa avrebbe come conseguenza un ulteriore aggravamento del problema del deficit pubblico e dello squilibrio della bilancia commerciale e metterebbe in pericolo la stessa prosperità del paese.
La seconda, e più decisiva, è costituita dal fatto che l’idea stessa di difesa, nell’era nucleare, ha perso il suo senso, perché oggi una guerra nucleare significherebbe la distruzione di tutti i belligeranti, e probabilmente dell’intero pianeta. Per questo l’idea della «sicurezza comune» sta entrando nelle coscienze e soppiantando la concezione tradizionale, secondo la quale la sicurezza di uno Stato è tanto più salda quanto meno sicuri sono i suoi nemici potenziali.
 
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Quest’ultimo argomento comunque è ancora lontano dall’essere generalmente condiviso. Molti uomini politici e osservatori continuano a ragionare con le categorie tradizionali. Essi hanno appreso dalla storia che i rapporti tra gli Stati sono governati dalla legge del potere, che spinge ciascuno di essi a rafforzarsi a spese dei suoi concorrenti; e che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. Essi quindi applicano la lezione all’equilibrio mondiale attuale e traggono dalle loro riflessioni la conclusione scettica che, come accadde in fasi precedenti dei rapporti tra USA e URSS, l’attuale distensione durerà soltanto fino a quando coinciderà con i loro interessi di potere, e sarà seguita da una nuova fase di tensione non appena la coincidenza cesserà.
Fino a pochi anni addietro questo sarebbe stato un ragionamento corretto. Ma oggi, dopo che i leaders delle superpotenze hanno acquisito la consapevolezza che il mondo è diventato una sola comunità di destino e che assicurare la sopravvivenza dell’umanità dipende da loro, è difficile immaginare che essi ricadano nella precedente mentalità e tornino ad adottare i precedenti comportamenti. Ciò non significa che il cammino sarà facile. La logica della sovranità continua pur sempre a funzionare e ad alimentare il sospetto tra le superpotenze. Gli ambienti militari, ed altri settori della società, continueranno ad esercitare pressioni sui governi. Ma,fintanto che i lineamenti essenziali del contesto politico mondiale rimarranno quelli attuali, pare di poter affermare che la spinta alla collaborazione sarà più forte di quella al confronto, anche se non si deve dimenticare che, in un mondo le cui dimensioni si vanno riducendo sempre più, un equilibrio internazionale basato sulla difficile collaborazione tra potenze sovrane sarà comunque rigido e tendenzialmente immobilista, a causa della sua incapacità di adattare i rapporti tra gli Stati alla realtà mutevole dei rapporti economici e della reale situazione di potere nel mondo.
 
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Questa è la ragione per la quale potremo sentirci ragionevolmente sicuri fino a che il contesto politico mondiale rimarrà nel suo stato attuale. Ma il problema è di sapere quanto ciò durerà. E tutto spinge a ritenere che non durerà molto a lungo. Il mondo cambia rapidamente, rendendo i problemi sempre più difficili da affrontare e risolvere con decisioni intergovernative. Nuove preoccupanti cause di tensione si stanno manifestando. Basti citare a titolo di esempio l’esplosione demografica nel Terzo mondo in un contesto di squilibri economici crescenti; o la tendenza, apparentemente inarrestabile, all’esaurimento delle risorse naturali non rinnovabili; o ancora la drammaticità crescente dei conflitti di nazionalità, specialmente nell’Unione Sovietica. Questi problemi, ed altri non meno gravi, inducono a temere che, in un futuro non troppo lontano, le condizioni disperate di masse enormi di esseri umani possano scatenare irresistibili forze irrazionali, mutando radicalmente i dati di fondo della politica mondiale.
E’ evidente che la buona volontà degli Stati del Nord del mondo non sarà sufficiente a tenere sotto controllo una situazione nella quale si dovessero manifestare squilibri così profondi. In realtà, nessun sistema internazionale fondato su principio di sovranità avrebbe la capacità di assicurarne il controllo in un mondo strettamente interdipendente. E’ per questo che la collaborazione tra le superpotenze può impedire la guerra nel medio termine ma, se non è accompagnata da una visione del futuro che faccia sorgere e rafforzi negli uomini la fiducia nel carattere progressivo della tendenza e nella possibilità che essa porti ad un’unione politica mondiale, essa non potrà garantire a lungo andare una gestione razionale ed una migliore distribuzione di risorse che si vanno facendo sempre più scarse, una politica mondiale della popolazione, una protezione efficace contro i guasti all’ambiente che minacciano la sopravvivenza stessa della Terra, ecc. In questo modo, il pericolo della guerra apparirebbe di nuovo inevitabilmente nella più minacciosa delle forme.
 
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Per impedire definitivamente che ciò accada, l’obiettivo da conseguire è quello che definisce l’identità stessa dei federalisti: un governo federale mondiale. Per avvicinarne la creazione, è necessario ottenere risultati lungo due direttrici:
1) bisogna che l’obiettivo dell’ unione federale del mondo sia fatto proprio dai leaders delle superpotenze e dal più largo numero possibile di altri Stati come fine ultimo della loro politica, che dia il suo vero senso storico alla «Nuova Era». Sappiamo tutti che la Federazione mondiale non nascerà domani. Ma nello stesso tempo non dobbiamo dimenticare che la condotta collettiva degli uomini non è guidata soltanto dalle istituzioni, ma anche dalle aspettative. Il caso della Comunità europea è esemplare da questo punto di vista: le sue istituzioni sono del tutto inefficaci, basate come sono sul principio della collaborazione intergovernativa; ma l’attesa che l’Europa un giorno si unirà, tenuta viva dalla presenza permanente del problema sulla scena politica, è stata sufficiente a rendere addirittura impensabile, negli ultimi quarantatre anni, l’idea che una nuova guerra possa verificarsi tra due Stati europei. Per questo uno dei compiti principali dei federalisti oggi è quello di promuovere e di appoggiare ogni iniziativa da parte dei maggiori leaders mondiali orientata nella direzione dell’ obiettivo ultimo del governo mondiale. Si tratta di un orientamento la cui concretezza dovrebbe essere dimostrata con la promozione di reali passi avanti nel rafforzamento dell’ ONU in tutti i campi nei quali sono possibili reali progressi, come quelli dello sfruttamento delle risorse dei fondi marini, della gestione dell’Antartide, del controllo degli armamenti, della soluzione delle crisi regionali, ecc.
2) Deve essere dato al mondo un esempio della trasformazione istituzionale attraverso la quale il fine può essere raggiunto, cioè di come la sovranità nazionale può essere di fatto superata. Ci si può ragionevolmente attendere che ciò accada in Europa occidentale, dove sono pienamente mature le condizioni materiali e spirituali di una unificazione federale. Una Federazione europea, seguita dallo sviluppo di altre federazioni regionali, cambierebbe la faccia del mondo e renderebbe più credibile la lotta per la Federazione mondiale: anche perché è più facile pensare ad un governo mondiale fondato su grandi poli regionali piuttosto che su centocinquantanove Stati la cui popolazione varia da poche migliaia ad un miliardo di abitanti. Si rende visibile in questo modo la stretta connessione — o meglio l’identità — esistente tra la lotta dei federalisti in Europa e nel mondo, anche se si tratta di lotte i cui teatri sono parzialmente diversi. Ed è così che i primi possono sentirsi rafforzati nelle loro motivazioni da un’accresciuta consapevolezza del senso globale del loro impegno; mentre i secondi possono forse acquisire una maggiore chiarezza quanto alla natura delle stazioni intermedie che dovranno lasciarsi alle spalle nella lunga marcia verso l’obiettivo finale del governo mondiale.
 
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