Anno XIX, 1977, Numero 1, Pagina 56
L’Unione economica e monetaria
e la formazione dei programmi europei dei partiti*
GUIDO MONTANI - DARIO VELO
1. La nuova fase del processo di integrazione europea.
La decisione finale presa dal Consiglio europeo di Bruxelles del 12-13 luglio 1976 di eleggere il Parlamento europeo a suffragio universale nel maggio-giugno 1978 e la successiva approvazione, il 20 settembre 1976, da parte del Consiglio dei ministri degli affari esteri, dell’Atto relativo all’elezione europea hanno aperto una nuova fase del processo di integrazione europea. Ciò significa che è iniziato un processo in cui i problemi europei, che fino ad oggi erano lasciati nelle mani dei governi nazionali, dei corpi diplomatici e dei tecnocrati di Bruxelles, saranno progressivamente affidati alle istituzioni europee, rappresentative del popolo europeo, che eserciteranno i loro poteri congiuntamente alle istituzioni nazionali.
In prima istanza, questa nuova fase investe i partiti europei che sono chiamati ad elaborare dei programmi europei in vista della consultazione elettorale del 1978.
Fra i problemi che devono essere affrontati nei programmi europei dei partiti è prioritario quello della realizzazione della Unione economica e monetaria. Il fatto stesso che il Parlamento europeo sia eletto a suffragio universale costituisce una eccellente base politica per il rilancio dell’Unione economica e monetaria. Per affrontare il problema con realismo, occorre riconoscere che l’Unione economica e monetaria è già auspicata oggi da tutte le forze democratiche europee, che si rendono conto dell’insufficienza delle politiche economiche nazionali per risolvere la crisi in cui versano tutte le economie dei paesi della Comunità.
La crisi economica ed i problemi sociali che pesano sull’Europa sono di gravità tale che gran parte del dibattito elettorato europeo si concentrerà su questi temi. Inoltre, una volta eletto il Parlamento europeo, sarà sulla base delle proposte dei partiti che gli elettori giudicheranno il loro operato.
2. Il fallimento dei progetti funzionalisti di Unione economica e monetaria.
La crisi strutturale del sistema monetario internazionale e i problemi posti dall’avvenuto completamento dell’unione doganale in Europa, già alla fine degli anni sessanta, hanno imposto agli organi comunitari di affrontare il problema dell’Unione economica e monetaria.
Fra i vari progetti elaborati, il più importante è senza dubbio il «piano Werner», varato nel 1970, per «la realizzazione per fasi dell’Unione economica e monetaria della Comunità». Il piano Werner prevedeva un restringimento progressivo dei margini di fluttuazione fra le monete europee e, parallelamente, l’integrazione dei mercati finanziari e il riavvicinamento delle politiche monetarie, fiscali ed economiche dei vari paesi europei al fine di giungere ad una fase finale in cui le competenze fondamentali in materia economica e monetaria sarebbero state affidate ad organismi europei.
Il piano Werner si fondava sulla concezione erronea che per creare l’Unione economica e monetaria bastasse realizzare alcune riforme di natura tecnica, senza predisporre una adeguata volontà politica europea, con la mobilitazione dell’opinione pubblica, dei partiti e delle forze sociali. Al gradualismo tecnico-istituzionale non corrispondeva un gradualismo politico: la creazione di una moneta europea è un obiettivo illusorio se non si progetta anche un centro di decisioni che abbia il potere di elaborare una politica monetaria europea, che deve essere definita sia nei confronti del sistema monetario internazionale, sia nei confronti degli obiettivi interni della stabilità monetaria e della occupazione.
I fatti hanno confermato i limiti insuperabili di questo piano che è valso unicamente a far accettare il principio, corrispondente alla prima fase, della fluttuazione congiunta delle monete europee. In un primo tempo era sembrato possibile difendere la realizzazione di questa prima fase dell’unificazione monetaria fondandosi sulla collaborazione fra banche centrali e governi europei. Ma anche questa speranza si è rivelata illusoria, perché è impossibile mantenere parità stabili fra le monete europee in presenza di economie che si sviluppano a tassi difformi, con diversi andamenti congiunturali e diversi problemi. Nei momenti di tensione sul mercato dei cambi, la difesa delle parità presenta dei costi, in termini di occupazione e di benessere, tanto elevati da risultare insopportabili. Così si spiega perché sia sempre stato sacrificato il principio delle parità fisse e perché non si sia affatto progrediti verso la realizzazione dell’Unione economica e monetaria.
L’esistenza delle monete nazionali e l’obbligo di osservare il vincolo delle bilance dei pagamenti non solo impediscono di avanzare verso l’Unione monetaria, ma anche di difendere il grado di integrazione raggiunto. In effetti stiamo assistendo alla adozione di misure di protezionismo strisciante, perché i governi europei di fronte alla difficoltà di gestire le economie nazionali non possono far altro, nel quadro nazionale, che introdurre misure protettive limitative dei movimenti di merci, capitali e persone. Una inversione di tendenza è pensabile alla condizione che i partiti prendano coscienza che per avviare la costruzione dell’Unione economica e monetaria è indispensabile la creazione preliminare di una moneta europea: solo a questo punto inizierebbe la transizione delle economie nazionali a quella europea.
3. I problemi da affrontare.
Per avere un’adeguata visione dei problemi che si pongono oggi all’Europa è necessario prendere in considerazione le caratteristiche fondamentali del processo di distensione fra le grandi potenze, oggi in corso. L’emergere della Cina in campo orientale e dell’Europa economica nel campo occidentale ha indebolito la egemonia delle superpotenze. Inoltre, i paesi del Terzo mondo, che nella fase della guerra fredda erano emarginati in posizione di subordinazione, chiedono sempre più insistentemente la realizzazione di un nuovo ordine economico che realizzi una più giusta distribuzione della ricchezza mondiale.
Il dollaro, che ha garantito uno stabile ordine monetario nel primo dopoguerra, e con ciò ha reso possibile un altrimenti impensabile sviluppo del commercio internazionale, riesce con sempre maggiori difficoltà ad assolvere le sue funzioni di moneta di riserva. La ragione della crisi del dollaro risiede nel fatto che l’Europa, che ha un volume di scambi internazionali di gran lunga superiore agli Stati Uniti, non possiede una propria moneta che possa essere accettata come moneta di riserva. Ciò fa sì che l’onere di finanziare il commercio internazionale gravi interamente sugli Stati Uniti. Pertanto ci si trova di fronte ad un dilemma insolubile: il dollaro è forte se la bilancia dei pagamenti americana è in pareggio, ma allora manca liquidità internazionale; vi è liquidità se la bilancia dei pagamenti americana è in deficit, ma in tal caso si genera una crisi di sfiducia verso il dollaro.
Le conseguenze del crescente disordine monetario internazionale non hanno tardato a manifestarsi all’interno della Comunità europea. Il commercio intra-comunitario non differisce dal commercio internazionale e deve essere finanziato da una moneta di riserva. Se la crisi del sistema monetario internazionale impedisce un normale sviluppo del commercio mondiale, per gli Stati europei essa determina uno scollamento della solidarietà comunitaria. La decisione di rendere inconvertibile il dollaro ha provocato una generale fluttuazione di tutte le monete nei confronti del dollaro e, quindi, anche delle monete europee fra di loro. Questa fluttuazione delle monete europee ha di fatto significato una occulta reintroduzione di barriere protettive fra le economie europee, ha reso impossibile il funzionamento del Mercato comune agricolo, che è fondato sul principio di un prezzo unico europeo, e ha fatto fallire i tentativi in corso di unificazione monetaria europea.
Sul piano dei rapporti commerciali, sia con l’America sia con i paesi emergenti del Terzo mondo, l’interesse dell’Europa non coincide con la tradizionale politica americana di difesa del vecchio ordine economico mondiale. All’Europa, che a differenza dell’America ha una economia bisognosa di materie prime e strutturalmente aperta al commercio internazionale, conviene incrementare il più possibile gli scambi, specie con i paesi africani e mediterranei. Questi interessi europei non possono tuttavia tradursi in una efficace politica commerciale stante l’attuale divisione degli europei e l’impossibilità di modificare le tariffe esterne comunitarie in assenza di una politica industriale e dell’occupazione a livello europeo. In questa situazione l’Europa si rivela anche incapace di elaborare un’efficace politica energetica, che non può prescindere da una definizione e stabilizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti ed i paesi arabi.
L’incapacità dell’Europa di affrontare efficacemente questi problemi internazionali rende impossibile anche la soluzione di problemi europei quali gli squilibri regionali (che sono stati ulteriormente accresciuti dall’integrazione economica europea intesa come pura unificazione doganale), il raggiungimento della piena occupazione, della stabilità monetaria e di elevati tassi di sviluppo. Nell’attuale situazione comunitaria, gli unici strumenti di politica economica a cui possono far ricorso i governi sono gli strumenti nazionali: pertanto è inevitabile che si affermi la logica del «ciascuno per sé», che senza risolvere i problemi internazionali aggrava quelli europei, riduce i tassi di sviluppo, aumenta i livelli di disoccupazione e accresce il divario fra regioni ricche e povere.
4. Il contributo dell’Unione economica e monetaria alla soluzione dei problemi europei e mondiali.
L’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale costituirà l’occasione per tutte le forze politiche europee di varare un piano per l’Unione economica e monetaria. Questo piano sarà tanto più efficace nella misura in cui i partiti, rappresentati nel Parlamento europeo, riusciranno a trovare dei punti di convergenza sugli obiettivi e sugli strumenti.
La creazione di una moneta europea costituirebbe la premessa indispensabile per avviare a soluzione la crisi del sistema monetario internazionale. In effetti, la moneta europea avrebbe la stessa importanza del dollaro come moneta di riserva e potrebbe perciò affiancarsi ad esso come mezzo dei pagamenti internazionali, ripartendo l’onere di finanziare il commercio internazionale sia sull’economia americana sia su quella europea. Ciò consentirebbe il ritorno ad un regime di parità fisse nel sistema monetario internazionale, che è la condizione indispensabile per la crescita ordinata del commercio mondiale.
La creazione di una moneta europea, quindi l’eliminazione automatica dei margini di fluttuazione fra le monete nazionali, costituisce un contributo decisivo alla ricostituzione di uno stabile ordine monetario internazionale, che oggi è reso particolarmente fragile dalle continue svalutazioni e rivalutazioni delle monete europee che innescano la speculazione internazionale.
Il mercato dell’eurodollaro, che oggi costituisce un potente fattore destabilizzante in quanto non è sottoposto al controllo di alcuna autorità monetaria, sarebbe destinato ad essere sostituito, nel quadro dell’Unione monetaria, da un ordinato mercato europeo dei capitali.
I paesi europei hanno recentemente incontrato gravi difficoltà di bilancia dei pagamenti per fronteggiare la crisi energetica. Questo problema nel quadro dell’Unione economica e monetaria sarebbe semplicemente inesistente, perché la bilancia consolidata dei pagamenti europea non porrebbe né problemi di deficit, né problemi di carenze di riserve.
Sul fronte del commercio internazionale, l’Unione economica e monetaria europea consentirebbe di incrementare sensibilmente il volume del commercio internazionale, da cui dipendono la prosperità dei popoli e le possibilità di sviluppo del Terzo mondo. Solo con la realizzazione di un’Unione economica europea è possibile invertire l’attuale tendenza al protezionismo che si sta diffondendo in tutto il mondo. Ulteriori aperture commerciali da parte dell’Europa, come oggi è auspicato dai paesi del Terzo mondo e dagli Stati Uniti, sono impensabili senza l’avvio di una coerente politica industriale e dell’occupazione a livello europeo, perché esse implicano lo sviluppo di alcuni settori e la riduzione dell’attività di altri, non più concorrenziali. Le autorità economiche europee potrebbero facilitare questi mutamenti di struttura con una politica delle commesse pubbliche da affidare a settori a tecnologia avanzata e con una politica della ricerca scientifica.
Nei confronti dei paesi del Terzo mondo e in particolare di quelli del bacino del Mediterraneo, la creazione di una Unione economica e monetaria potrebbe aumentare le possibilità di cooperazione. L’Europa ha bisogno infatti di materie prime, di cui questi paesi sono ricchi, e può esportare beni strumentali tecnologicamente avanzati, assistenza tecnica e aiuti finanziari. La stabilizzazione dei rapporti commerciali fra Europa e paesi del Mediterraneo, insieme alla possibilità di sviluppare la ricerca di fonti nuove di energia, faciliterebbe il varo di una politica energetica a livello europeo che è auspicata anche dai paesi produttori di petrolio.
Il ritorno alla stabilità monetaria e l’incremento degli scambi commerciali intra-comunitari e mondiali costituirebbero di per sé un efficace rimedio all’attuale problema della disoccupazione in Europa. Inoltre, un’autorità economica europea, responsabile della politica monetaria e con capacità di spesa autonoma, potrebbe intervenire, con investimenti diretti o trasferimenti, nelle regioni più colpite. Il processo di integrazione, in assenza di meccanismi europei di riequilibrio, ha favorito le tendenze anarchiche del mercato, ha accentuato il divario fra regioni povere e ricche, e ha addossato ai paesi più deboli della Comunità il costo di un riequilibrio che avrebbe dovuto gravare su tutti gli europei. La creazione di autorità economiche europee porrebbe fine a questa situazione di anarchia avviando, grazie a trasferimenti di reddito, una coerente politica regionale.
Le difficoltà maggiori incontrate dall’agricoltura europea, prima fra tutte l’oscillazione delle parità monetarie, sarebbero ipso facto risolte con la creazione di una moneta europea. Inoltre, alla sola politica, oggi realizzabile nel quadro comunitario, della fissazione di un prezzo europeo, si potrebbe aggiungere l’avvio di una politica di incentivi e di ristrutturazione del settore agricolo che tenga conto sia della vocazione naturale delle regioni europee, sia della nuova divisione del lavoro che l’Europa concorderà con gli altri paesi produttori, in specie quelli del Mediterraneo.
L’inflazione, che oggi colpisce tutte le economie europee, affonda le sue radici nel disordine economico mondiale. La creazione di una moneta europea contribuirebbe a spegnere i focolai internazionali dell’inflazione, avviando un processo per il ripristino di parità monetarie stabili. Sul fronte dei rapporti commerciali, l’Unione economica e monetaria, ponendo le premesse di una più stabile cooperazione fra paesi industrializzati e detentori di materie prime, porrebbe fine ai tentativi di appropriarsi di porzioni crescenti della ricchezza mondiale volgendo a proprio favore le ragioni di scambio. In Europa, la fine della fluttuazione delle monete e la possibilità di un controllo effettivo del mercato europeo dei capitali costituiscono un contributo evidente alla lotta contro l’inflazione. Infine, il rilancio economico consentirebbe di affrontare, e non di eludere con l’inflazione, i problemi che oggi si pongono di una più equa ripartizione dei redditi.
5. Proposte per la realizzazione dell’Unione economica e monetaria.
I partiti europei, nell’elaborare i loro programmi elettorali, dovrebbero tener presente che la Comunità europea ha già creato una serie di organismi e impostato una serie di politiche che potrebbero divenire l’embrione della futura Unione economica e monetaria. Non si tratta di estendere le competenze degli organi comunitari; ma di rendere operante ciò che già esiste. Le competenze della Comunità, ad eccezione della moneta, coprono tutti i settori indispensabili per la realizzazione dell’Unione economica e monetaria. L’elezione del Parlamento europeo consentirebbe di potenziare e rendere operanti questi strumenti di intervento.
È opinione corrente che si possa realizzare un processo di creazione dell’Unione economica e monetaria che abbia come punto di arrivo l’emissione di una moneta europea. Questo punto di vista funzionalistico non è corretto perché il potere di controllare la liquidità esiste a livello nazionale o esiste a livello europeo.
Il presupposto del processo di creazione dell’Unione economica e monetaria consiste nell’istituzione di una banca centrale europea di emissione, responsabile di fronte alla Commissione. Tecnicamente la moneta europea può essere realizzata in due modi: a) con l’emissione di una moneta europea da parte di una banca centrale europea che sostituisca completamente le monete nazionali; b) con la decisione di rendere irrevocabilmente fissi i rapporti di cambio fra le monete europee, trasferendo cosi il potere di battere moneta dalle banche centrali nazionali alla banca europea. Dal punto di vista sostanziale le due soluzioni sono identiche, ma la seconda sarebbe più facilmente praticabile: essa corrisponde alla nascita di un sistema bancario federale, simile al Federai Reserve System statunitense in cui alle banche centrali nazionali sarebbero affidate le funzioni delle banche distrettuali americane (Federal Reserve Banks). Nulla impedisce che si passi dalla seconda alla prima soluzione con la emissione di biglietti di banca europei, che circolino liberamente in Europa e che sostituiscano progressivamente le vecchie banconote nazionali.
Occorre prendere atto che con la creazione della moneta europea gli Stati nazionali perderanno il potere di finanziare le proprie spese con emissioni monetarie. Uno strumento fondamentale della politica economica nazionale, la politica monetaria, passerebbe nelle mani dell’esecutivo europeo. Per questa ragione è impensabile la creazione di una moneta europea che non sia accompagnata da altre misure di politica economica a livello europeo. Per paesi con gravi problemi sociali ed economici, come l’Italia e la Gran Bretagna, la perdita dello strumento monetario è inaccettabile senza il contemporaneo avvio di trasferimenti di risorse reali a livello comunitario.
A questo scopo, e al fine di assicurare alla banca europea una capacità autonoma di intervento sui mercati finanziari, con operazioni di mercato aperto, è indispensabile istituire un Tesoro europeo con il potere di emettere prestiti stilati in valuta europea. I fondi cosi raccolti potrebbero essere anche utilizzati dalla Commissione per finanziare la politica industriale, regionale e dell’occupazione a livello europeo. Inoltre, il Tesoro europeo potrebbe accollarsi parte dei debiti pubblici nazionali esistenti al momento della nascita dell’Unione economica e monetaria.
All’avvio di una politica monetaria a livello europeo deve corrispondere una politica dell’occupazione e della ristrutturazione industriale. Lo strumento di questa politica potrebbe essere costituito dal Fondo sociale europeo, che dovrebbe essere ulteriormente potenziato. In particolare, si tratterebbe di creare un fondo per l’occupazione che affronti il problema globalmente a livello europeo. Il Fondo sociale dovrebbe anche affrontare il problema degli squilibri regionali (agendo in accordo con il Fondo regionale comunitario) e dell’avvio di una politica industriale. I fondi necessari a queste politiche potrebbero essere reperiti utilizzando i proventi della tariffa esterna comunitaria e potrebbero essere accresciuti dapprima stornando una certa percentuale delle entrate fiscali di ogni Stato, in un secondo tempo riconoscendo alle autorità europee un potere autonomo di tassazione.
Al fine di difendere la parità della moneta europea nei confronti delle monete extra-europee si potrebbe istituire un Fondo di riserve comunitario, che raccolga una percentuale delle riserve nazionali. La responsabilità della gestione di questo fondo dovrebbe essere affidata alla banca centrale europea.
La politica commerciale nei confronti del resto del mondo potrebbe essere affrontata in modo unitario unificando in un unico organismo il compito di coordinare gli interventi oggi realizzati dai singoli Stati. In particolare, si potrebbero unificare, così potenziandole, le politiche di aiuti e assistenza tecnica al Terzo mondo, e istituire una Import-Export Bank che fornisca un orientamento al commercio estero europeo.
* Si tratta del documento di lavoro redatto in occasione del convegno organizzato dal CESFER su: «Una moneta per l’Europa» e svoltosi a Pavia il 10-11 dicembre 1976.