IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXIV, 1992, Numero 3 - Pagina 218

 

 

La proposta comunitaria di una tassa energia/carbonio

 

ALBERTO MAJOCCHI

 

 

1. Un importante cambiamento si è manifestato negli anni più recenti nell’ambito della politica ambientale. Mentre infatti la prima generazione di misure destinate alla protezione dell’ambiente si indirizzava prevalentemente verso problemi ambientali di carattere interno, beneficiando così soprattutto coloro che vivevano in uno Stato determinato, il mondo ha acquisito recentemente la consapevolezza dell’urgenza dei problemi a carattere globale, che riguardano tutta l’umanità, ivi incluse le generazioni future. E’ facile capire che in quest’ultimo caso si incontra un’ulteriore difficoltà, dato che misure prese unicamente al livello di ciascun paese risultano del tutto inadeguate.

Per definire i termini di una politica efficace volta a risolvere i problemi ambientali a carattere globale è possibile fare riferimento a due principi che sembrano generalmente accettati: a) nessun paese ha la possibilità di far fronte a problemi di carattere globale con misure unilaterali, dato che problemi globali richiedono soluzioni di tipo multilaterale. In questo contesto si deve altresì aggiungere che nessun paese ha il diritto di decidere quale debba essere la politica ambientale ottimale per il mondo intero. Questo principio pone un limite a decisioni unilaterali con effetti extra-giurisdizionali; b) ma al contempo si deve riconoscere che le risorse di carattere globale non appartengono ad alcun paese, bensì al mondo intero e così pure alle generazioni future.

La via di uscita da questo dilemma è abbastanza chiara. Se esistesse un governo mondiale, sarebbe compito di questa istituzione prendere le decisioni necessarie e nessun livello inferiore di governo potrebbe introdurre misure unilaterali od impedire l’attuazione della politica decisa al livello superiore. Ma, in un quadro istituzionale democratico, i cittadini ed i governi di livello inferiore avrebbero il diritto di partecipare al processo decisionale.

Ma dato che attualmente non esiste un governo mondiale capace di prendere le decisioni necessarie in materia ambientale per la conservazione delle risorse comuni, la sola soluzione ragionevole e praticabile è quella di stabilire le regole per una gestione sostenibile di queste risorse comuni attraverso accordi multilaterali stipulati nell’ambito delle Nazioni Unite. Nessun paese può decidere isolatamente per conto del mondo intero, ma al contempo nessun paese ha il diritto di impedire la realizzazione di decisioni prese sulla base di un consenso multilaterale. L’imperialismo ambientale deve essere respinto in entrambi i casi.

 

2. Il problema dei cambiamenti climatici rappresenta oggi una delle preoccupazioni più gravi per tutta l’umanità. Si ritiene infatti che le emissioni di CO2 rappresentino il fattore che contribuisce maggiormente all’effetto serra (la sua quota sul totale dei gas ad effetto serra ammonta al 61%, secondo le stime dell’IPPC), mentre la concentrazione atmosferica di anidride carbonica è prevalentemente di origine antropogenica ed è causata soprattutto dalla combustione di energie fossili. Anche la distruzione delle foreste tropicali è divenuta negli ultimi trent’anni una delle fonti più importanti di concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera e attualmente si ritiene che contribuisca per circa un terzo delle emissioni causate dalla combustione di energie fossili.

Se i cambiamenti climatici costituiscono un problema di natura mondiale, la responsabilità principale è comunque dei paesi industrializzati. Le emissioni mondiali pro capite di carbonio ammontano a 1,13 tonnellate, mentre risultano pari a 5,76 per gli Stati Uniti, a 2,24 per il Giappone e a 2,28 tonnellate per la Comunità europea. La media per il resto del mondo ammonta a solo 0,4 tonnellate. Nei prossimi anni soprattutto i paesi industrializzati del Nord del mondo dovranno adottare le misure politiche necessarie per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Ma occorre tener presente che già oggi le emissioni totali della Cina (616 tonnellate di carbonio) risultano tre volte più elevate di quelle della Germania (190 tonnellate), mentre in India sono 1,5 volte più elevate che in Italia. Con l’atteso sviluppo economico dei paesi del Sud del mondo, le emissioni di anidride carbonica potrebbero aumentare in modo drammatico, dato che in questi paesi l’efficienza energetica è molto bassa.

Una politica efficace per risolvere il problema dei cambiamenti climatici dovrebbe quindi fornire ai paesi industrializzati incentivi economici corretti per accrescere l’efficienza energetica e per ridurre le emissioni di anidride carbonica, ma al contempo dovrebbe garantire incentivi adeguati per migliorare la situazione energetica anche nei paesi meno sviluppati. Di conseguenza, la proposta qui discussa prevede l’attuazione di un’imposta mista energia/carbonio nel mondo industrializzato e la creazione di un Fondo per il finanziamento di trasferimenti tecnologici a favore dei paesi più poveri, in modo tale da accrescere l’efficienza energetica anche nella parte meno sviluppata del mondo.

 

3. Nella Comunità europea, come primo passo per limitare i gas ad effetto serra, il Consiglio congiunto energia/ambiente del 29 ottobre 1990 ha deciso di stabilizzare le emissioni di CO2 nell’anno 2000 allo stesso livello del 1990. In effetti, mentre le emissioni sono rimaste praticamente stabili durante il periodo 1970-1985, in presenza di prezzi crescenti dell’energia, negli anni 1986-1990 questa tendenza positiva si è invertita e le emissioni sono aumentate del 4%. E senza interventi specifici le emissioni di CO2 sono destinate a crescere dell’11% nella Comunità nel periodo 1990-2000. Di conseguenza è necessario un insieme di misure per ridurre il consumo di combustibili fossili e per raggiungere l’obiettivo della stabilizzazione.

Il contributo della Comunità alle emissioni complessive di CO2 è pari soltanto al 13% rispetto al 23% degli Stati Uniti, al 5% del Giappone e al 25% dell’Europa dell’Est e dell’ex Unione Sovietica. Un’iniziativa unilaterale da parte della Comunità non può risolvere il problema dell’effetto serra, che è globale per sua natura. Ma nel 1993, con il completamento del mercato interno, la Comunità rappresenterà la più grande entità economica e commerciale del mondo. Essa appare quindi tenuta in quanto tale ad assumere la leadership in relazione alla protezione dell’ambiente e alla gestione sostenibile delle risorse naturali, secondo l’impegno politico assunto con la dichiarazione su «L’imperativo ambientale» approvata dai capi di Stato e di governo a Dublino nel giugno 1990. In questo modo la Comunità potrà altresì giocare un ruolo decisivo per l’adozione di una Convenzione sui cambiamenti climatici al Vertice di Rio del giugno 1992, nel quadro dell’UNCED.

 

4. Nel caso dei cambiamenti climatici non vi è una chiara alternativa tra tassazione e regolamentazione. Una strategia globale deve includere sia strumenti normativi, sia strumenti economici, facendo così affidamento su una serie di misure regolative, volontarie e fiscali che si rafforzino reciprocamente. L’efficienza energetica può essere promossa attraverso prezzi dell’energia più elevati e l’imposizione di standards tecnici, mentre l’utilizzo di fonti di energia meno inquinanti può essere favorito attraverso un incremento dei prezzi dell’energia sulla base del contenuto in carbonio di ciascuna fonte. Nel settore industriale un largo spazio rimane riservato agli accordi volontari che mirino ad una riduzione delle emissioni di CO2.

La strategia proposta dalla Commissione sembra adeguata per conseguire l’obiettivo della stabilizzazione delle emissioni di CO2 e per tener conto in modo equilibrato delle esigenze competitive dell’economia europea e degli obiettivi ambientali. Questa strategia implica una serie di misure diverse.

In primo luogo, occorre sfruttare la possibilità di migliorare l’efficienza energetica in tutti i settori e per tutte le fonti di energia. Questa politica aumenterà la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, migliorerà il sistema dei trasporti, limiterà le emissioni nell’atmosfera legate agli usi di energia e diverse dalle emissioni di CO2 e rafforzerà la struttura industriale. Ma anche la sostituzione di fonti energetiche ha un ruolo importante da giocare, specialmente nel medio e nel lungo periodo, con un maggior utilizzo del gas naturale a scapito del carbone e probabilmente degli oli minerali. Infine, è necessario promuovere un utilizzo accresciuto delle fonti di energia rinnovabili al fine di contribuire a raggiungere l’obiettivo della stabilizzazione, superando gli ostacoli tecnici con programmi di ricerca e sviluppo e migliorando la convenienza economica di queste fonti di energia.

Misure regolative sono necessarie per sfruttare i possibili incrementi di efficienza (pari al 15-25%, sulla base delle tecnologie disponibili), mentre i programmi di ricerca e sviluppo dovrebbero essere incentivati per promuovere la produzione di elettricità da fonti fossili con quantità più limitate di emissioni – ivi incluso lo sviluppo di tecnologie per l’abbattimento del carbonio –, le fonti di energia rinnovabili e la conservazione dell’energia, anche attraverso la realizzazione di sistemi di trasporto più efficienti dal punto di vista energetico. Molte delle misure normative relative alla produzione di elettricità, al trasporto ed ai settori domestico e commerciale sono già contenute in proposte della Commissione, come il programma SAVE, ma devono essere rafforzate. Sulla base delle stime correnti sembra che queste misure possano contribuire per circa il 50% al raggiungimento dell’obiettivo della stabilizzazione.

 

5. Tale pacchetto di misure regolamentari deve essere integrato da misure fiscali. Le proposte fiscali già avanzate sull’internalizzazione dei costi ambientali nella tassa di circolazione per gli autocarri o sull’estensione dell’uso di sistemi di differenziazione fiscale dovranno essere estese ai mezzi di trasporto privato, e rafforzate. Ma esse risultano ancora inadeguate per raggiungere l’obiettivo della stabilizzazione. Dovrà essere prelevata una nuova imposta sull’utilizzo di tutte le fonti di energia non rinnovabili – ivi inclusa l’elettricità prodotta dai grandi impianti idroelettrici –, fornendo così un segnale al mercato che la tendenza dei prezzi dell’energia è indirizzata al rialzo e influenzando in questo modo i comportamenti delle imprese e degli individui.

L’imposta sarà coerente con il principio «chi inquina paga» ed è stata già proposta in diverse risoluzioni approvate dal Parlamento europeo. Dato che le emissioni di CO2 sono legate ad usi molto diversificati di combustibili fossili da parte di un numero molto elevato di imprese e di consumatori, l’utilizzo di strumenti basati sui meccanismi di mercato per fornire un incentivo a ridurre le emissioni di CO2 risulterà certamente più efficace dal punto di vista del costo rispetto all’utilizzo esclusivo di strumenti regolativi.

L’imposta avrà una componente energetica – che verrà prelevata su tutte le fonti – e una componente fondata sul contenuto in carbonio di ciascun combustibile fossile. L’imposta sull’energia sarà più efficace per promuovere l’efficienza energetica. L’imposta sul carbonio fornirà un incentivo specifico a ridurre le emissioni di CO2, ma imporrà un peso più elevato sul carbone, che rappresenta la fonte energetica più sicura. Essa favorirà inoltre l’energia nucleare, che ha certo vantaggi in termini di riduzione delle emissioni di CO2, ma presenta tuttavia altri problemi specifici – sicurezza, smaltimento dei rifiuti. Infine, l’impatto dell’imposta sul carbonio sulla posizione competitiva dell’industria nei diversi paesi membri risulterà differenziato a seconda della rispettiva struttura energetica.

La proposta della Commissione è quindi favorevole ad una soluzione equilibrata, con una modulazione dell’imposta per il 50% sulla base del contenuto energetico e per il 50% sulla base del contenuto in carbonio di ogni combustibile fossile utilizzato.

 

6. Questa imposta energia/carbonio dovrà essere introdotta attraverso una direttiva comunitaria al fine di evitare distorsioni nel mercato interno, ma sarà poi applicata a livello nazionale sulla base del principio di sussidiarietà. Una caratteristica fondamentale della nuova imposta sarà la neutralizzazione del gettito. Questo significa in sostanza che non si dovrà manifestare alcun incremento del carico fiscale complessivo. Il gettito fiscale dovrà essere compensato attraverso incentivi fiscali o riduzioni di altre imposte. Questo spostamento dell’onere fiscale da imposte distorsive applicate a carico delle imprese e degli individui verso imposte che gravano su risorse esauribili, e che inoltre producono gravi danni all’ambiente quando sono usate come combustibili, rappresenterà un primo passo verso la definizione di un sistema fiscale più efficiente e nello stesso tempo più favorevole all’ambiente e allo sviluppo sostenibile.

Stime effettuate dalla Commissione e da esperti indipendenti mostrano che un’aliquota dell’imposta equivalente a l0 dollari per barile di petrolio – insieme alle misure regolamentari previste e ai programmi nazionali complementari – dovrebbe risultare sufficiente per conseguire l’obiettivo della stabilizzazione. Ma questa aliquota sarà raggiunta gradualmente nell’anno 2000, partendo da un’aliquota pari a 3 dollari per barile al 1° gennaio 1993 e aumentando l’aliquota di un dollaro all’anno. Questa disposizione normativa è importante per favorire un adattamento graduale dell’economia europea alle nuove condizioni del mercato dell’energia.

L’imposta sarà applicata dalla Comunità soltanto quando gli altri paesi membri dell’OCSE applicheranno misure con un’analoga incidenza finanziaria. Questa clausola di condizionalità può essere giustificata come un modo di esercitare una pressione sugli altri paesi più importanti in termini di concorrenza con le imprese della Comunità, e specialmente sul Giappone e sugli Stati Uniti, in modo tale che politiche simili per limitare le emissioni di anidride carbonica possano essere messe in atto almeno a livello di tutto il mondo industrializzato.

Ma è altresì indispensabile evitare un deterioramento della posizione competitiva – e la conseguente delocalizzazione delle imprese europee – verso i paesi al di fuori dell’area OCSE che adottano standards meno rigorosi per la protezione dell’ambiente, in particolare relativamente a quei settori industriali che impiegano processi produttivi ad elevata intensità energetica e che sono largamente aperti al commercio internazionale (acciaio, chimica, metalli non ferrosi, cemento, vetro, carta).

Un trattamento fiscale particolare può essere previsto per questi settori, ma le industrie in questione dovranno assumere l’impegno di ridurre volontariamente le emissioni di CO2.

 

7. L’impatto macroeconomico dell’imposta risulterà trascurabile, soprattutto grazie alla neutralizzazione del gettito e alla graduale introduzione dell’imposta. Nella Comunità nel suo complesso si potrà manifestare una modesta riduzione del tasso annuale di sviluppo durante il periodo fino all’anno 2000 (compresa fra lo 0,05 e lo 0,1%) e un’accelerazione temporanea del tasso di inflazione (da 0,3 a 0,5% su base annua). Ma alcuni Stati membri, dove il livello attuale di sviluppo economico è inferiore alla media comunitaria, dovranno affrontare il difficile compito di ridurre il tasso di aumento delle emissioni di CO2 durante una fase di sviluppo accelerato. La Comunità ha già assunto l’impegno di alleviare questi costi di aggiustamento attraverso la disposizione prevista dal Trattato di Maastricht che prevede la creazione di un Fondo di coesione entro il 31 dicembre 1993. Sulla base del Protocollo sulla coesione economica e sociale annesso al Trattato, questo Fondo dovrà finanziare progetti nel campo della protezione ambientale e della creazione di una rete europea di infrastrutture nei paesi membri il cui reddito pro capite è inferiore al 90% della media comunitaria.

 

8. Il gettito di un’imposta energia/carbonio siffatta sarebbe significativo, di un ammontare pari a circa 20 miliardi di Ecu nel 1993 (0,35% del PIL europeo), con un’aliquota di 3 dollari per barile. Queste nuove entrate potrebbero essere utilizzate in tre modi diversi: a) per finanziare riduzioni fiscali negli Stati membri al fine di compensare gli effetti economici negativi derivanti dall’applicazione della tassa; b) per finanziare il bilancio comunitario come nuova risorsa propria – la c.d. quinta risorsa – in modo tale da colmare la differenza, messa in evidenza nel Pacchetto Delors II, fra le risorse attuali e le esigenze finanziarie che conseguono dall’accordo di Maastricht; c) per contribuire ad un Fondo mondiale per finanziare trasferimenti tecnologici ai paesi del Terzo mondo, destinati ad accrescerne l’efficienza energetica.

La prima opzione deve essere valutata nel quadro di una riforma fiscale favorevole all’ambiente. Una riforma di questo tipo è stata adottata in Svezia negli anni 1990-91 e ha interessato risorse pari a circa il 6% del PIL senza variare in modo significativo le dimensioni complessive del bilancio (che sono pari al 56% del PIL). Circa l’80% dei contribuenti sono ora tassati con un’aliquota marginale dell’imposta sul reddito del 30% – mentre all’inizio degli anni ‘80 l’aliquota marginale aveva raggiunto il livello dell’85% –, che rappresenta anche l’aliquota del prelievo sui redditi da capitale. La conseguente diminuzione di gettito viene finanziata per il 40% attraverso un allargamento della base imponibile dell’imposta sui redditi da capitale e attraverso un aumento dell’imposta patrimoniale, e per il 30% attraverso un allargamento della base imponibile IVA e un aumento della tassazione energetica ed ambientale.

In Svezia l’IVA viene così prelevata anche sui prodotti energetici, mentre la riforma prevede l’introduzione di una nuova imposta sul contenuto in carbonio e in zolfo. Per quanto riguarda l’imposta sul carbonio l’aliquota è fissata a 250 corone (34 Ecu) per tonnellata di CO2. Questa imposta è di fatto un’accisa sul carbone, gli oli minerali e il gas naturale, mentre è esente l’energia elettrica ed il prelievo è largamente ridotto per i settori industriali ad elevata intensità energetica per ragioni di competitività esterna. La tassa sullo zolfo è prelevata sul carbone e sulla torba usati come combustibili e sugli oli minerali.

Sebbene permangano molti limiti nella riforma fiscale svedese, legati alla difficoltà di includere tutti gli impieghi energetici in attesa di un accordo internazionale sulla tassazione delle emissioni di CO2, si deve tuttavia riconoscere che essa rappresenta un buon esempio di una riforma fiscale che mira ad accrescere l’onere fiscale sul consumo di beni e sull’utilizzo di energia, ed a ridurre al contempo il peso delle imposte distorsive che gravano sul reddito.

Sulla base del modello svedese l’introduzione di un’imposta energia/carbonio all’interno della Comunità potrebbe rappresentare il primo passo verso la realizzazione di un sistema di tassazione dell’energia a livello sovrannazionale. Se la Comunità riesce nel suo tentativo di raggiungere un accordo su un’imposta energia/carbonio, questo risultato sarà di enorme rilievo per dimostrare che nel campo della tassazione ambientale sono possibili trasferimenti di sovranità dal livello nazionale a quello sovrannazionale o addirittura a quello mondiale, soprattutto quando sono in gioco risorse a carattere globale e vi è una forte pressione da parte dell’opinione pubblica mondiale per affrontare con strumenti economici il problema di una protezione adeguata dei beni ambientali.

 

9. Il secondo possibile impiego del gettito derivante dall’imposta energia/carbonio riguarda il finanziamento del bilancio comunitario. Il pacchetto Delors II ha tentato di quantificare le esigenze finanziarie della Comunità per il periodo di cinque anni 1993-1997. Per la fine del periodo si prevede un aumento complessivo di spesa che ammonta a circa 20 miliardi di Ecu. Le reazioni politiche degli Stati membri sono state tuttavia piuttosto negative, dato che essi sono già vincolati dalla necessità di soddisfare i requisiti finanziari richiesti per entrare nell’Unione economica e monetaria.

Per trovare una via di uscita da questa situazione di stallo, il gettito derivante dall’imposta energia/carbonio potrebbe essere utilizzato, almeno in parte, per finanziare l’aumento delle dimensioni del bilancio della Comunità. Questa sarebbe una reale risorsa propria per la Comunità, con un’equa distribuzione fra gli Stati membri dato che il gettito dell’imposta è legato strettamente al livello di prosperità economica, e con buone capacità di stabilizzazione automatica dell’economia, dato che il consumo di energia varia senza significativi ritardi temporali al variare dell’attività economica.

Questa innovazione sarebbe importante anche dal punto di vista politico, in quanto rafforzerebbe l’esigenza di promuovere una ulteriore riforma istituzionale della Comunità, accrescendo i poteri di controllo democratico da parte del Parlamento europeo. E’ infatti impensabile che alla Commissione venga attribuito il potere di gestire un ammontare significativo di risorse senza riconoscere al contempo il potere di un organo eletto democraticamente di controllare – insieme al Consiglio dove sono rappresentati gli Stati membri – il comportamento dell’Esecutivo.

La creazione di una quinta risorsa per finanziare il bilancio della Comunità è stata recentemente suggerita da un gruppo di esperti invitati dalla Commissione a preparare una nuova versione del rapporto MacDougall sui problemi della finanza pubblica in vista dell’Unione economica e monetaria.

L’attribuzione alla Comunità di un potere autonomo di imposizione soddisfa altresì una delle regole fondamentali del federalismo fiscale, in base alla quale tutte le istituzioni che hanno il potere di decidere sulla spesa – il Parlamento ed il Consiglio, ossia i due rami dell’autorità di bilancio nella Comunità, sulla base di una proposta della Commissione – dovrebbero al contempo avere la responsabilità di provvedere i mezzi finanziari necessari per finanziare la spesa stessa.

 

10. Un terzo impiego possibile del gettito di un’imposta energia/carbonio potrebbe essere quello di fornire le risorse ad un Fondo mondiale, da crearsi a Rio nel quadro della Convenzione sui cambiamenti climatici, per finanziare trasferimenti di risorse, e in particolare trasferimenti di tecnologie, destinati ad accrescere l’efficienza energetica nei paesi meno sviluppati. E’ questa una condizione essenziale per il successo di una politica mondiale volta a controllare il riscaldamento del pianeta.

Una proposta di questo tipo è stata avanzata recentemente dal Ministro italiano per l’ambiente, che ha suggerito l’introduzione nella Comunità di un’imposta energia/carbonio con un’aliquota di 3 dollari al barile, il cui gettito andrebbe attribuito per il 60% al Tesoro degli Stati membri, vincolato a sussidi a favore di investimenti che promuovano l’efficienza energetica; per il 20% al bilancio della Comunità e per il restante 20% all’Europa dell’Est e ai paesi del Terzo mondo.

Un Fondo internazionale per la stabilizzazione dell’atmosfera è stato proposto, con finalità redistributive, da Hirofumi Uzawa della Japan Academy e dell’Università Nijgata. Una parte determinata del gettito netto raccolto da ciascun paese attraverso un’imposta sul carbonio dovrebbe essere trasferita, attraverso il Fondo, ai paesi in via di sviluppo sulla base dei rispettivi livelli di reddito pro capite.

Un’altra proposta interessante è stata avanzata da due canadesi, B. Yang e A. Rosenfeld, durante un seminario OCSE sui diritti trasferibili all’emissione. Essi propongono di creare un Fondo per il trasferimento di tecnologie destinate a migliorare l’efficienza tecnologica nei paesi in via di sviluppo. L’ammontare dovuto annualmente al Fondo da parte di ciascun paese – chiamato tradeable warming credits (TWC) – verrebbe distribuito inizialmente fra i paesi membri dell’OCSE sulla base del contenuto in carbonio dei combustibili fossili utilizzati da ogni paese in un anno di riferimento. Questi TWC sarebbero commerciabili soltanto fra i governi dei paesi OCSE. Un prezzo addizionale verrebbe fatto pagare ad ogni paese OCSE che ecceda l’ammontare dei TWC ottenuti sia attraverso l’allocazione iniziale, sia attraverso l’acquisto da altri paesi OCSE.

Il metodo dei TWC riconoscerebbe che la scelta delle politiche da adottare è una responsabilità del governo di ciascun paese. Se il prezzo da pagare per ottenere diritti addizionali fosse sufficientemente elevato, si manifesterebbe un forte incentivo per ciascun paese dell’OCSE ad adottare politiche efficaci per ridurre le emissioni di CO2 legate al consumo di energia al di sopra dell’allocazione annuale di TWC. Gradualmente questo sistema potrebbe essere esteso al resto del mondo.

La Commissione ha appoggiato recentemente la proposta avanzata dai governi argentino e brasiliano per un’imposta globale sul carbonio di 1 dollaro al barile, il cui gettito dovrebbe essere destinato ai paesi in via di sviluppo per aiutarli ad adottare tecnologie che risparmino energia e siano favorevoli all’ambiente. Il gettito di tale imposta sarebbe compreso tra 21,5 e 25,5 miliardi di dollari. Se tale proposta verrà accolta a Rio, si farà un passo in avanti notevole verso un’effettiva politica ambientale a livello globale e si realizzerà il primo risultato concreto nel campo della tassazione mondiale.

 

11. Il problema del riscaldamento dell’atmosfera può essere affrontato in modo efficace solo attraverso interventi su scala mondiale. Vi è ormai un consenso generale sul fatto che il modo più efficace e meno costoso per risolverlo consiste nell’introduzione di un’imposta mondiale sull’energia e sul carbonio con aliquota uniforme, dato che, in questo caso, la riduzione nelle emissioni di CO2 avverrebbe soprattutto dove i costi sono più bassi. Parte del gettito di questa imposta dovrebbe essere redistribuito a favore dei paesi meno sviluppati per promuovere l’efficienza energetica e per evitare che si manifestino effetti negativi di questa politica sulle loro potenzialità di sviluppo.

Il mondo sembra ancora lontano da questa soluzione ottimale, dato che alcuni paesi del mondo industrializzato – e in particolare gli Stati Uniti – sono contrari all’adozione di un’imposta sull’uso dell’energia. Ma sarebbe di grande rilievo politico il fatto che la Comunità si possa presentare a Rio avendo deciso l’introduzione di un’imposta energia/carbonio al fine di sfidare di fronte all’opinione pubblica mondiale i paesi che non vogliono seguire questa strada. La Comunità dovrebbe inoltre affermare chiaramente la sua decisione di destinare parte delle entrate derivanti dall’imposta energia/carbonio a un Fondo mondiale incaricato di promuovere trasferimenti finanziari e tecnologici a favore dei paesi meno sviluppati.

Questa è senza dubbio una soluzione di second-best, ma essa costituirebbe comunque un decisivo passo in avanti verso la definizione di una politica efficace per risolvere il problema del riscaldamento del pianeta.

Dalle osservazioni precedenti si può trarre la conclusione che una nuova istituzione è necessaria a livello mondiale per gestire le risorse disponibili per il finanziamento dei trasferimenti finanziari e tecnologici verso i paesi meno sviluppati. Dato che si tratta di una condizione essenziale per definire una politica efficace a livello mondiale volta a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra e dato che esiste una forte pressione politica per controllare il riscaldamento del pianeta, le proposte di una tassa ambientale sembrano costituire l’approccio più adeguato per indurre gli Stati a rinunziare ad una parte della loro sovranità a favore di un’istituzione mondiale. In altre parole, la questione fiscale legata alla soluzione di problemi ambientali urgenti di natura globale rappresenta probabilmente il primo passo da effettuare a livello mondiale per avanzare verso l’unificazione politica dell’umanità.

 

 

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