Anno XXXIV, 1992, Numero 3 - Pagina 229
La base democratica dell’«economia domestica globale»
CHARLOTTE WATERLOW
La mia tesi è che un’Assemblea parlamentare mondiale, eletta direttamente, con organi esecutivi e sistemi giudiziari responsabili di fronte ad essa, sia essenziale per la risoluzione della crisi globale dell’ambiente e dello sviluppo chiamata dal Club di Roma la «problématique». Voltaire disse: «Coloro che credono in cose assurde commetteranno atrocità». Possiamo girare questa frase e dire che coloro che credono in giusti principi creeranno sistemi ed istituzioni giuste.
Innanzitutto, per indicare molto brevemente le principali dimensioni della «problématique», ci si aspetta che l’attuale popolazione mondiale di 5,4 miliardi raddoppi entro il 2050. Attualmente il 77% vive nei paesi meno sviluppati ed entro il 2050 si prevede che questa cifra raggiungerà il 90%. La ricchezza mondiale è distribuita molto poco uniformemente: il 77% nei paesi meno sviluppati produce soltanto il 15% del PNL e ha un flusso netto in uscita di 50 miliardi di dollari per ripagare un debito che ammonta a 1,3 trilioni di dollari. Un miliardo di persone vive nella più squallida miseria – una cifra che è raddoppiata negli ultimi dieci anni. Il miliardo di persone che vive in India e Cina ha un reddito medio di 300 dollari all’anno, mentre il reddito medio di Americani ,e Giapponesi è di 20.000 dollari all’anno. Le risorse del globo si stanno rapidamente impoverendo e inquinando: le riserve di petrolio, secondo la British Petroleum, saranno esaurite tra 40 anni; le foreste tropicali stanno sparendo, e con loro la banca genetica; un terzo della terra coltivabile sarà andato perso entro il 2000; la situazione delle acque dolci è in pericolo; l’inquinamento sta notoriamente minacciando il clima. In un recente Rapporto comune la British Royal Society e la United States’ National Academy of Sciences hanno dichiarato che «il futuro del nostro pianeta è in gioco: i prossimi 30 anni potrebbero essere cruciali»; e alcuni esperti, come ad esempio l’ambientalista inglese Nonnan Myers, pongono un limite di dieci anni.
Che cosa si deve fare? Cercherò di rispondere a questa domanda dal punto di vista di una federalista mondiale e di una donna. Nel loro nuovo libro, La prima rivoluzione globale, i membri del Club di Roma hanno cercato di risolvere la «problématique» con quello che chiamano la «résolutique». Io suggerirò un modello basato su termini più casalinghi: economia domestica globale.
Immaginiamo che gli uomini abbiano convocato un gruppo di donne per organizzare l’economia domestica globale. La prima cosa che faranno sarà calcolare le necessità basilari della famiglia umana – sia quelle immediate che quelle a lungo termine, relative al tempo in cui vivranno i loro nipoti. Prima del 1945 per moltissime aree del mondo non esistevano statistiche. Le «massaie» saranno sorprese nello scoprire che fin dal 1961 l’ONU e le agenzie specializzate hanno lavorato a degli «indicatori sociali» per tutte le parti del mondo. Nel 1976, l’Organizzazione mondiale del lavoro, che rappresenta governi, datori di lavoro e lavoratori di 121 paesi, elaborò la strategia denominata «Basic Needs First» (necessità basilari innanzitutto), calcolando appunto le necessità basilari, chiedendo a tutti i governi di adottare politiche che ne garantissero la soddisfazione per tutti, e sostenendo che ciò non sarebbe avvenuto sulla base della teoria dell’investimento diffuso (trickle down). Perciò venne richiesta l’applicazione dell’Articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani, il quale rivendica il diritto di ognuno ad un livello di vita adeguato. Un simile lavoro sugli indicatori sociali, che sottolinea il fattore della qualità della vita oltre alla quantità di beni materiali, è svolto da alcune Organizzazioni non governative (ONG), come ad esempio, in Gran Bretagna, la New Economics Foundation fondata da Fritz Schumacher, l’autore del famoso libro Small is Beautiful che il presidente Carter teneva sulla sua scrivania. Questo libro ha un sottotitolo significativo: «Economics as if people mattered» (L’economia come se la gente contasse). Ciò che si deve fare ora è riformare l’ONU e le sue Agenzie, al fine di coordinare tutto questo lavoro in un approccio globale unificato che tenga conto sia dei paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo.
Avendo calcolato le necessità basilari di tutti, le nostre «massaie» calcolano poi le risorse disponibili per soddisfare queste necessità: terra, acqua, minerali, carburanti grezzi e potenziale umano scientificamente specializzato. Sapendo che solo il 6-7% degli scienziati e ingegneri attivi del mondo sta lavorando nei paesi meno sviluppati, esse dispongono che il mezzo milione di scienziati che sta lavorando su questioni militari sia assegnato a progetti, come l’ingegneria genetica e l’energia solare e di fusione, che potrebbero aiutare a risolvere la «problématique».
Quindi si arriva al primo compito cruciale: redigere un Piano di economia domestica globale. Potrebbe rendersi necessario includere alcune misure drastiche, come ad esempio imporre restrizioni al consumo di carne (perché una mucca consuma una quantità di grano sufficiente a nutrire dieci persone) e all’uso della terra coltivabile per produrre beni di lusso come tè, caffé, tabacco e forse il vino. Per la gestione globale dei minerali, i cui depositi sono concentrati in quattro principali regioni – America settentrionale, Russia, Africa meridionale e Australia – le «massaie» possono fare appello al principio cruciale del «patrimonio comune dell’umanità», che è stato applicato ai minerali presenti nelle profondità degli oceani dalla Convenzione sul diritto del mare del 1982 (purtroppo non ancora in vigore), e ai minerali dell’Antartide, esclusi dallo sfruttamento per 50 anni sulla base del Trattato del 1991. Può darsi che esse rilevino il fatto che nel 1969 la United States’ National Academy of Sciences ha lanciato una richiesta di azione internazionale per esplorare, conservare e gestire le risorse minerali del mondo nell’interesse comune.
Per quanto riguarda l’energia, è urgente l’esigenza di una programmazione a livello mondiale. Il mondo è alla soglia di un’epoca energetica totalmente nuova, in cui si devono abbandonare la legna e i carburanti fossili e l’energia nucleare presenta enormi incertezze, proprio quando tre quarti della popolazione mondiale sta lottando per industrializzarsi. Eppure non esiste alcuna agenzia dell’ONU per promuovere e coordinare le politiche energetiche nazionali. La Francia ricava il 70% della sua energia dal nucleare, mentre la vicina Italia ha rinunciato all’opzione nucleare. L’attuale situazione energetica mondiale è di una assurdità allarmante.
I concetti chiave per l’uso di queste risorse – agricoltura, minerali, energia – saranno quindi la gestione e la ripartizione secondo il principio che la priorità va alle necessità basilari. La frase che si sente così spesso oggi in Inghilterra, «la redditività è la cosa più importante», è diventata un’assurdità se riferita a queste risorse. Ma non ci sarebbe alcun bisogno di smantellare molti organismi esistenti; i manager potrebbero mantenere rapporti di collaborazione con le ONG, con le Nazioni Unite, con organi regionali eletti, ecc.
Ora arriviamo alla domanda cruciale. Quale organismo internazionale dovrebbe autorizzare, sorvegliare, fare leggi relative al Piano di economia domestica globale e farle rispettare? L’Assemblea Generale dell’ONU nella sua forma attuale? La risposta deve necessariamente essere negativa, poiché l’Assemblea si basa su di una contraddizione fondamentale. Nella Carta dell’ONU si afferma che essa rappresenta l’attuazione dei diritti dell’uomo, che comprendono il diritto alla democrazia (Articolo 21 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) e il diritto di avere un’istruzione diretta al «pieno sviluppo della personalità umana» (Articolo 26). Ma in effetti essa rappresenta Stati sovrani, con popolazioni di dimensioni molto varie, aventi ognuno un voto. Questa è la prima assurdità. Si è molto discusso se affrontare il «deficit democratico» dell’ONU creando una seconda Camera, istituendo il voto ponderato basato in parte sul PNL (la cosiddetta Binding Triad, o regola delle tre maggioranze), e rendendola rappresentativa dei parlamenti nazionali – come nel caso del Parlamento del Consiglio d’Europa o del Parlamento della Comunità europea prima dell’elezione diretta a partire dal 1979. Ma secondo me l’assurdità di dare all’Assemblea Generale una struttura basata sulla sovranità nazionale e la funzione di promozione dei diritti umani degli individui si può risolvere solo basando l’elezione dell’Assemblea stessa sul principio democratico che ogni persona ha un voto. Il CAMDUN ha calcolato che un sistema per applicare questo principio consisterebbe nel dare ad ogni nazione un numero di seggi in rapporto alla radice quadrata dei milioni della popolazione. Ciò darebbe luogo a un’Assemblea di circa 550 seggi – una dimensione standard. Questa riforma sarebbe l’unico modo per garantire l’approvazione democratica del Piano di economia domestica globale.
La seconda assurdità riguardante l’Assemblea Generale è che non ha poteri effettivi per controllare l’esecutivo, il Consiglio di Sicurezza, per approvare e far rispettare le leggi internazionali, il che è diverso dall’approvare risoluzioni non vincolanti, oppure per riscuotere le tasse – un sistema di imposte sul reddito fu proposto nel Rapporto Brandt del 1980 e nell’Enciclica di Paolo VI Populorum Progressio del 1967. Io penso che solo trasformando l’Assemblea Generale in un vero organo parlamentare sarà possibile realizzare il Piano di economia domestica globale.
Ma c’è un enorme inconveniente, che è stato molto ben spiegato da un sostenitore americano di un’Assemblea parlamentare dell’ONU. Egli ha fatto notare che, se i voti fossero assegnati in base alla popolazione delle regioni del mondo, l’Asia avrebbe il 60%, l’Europa 13%, l’Africa il 12,5%, l’America settentrionale l’8%, il Sud America il 5,5%, e l’Oceania lo 0,5%. «Questo», ha detto, «per molti Americani solleva la questione se veramente desiderano la democrazia a livello mondiale».
L’enorme maggioranza che i paesi meno sviluppati otterrebbero nell’Assemblea parlamentare mondiale è forse l’unico mezzo che potrebbe garantire la pacifica ridistribuzione della ricchezza e l’inversione di tendenza nell’etica dello sviluppo dei paesi industrializzati («grande è meraviglioso» diventerebbe «piccolo è bello»).
La gravità della «problématique» e l’urgenza di realizzare la «résolutique», il Piano di economia domestica globale, potrebbero quindi essere lo stimolo per una giusta trasformazione dell’Assemblea Generale al fine di salvare il mondo dell’uomo e della natura da disastrose atrocità.