Anno XXV, 1983, Numero 3, Pagina 87
L’ECU e la seconda fase dello SME
ALFONSO JOZZO
L’Europa necessita di una moneta comune se si vuole garantire la permanenza dell’integrazione economica realizzata in questo dopoguerra. La realizzazione di un mercato comune dei prodotti industriali e di una politica agricola comune è stata possibile grazie all’esistenza di un sistema monetario internazionale fondato su cambi fissi e nel quadro del quale si era pervenuti alla convertibilità delle monete europee, rispetto al dollaro, che era al centro di tale sistema.
La convertibilità è stata attuata dai Paesi europei, non a caso, nel 1958, anno di nascita della CEE ed il valore dell’ECU, l’unità di conto introdotta in quella occasione, era pari ad un dollaro.
Commercio mondiale e stabilità monetaria.
Il commercio tra un gruppo di Paesi può svilupparsi solo quando siano garantite la stabilità dei rapporti di cambio tra le diverse monete, nonché la loro reciproca convertibilità. In assenza di questo requisito è inevitabile l’avvio di un processo che tende ad ostacolare gli scambi commerciali — data l’incertezza crescente che le imprese devono affrontare — e che si traduce, ad un certo punto, in comportamenti deliberati di politica economica con il ricorso al protezionismo: quando cessa la convertibilità della moneta si ritorna inevitabilmente al sistema della compensazione cioè al baratto.
La realizzazione di un mercato comune tra un gruppo di Paesi determina però un cambiamento fondamentale nella natura degli scambi che si realizzano fra gli operatori di diversi Paesi. L’integrazione, man mano che si sviluppa il commercio, tocca lo stesso sistema delle imprese che si specializzano in singole fasi produttive sino a costituire un vero sistema economico integrato. I contratti non vengono più stipulati per acquisire forniture occasionali ma regolano scambi regolari e continui tra le imprese: un’automobile è «montata» in un certo Paese ma è ormai un prodotto europeo!
La Comunità europea rappresenta ormai un sistema economico profondamente integrato il cui smantellamento avrebbe costi altissimi. Gli stessi scambi all’interno dei Paesi industrializzati (soprattutto tra l’Europa ed il Nord America) hanno ormai assunto tale caratteristica — e per alcuni aspetti anche i rapporti economici con i Paesi ad economia pianificata — per cui si manifestano forti resistenze alla contrazione del commercio mondiale che imporrebbe dolorose ristrutturazioni dei sistemi economici.
La ricerca della stabilità monetaria.
Dopo la crisi del sistema monetario internazionale fondato a Bretton Woods e sanzionata dalla dichiarazione di inconvertibilità del dollaro dell’agosto del 1971 la Comunità europea, quale area maggiormente aperta agli scambi internazionali, ha ripetutamente cercato di realizzare condizioni monetarie più stabili — per lo meno al suo interno — al fine di evitare la dissoluzione del Mercato comune.
L’Europa lancia cosi il «Piano Werner» agli inizi degli anni settanta, il «serpente» difende l’area del marco negli anni successivi ed infine dal 1979 si realizza lo SME che consente di salvaguardare, almeno per qualche anno, l’integrazione europea.
Lo stesso fenomeno si sta oggi manifestando a livello mondiale e la proposta di fluttuazione congiunta tra dollaro, ECU e yen vuole evitare la fine del GATT ed il ripristino di pratiche protezionistiche tra i Paesi industrializzati.
Il commercio tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo è poi sottoposto a tensioni fortissime a causa dell’erraticità del dollaro e solo una nuova « Bretton Woods» può evitare una tragica frattura, economica e politica, tra il Nord ed il Sud.
Gli effetti dello SME.
La creazione del SME ha avuto tre conseguenze importanti:
— il rilancio del commercio intracomunitario che, nel periodo della fluttuazione delle monete seguita alla prima crisi petrolifera, aveva visto ridursi le sue quote sugli scambi mondiali; — il contenimento della divergenza tra le politiche economiche, sino alla adozione da parte della Danimarca, del Belgio e della Francia di piani di stabilizzazione;[1] — la necessità per gli Stati Uniti di abbandonare la precedente politica del «benign neglect» e di adottare invece una politica monetaria restrittiva; in presenza di un rilevante deficit federale diventa cosi necessario, per gli USA, praticare una politica di alti tassi al fine di drenare risorse sul mercato finanziario internazionale.
Solo il consolidamento del mercato europeo così attuato, in un contesto di recessione internazionale e di successiva entrata in crisi dei mercati «alternativi» (l’Iran, i Paesi dell’Est, il Sud America, la stessa area OPEC, ecc.) ha consentito di evitare drastiche cadute nell’attività economica dei Paesi europei, come dimostra, ad esempio, il peso acquisito nell’attivo della bilancia commerciale tedesca del saldo con i partners della CEE e la Francia in particolare.
Le conseguenze del mancato consolidamento del SME.
Il mancato passaggio alla seconda fase dello SME, pur previsto dagli accordi di Bruxelles del dicembre 1979, ha impedito ai Paesi della Comunità di poter svolgere un ruolo positivo nel contesto della crisi del sistema monetario internazionale.
Lo SME ha creato una zona di relativa stabilità monetaria ed ha costretto i Paesi membri — con l’eccezione dell’Italia — ad attuare politiche economiche convergenti: tali risultati risultano però attualmente compromessi dall’instabilità del sistema monetario internazionale.
Gli Stati Uniti sono infatti in grado di finanziare nuovamente un crescente deficit federale ed uno squilibrio nella bilancia dei pagamenti corrente mediante capitali esteri rastrellati in forza degli alti tassi offerti sul dollaro. Tale politica impedisce però la ripresa dell’economia internazionale perché un rilancio della domanda in America comporta un ulteriore inasprimento dei tassi di interesse e l’attuazione di una politica di stop and go. L’aumento di valore del dollaro trasferisce in Europa la carica inflazionistica del deficit USA, impedisce alle economie forti di superare la recessione ed alle economie deboli di portare a compimento i piani di stabilizzazione.
I Paesi del Terzo mondo sono stretti tra la recessione internazionale, la chiusura protezionistica dei Paesi industrializzati e l’aumento del dollaro.
Solo la creazione di un sistema monetario internazionale, basato su un FMI con funzioni di coordinamento di aree monetarie regionali (dollaro, ECU, yen e forse rublo), può consentire il superamento della crisi e della instabilità politica e sociale che tende a diffondersi in tutto il mondo.
Il Fondo monetario europeo e la riforma della Comunità europea.
Essenziale per la riforma monetaria internazionale è il consolidamento dell’area monetaria europea. Il passaggio alla seconda fase dello SME e l’istituzione del FME è l’obiettivo da realizzare. L’iniziativa deve essere portata avanti sia a livello nazionale che comunitario.
I Paesi che non hanno ancora domato l’inflazione — l’Italia in primo luogo — devono avviare e rafforzare politiche economiche in grado di garantire la loro partecipazione al processo di unificazione monetaria, iniziato con la creazione del SME.
La Comunità, d’altra parte, deve dotarsi di un «governo europeo» capace di garantire l’apertura dei mercati, la riconversione delle attività produttive, la gestione efficace di un accresciuto bilancio comunitario.
Le proposte di riforma delle istituzioni comunitarie, attualmente in discussione al Parlamento di Strasburgo, se saranno ratificate dagli Stati membri, consentiranno all’Europa di riprendere il controllo della propria economia.
L’economia europea ha però bisogno di una moneta e lo «scudo» è lo strumento indispensabile per orientare i capitali europei verso i nuovi investimenti produttivi, i soli in grado di assicurare una remunerazione reale, che l’acquisto di attività liquide in dollari per finanziare il deficit americano non può garantire a lungo.
Il FME è l’istituzione necessaria per governare il mercato dello «scudo» e per dare un ruolo all’Europa nel sistema monetario internazionale.
Il FME può nascere solo se pensato come una istituzione federale nel quadro appunto della riforma della Comunità; l’esperienza della Repubblica Federale Tedesca con la Bank Deutscher Länder del 1948 trasformatasi nell’attuale Deutsche Bundesbank nel 1957 è il modello a cui riferirsi.
La Deutsche Bundesbank è la banca sia dello Stato Federale che dei Länder e poiché questi ultimi sarebbero danneggiati, nella ripartizione delle risorse, da un eventuale finanziamento inflazionistico del deficit federale si può constatare come solo in una struttura federale dello Stato è possibile garantire l’autonomia della «banca centrale».[2]
Lo sviluppo privato dello «scudo europeo».
L’esigenza dell’Europa di disporre di una moneta comune è però talmente forte che — in attesa di poter passare alla seconda fase dello SME ed alla istituzione del FME — il mercato ha cercato di creare da solo questo strumento.
L’ECU è divenuto in pochi anni, grazie all’azione delle banche private, una delle più importanti monete internazionali ed ormai occupa il terzo posto nelle emissioni di obbligazioni.
La causa dell’affermazione dell’ECU sul mercato è, certamente, l’esigenza di disporre — da parte di imprese, enti, operatori, risparmiatori — di uno strumento finanziario «stabile» e lo «scudo» è risultato infatti, in questi ultimi anni, la moneta più stabile — e quindi prevedibile — sia come tasso di cambio che come tasso di interesse.
L’erraticità del dollaro, vera moneta parallela per gli operatori europei, ha fatto sì che coloro che sono ricorsi all’ECU abbiano potuto minimizzare i rischi di cambio ed è quindi iniziato uno spostamento dalla moneta americana allo scudo europeo che emerge con sempre maggior forza, come la nuova moneta parallela.
La progressiva introduzione dell’ECU sul mercato.
Conti di deposito in «scudi» erano stati aperti, già da alcuni anni, soprattutto da parte di istituzioni comunitarie ma è l’emissione di obbligazioni in ECU (a partire dall’aprile del 1981) che introduce effettivamente la moneta europea sul mercato internazionale.
Per prestiti a lungo termine (cinque/dieci anni) risulta particolarmente utile ricorrere all’ECU poiché è difficile fare previsioni a così lunga scadenza su una singola valuta ed infatti le obbligazioni in ECU superano, nell’arco di un anno, quelle in yen, sterline, dollari canadesi e fiorini e sono attualmente inferiori solo al dollaro USA ed al marco tedesco.
Tale mercato interessa in un primo tempo il Belgio ed il Lussemburgo, poi l’Italia, la Francia ed attualmente vede presenti non solo i Paesi europei ma anche la Svezia, la Norvegia, il Canada. Anche alcuni Stati (Italia e Irlanda) hanno fatto ricorso direttamente al mercato internazionale con titoli in «scudi» e nel caso italiano è stato consentito anche ai cittadini di acquistare, dopo dieci anni di controllo sugli investimenti, titoli in valuta estera.
L’apertura di conti di deposito si diffonde rapidamente soprattutto dopo che a Londra alcune banche divengono molto attive e, parallelamente, diviene crescente il ricorso delle imprese a prestiti, anche a breve scadenza, espressi in «moneta europea».
Per una impresa che vende od acquista per quote rilevanti nei diversi Paesi della Comunità, il ricorso al finanziamento in ECU è particolarmente indicato. Il passaggio alla fatturazione in moneta europea è il passo successivo e alcune imprese hanno iniziato i primi esperimenti.
Ma lo «scudo» tende ad essere conosciuto, non solo da operatori specializzati (banche, imprese, istituzioni) ma anche dal risparmiatore privato: dopo l’acquisto di obbligazioni si è passati all’apertura di conti di deposito ed è ormai imminente l’emissione, da parte di un gruppo di banche francesi, con l’assistenza della America Express, di assegni turistici in ECU.
Infine le banche che operano in ECU stanno progettando un sistema di compensazione mentre in Italia si sono mossi i primi passi per definire in moneta europea i salari.
Il rafforzamento dello SME nel breve termine.
L’impetuoso sviluppo avuto dall’uso privato dell’ECU ha indotto la Commissione a rilanciare le proposte miranti a creare un mercato finanziario europeo. Nel 1980 il risparmio lordo all’interno della Comunità ha raggiunto i 430 miliardi di ECU contro solo 340 miliardi negli USA: solo una piccola parte del risparmio europeo viene però reinvestita nella Comunità!
Lo sviluppo di un mercato dell’ECU può controbilanciate questa uscita di capitali europei diretti verso gli Stati Uniti; a questo proposito la Commissione ha formulato tre proposte: a) il riconoscimento dello statuto di divisa all’ECU che dovrebbe essere equiparata — in tutti gli Stati membri — ad una valuta estera convertibile (tale proposta è stata successivamente presentata ufficialmente dalla Commissione al Consiglio dei ministri il 13 maggio scorso); b) il trattamento privilegiato delle operazioni in ECU il che implicherebbe per tutti i residenti nei Paesi membri di sottoscrivere prestiti emessi in ECU da emittenti della Comunità ed in particolare quelli emessi dalle istituzioni comunitarie; c) l’estensione dell’uso ufficiale dell’ECU in particolare consentendo, come previsto dagli accordi istitutivi dello SME, ai Paesi terzi — specialmente i Paesi europei candidati all’adesione o legati da accordi di associazione (Spagna, Portogallo, Austria, Norvegia, ecc.) o quelli africani partecipanti alla Convenzione di Lomé — di poter detenere ECU nelle proprie riserve.
L’azione da svolgere.
La realizzazione delle tre proposte suddette consentirebbe di consolidare il SME e di preparare il passaggio alla seconda fase.
Il riconoscimento dello status di valuta all’ECU è già stato attuato di diritto dai Paesi europei che hanno un sistema di controllo dei cambi (Francia, Italia, Belgio) e de facto dalla Gran Bretagna e dall’Olanda.
Solo la Germania non ha ancora provveduto ad effettuare tale riconoscimento ed attualmente l’ECU è considerato in Germania una clausola di indicizzazione.
Le obiezioni giuridiche non hanno reale fondamento ed è possibile, con atto amministrativo, riconoscere anche in Germania la possibilità di operare in ECU: attualmente è possibile per banche, imprese e privati operare in Germania in tutte le valute del mondo tranne l’ECU!
L’adesione della Germania alle proposte della Commissione significherebbe una conferma del Paese a voler rafforzare lo SME — senza intaccare assolutamente la propria politica monetaria — ed a proteggersi dalle fluttuazioni del dollaro che possono determinare ormai pesanti difficoltà per l’economia tedesca.
L’accettazione dello status di valuta privilegiata per l’ECU significherebbe invece che la Francia e l’Italia si muovono verso la liberalizzazione dei capitali, almeno nell’ambito della Comunità. Questi Stati possono però procedere su questa via solo se hanno successo le loro politiche economiche di rientro dell’inflazione. L’apertura dei mercati finanziari francese ed italiano all’ECU è la miglior garanzia che questi Paesi vogliono seriamente rientrare in Europa.
Infine l’apertura dello SME ai Paesi terzi darebbe all’ECU un ruolo internazionale, dapprima limitato ma che potrebbe ampliarsi, nella misura in cui i Paesi europei sapessero attuare politiche economiche convergenti.
L’Europa è ad una svolta: adottando le proposte di miglioramento del SME è possibile rafforzare l’economia europea e consentire di preparare le condizioni per l’istituzione del Fondo monetario europeo, premessa indispensabile per far funzionare il sistema monetario internazionale.
L’alternativa è la dissoluzione della Comunità europea, il prevalere del protezionismo, della recessione e l’avvio dell’economia mondiale verso la crisi finanziaria.
[1] Solo l’Italia, dopo il varo dello SME, non ha ancora provveduto ad adottare il piano di risanamento. Tale esigenza è stata prospettata, per la prima volta, con il documento «L’economia italiana ad un crocevia», Il Federalista, 1980, n. 4.
[2] Luigi Einaudi nel descrivere il «governo federale della moneta» indicava come «Il trasferimento alla Federazione del diritto esclusivo di battere moneta e di emettere biglietti non opererà da solo il miracolo di garantire ai popoli una moneta buona. Miracoli non accadono mai in materia economica. Ma la possibilità di falsificare l’unità monetaria scema con lo scemare delle probabilità di guerre e di rivolgimenti sociali violenti; epperciò scema in un sistema federale che toglie le cause di siffatti eventi od almeno le rende meno potenti. La grande pubblicità dei dibattiti nelle assemblee federali, il contrasto degli interessi regionali, il vigile controllo dei rappresentanti dei singoli Stati contribuiscono al medesimo risultato» (Junius, I problemi economici della Federazione europea, 1944).