IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXVI, 2024, Numero 1, Pagina 8

Il ruolo delle istituzioni europee
nel governare l’equilibrio tra sovranità e sussidiarietà*

GIULIA ROSSOLILLO

Introduzione.

Il tema del rapporto tra sovranità e sussidiarietà nel funzionamento dell’Unione europea è un tema complesso, che vorrei affrontare da un punto di vista generale, cercando di dimostrare quali siano le ragioni per le quali il principio di sussidiarietà non si è pienamente realizzato nell’Unione, pur essendo enunciato nei trattati, e che legame sussista tra mancata realizzazione del principio di sussidiarietà e struttura istituzionale e meccanismi di funzionamento dell’Unione stessa.

Queste mie considerazioni si fonderanno su una definizione generale di sussidiarietà, vista come il principio secondo il quale in un sistema politico, e in particolare in un sistema politico a più livelli, le decisioni devono esser adottate al livello più basso, e cioè più vicino ai cittadini, che consenta l’adozione di misure efficaci.

Come si deduce da questa definizione, nel principio di sussidiarietà convivono quindi due dimensioni. Una dimensione economica, che attribuisce al principio di sussidiarietà il compito di individuare il livello di governo in grado di adottare la decisione più efficace, e una dimensione democratica, che affida al principio di sussidiarietà il compito di far sì che la decisone sia adottata al livello più vicino possibile ai cittadini, per consentire loro una maggiore partecipazione e controllo sui decisori.[1]
 

Le dimensioni del principio di sussidiarietà: efficienza, democrazia, responsabilità politica.

I trattati istitutivi dell’Unione europea fanno espresso riferimento alla sussidiarietà nell’articolo 5, par. 3 del TUE, dove si legge che “In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello dell’Unione”.[2] L’articolo 5 applica questo principio solo alle competenze concorrenti dell’Unione, e dunque a quei settori nei quali il trattato ha già stabilito che possono intervenire sia l’Unione sia gli Stati e nei quali il principio di sussidiarietà serve a stabilire chi sia titolato ad esercitare tale competenza nel singolo caso concreto.

Come è evidente, tale disposizione si incentra sulla dimensione economica della sussidiarietà, dal momento che si preoccupa del fatto che la decisione sia assunta dal livello di governo maggiormente in grado di garantirne l’efficacia. L’accentuazione del versante economico del principio non deve stupire, vista l’importanza che l’obiettivo della creazione di un mercato unico ha sempre rivestito nell’Unione europea.[3]

Tuttavia, la dimensione democratica del principio di sussidiarietà, e dunque la preoccupazione che la decisione sia presa al livello il più vicino possibile ai cittadini, non è assente dai Trattati. Nell’articolo 1 TUE, infatti, anche se la sussidiarietà non viene menzionata, si legge che “Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.

La dimensione economica o dell’efficienza e quella democratica del principio di sussidiarietà, in effetti, sono strettamente connesse tra loro. Una piena realizzazione del principio di sussidiarietà comporta infatti da un lato che le decisioni siano assunte da un livello che abbia tutti gli strumenti per esercitare quella competenza in modo effettivo (e dunque sia dotato delle risorse finanziarie e degli strumenti per dare attuazione a tale decisione); dall’altro che la decisione adottata a un certo livello di governo, nell’ambito di una determinata comunità politica, sia presa  da soggetti che sono politicamente responsabili davanti ai cittadini di quella comunità, e che quindi rispondano a questi ultimi in merito alla decisione adottata e alla sua esecuzione. Un principio di sussidiarietà fondato solo sull’aspetto dell’efficienza e privo del versante ‘democratico’ sarebbe in altre parole dotato di minore efficacia, perché la sua violazione non sarebbe sanzionabile politicamente dai cittadini.

Il profilo della responsabilità politica quale elemento della sussidiarietà emerge con chiarezza dalla giurisprudenza della Corte suprema degli Stati Uniti relativa al decimo emendamento, e cioè a quella disposizione che stabilisce che “I poteri non delegati dalla Costituzione agli Stati Uniti, o da essa non vietati agli Stati, sono riservati ai rispettivi Stati ovvero al popolo”. Questa disposizione non enuncia il principio di sussidiarietà, bensì il principio di attribuzione, ma è stata interpretata in modo interessante dalla giurisprudenza. In particolare, in una sentenza del 1993[4] relativa all’individuazione di siti di stoccaggio di materiale radioattivo, la Corte Suprema ha messo in relazione l’attribuzione a un certo livello di governo del potere di decidere con la responsabilità nei confronti dei cittadini e la legittimazione democratica.

Si trattava di una questione relativa alla possibilità per il Congresso degli Stati Uniti (e dunque per il livello federale) di obbligare gli Stati membri ad adottare delle legislazioni che regolassero lo stoccaggio di materiale radioattivo. Ora, secondo la Corte Suprema, questo obbligo avrebbe leso il decimo emendamento. Il fatto che la legislazione in questione non venisse adottata dal livello federale, ma che quest’ultimo obbligasse gli Stati ad adottarla, comportava infatti una scissione tra potere decisionale e responsabilità politica. Le autorità statali sarebbero state in effetti considerate responsabili di aver adottato una decisione che in realtà discendeva dalla volontà del livello federale, mentre le autorità federali, dalle quali questo obbligo proveniva, sarebbero rimaste immuni da responsabilità politica in quanto i cittadini non avrebbero imputato loro l’adozione della decisione. Si sarebbe dunque creato uno sfasamento e la struttura federale ne sarebbe risultata indebolita.
 

Sussidiarietà e struttura istituzionale dell’Unione europea.

Come si applica questo ragionamento all’Unione europea? Possiamo dire che il principio di sussidiarietà così come lo abbiamo delineato trovi applicazione nel funzionamento dell’Unione?

Per rispondere a queste domande è necessario chiedersi se, nel caso in cui si debba affrontare una questione che richieda soluzioni a livello sovranazionale, l’Unione europea sia in grado di agire in modo efficiente (versante economico della sussidiarietà) e rispondente ai principi sopra enunciati di corrispondenza tra livello della decisione e responsabilità politica (dimensione democratica del principio di sussidiarietà).

La risposta mi sembra che sia negativa per entrambi i profili.

Quanto al profilo dell’efficienza, sono essenzialmente due i limiti all’azione dell’Unione europea che ne compromettono l’efficacia e dunque non consentono la piena realizzazione del principio di sussidiarietà inteso in senso economico. Il primo è legato alla matrice economica del processo di integrazione, che ne condiziona tuttora pesantemente il funzionamento. In effetti, il processo di integrazione europea è nato con l’idea di dar vita a un’organizzazione di integrazione economica che desse vita a un mercato unico, ma priva di una testa politica, e dunque di un governo. In questo quadro era perfettamente legittimo che la funzione esecutiva fosse attribuita a un organo di carattere tecnico e scelto sulla base della competenza dei suoi membri, la Commissione. Nonostante la struttura iniziale sia evoluta in modo notevole nel corso degli anni, sia stato rafforzato il ruolo del Parlamento europeo, siano state attribuite nuove competenze all’Unione, sia stata creata una moneta unica, la mancanza di un governo legittimato democraticamente è rimasta una costante.

L’Unione è priva dunque di una testa politica, e quando decisioni di carattere politico sono necessarie, è il Consiglio europeo, cioè l’insieme dei capi di Stato e di Governo, ad adottarle, per consensus o all’unanimità. Si tratta tuttavia di un processo lungo, condizionato dal diritto di veto degli Stati e che si risolve in decisioni al ribasso o nell’impossibilità di decidere. Pur essendo adottate a livello europeo, tali decisioni non sono il frutto di una volontà europea unitaria, bensì di una somma di volontà di Stati, che si sono vincolati a decidere in comune alcune questioni ormai al di fuori della loro portata, senza che riesca ad emergere un vero interesse comune del livello sovranazionale.

In secondo luogo, l’Unione non ha le risorse necessarie per esercitare in modo efficiente ed effettivo le sue competenze. Il bilancio dell’Unione europea è infatti, come è noto, alquanto limitato ed assorbito quasi totalmente da politica agricola (incluso l’ambiente) e politica di coesione. Inoltre, non solo il suo ammontare è insufficiente a far fronte alle sfide degli ultimi anni, come è emerso anche durante la crisi del Covid e recentemente con l’invasione russa dell’Ucraina, ma esso è finanziato in gran parte da risorse statali e deciso all’unanimità dagli Stati membri. Ne conseguono l’estrema difficoltà di aumentarlo (gli Stati non vogliono infatti privarsi di risorse ulteriori) e la pressoché totale dipendenza finanziaria dell’Unione dai suoi Stati membri. Ora, senza autonomia finanziaria[5] e fondi sufficienti, è impossibile realizzare politiche europee efficienti. Il pieno rispetto del principio di sussidiarietà presupporrebbe dunque una corrispondenza tra livello di esercizio della competenza e capacità di procurarsi in modo autonomo le risorse necessarie all’esercizio della stessa.

Ora, questi elementi hanno influenza anche sul profilo democratico della sussidiarietà. In effetti, quando una decisione è adottata a livello europeo dal Consiglio europeo o dal Consiglio, al livello della decisione non corrisponde un ugual livello di legittimazione democratica e di responsabilità dell’organo che la adotta. I rappresentanti dei governi nel Consiglio e nel Consiglio europeo sono infatti legittimati democraticamente a livello nazionale e rispondono all’elettorato del loro Stato, mentre non è esercitabile nei loro confronti alcuna forma di controllo democratico a livello europeo. Questo fa sì che le decisioni adottate da questi organi siano imputate al livello europeo pur essendo frutto di un compromesso tra governi nazionali, i quali però non rispondono della decisione presa né a livello nazionale (la responsabilità è offuscata dalla necessità di compromesso e gli Stati inoltre hanno interesse ad imputarla all’Europa) né a livello europeo.[6] I cittadini sono dunque privati di un controllo sul decisore, che ci sarebbe invece se al Consiglio europeo si sostituisse un governo legittimato democraticamente dal Parlamento europeo. Anche il versante ‘democratico’ della sussidiarietà a livello europeo non trova dunque realizzazione.
 

Sussidiarietà e natura funzionalista del processo di integrazione.

Gli elementi sopra messi in luce si ripercuotono anche sulla capacità degli Stati membri di esercitare le proprie competenze e dunque comprimono il principio di sussidiarietà anche a livello statale. Come accennato in precedenza, il carattere funzionalista del processo di integrazione e la stessa genesi dell’Unione europea hanno giocato un ruolo determinante in questo senso.

In effetti, la Comunità economica europea nasce sul presupposto che alle istituzioni dell’Unione siano attribuite le competenze necessarie alla realizzazione del mercato unico, mentre agli Stati siano lasciate le competenze relative agli altri settori. Questa suddivisione si è rivelata tuttavia ben presto illusoria, dal momento che la regolamentazione del mercato e l’abolizione delle restrizioni interne portano con sé la necessità di dar vita a una moneta unica e a forme di cooperazione (ad esempio in materia di politica estera) in settori estranei al mercato.

La ripartizione di competenze e di funzioni che ne è derivata non è stata dunque frutto di un disegno costituzionale fondato su una scelta razionale e improntato al principio di sussidiarietà, bensì della necessità di far fronte di volta in volta alle esigenze del momento e dei rapporti di forza tra gli attori del processo.[7]

Il tentativo di utilizzare una struttura istituzionale pensata per la gestione di un mercato per raggiungere obiettivi differenti ha comportato – come sottolineato – l’incapacità del livello europeo di affrontare molte sfide di dimensione sovranazionale. Questo ha compresso a sua volta la capacità degli Stati membri sia di gestire politiche nazionali sia di favorire un decentramento al loro interno. Non potendo contare su un livello europeo dotato dei meccanismi istituzionali e delle risorse necessarie per affrontare sfide di dimensione continentale, gli Stati membri hanno infatti dovuto continuare a farsi carico della gestione di questioni ormai al di fuori della portata delle loro capacità e non hanno dunque potuto liberare risorse per concentrare la loro azione su problemi di dimensione nazionale o sub-nazionale. Ne è risultata una modalità di esercizio delle competenze assolutamente non rispondente al principio di sussidiarietà. Laddove infatti la sussidiarietà richiederebbe decisioni a livello europeo, le istituzioni europee sono prive degli strumenti e dei meccanismi decisionali per farvi fronte, sicché l’onere di decidere e di reperire risorse ricade ancora sugli Stati membri nel loro complesso. Ma tale meccanismo assorbe risorse e capacità decisionali necessari per affrontare quelle questioni che, sulla base del principio di sussidiarietà, vista la loro dimensione dovrebbero essere regolate a livello nazionale.[8] Ne consegue che una capacità di affrontare i problemi in modo efficace viene a mancare sia a livello nazionale sia a livello europeo.
  

Le riforme necessarie per una realizzazione del principio di sussidiarietà.

Se dunque l’obiettivo è quello di creare un’Unione europea capace di agire e di dar voce agli interessi dei propri cittadini, e al contempo articolata in più livelli di governo le cui competenze rispondano al principio di sussidiarietà, una profonda riforma dell’Unione europea è necessaria.

Si tratta infatti di modificare in senso democratico i meccanismi decisionali dell’Unione europea in tutti i settori nei quali è applicato tuttora un metodo intergovernativo, di attribuire all’Unione quelle competenze che ormai gli Stati non riescono più a gestire, di dotare l’Unione di autonomia quanto al proprio finanziamento e di un governo legittimato democraticamente davanti al Parlamento europeo.

Molte di queste riforme sono contenute nella proposta di riforma dei Trattati che il Parlamento europeo ha approvato lo scorso novembre, con la quale il Parlamento chiede che si apra una Convenzione nella quale affrontare una profonda revisione dell’assetto attuale dell’Unione europea. È ora che i Governi diano ascolto a questa richiesta.


[*] Intervento alla riunione nazionale dell’Ufficio del Dibattito del Movimento federalista europeo tenutasi a Ferrara il 13 aprile 2024 sul tema Sovranità e sussidiarietà: due anime del federalismo europeo.

[1] In questo senso v. per tutti M. Bartl, The Way We Do Europe: Subsidiarity and the Substantive Democratic Deficit, European Law Journal, 21 (2015), pp. 23 ss., a p. 25.

[2] Il principio di sussidiarietà era enunciato in termini simili anche nel Progetto di trattato che istituisce l’Unione europea del 1984 (il cosiddetto Progetto Spinelli), al cui articolo 12 si leggeva che nei settori di competenza concorrente “l’Unione agisce esclusivamente per svolgere i compiti che in comune possono essere svolti più efficacemente che non dai singoli Stati separatamente, in particolare quelli la cui realizzazione richiede l’azione dell’Unione, giacché le loro dimensioni o i loro effetti oltrepassano i confini nazionali”. L’Atto Unico Europeo enunciava invece tale principio limitatamente alla materia ambientale e solo con il Trattato di Maastricht viene adottata una formulazione generale simile a quella del Progetto Spinelli. Sul rapporto tra insufficienza dell’azione statale e valore aggiunto dell’azione dell’Unione, v. K. Lenaerts, The Principle of Subsidiarity and the Environment in the European Union: Keeping the Balance of Federalism, Fordham International Law Journal, 17 n. 4 (1993), pp. 846 ss., a p. 877, https://ir.lawnet.fordham.edu/ilj/vol17/iss4/2.

[3] Secondo M. Bartl, The Way We Do Europe: …, op. cit., la formulazione attuale del principio di sussidiarietà e la sua connotazione essenzialmente economica sono legate al carattere funzionalistico del processo di integrazione europea: “In a functional entity, goals and objectives are considered fixed, and the only possible realm of disagreement concerns the choice of the most efficient level of accomplishing predetermined tasks. In contrast, the democratic dimension of subsidiarity is concerned with the citizens’ political self-determination”.

[4] New York v. United States, 505 U.S. 144, 112 S. Ct. 2408, 120 L. Ed.2d 120 (1992). Sul punto v. G.A. Bermann, Taking Subsidiarity Seriously: Federalism in the European Community and the United States, Columbia Law Review, 94 n. 2 (1994), pp. 331 ss., a p. 420 ss, https://scholarship.law.columbia.edu/faculty_scholarship/6/.

[5] Per un cenno in questo senso, riferito alla materia ambientale, v. A. Jordan, T. Jeppersen, EU Environmental Policy: Adapting to the Principle of Subsidiarity?, European Environment, 10 n. 2 (2000), pp. 64 ss., a p. 68, secondo i quali “the adoption of market-based instruments is limited because of the reluctance of just about all states to surrender control of tax affairs to supranational bodies”; https://research-portal.uea.ac.uk/en/publications/eu-environmental-policy-adapting-to-the-principle-of-subsidiarity.

[6] Sul punto v. G.A. Bermann, Taking Subsidiarity Seriously: …, op. cit.,  pp. 397 e 453.

[7] In questo senso, v. A. Jordan, T. Jeppersen, EU Environmental Policy: …., op. cit., p. 73. Sul punto v. anche G.A. Bermann, Taking Subsidiarity Seriously: …, op. cit., p. 354.

[8] Un’illustrazione chiara di quanto ora affermato è costituita dal Patto di Stabilità e Crescita, recentemente riformato. La decisione, dettata dal contrapporsi delle forze in campo anziché da una scelta razionale, di creare una moneta unica, ma di lasciare agli Stati membri la gestione della politica fiscale ed economica ha portato in effetti gli Stati membri a doversi autoimporre – attraverso appunto il Patto di stabilità – parametri rigidi, per evitare che eccessive divergenze tra le politiche economiche e fiscali nazionali compromettessero la moneta unica. Tuttavia, detti parametri, costringendo gli Stati, soprattutto quelli fortemente indebitati, a politiche di rigore, ne hanno compromesso la capacità di utilizzare risorse e fare investimenti necessari a un esercizio effettivo e fruttuoso delle loro competenze.

 

 

 

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