IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXII, 2020, Numero 3, Pagina 201

 

 

Il realismo politico*

 

SERGIO PISTONE

 

 

Il tema della mia relazione è chiarire nei suoi aspetti essenziali il rapporto fra il realismo politico (che è la più recente espressione della teoria della ragion di stato avente il suo punto di partenza in Machiavelli) e il paradigma teorico sulla base del quale il MFE si sforza di comprendere la realtà dei rapporti internazionali e, quindi, di stabilire il suo orientamento pratico al riguardo.

Del paradigma federalista vanno sottolineati due aspetti fondamentali: da una parte, il recepimento delle tesi più significative del realismo politico (fra i cui principali esponenti ricordo in particolare Morghentau, Aron, Waltz e Mearsheimer), dall’altra parte, il suo superamento sulla base degli insegnamenti di Kant.

Circa il primo aspetto, l’assunto fondamentale del paradigma realista coincide con la tesi della differenza strutturale fra le relazioni interne agli Stati e le relazioni internazionali, che rimanda alla dicotomia sovranità statale (fondata sul monopolio pubblico della violenza legittima) — anarchia internazionale. In sostanza, le relazioni interne sono regolate sulla base del diritto e cioè i conflitti possono essere risolti senza il ricorso alla forza e si instaura la pace intesa appunto come impossibilità strutturale del ricorso alla forza. Va precisato che questa situazione è compromessa nei casi di rivoluzioni violente, guerre civili, Stati falliti o mai nati. In questi casi si ritorna (o non si supera) lo stato di guerra di tutti contro tutti proprio delle relazioni internazionali.

Occorre aggiungere che, instaurando il monopolio della forza legittima, lo Stato moderno ha realizzato, attraverso un lungo processo, che in parte è ancora in corso, una grande opera di incivilimento della popolazione ad esso sottoposta, i cui aspetti fondamentali sono: il progresso morale connesso con l’educazione alla rinuncia alla violenza e quindi con il progressivo rifiuto del principio della violenza privata nella tutela dei propri interessi, e il progresso economico-sociale reso possibile dalla certezza del diritto. In questo quadro sono state possibili le grandi trasformazioni dello Stato promosse dalle ideologie emancipatrici che hanno il loro fondamento nell’Illuminismo, e cioè il liberalismo, la democrazia e il socialismo. A questo riguardo va sottolineato che la funzione pacificatrice dello Stato, se ha il suo fondamento basilare nel monopolio della forza legittima, è stata d’altra parte consolidata nel mondo occidentale dall’integrazione progressiva di questo fattore strutturale con lo Stato di diritto e la separazione dei poteri (liberalismo), il suffragio universale (democrazia) e la solidarietà sociale strutturale o Stato sociale (socialismo). Questi meccanismi (fra i quali si è realizzata storicamente una sintesi) tendono a evitare che lo Stato venga percepito come un potere che persegue l’interesse di una parte della società invece che l’interesse generale, il che favorisce le tendenze al ricorso alla violenza. Va sottolineato che nel quadro di questa visione emerge nel realismo politico (ma è più chiaro nel federalismo) la tesi che lo Stato in senso pieno è quello caratterizzato dalla presenza strutturale delle ideologie emancipatrici.

Veniamo dopo questo chiarimento alla visione realistica delle relazioni internazionali. Queste, a differenza di quelle interne, sono regolate sulla base dei rapporti di forza fra le parti dal momento che il dato strutturale è rappresentato, invece che dalla sovranità, dalla anarchia internazionale, il che significa concretamente la mancanza di un governo, vale a dire di una autorità suprema fornita del monopolio della violenza legittima e, quindi, capace di imporre un ordinamento giuridico valido ed efficace. In questa situazione la spinta elementare alla sopravvivenza comporta che il criterio ultimo della soluzione dei conflitti non possa che essere la prova di forza fra le parti, sicché la guerra è sempre all’ordine del giorno (Aron ha detto, che le relazioni internazionali si svolgono sempre all’ombra della guerra) ed ogni Stato è costretto ad attuare una “politica di potenza”, la quale non significa in senso rigoroso una politica estera particolarmente aggressiva, bensì una politica che tiene conto della possibilità permanente delle prove di forza e che di conseguenza appresta e usa nei casi estremi i mezzi di potere indispensabili (armamenti, alleanze, ricerca della protezione da parte delle maggiori potenze, occupazione di vuoti di potere), o ricorre all’astuzia o alla frode.

Ciò detto, i realisti precisano che la tesi della differenza strutturale fra relazioni internazionali e interne non significa ritenere che la realtà internazionale sia semplicemente caotica, dominata dallo scontro continuo, irrazionale e imprevedibile fra gli Stati e, quindi, che sia una situazione caratterizzata dall’assenza di qualsiasi ordine. In effetti viene messa in luce la presenza di ulteriori elementi strutturali che rendono l’anarchia internazionale meno caotica e più prevedibile nei suoi sviluppi. Tre indicazioni fondamentali emergono in questo discorso:

  1. La gerarchia fra gli Stati che distingue le grandi potenze (in grado di tutelare autonomamente la propria sicurezza) dalle medie e piccole (che devono cercare la protezione delle più forti potenze), che da vita a una sorta di governo del mondo, incapace di garantire una pace strutturale, ma che attenua le conseguenze violente dell’anarchia internazionale);
  2. l’equilibrio che non impedisce gli scontri di forza, ma impedisce l’egemonia e garantisce quindi l’esistenza di un sistema pluralistico di Stati sovrani;
  3. gerarchia ed equilibrio spingono gli Stati a convivere pur senza eliminare la politica di potenza — da qui la nascita del diritto internazionale e dell’organizzazione internazionale.

Ciò ricordato, veniamo al secondo aspetto del paradigma federalista. Se il primo aspetto consiste fondamentalmente nel recepimento del discorso relativo alla differenza strutturale fra relazioni internazionali ed interne, l’assunto fondamentale del secondo aspetto del paradigma federalista è il rifiuto della tesi del realismo politico che non ritiene possibile il superamento dell’anarchia internazionale, dal momento che non è possibile la creazione di uno Stato mondiale. Il che riflette un pregiudizio ideologico di tipo nazionalistico che induce a vedere nella pluralità di Stati sovrani e, quindi, nella strutturale conflittualità che ne deriva, un fattore insostituibile di progresso. Mentre il valore guida del realismo politico è la potenza del proprio Stato, il valore guida dei federalisti è la pace e, quindi, la convinzione che nella fase storica avviatasi con la rivoluzione industriale avanzata l’impegno a favore del progresso dell’umanità sia diventato indissociabile dall’impegno a favore del superamento della violenza nelle relazioni internazionali e, quindi, della graduale unificazione dell’umanità in direzione di uno Stato federale mondiale.

Alla base di questo orientamento ci sono le illuminanti riflessioni sulla pace sviluppate da Kant, il quale, partendo da una visione realistica fondata sulla dicotomia statualità-anarchia internazionale, ha chiarito in modo rigoroso che la pace è l’organizzazione di potere che supera l’anarchia internazionale trasformando i rapporti di forza fra gli Stati in rapporti giuridici veri e propri, rendendo quindi strutturalmente impossibile la guerra attraverso l’estensione della statualità (tramite il sistema federale) su scala universale. Kant è consapevole che il progetto della pace perpetua richiederà una lunghissima maturazione etico-politica da parte dell’umanità, ma questa ha delle reali possibilità di svilupparsi. Da una parte c’è l’esperienza storica del superamento dell’anarchia all’interno degli Stati, il che impedisce di escludere a priori — e qui emerge il superamento del pessimismo antropologico di Hobbes e dei moderni realisti politici — che si produca un ulteriore progresso verso il superamento dell’anarchia internazionale. Dall’altra parte, un simile progresso sarà favorito dalla spinta combinata di due potenti forze storiche e cioè dallo sviluppo del commercio (cioè dell’interdipendenza economica che moltiplicherà le occasioni di conflitto, ma porrà allo stesso tempo l’esigenza di apprestare gli strumenti della soluzione pacifica dei conflitti per non compromettere i vantaggi connessi con l’interdipendenza), e dalla crescente distruttività delle guerre indotta dal progresso scientifico e tecnico, la quale richiederà in modo imperativo di affrontare concretamente la necessità di superare il sistema della guerra per sfuggire a un destino di autodistruzione collettiva.

Va sottolineato che in queste considerazioni di Kant emerge un realismo più profondo di quello dei teorici della ragion di Stato e quindi dei moderni realisti politici, cioè un realismo che cerca la “verità effettuale” senza essere bloccato da pregiudizi ideologici che portano a vedere nel sistema degli Stati sovrani non una tappa storica dell’evoluzione dell’umanità, ma un punto d’arrivo insuperabile. Proprio lo sviluppo e l’approfondimento di questo aspetto del discorso kantiano caratterizza il realismo che è un aspetto particolarmente qualificante del paradigma teorico proprio del federalismo del MFE. Al riguardo va sottolineato in particolare lo sviluppo del discorso sulla attualità storica della lotta per la pace. Alla base di questo discorso c’è fondamentalmente una percezione piena delle conseguenze sull’evoluzione degli Stati e delle relazioni fra essi dei cambiamenti epocali indotti dalla rivoluzione industriale avanzata, che si sta sviluppando in rivoluzione tecnico-scientifica. I realisti politici che abbiamo ricordato hanno presenti i fenomeni di importanza cruciale costituiti dalla crescente interdipendenza economica fra gli Stati (che si è sviluppata nel processo della globalizzazione), dall’avvento delle armi di distruzione di massa, dall’interdipendenza ecologica e dalla crisi degli equilibri ecologici globali. Ma, poiché il loro orientamento ideologico li induce a concepire come insuperabile la pluralità degli Stati sovrani, non riescono a percepire che questi sviluppi hanno introdotto nel sistema delle relazioni internazionali un fattore nuovo di enorme portata: la crisi storica del sistema degli Stati sovrani (detto anche “sistema westfaliano”) , una situazione cioè che rende non solo imperativo sul piano etico-politico, ma anche fondato su basi politiche reali l’impegno a favore del superamento dell’anarchia internazionale.

Il discorso relativo a questa problematica può essere riassunto riportando schematicamente tre argomentazioni cruciali.

La prima argomentazione riguarda la portata dell’interdipendenza economica che si è venuta sviluppando con l’avanzamento della rivoluzione industriale e postindustriale. Essa ha posto l’esigenza imprescindibile di creare Stati di dimensioni continentali per evitare la decadenza economico-sociale e quindi l’arresto del progresso politico-democratico. Nello stesso tempo ha avviato un processo che tende, in tempi più lunghi, a rendere obsoleti anche gli Stati di dimensioni continentali, e a porre di conseguenza all’ordine del giorno, per non bloccare il progresso, l’unificazione politica dell’intera umanità. La presa di coscienza delle implicazioni politiche dell’interdipendenza economica è la chiave indispensabile per capire gli sviluppi fondamentali del XX secolo. Essi sono: la decadenza degli Stati nazionali europei, che ha prodotto i tentativi di soluzione egemonico-imperiale della necessità di uno Stato europeo di dimensioni continentali e, in connessione con questi tentativi, sviluppi in direzione autoritaria e totalitaria(accompagnati da crimini spaventosi); il crollo della potenza degli Stati nazionali europei, assorbita nel sistema mondiale USA-URSS, che ha aperto la strada allo smantellamento degli imperi coloniali europei e soprattutto al processo di integrazione europea su base pacifica e democratica, che ha cambiato radicalmente la situazione dell’Europa nel senso dello sviluppo economico-sociale, del progresso democratico e della pacificazione e ha stimolato processi analoghi, ancorché assai meno profondi, in altre aree del mondo (le integrazione regionali); la formazione, accelerata dopo la fine della guerra fredda, di un sistema economico mondiale dominato dagli USA, caratterizzato da aspetti di forte crescita economica complessiva e nello stesso tempo da ricorrenti sempre più gravi crisi economico-finanziarie e dal persistere di gravi squilibri sociali e territoriali( con i connessi fenomeni di distruttiva instabilità di intere aree regionali e di emigrazioni bibliche). Va a questo ultimo proposito osservato che l’interdipendenza economica mondiale ha stimolato la formazione di organizzazioni economiche mondiali (FMI, Banca mondiale, GATT-WTO, OCSE, ILO, FAO, G7, G8, G20) che non hanno prodotto un livello di integrazione avanzato come quello europeo, ma che segnalano il problema dell’unificazione mondiale come un orizzonte non più utopico per quanto lontano.

La seconda argomentazione segnala come fattore decisivo (assieme all’interdipendenza economica) della crisi storica del sistema degli Stati sovrani l’emergere delle sfide non solo al progresso ma addirittura alla stessa sopravvivenza dell’umanità derivanti dallo sviluppo delle armi di distruzione di massa (nel cui quadro si stanno inserendo le armi cibernetiche) e dal degrado degli equilibri ecologici globali. Se la distruttività delle guerre mondiali, insieme alla decadenza economica, ha fatto nascere per gli Stati europei l’alternativa “unirsi o perire” che è alla base dell’integrazione europea, lo sviluppo delle armi di distruzione di massa ha avviato la mondializzazione di questa alternativa ponendo quindi all’ordine del giorno il problema del superamento della guerra come strumento per risolvere i conflitti fra gli Stati, dal momento che una guerra generale significherebbe non la continuazione della politica con altri mezzi, bensì la fine della politica come conseguenza di un suicidio collettivo. E va qui sottolineato che è assai poco realistico pensare che l’inconcepibilità di una guerra generale fra le grandi potenze costituisca un rimedio strutturale contro il rischio dell’olocausto nucleare. Non solo non c’è garanzia sicura che la deterrenza non fallisca, ma l’inevitabile proliferazione delle armi di distruzione di massa è anche destinata — in un contesto caratterizzato dalla cronica instabilità delle regioni arretrate — a metterle in mano di Stati privi di meccanismi democratici e guidati da classi dirigenti estremistiche e fanatiche o addirittura di organizzazioni terroristiche che non hanno un territorio in grado di fungere da ostaggio della deterrenza. In realtà la deterrenza e le stesse politiche di sicurezza dirette al controllo e alla riduzione degli armamenti e a bloccare la proliferazione delle armi di distruzione di massa non possono che avere un valore provvisorio, rappresentare cioè il contesto in cui si deve, se si vuole essere davvero realisti, perseguire il disegno difficilissimo e di lungo termine, ma privo di valide alternative, dell’eliminazione strutturale della guerra tramite la costruzione della statualità democratica mondiale. Analogo discorso si deve fare per quanto riguarda il pericolo dell’olocausto ecologico. La cooperazione internazionale non può essere considerata altro che un rimedio transitorio che deve trovare il suo coerente sviluppo nella costruzione progressiva della statualità mondiale.

La terza argomentazione riguarda il ruolo decisivo che un’Europa pienamente unita è chiamata a svolgere a favore dell’unificazione mondiale. Qui occorre sottolineare che l’Europa ha una vocazione strutturale ad operare a favore di un mondo più pacifico, più giusto ed ecologicamente sostenibile. In sostanza l’Europa ha una radicata tendenza ad operare come una “potenza civile”, una potenza cioè che persegue il superamento della politica di potenza, in altre parole politiche strutturali di cooperazione pacifica. Essendo l’integrazione europea nata dalla catastrofe delle guerre mondiali, come una prima rilevante risposta alla crisi storica del sistema westfaliano degli Stati sovrani, l’UE ha nel proprio DNA l’impegno ad esportare la propria esperienza, la European Way of Life (democrazia liberale, Stato sociale, diritti umani, sensibilità ecologica, bassa spesa militare) e lo stesso processo di unificazione europea. E’ un dato di fatto che nell’indicazione programmatica del proprio ruolo internazionale (nei Trattati e nella dottrina strategica) l’UE non faccia riferimento solo agli interessi e alla sicurezza europea, ma anche alla pace nel mondo da realizzare attraverso la solidarietà, lo Stato di diritto, il sistema liberaldemocratico, la globalizzazione dei diritti umani, le integrazioni regionali; il che ha un risvolto concreto nel primato dell’UE, nonostante l’incompiuta unificazione, per quanto riguarda l’aiuto allo sviluppo e quello alimentare, le missioni di pace e il perseguimento dei diritti umani, il ruolo fondamentale rispetto ad iniziative quali il Tribunale penale internazionale e gli accordi diretti a contrastare la crisi ecologica globale. E’ evidente che questa vocazione strutturale dell’UE potrà manifestarsi in modo ben più efficace se alla sua potenza economica si sommerà, con una vera politica estera, di sicurezza e di difesa comune, il fatto di diventare un attore pienamente globale.
 

Indico alcuni miei scritti relativi alla tematica affrontata nella relazione:

Considerazioni orientative sul tema della Casa Comune Europea, Atti del Congresso di Catania del MFE del 2009, p. 99, https://www.mfe.it/port/index.php/archivio/organi-statutari/congressi-mfe/24-archivio-documenti/documenti-del-mfe/congressi-mfe/4388-congresso-2009-ferrara.

Realismo politico, federalismo e crisi dell’ordine mondiale, Il Federalista, 58 n.1 (2016).

Difesa europea e unione politica, Atti del Congresso di Latina del MFE del 2017, p. 54, https://www.mfe.it/port/index.php/archivio/organi-statutari/congressi-mfe/24-archivio-documenti/documenti-del-mfe/congressi-mfe/4392-congresso-2017-latina.

L’Unione Europea di fronte all’alternativa: federazione europea o tracollo dell’Europa, Paradoxa Forum, luglio 2019.

Una politica estera, di sicurezza e difesa europea e il ruolo dell’Europa nel mondo, relazione al Seminario nazionale di Ventotene, pubblicata in Eurobull, 4/9/2019.


* Relazione presentata alla riunione dell’Ufficio del Dibattito del Movimento federalista europeo su Il federalismo e i concetti di potere politico, potenza, statualità e sovranità, svoltatsi a Firenze il 17-18 ottobre 2020.

 

 

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