IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXII, 2020, Numero 3, Pagina 186

 

 

Il concetto di Stato
ed il suo significato per il processo di
integrazione europea*

 

 

LUCA LIONELLO

 

Cos’è uno Stato?

Dal punto di vista giuridico lo Stato consiste in un’organizzazione politica caratterizzata dal monopolio della forza legittima su una certa popolazione stabilitasi in un determinato territorio. In questo senso lo Stato nasce in reazione al sistema politico-giuridico feudale instauratosi nel nostro continente a partire da Carlo Magno e caratterizzato da una forte decentralizzazione e dispersione del potere politico sulla base del rapporto vassallo/signore. Gli Stati nascono all’inizio dell’età moderna quando i re (signori) dei territori ai margini dell’Impero romano-germanico smettono di riconoscere l’autorità suprema dell’Imperatore e concentrano nelle loro mani alcune funzioni sovrane fondamentali tra cui il potere fiscale e quello militare grazie alla presenza di un’organizzazione amministrativa professionale e centralizzata.

Questa definizione di Stato è stata recepita anche nel diritto internazionale. Si ricorda ad esempio la Convenzione di Montevideo del 1933 che all’art. 1 riconosce personalità giuridica internazionale agli Stati in quanto titolari di una popolazione permanente, un territorio definito, un potere di governo esclusivo e la capacità di intrattenere rapporti con gli altri Stati.

Affinché uno Stato esista è quindi necessario che la sua sovranità si manifesti sia all’interno dei suoi confini, sia all’esterno. Per sovranità interna si intende la capacità di garantire alcuni servizi pubblici fondamentali all’interno del territorio dello Stato attraverso l’adozione di atti di imperio: raccogliere le tasse, mantenere l’ordine pubblico, amministrare la giustizia, imporre le leggi, fornire servizi essenziali, battere moneta. Per sovranità esterna si intende invece la capacità di essere indipendente dagli altri Stati. Nel mondo di oggi ovviamente ciò non può tradursi nel perseguimento dell’autarchia e nella chiusura dei confini statali, ma piuttosto nella capacità di scegliere come, con quanta intensità e con quali altri soggetti sovrani si intende accordarsi e cooperare per partecipare al processo di globalizzazione.

Dopo aver descritto in che modo essa si declina, è necessario illustrare altre caratteristiche che permettono alla sovranità statale di essere autentica. Innanzitutto essa è originaria, nel senso che l’ordinamento giuridico dello Stato non deriva da nessun’altro ordinamento, ma nasce da un atto di autodeterminazione. La sua Costituzione è pertanto una Grundnorm, una norma che non ha bisogno di giustificarsi e da cui derivano tutte le altre leggi valide all’interno dello Stato. In secondo luogo la sovranità statale deve essere esclusiva, ovvero nelle parole di Jean Bodin, “summa potestas superiorem non recognoscens”. Ciò significa che lo Stato può impedire a qualunque soggetto esterno ad esso, pubblico o privato che sia, di ingerire nell’esercizio delle sue funzioni all’interno dei propri confini. Sebbene nel mondo globalizzato, ciò avvenga in modo meno intenso, resta sempre possibile per lo Stato, in caso di necessità almeno, escludere qualunque interferenza esterna all’esercizio del suo potere nel suo territorio. Infine la sovranità statale deve essere effettiva. Gli Stati falliti mancherebbero appunto della capacità di esercitare le proprie competenze sovrane sul territorio. Per lo stesso motivo il riconoscimento da parte degli altri governi, non rileva ai fini dalla nascita di un nuovo Stato, se non nella misura in cui l’instaurazione di rapporti politici e giuridici con altri Paesi gli permette di consolidare la sua sovranità (esterna).

Questa introduzione permette di affrontare il tema della rilevanza del concetto di Stato per il processo di integrazione europea. Notoriamente nel dibattito politico ed accademico si è spesso discusso se fosse possibile instaurare una sorta di federazione europea senza la creazione di un vero Stato. Allo stesso modo è stato affermato che in seguito al Trattato di Maastricht e all’introduzione della moneta unica l’Unione aveva ormai raggiunto un livello di unità pressoché stabile e definitiva. Al fine di superare queste pericolose mistificazioni è necessario chiarire innanzitutto quale sia la natura giuridica dell’UE oggi.
 

Perché l’Unione europea non è uno Stato?

Nonostante abbia raggiunto un livello considerevole di integrazione e rappresenti una garanzia imprescindibile di benessere e progresso per i suoi paesi membri, l’Unione europea al momento non è uno Stato, né tanto meno una federazione, né il livello di unità che essa ha raggiunto può essere considerato come un risultato consolidato e definitivo.

Dal punto di vista giuridico, l’Unione europea oggi resta un’organizzazione internazionale, anche se sui generis. Iniziamo dagli elementi di eccezionalità che potrebbero indurre a considerarla uno Stato. Essa è innanzitutto dotata di una sua personalità giuridica di diritto sia interno, sia internazionale. Esercita alcune importanti competenze sovrane, tra cui la politica monetaria e quella commerciale. Possiede un suo ordinamento giuridico autonomo rispetto a quello degli Stati membri e della comunità internazionale, che non solo è dotato di efficacia diretta, ma è anche in grado di prevalere sulle norme nazionali, perfino di rango costituzionale. La sua organizzazione rispetta i principi dello Stato di diritto, di democrazia e dell’equilibrio istituzionale.

Nonostante queste caratteristiche, l’Unione resta un’organizzazione internazionale. Essa si fonda su un trattato tra Stati sovrani i quali le hanno affidato determinate funzioni per perseguire insieme alcuni obbiettivi. Il conferimento di questi poteri resta tuttavia limitato e revocabile in ogni momento (principio di attribuzione). Pertanto, non solo gli Stati membri possono decidere all’unanimità di aumentare o ridurre le competenze dell’Unione, ma possono anche decidere di scioglierla e riorganizzarla a piacimento. A livello individuale ogni Stato è poi libero di uscire dall’organizzazione sulla base di una scelta unilaterale (si pensi alla Brexit). È interessante poi che, nonostante il diritto dell’Unione europea prevalga sul diritto nazionale, le corti costituzionali di molti Stati membri hanno sostenuto di poter contraddire questo principio nel caso in cui il diritto dell’Unione violasse il principio di attribuzione o l’identità costituzionale nazionale (cosiddetta “teoria dei controlimiti”). In questo senso l’Unione non è un soggetto sovrano che nasce sulla base di un atto di autodeterminazione, bensì un soggetto etero-determinato dai suoi Stati membri, i quali restano i “padroni” dei Trattati e quindi dell’Unione stessa.

Date queste condizioni è possibile capire alcuni deficit strutturali di cui soffre l’UE oggi e che sono destinati a permanere finché non cambierà la sua natura giuridica.

L’Unione soffre innanzitutto di un deficit di competenza perché alcuni poteri strategici sono gelosamente conservati dagli Stati (si pensi alla competenza fiscale e a quella militare). In particolare l’organizzazione dispone di risorse limitate per perseguire le sue politiche dal momento che la dimensione e la destinazione del suo bilancio è sottoposta a limiti stringenti. L’Unione soffre poi di un deficit di efficienza perché molte decisioni chiave sono decise sulla base del principio dell’unanimità dei governi. Là dove i singoli paesi sono dotatati di un potere di veto, i singoli egoismi nazionali possono prevalere e l’organizzazione non è in grado di decidere. L’Unione soffre poi di un deficit democratico perché il Parlamento europeo non riesce ad imporsi come vero co-decisore accanto alle istituzioni intergovernative tutte le volte in cui si discutono questioni fondamentali (quadro finanziario pluriennale, risorse proprie, politica estera). Per questo stesso motivo fatica ad affermarsi un rapporto diretto tra cittadini ed istituzioni europee che permetta di legittimare l’azione politica dell’Unione.
 

È possibile creare una federazione senza Stato?

In seguito alla svolta di Maastricht e al passaggio dalla comunità all’Unione europea è stato sostenuto che, nonostante quest’ultima mancasse ancora delle caratteristiche proprie di uno Stato sovrano, si stesse comunque consolidando una forma di governo di tipo federale di nuovo genere, motivo per cui l’obbiettivo dell’unità europea era ormai stato raggiunto. La simpatia per questa tesi ha diverse cause. Alcuni temono in generale l’idea di statualità europea perché confondono il concetto di Stato con quello di nazione: dal loro punto di vista la creazione di una federazione senza Stato, impedirebbe il sorgere di un “nazionalismo europeo”. Altri sono contrari per principio all’idea di “Europa potenza”, ovvero alla nascita di uno nuovo Stato tra gli Stati che consolidi il sistema internazionale, aggiungendosi come ostacolo al processo di creazione di una federazione mondiale. Una federazione senza Stato rappresenterebbe invece un modello virtuoso di integrazione e si porrebbe come modello da seguire per le altre esperienze di unificazione regionale e per una riforma delle Nazioni Unite. Argomenti più di merito si basano invece sul fatto che il funzionamento dell’Unione, così come degli Stati federali, rispetta il principio di sussidiarietà (art. 5 TUE): le istituzioni nazionali e quelle europee formerebbero già un sistema multilivello di governo secondo cui decide chi ha gli strumenti migliori per risolvere i problemi dei cittadini. In realtà proprio la natura internazionalistica dell’Unione fa sì che il principio di sussidiarietà non si applichi in modo efficiente nell’ordinamento giuridico europeo. Tutte le volte in cui una soluzione europea a un problema risulta opportuna, ma richiede l’esercizio di competenze sensibili per gli Stati membri (fiscalità, sicurezza interna, difesa, sanità, educazione) ecco che le istituzioni europee possono agire soltanto se si raggiunge l’unanimità tra tutti i governi. Ciò determina nella migliore delle ipotesi un compromesso al ribasso e più di frequente una non decisione. Il problema evidentemente è che il principio di sussidiarietà può applicarsi efficacemente solo quando la divisione di competenze verticale avviene all’interno di un soggetto pienamente sovrano. La sua declinazione a livello sovrastatale, invece, si scontra con la necessità di preservare gli interessi nazionali dei singoli Stati membri rispetto a quello generale dell’Unione. In conclusione, nonostante le apparenze, non può esistere una federazione senza uno Stato, ma solo una confederazione.
 

È possibile creare una democrazia senza Stato?

Un’ultima riflessione riguarda la questione della democrazia in Europa. Nel corso dei decenni l’Unione ha cercato di dotarsi di un sistema istituzionale che le permettesse di rispettare il principio democratico alla pari dei suoi Stati membri. Ciò è avvenuto soprattutto grazie all’elezione diretta del Parlamento europeo a partire dal 1979 e al rafforzamento del ruolo di quest’ultimo nei processi decisionali. Oggi la procedura legislativa ordinaria si basa sul così detto principio di “co-decisione”, secondo cui gli atti vengono adottati dal Palamento, quale camera dei cittadini europei, e dal Consiglio, quale camera degli Stati. Inoltre sono stati introdotti negli anni strumenti di così detta “democrazia partecipativa” tra cui la consultazione dei portatori di interesse in vista della proposta di atti legislativi, l’iniziativa dei cittadini europei, l’invio di petizioni al Parlamento, il ricorso al mediatore europeo. Da ultimo sarebbe l’instaurazione della prassi dei cosiddetti Spitzenkandidaten a premettere ai cittadini europei di scegliere il Presidente della Commissione attraverso il voto per il Parlamento europeo.

Ebbene, nonostante questi innegabili successi, il problema del così detto “deficit democratico” non è stato davvero risolto, motivo per cui l’Unione ancora oggi non avrebbe le carte in regola per rispettare i criteri che lei stessa richiede ai suoi Stati membri per l’adesione. Come è stato già detto, tutte le decisioni fondamentali relative al funzionamento interno dell’organizzazione (riforma dei trattati, risorse proprie, quadro finanziario pluriennale) ed allo sviluppo di alcune politiche sensibili (politica estera e di sicurezza comune) richiedono l’unanimità dei governi con un ruolo più o meno di secondo piano per il Parlamento europeo.

La debolezza ovvero l’immaturità della democrazia europea non va ricercata nell’inesistenza di un pre-esistente “demos europeo”, come affermano i sostenitori della cosiddetta Volksdemokratie. Il problema fondamentale resta invece la natura internazionalistica dell’Unione, ovvero il fatto che le decisioni più importanti dell’organizzazione non sono espressione della volontà popolare, bensì degli Stati membri. Finché i padroni dei Trattati saranno i governi nazionali e non i cittadini, la democrazia europea resterà qualcosa di incompiuto. Allo stesso tempo, solo la creazione di una sovranità statale sarebbe in grado di far nascere un vero popolo europeo, perché cementificherebbe in una costituzione l’esistenza di una comunità di destino tra i cittadini europei e creerebbe un rapporto di fedeltà tra quest’ultimi e l’Unione stessa, superando la mediazione dei governi nazionali.


* Relazione presentata alla riunione dell’Ufficio del Dibattito del Movimento federalista europeo su Il federalismo e i concetti di potere politico, potenza, statualità e sovranità, svoltatsi a Firenze il 17-18 ottobre 2020.

 

 

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