Anno LXI, 2019, Numero 3, Pagina 126
Il senso spirituale dell’Europa
come concetto filosofico e
non semplice espressione geografica
MARCO DE ANGELIS
1. La problematica della rinuncia alla sovranità nazionale e il senso filosofico dell’Europa.
Il processo di unificazione europea si trova in un’evidente situazione di forte crisi, il che c’invita a riflettere sul suo senso filosofico prima ancora che politico. Da un punto di vista strettamente politico, infatti, occorre dire che alla fin fine probabilmente a molti se non a tutti gli Stati appartenenti all’Unione europea non convenga e comunque risulterà molto difficile rinunciare alla propria sovranità nazionale, cosa che sarà invece necessaria quando si dovrà prima o poi passare dall’unione economica a quella propriamente politica. Se, dunque, vogliamo che i singoli Stati europei optino un giorno futuro per tale difficile e almeno inizialmente dolorosa scelta, è necessario individuare una motivazione ben più forte sia di quella economica, sia di quella politica. Soltanto una motivazione filosofica può rispondere a tale requisito, essendo la motivazione economica per molti Stati semplicemente non conveniente, considerato il livello di benessere da essi raggiunto come Stati nazionali. Ecco perché, dunque, il vero e proprio problema dell’attuale processo di unificazione europea non è tanto da ricercare a livello economico né tanto meno politico, quanto piuttosto nell’aspetto culturale, spirituale e quindi, alla fine, filosofico.
2. Il concetto di “Europa”.
Per rispondere a tale quesito, ossia se ci sia un senso filosofico dell’Europa, bisogna anzitutto riflettere sul concetto di “Europa”. Non s’intende, infatti, con tale termine tanto il territorio geografico sul quale insistono i vari paesi che fanno parte a vario titolo della comunità, quanto piuttosto ciò che li unisce da un punto di vista storico, in particolare di storia della cultura, delle tradizioni, delle mentalità. Si tratta, insomma, di quel qualcosa che non si vede, che non è di tipo materiale né è quantificabile da un punto di vista economico, né tantomeno individuabile da un punto di vista politico, bensì si nasconde e vive nell’animo delle persone, dei protagonisti, di coloro che godono dei diritti o anche soffrono a causa dei corrispondenti doveri e sacrifici che tale nuova formazione statale comunque porta con sé, dunque dei cittadini europei.
Da questo punto di vista più profondo, l’Europa ci si presenta come quell’ambito culturale che ha dato vita a tutte le concezioni filosofiche, politiche ed anche economiche, le quali poi hanno fortemente contraddistinto il mondo moderno e contemporaneo e ancora oggi reggono la vita della comunità umana sul pianeta Terra.
3. La centralità culturale in senso filosofico-politico dell’Europa nel mondo (almeno fino ad oggi).
La prima di tali dottrine è quella che dal 1989 in poi, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica, appare come la vincente, come la dottrina destinata a dominare non solo nei paesi del mondo occidentale, ma in tutto il mondo: si tratta della concezione liberale dello Stato e liberista dell’economia, in una parola quindi del sistema socio-economico capitalistico. Esso ha il proprio padre fondatore nel filosofo ed economista scozzese Adam Smith, in particolare nella sua opera del 1776 Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni.[1] Essa si basa sull’assunto fondamentale dell’uomo come ‘homo oeconomicus’, portato quindi ad agire per il proprio benessere individuale come qualsiasi essere animale che, allo stato selvaggio e naturale, pensa prima a sé, se non solo a sé. Tale comportamento non condurrebbe, però, a giudizio di Adam Smith, al disordine sociale, quindi alla hobbesiana guerra di tutti contro tutti, bensì al suo contrario, ossia all’ordine sociale. Questo sarebbe il risultato di leggi di mercato che operano in modo invisibile.
Partendo da questo duplice presupposto filosofico ed economico, per Smith lo Stato deve allora semplicemente lasciar agire i singoli soggetti economici, deve ostacolare quanto meno possibile, anzi la sua attività deve consistere proprio nel favorire l’economia e nel combattere quei comportamenti che invece potrebbero fungere da ostacolo alla libera attività economica.
A tale teoria si oppose, dopo quasi cento anni, la fortissima critica di Karl Marx, formulata prima in vari studi e scritti di carattere filosofico-politico, poi espressa con le categorie dell’economia politica nell’opera Il Capitale (1867).[2] Conseguenza ne fu l’edificazione, dopo altri cinquant’anni circa, a partire dal 1917, in regioni importanti del mondo, di un modello di società del tutto opposto a quello liberista, nel quale lo Stato domina completamente l’economia, evidentemente sulla base della concezione filosofica marxiana della natura sociale e non egoistica dell’essere umano (quindi l’uomo come essere sociale e non economico).
Marx, infatti, seguendo un ragionamento improntato alla fiducia in una natura sociale dell’essere umano, che ha le proprie origini nel pensiero di Jean-Jacques Rousseau, individua nella proprietà privata, in particolare in quella dei mezzi di produzione, l’elemento che impedisce quell’armonia sociale, invece ritenuta sicura da Smith. Ciò a causa dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, reso possibile da quella forma di proprietà, per cui alcuni esseri umani, la maggior parte, non disponendo di tale proprietà, devono vendere la propria forza-lavoro a coloro che invece ne dispongono.
La proprietà dei mezzi di produzione, dunque, è per Marx l’ostacolo fondamentale all’armonia sociale. Soltanto una rivoluzione, voluta e realizzata dalla maggioranza dei non-proprietari, il proletariato, contro i proprietari, può eliminare tale ostacolo fondamentale, trasformando la proprietà dei mezzi di produzione da privata in pubblica.
Da questa disanima, necessariamente breve per ovvii motivi di spazio, ma che mette comunque in luce i concetti fondamentali, risulta in modo chiaro come le due teorie abbiano estremizzato in modo molto pericoloso il discorso: da una parte abbiamo una teoria che assolutizza l’individuo, riducendo al minimo i diritti dello Stato, il quale viene chiaramente in second’ordine rispetto al primo e non è considerato avente una pari dignità; dall’altro, al contrario, una teoria che assolutizza lo Stato, identificando il bene di tutti gli individui con il bene dello Stato e non riconoscendo pari dignità a quegli individui i quali invece intendano affermare sia in senso politico (dissenso), sia in senso economico (imprenditoria privata) la propria individualità.
Evidentemente un’estremizzazione pericolosissima e tutto il sangue che è stato versato nel ventesimo secolo ne è stata purtroppo una diretta conseguenza.
Oggi, nonostante sembri che la concezione liberista dell’economia e liberale dello Stato si stia decisamente affermando a livello planetario, non solo resta però tale suddivisione del mondo in due tipi fondamentalmente diversi di organizzazioni socio-economiche, ma l’assunto dell’autoregolazione del mercato è stato ampiamente smentito dalla storia e gli Stati, anche nei sistemi socio-economici capitalisti, devono intervenire massicciamente per mantenere sia una certa armonia sociale, per esempio tramite i sindacati, sia anche proteggendo la natura dall’inquinamento industriale e dallo sfruttamento dello risorse.
D’altra parte non è che al comunismo sia andata meglio. L’Unione sovietica è crollata e la Cina si sta fortemente sviluppando in senso capitalista grazie all’ampio sfruttamento dei mercati mondiali, quindi proprio di quella componente decisiva del capitalismo che essa pure in linea teorica come Stato comunista dovrebbe aborrire.
Tornando ora al nostro quesito sulla centralità culturale dell’Europa, possiamo constatare che entrambi, capitalismo e comunismo, hanno avuto origine in Europa. Il continente europeo ha fornito, quindi, al mondo entrambe le teorie, sia la sua forma di organizzazione filosofica e socio-economica liberista, sia anche il suo possibile opposto, dunque quella teoria che cerca di costruire una radicale alternativa al progetto capitalistico.
Partendo da queste premesse, la prima conclusione che possiamo trarre da tale breve schizzo degli ultimi due secoli e mezzo circa di storia, è che l’Europa si presenta da un punto di vista culturale anzitutto come il luogo in cui è pensata l’organizzazione filosofica, socio-economica e quindi anche politica della comunità umana a livello mondiale.
Cerchiamo di capire ora:
– in primo luogo per quale motivo proprio l’Europa sia stata tale luogo di formazione del nucleo concettuale che ha retto e ancora regge l’organizzazione politica mondiale internazionale;
– in secondo luogo se essa possa svolgere ancora oggi e nel prossimo futuro tale decisiva funzione di guida filosofico-politica dell’umanità.
4. Il motivo della centralità filosofico-politica dell’Europa nel mondo.
Riguardo alla prima domanda, la risposta da dare può essere una sola: l’Europa ha potuto svolgere tale funzione universale perché essa è stata la sede geografica della filosofia, ossia dello sviluppo dello spirito, il quale, nel corso di ben 2500 anni almeno, ha elaborato in sé la capacità di comprendere il mondo, dunque l’ambiente in cui esso vive, e di conseguenza di formulare un ideale, un progetto etico e socio-politico di vita in esso.
Questo immenso lavoro filosofico, svolto da centinaia e forse anche migliaia di filosofi, anche se noi poi oggi ne ricordiamo solo alcune decine, ha condotto proprio intorno alla fine del 1700 alla dottrina dell’Illuminismo. Essa ha segnato una svolta profonda nella storia dell’umanità, consentendo quello che Immanuel Kant, sicuramente uno dei più grandi pensatori della storia dell’umanità e probabilmente anche il pensatore simbolo del pensiero illuminista, ha definito come “(…) l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità (…)”.[3]
Con l’illuminismo l’essere umano si rende, infatti, definitivamente conto di essere nella propria essenza “ragione” e che tale ragione da un punto di vista teoretico è in grado di comprendere il mondo (anche se per Kant in modo ancora soggettivo o tutt’al più intersoggettivo, mentre poi Schelling e Hegel, sviluppandone il pensiero, comprenderanno la capacità dell’uomo di pervenire a una conoscenza oggettiva della realtà). Da un punto di vista etico, poi, l’uomo diventa cosciente di poter (e dover) realizzare il bene.
Mentre, dunque, fino a Kant o comunque fino al pensiero illuminista anche francese e inglese, era stata la religione a dominare l’organizzazione sociale dell’umanità, da quel momento in poi la situazione cambia: la filosofia, dunque la ragione, prende con decisione nelle proprie mani l’organizzazione dello Stato. Gli ultimi due secoli, l’Ottocento e il Novecento, sono stati dominati appunto dalla filosofia, anzi dalle filosofie che si sono contese il dominio della politica e quindi dell’organizzazione della vita della comunità umana sul pianeta Terra.
Abbiamo allora già la prima risposta alla domanda circa il motivo per cui proprio l’Europa sia la sede in cui, almeno fino ad oggi, sono stati pensati i modelli socio-economici dell’organizzazione politica dell’umanità. Si tratta della centralità del nostro continente nello sviluppo della storia della filosofia, la quale, partendo dalla Grecia, si è poi pian piano nel corso dei secoli sviluppata nelle altre nazioni europee, Italia, Spagna, Francia, Inghilterra ecc. per trovare poi tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, ma anche poi successivamente nel corso di tutto l’Ottocento, il proprio momento, almeno temporaneamente conclusivo, in Germania (suggestiva a tal proposito la concezione della storia della filosofia proposta da Bertrando Spaventa, fondata sull’idea di una “circolazione della filosofia europea”,[4] secondo la quale la filosofia tornerà prima o poi a fiorire nei suoi luoghi d’origine, quindi in Italia e in Grecia).
5. Il futuro della centralità filosofico-politica dell’Europa nel mondo.
Veniamo ora alla seconda questione, ossia se l’Europa possa svolgere ancora oggi e in futuro tale sua funzione culturale e intellettuale di essere il luogo in cui si pensa l’organizzazione sociale, economica e politica dell’umanità.
Per dare una risposta a tale domanda, cerchiamo anzitutto di capire quale sia la situazione attuale dell’umanità. In linea generale possiamo dire che i 250 anni circa di sviluppo intenso del capitalismo, compreso il tentativo del suo superamento da parte del socialismo-comunismo, sono stati sicuramente i due secoli più terribili della storia dell’umanità. Proprio l’evoluzione della tecnica militare, dovuta ovviamente allo sviluppo industriale, a sua volta conseguenza del pensiero liberale e liberista, ha messo nelle mani dell’essere umano armi micidiali che hanno causato dolore e morte in quantità e dimensioni prima inconcepibili. Soltanto l’uso della bomba atomica e poi l’evoluzione di questa in bomba nucleare hanno impedito, secondo il principio della deterrenza, che si verificasse una terza guerra mondiale, cui si è andati in alcuni momenti della storia recente molto vicini, con conseguenze assolutamente imprevedibili a livello planetario.
Volendo trarre un bilancio dello sviluppo del pensiero liberale nel corso degli ultimi due secoli, non potremmo che trarne un bilancio fondamentalmente negativo, perché, se è vero che il benessere materiale ha allungato la vita media dell’uomo, almeno in Occidente, migliorandone anche la qualità e quindi le possibilità di realizzazione individuale e potremmo dire anche di felicità, com’era del resto nelle intenzioni della filosofia scozzese da cui prese le mosse Adam Smith, è anche vero però che il prezzo pagato a livello mondiale per questo indiscutibile progresso materiale è stato altissimo.
A questo punto occorre chiedersi se siamo disposti in futuro a pagare ancora tale prezzo, perché è inutile illudersi che il periodo delle guerre anche nel mondo occidentale sia terminato nel 1945, poiché purtroppo le situazioni di conflitto che minacciano di degenerare prima o poi in una guerra, che possa coinvolgere anche l’Occidente, persistono tutt’ora e, come del resto è sempre accaduto nella storia, ne sorgeranno ancora altre in futuro. A questa possibilità, purtroppo sempre aperta, di una guerra che da locale possa evolversi in mondiale, v’è da aggiungere poi la questione sempre attualissima e in modo ricorrente del terrorismo. Esso, se oggi è arrivato alle armi chimiche, per lo sviluppo inevitabile e inarrestabile della tecnica presto o tardi arriverà ad armi ben più distruttive. Ciò non è probabile, bensì sicuro.
Chiediamoci allora: può fare l’Europa qualcosa per indirizzare la storia futura dell’umanità verso un cammino di pace ovviamente mondiale e quindi, se non distruggere per sempre la possibilità di un conflitto catastrofico, almeno renderlo altamente improbabile, eliminando quelle cause che in quanto sempre attive, sebbene nascoste, prima o poi trovano un catalizzatore e da latenti diventano attuali?
Ci chiediamo ancora: possibile che l’Europa abbia elaborato soltanto la concezione liberale e liberista, fortemente improntata sull’individuo, e la concezione opposta di tipo socialista e comunista, chiaramente improntata sullo Stato proprio in opposizione all’impostazione individualista di tipo capitalista, e non sia riuscita a elaborare anche una concezione mediana? Questa dovrebbe essere capace di considerare al proprio interno sia le giuste pretese dell’individuo a una propria realizzazione materiale e spirituale, sia anche la necessità che lo Stato fermamente controlli tale sviluppo individuale e non faccia sì che individui, operanti con scopi egoistici e individualistici, diventino una minaccia per lo Stato stesso, sottomettendo altri individui, magari meno portati all’individualismo e più portati invece a un comportamento aperto al sociale.
Tale aspetto culturale e spirituale è essenziale, come ammonisce il grande storico inglese Arnold Toynbee nel suo pregevole lavoro Il racconto dell’uomo. Cronaca dell’incontro del genere umano con la Madre Terra: “Nell’arco di questi due ultimi secoli l’Uomo ha accresciuto la propria potenza materiale a un grado tale da divenire una minaccia per la sopravvivenza della biosfera, ma non ha sviluppato di pari passo le proprie possibilità spirituali; anzi, lo iato tra queste e la sua potenza materiale è andato di conseguenza ampliandosi. Questa discrepanza è motivo di perturbazione, perché solo uno sviluppo delle potenzialità spirituali dell’Uomo è ormai l’unico mutamento concepibile nella costituzione della biosfera che può proteggere la biosfera stessa, e l’Uomo con essa, dalla distruzione a causa di un’avidità che è oggi armata della forza necessaria per sconfiggere i suoi stessi fini.”[5]
6. La concezione filosofico-politica di superamento della dicotomia liberalismo-comunismo, individuo-Stato.
Sempre avendo come punto di riferimento Immanuel Kant, che dai giovani tedeschi a lui contemporanei veniva chiamato “Vater (padre) Kant”, troviamo nelle sue opere di carattere pratico, in particolare nella Fondazione della metafisica dei costumi (1785)[6] un pensiero importantissimo, il quale, presupponendo il principio della ragione e l’ideale della libertà di stampo chiaramente illuministico e liberale, nondimeno apre l’etica ad un discorso di tipo comunitario. Si tratta del secondo imperativo categorico, che recita così: “Agisci in modo da aver bisogno dell’umanità, sia nella tua persona come anche nella persona di ogni altro, sempre allo stesso tempo come fine e mai soltanto come mezzo.”[7]
In tale principio Kant individua come regola fondamentale dell’agire etico la considerazione dell’altro essere umano come fine e mai come mezzo. Si tratta di un pensiero storicamente importantissimo, poiché segna il passaggio dalla concezione etica illuministica e quindi anche liberale inglese di stampo empirista e individualista, alla concezione etica prima trascendentale poi idealistica, sviluppata tra gli altri in particolare da Fichte, Schelling e Hegel. In quest’ultima concezione filosofica, che ha sicuramente nel sistema filosofico hegeliano il proprio momento sintetico, troviamo, infatti, una dottrina etica, dalla quale deriva poi anche una teoria socio-economica e politica, in grado di individuare il giusto equilibrio tra la realizzazione dell’individuo e la necessità che lo Stato la regoli e limiti, conferendole sia le proprie giuste dimensioni, sia anche il proprio adeguato orientamento etico. Il secondo imperativo kantiano segna quindi il momento di svolta da una visione puramente individualistica dell’etica a una sua visione intersoggettiva, sociale, comunitaria.
La concezione hegeliana dell’eticità, quale si trova nella filosofia dello spirito oggettivo dell’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche,[8] rappresenta il momento culminante di tale sviluppo idealistico volto a superare la dicotomia tra individuo e Stato. Nel concetto di “eticità assoluta” il filosofo di Stoccarda ritiene, a nostro avviso in modo corretto, di trovare il giusto equilibrio tra la libertà del singolo, quale parte del tutto costituito dallo Stato, e la necessità che le varie libertà individuali all’interno dello Stato, di cui fanno appunto parte, trovino una loro armonizzazione. Soltanto in tal modo, infatti, gli individui possono vivere una vita degna di essere vissuta e allo stesso tempo la comunità statale può garantire a ognuno, indipendentemente dalle condizioni fortuite della propria nascita, una vita dignitosa.
Hegel, sulla base di serrate argomentazioni logico-metafisiche che qui non possiamo elencare, alle quali il filosofo dedicò studi durati decenni confluiti poi nella Scienza della Logica (1812-16),[9] individua come senso della vita del singolo e quindi sua realizzazione terrena una vita dedicata alle istituzioni intersoggettive in cui è riconosciuto nella propria dignità di essere umano (uomo o donna), di lavoratore e di cittadino. Si tratta della famiglia, della società civile e dello Stato.
Ognuna di tali istituzioni è fondata da un valore etico: la famiglia dall’amore, la società civile dal lavoro, lo Stato dall’umanità. Nella famiglia l’essere umano si realizza come marito o moglie, padre o madre, figlio e figlia e così via; nella società civile come lavoratore secondo le varie professioni; infine, nello Stato si realizza come cittadino. Quel che accomuna tali istituzioni è l’elemento della creatività: la famiglia è una creazione dell’individuo; nel lavoro l’individuo è creativo e contribuisce a produrre quei beni che servono alla propria comunità e quindi indirettamente attraverso lo scambio economico anche a se stesso; infine, anche lo Stato è creazione politica, che rende possibile sia la vita della famiglia, quindi degli individui che ne fanno parte, sia l’intera organizzazione del mondo del lavoro, dunque della società civile.[10]
L’ideale kantiano dell’essere umano come fine, scopo per l’altro essere umano è realizzato, pertanto, pienamente nella concezione hegeliana dell’eticità: nella famiglia i coniugi sono fine l’uno per l’altro e ovviamente i figli fine per i coniugi e reciprocamente i genitori devono essere fine per i figli; nel mondo del lavoro il lavoratore deve avere come scopo la produzione di un bene che serva alla comunità e non deve mai avere il profitto individuale come fine del lavoro, bensì sempre il bene comune, anche perché ciò oltre tutto gli ritorna, avendo anche gli altri lavoratori come fine la produzione di quei beni che servono a lui; infine, nello Stato il contributo che il cittadino dà a livello politico sia passivo, eleggendo coloro che poi elaboreranno le leggi, sia attivo, se si fa eleggere, avrà come fine la vita dello Stato e quindi la vita propria e degli altri concittadini sia presenti sia anche futuri, quindi anche le prossime generazioni.
In tale concezione hegeliana dell’eticità assoluta viene pertanto saldamente mantenuta e conservata come fondamento la coppia concettuale ragione e libertà che è anche a fondamento della concezione illuministico-liberale e quindi anche del capitalismo, ma tale libertà e tale ragione non vengono considerate come qualcosa d’individuale e di egoistico, bensì come qualcosa di sociale. La scoperta di Hegel, basandosi ovviamente su Kant, è che la felicità dell’individuo, la sua autorealizzazione, sia soltanto possibile nelle forme sociali della famiglia, del lavoro e dello Stato. Solo avendo come scopo gli altri esseri umani l’individuo trova, infatti, il proprio riconoscimento come essere individuale, nelle varie funzioni che esso svolge nella società e nei vari ruoli che in essa assume. Agli altri esseri umani si è, infatti, sempre relazionati sulla base di quelle che sono le condizioni anche naturali della vita, quindi l’amore conduce alla famiglia con lo scopo della riproduzione, il bisogno di procacciarsi i beni essenziali per vivere conduce al lavoro ed infine la necessità di unirsi per dominare insieme le difficoltà della vita conduce ad unirsi in comunità statali sempre più grandi, superando quindi le inimicizie e le guerre tra popolazioni distinte.
Una tale concezione etica e quindi anche socio-economica e politica si rivela essere la giusta via di mezzo tra uno sfrenato ed egoistico individualismo, proprio della concezione liberista di stampo smithiano, il quale alla fine ha portato soltanto allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ad una situazione mondiale di concorrenza e anche di sfruttamento dello Stato su un altro Stato, in ultima analisi dunque alle guerre mondiali ed alla situazione attuale di difficoltà di convivenza tra varie culture in un mondo ormai globalizzato ed unitario, e dall’altra parte un rigido socialismo di stampo comunista, che non è riuscito a comprendere le giuste esigenze di autorealizzazione dell’individuo e quindi a garantire ai singoli quelle libertà fondamentali irrinunciabili da un punto di vista illuminista, anch’esso ormai irrinunciabile nel progresso dello spirito umano.
7. L’Europa culla anche del mondo futuro.
Da questo punto di vista superiore di superamento della dicotomia individuo-Stato, che ha bloccato il mondo per tutto il secolo scorso e ancora oggi, per quanto in modo surrettizio, ancora lo blocca, non consentendo quella aperta e pacifica collaborazione fra le grandi potenze che soltanto potrebbe garantire una pace duratura e stabile dappertutto sul pianeta Terra, si apre la possibilità per l’Europa di confermarsi ancora una volta come lo spazio geografico nel quale sono elaborate quelle teorie che poi consentono lo sviluppo culturale e spirituale dell’umanità intera. Il tempo dello sviluppo liberale e liberista è ormai finito, come del resto è cessato il tempo dello sviluppo socialista e comunista. Quel che si staglia all’orizzonte è un mondo globale nel quale non ci può essere né lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, né lo sfruttamento di uno Stato su un altro Stato, ma neanche è pensabile che le libertà fondamentali dell’individuo siano calpestate in un sistema dittatoriale, per quanto orientato all’uguaglianza sociale.
L’Europa grazie alla concezione hegeliana dell’eticità assoluta, che ovviamente deve essere oggi attualizzata, migliorata, perfezionata, ha fornito, comunque, all’umanità la chiave per costruire un mondo di pace, nel quale l’individuo possa autorealizzarsi non contro lo Stato ma per lo Stato, non contro la comunità ma per la comunità e lo Stato a sua volta abbia di mira la realizzazione, la felicità dell’individuo stesso. Stato e individuo non sono dunque due opposti, bensì entrambi una sola cosa, l’essere umano sociale, non potendo esistere né una società senza individui né individui senza società.
Questa è la base filosofica sulla quale costruire un’Europa nuova, la quale non solo costruisca la pace al proprio interno, come del resto sta già facendo e con successo ormai da settant’anni, ma sia anche in grado di essere il modello di una pace a livello mondiale. Le altre potenze, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina come anche gli Stati emergenti, sono, infatti, incapsulate in una visione ormai superata che si fonda sull’individuo o sullo Stato, ma che non riesce a comprendere l’unità di entrambi e, soprattutto, a livello mondiale fanno prevalere il principio dello sfruttamento dello Stato su di un altro Stato, il principio della concorrenza e non quello della cooperazione e della collaborazione.
Anche in questo caso bisogna riferirsi oltre che a Hegel sempre a “padre Kant”, il quale nel 1795 pubblicò un testo fondamentale, oggi attuale più che mai: Sulla pace perpetua.[11] Solo una federazione mondiale di Stati liberi può garantire una pace perpetua sulla terra. L’Europa deve prima realizzare al proprio interno tale ideale kantiano, seguendo il principio filosofico e quindi anche socio-economico, dell’eticità assoluta, poi farsi promotrice a livello mondiale di una federazione di Stati, la quale anch’essa si basi sul principio dell’eticità assoluta. Per una pace duratura e stabile sul pianeta Terra non esiste altra possibilità. La filosofia ci ha fornito i mezzi concettuali per realizzare una federazione mondiale che consenta a tutti gli esseri umani una vita dignitosa, indipendentemente dal fortuito luogo di nascita. Sta a noi, a tutti noi, far sì che questi principi filosofici divengano realtà politica sulla base della grande tradizione filosofica europea.
8. I fondamenti filosofico-religiosi del nuovo mondo.
Ma non solo a livello di discorso etico e socio-economico la grande filosofia classica da Kant a Hegel contiene i principi del superamento dell’attuale situazione di stallo nelle relazioni internazionali. Anche a livello di discorso etico-religioso, tale filosofia ci fornisce la chiave per risolvere quello che sempre più appare come l’altro ostacolo alla pace nel mondo di domani, ossia lo scontro tra la civiltà razionale e filosofica di origine europea e occidentale e le culture ancora fortemente ancorate alla religione, con le quali essa inevitabilmente viene a contatto nel mondo ormai globalizzato. Anche qui Kant si rivela come colui che ha spianato la strada. È del 1793 il suo scritto La religione nei limiti della semplice ragione, in cui il filosofo chiarisce la via che porterà dalle varie religioni singole, ancora dogmatiche e intrise di superstizione, all’unica religione universale e razionale del futuro.[12] Questa costituirà la “chiesa invisibile”, l’unione ideale di tutti coloro che si comportano in modo morale e che non hanno bisogno d’istituzioni oggettive ed esteriori per farlo, poiché ne portano il fondamento nel proprio cuore e nella propria ragione. L’intero discorso filosofico hegeliano, poi, che proprio da tale scritto kantiano aveva preso le mosse negli anni dello studio universitario a Tubinga, presenta la propria filosofia appunto come una religione razionale, che non è in alcun modo ateismo, poiché riconosce un Assoluto, dunque una forza razionale creatrice infinita superiore all’uomo finito, da cui questi dipende, ma lo considera immanente e non trascendente, presente in modo immanente solo nella natura e nell’uomo.
Insomma, anche nel campo della concezione etico-religiosa la filosofia europea, sviluppatasi in Germania tra fine Settecento e inizio Ottocento, portando temporaneamente a termine il cammino più che bimillenario iniziato in Grecia, ha posto le basi per una concezione di conciliazione e non di opposizione tra la profonda esigenza umana di un contatto religioso con l’Assoluto e il principio irrinunciabile della razionalità.
Questa è, dunque, la missione storica che spetta all’Europa, questo il suo senso filosofico! Avviare lo sviluppo di una nuova civiltà, la quale sia di conciliazione tra individuo e Stato, tra visione religiosa e filosofica dell’Assoluto. Così l’Europa si mostrerebbe ancora una volta come il luogo geografico dal quale nasce il nuovo, il nuovo mondo, la nuova società, la nuova speranza per l’umanità, ossia che in futuro ci sia benessere, ma per tutti e non solo per alcuni, libertà, ma per tutti e non solo per alcuni, che gli Stati cooperino e collaborino all’interno di una federazione mondiale, che la visione razionale e quella religiosa del mondo trovino in una filosofia, capace di comprendere l’Assoluto, un punto di consenso comune, capace anche di fondare un’etica comune, dei principi di comportamento individuale e sociale condivisi.
Senza una tale condivisione, senza una base comune, sarà molto difficile, se non impossibile, che il mondo ormai globalizzato possa mai raggiungere una situazione di vita pacifica e dignitosa per tutti sul pianeta Terra.
Una nuova filosofia, la quale non faccia altro che esporre in modo semplice, chiaro, comprensibile a tutti, i principi fondamentali del pensiero kantiano-hegeliano, che contengono la grande summa dell’intera storia filosofica europea, correggendone anche ovviamente quei singoli concetti inevitabilmente ormai superati, deve spianare la via all’Europa del futuro, agli Stati Uniti d’Europa!
9. La missione cosmico-storica dell’Europa e le linee fondamentali della sua realizzazione.
Il nascente Stato europeo dovrà quindi costituire la forza politica capace di modellarsi anzitutto esso stesso sulla base di tale nuova filosofia per poi propagarla in modo ovviamente pacifico nel mondo intero, come del resto l’Europa ha già fatto con il liberismo e il socialismo. Il mondo, insomma, che piaccia o no, viene pensato in Europa, oggi come allora. Questa è dunque la missione dell’Europa, il senso filosofico del suo diventare “Stato” unitario, questa l’idealità che può anche rinnovare il processo di unificazione, oggi chiaramente in una fase critica. Nella storia dell’Europa del resto, come in qualsiasi altra storia, le fasi critiche ci sono sempre state, ma hanno sempre anche preparato una nuova rinascita, sono state il motore di un nuovo slancio ideale. Non diversamente sarà, quindi, per questa crisi, l’importante è individuare la direzione da prendere per superarla e rinascere. Il presente breve saggio intende appunto proporne una.
Questo triplice movimento:
- elaborazione della nuova visione filosofica;
- fondazione sulla sua base del Partito Filosofico Europeo;
- costruzione degli Stati Uniti d’Europa come Stato filosofico corrispondente al principio dell’unità inscindibile d’individuo e Stato,
costituisce il percorso da compiere nei prossimi anni per condurre l’Europa a compiere la missione storica, cui essa è chiamata.
10. La visione opposta: l’Europa come mera espressione geografica ed economica.
A tale visione “filosofica” e “ideale” del progetto europeo si potrebbe contrapporre una visione strettamente “geografica” e “materiale”, la quale individui nell’Europa non tanto un ideale di rinnovamento dell’umanità tutta, quanto una semplice comunità d’interessi anzitutto economici e materiali. Questa è la visione corrente del progetto europeo, il quale ha perso nel corso dei decenni la connotazione ideale che aveva nel suo Manifesto originario, che ormai non viene neanche più citato e spesso neanche è conosciuto, neppure da coloro che poi in vari movimenti e istituzioni lo portano avanti. Così si riduce l’Europa a un’espressione geografica e il suo contenuto politico alla conservazione e all’accrescimento del benessere materiale, in chiara contrapposizione e quindi anche in concorrenza con ciò che non è “Europa”.
11. Analisi filosofica del concetto di “Europa”.
Nella seconda parte del nostro saggio vorremmo scardinare dialetticamente il concetto stesso di ‘Europa’ come formazione geografica e mostrare come in esso in realtà non si annidi altro che il concetto stesso dello Stato tout court.
Nessun tema è, infatti, tanto attuale e scottante oggi come il concetto di Europa. Il motivo di ciò risiede nel fatto che sta nascendo un nuovo Stato sotto i nostri occhi, ma alla fine nessuno sa bene di che tipo di Stato si tratti. Che stia nascendo un nuovo Stato è evidente, nonostante i movimenti nazionalisti e populisti, i quali potranno portare via qualche pezzo a tale Stato e rallentarne il decorso della formazione, ma non certo arrestarne l’inarrestabile marcia. Come nel caso della nascita dello Stato italiano e di quello tedesco nel corso dell’Ottocento, nel processo di unificazione europea le prime mosse concrete sono state a livello economico, in particolare poi dopo i vari trattati iniziali (CECA e così via) soprattutto l’unione doganale (Schengen) e l’unione monetaria (l’euro). Il motivo di ciò è molto semplice, pur nella complessità delle questioni economiche. Prima di poter impostare una politica comune, dunque prima di poter pensare e agire in modo “positivo”, si deve pensare e agire in modo “negativo”, ossia togliendo i vincoli, eliminando gli ostacoli. Questi sono anzitutto da una parte i confini, dall’altra la moneta. Così Schengen ha tolto i confini, l’Euro ha tolto l’ostacolo principale al commercio, ossia la diversità delle monete. Si tratta, dunque, di rimozione di ostacoli e non di una vera e propria politica economica unitaria.
Dall’altra parte, a livello centrale e politico, il Parlamento e la Commissione europea stanno operando da anni a livello di emissione di direttive comuni ai vari Stati europei. Non si tratta di leggi vincolanti e obbligatorie, mancando una capacità coercitiva da parte del potere centrale europeo. Tali direttive hanno, però, l’importantissima funzione di “armonizzare” le varie legislazioni nazionali, quindi di renderle simili tra di loro, preparando così il momento dell’unificazione vera e propria. Questa, evidentemente, quando sarà il momento, non potrà trovare legislazioni radicalmente diverse nei vari paesi, ci dovrà essere un codice unico sia civile sia penale e poi tutta una serie di leggi uguali dovunque in Europa. Per adottare tali codici unici bisognerà evidentemente partire da legislazioni simili, non del tutto diverse. Tali leggi andranno evidentemente a sostituire i codici e le leggi nazionali, fin allora in vigore. Affinché tale operazione finale sia quanto più possibile indolore, le varie legislazioni nazionali vanno, quindi, armonizzate prima. Tal è il compito delle direttive europee in questo stadio iniziale del processo di unificazione.
Insomma, ormai da settant’anni si sta preparando il terreno per la nascita degli Stati Uniti d’Europa. Essa può essere rallentata da periodi di crisi, quale quello attuale dovuto soprattutto all’immigrazione dai paesi arabi e africani, può perdere pezzi anche importanti come nel caso della Brexit, ma non può essere arrestata del tutto: si è troppo avanti dopo sette decenni di storia unitaria entrati ormai nel cuore e nel pensiero di tanti cittadini europei.
12. La problematica della determinazione dei confini europei.
Il vero punto cruciale della questione, quindi, non è quello relativo alla determinazione del momento concreto della nascita degli Stati Uniti d’Europa, ossia quando si passerà dalla fase odierna preparatoria a quella poi conclusiva, quanto piuttosto ai confini di tale Stato europeo[13]. L’Europa, infatti, non è come tale geograficamente ben definita, i suoi confini esterni sono elastici, tant’è che anche la Turchia, uno Stato che sta dimostrando negli ultimi anni sempre più di non appartenere culturalmente all’Europa, nondimeno è, comunque, in contatto da anni con le autorità europee per una sua possibile adesione al progetto europeo. Una riflessione molto più interessante riguarda, però, i confini europei verso est e verso ovest.
Per quanto riguarda l’ovest, sebbene l’Oceano Atlantico evidentemente divida la costa occidentale europea dalle Americhe, nondimeno è evidente che culturalmente sia il nord sia il sud del continente americano siano profondamente affratellati con gli Stati europei, in quanto culturalmente “costole” di tali Stati. Dunque, si può pensare all’Oceano Atlantico come unione e non separazione tra l’Europa e le Americhe. Poniamoci ora questa ipotetica domanda: se un giorno, a formazione degli Stati Uniti d’Europa avvenuta, qualche Stato americano del nord, per esempio il Canada, o del Sud, per esempio l’Argentina, chiedesse di entrare a far parte di tali Stati Uniti d’Europa, capaci di attrarli per il loro sviluppo civile pacifico ed equilibrato, potrebbero mai le autorità europee del momento, magari addirittura ad adesione avvenuta della Turchia, rifiutarsi? Naturalmente, sarebbe per l’Europa un onore oltre che una convenienza per il progetto di pace, che è poi alla fine il vero e proprio scopo del processo di unificazione europea, avere al proprio interno due ‘pezzi’ così importanti sullo scacchiere mondiale. Dunque, l’accettazione dell’ipotetica richiesta può considerarsi del tutto logica e quindi anche sicura.
Non diverso è il discorso nella direzione orientale. La Russia è uno Stato culturalmente profondamente europeo. Essa fa parte a pieno titolo della storia europea, incomprensibile senza la sua partecipazione. Soltanto la rivoluzione russa e poi l’istituzione dell’Unione Sovietica hanno “chiuso” la Russia nei confronti non solo di parte dell’Europa, ma del mondo intero, per cui nei prossimi decenni, essendo venuta a mancare tale chiusura politica, una volta completata la transizione della Russia da Stato comunista a Stato democratico, un riavvicinamento agli Stati europei sembra ovvio e scontato. Per quanto ciò verrà fortemente ostacolato dagli USA, nondimeno sarà un processo storico anch’esso inarrestabile. Se un giorno arriverà, allora, una richiesta da parte della Russia di aderire agli Stati Uniti d’Europa, la risposta da un punto di vista logico non potrà che essere positiva.
Il senso di questo ragionamento non è ovviamente di fare fantapolitica e futurologia, cosa che non appartiene alla filosofia. Tale disciplina s’interroga, infatti, sul senso dei concetti e degli enti reali, che tali concetti significano. Il senso di qualcosa è il suo sviluppo, ciò cui verso questo qualcosa tende. Il concetto di fiore indica per esempio il suo crescere a partire dal seme fino poi alla costituzione del fiore completo e al suo essere quindi come fiore sviluppato. Il concetto di “uomo” indica ugualmente la persona matura, la quale è il risultato del suo sviluppo giovanile. Dunque, se il concetto di qualcosa è il senso del suo sviluppo, allora anche il concetto di “Stato europeo” e di “Stati Uniti d’Europa” starà ad indicare il senso di tale formazione statale, quindi lo sviluppo futuro che porterà appunto a essa. Un discorso sul futuro pertanto è, quindi, proprio inerente alla logica filosofica, se si capisce bene cosa sia un “concetto”, ossia se si venga in chiaro sul “concetto del concetto”, come Hegel ha chiarito e molto bene argomentato nella già citata Scienza della Logica.
13. Lo “Stato europeo” nel suo concetto come “Stato mondiale”.
Fatte queste considerazioni di tipo storico e anche logico, ne deriva allora la seguente conclusione. Posto che:
- l’Europa da un punto di vista culturale almeno verso est e verso ovest non ha chiari confini e che i confini culturali verso sud (paesi arabi ed africani a prevalenza musulmana) esistono chiaramente e si fondano su profonde differenze, il che però non impedisce, come nel caso della Turchia, che si aprano “trattative”;
- il senso profondo, il motivo della sua nascita è la pace, il superamento della guerra come metodo di soluzione dei conflitti mondiali, quali quelli del novecento, da cui essa sorse, e non solo locali,
si deduce che il concetto di “Europa” come formazione politica, ossia il senso del suo essere e quindi anche del suo futuro sviluppo, non può che coincidere con il concetto di Stato mondiale, quale per es. quello formulato da Immanuel Kant nel 1795. Gli Stati Uniti d’Europa portano pertanto un nome che non corrisponde al proprio concetto. Non è, infatti, uno Stato continentale che sta sorgendo, con confini geografici ben precisi e chiari, bensì un vero e proprio Stato mondiale, una comunità mondiale di tutti gli esseri umani che rifiutano la guerra come metodo di soluzione dei conflitti e quindi assumono la pace come valore politico fondamentale e prioritario nei rapporti umani.
14. Il progetto europeo come grande progetto di “riconoscimento” interumano mondiale.
Il progetto filosofico-politico europeo va, pertanto, del tutto ripensato e reimpostato a partire da tale suo concetto. Esso è un progetto aperto a qualsiasi comunità umana, a patto che essa rifiuti la guerra. Ma anche nel caso di tale parola e concetto, ossia “guerra”, ne va chiarito il significato. Che significa propriamente guerra? Sicuramente significa scontro armato tra due compagini statali, ma significa anche in senso più generale un comportamento interumano nel quale un soggetto mira a “non riconoscere” i diritti di un altro soggetto come essere umano. L’espressione “guerra tra vicini” indica per esempio molto bene tale significato più profondo della guerra. L’elemento discriminante è, allora, il mancato riconoscimento: c’è guerra quando non si riconosce il diritto dell’altro ad avere una propria dimensione di vita, un proprio spazio sia esso geografico o anche solo di realizzazione personale.
Fatta questa precisazione sul concetto di “guerra” come “mancanza di riconoscimento”, allora gli Stati Uniti d’Europa, dunque il grande progetto europeo, si rivela essere un grande, immenso progetto di “riconoscimento mondiale”! Essi sono un’apertura a tutti gli esseri umani, braccia aperte a chiunque voglia riconoscere ed essere riconosciuto, indipendentemente dalle proprie origini, soltanto perché “umano”.
Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti d’Europa sono il nucleo originario dello Stato mondiale, del superamento definitivo della condizione di guerra e di mancato riconoscimento interumano sul pianeta Terra. Essi sono l’inizio della realizzazione del grande progetto kantiano della “Pace perpetua”. Come fu “mondiale” la tragedia che costituì l’impulso per Altiero Spinelli e per i suoi compagni di prigionia a elaborare il progetto europeo contenuto nel Manifesto di Ventotene, così è “mondiale”, quindi non solo continentale la dimensione vera, autentica, profonda che spetta a tale progetto.
Pertanto, anche la disamina del concetto stesso di “Europa”, pur partendo da una visione geografica e materiale, sempre ci riconduce allo stesso punto, ossia che al fondo del progetto politico europeo c’è la verità, tutta filosofica, della pace e del riconoscimento tra i popoli, quindi proprio il messaggio fondamentale del Manifesto di Ventotene![14]
15. Lo “Stato europeo” come realizzazione del concetto stesso.
Comunque venga impostata la riflessione sul concetto di “Europa”, si perviene sempre allo stesso punto. “Europa” è lo Stato di per sé, lo Stato come garante della realizzazione dell’individuo, il quale proprio per questo vive per lo Stato. Individuo e Stato sono un’unità inscindibile, un’unità di amore, di dedizione e fiducia reciproca, l’individuo deve amare lo Stato e lo Stato deve amare i suoi cittadini, si devono prendere amorevolmente cura l’uno dell’altro. Ma lo Stato, di cui stiamo parlando, non è uno Stato particolare, per quanto grande possa essere la sua estensione geografica, neanche alla fine il nascente Stato europeo, bensì il concetto stesso dello Stato, che si può realizzare soltanto senza frontiere interne. Non esiste un concetto dello Stato che abbia frontiere, queste sono una costruzione accidentale dovuta al processo storico di realizzazione del concetto dello Stato, che ovviamente non può essere costruito dall’oggi al domani, ma sorge per progressivo accrescimento di comunità sempre più grandi fino alla dimensione totale e mondiale. Soltanto quest’ultima dimensione corrisponde poi al concetto dello Stato! Solo nello Stato mondiale realtà e concetto dello Stato coincideranno! Del resto anche nella rosa sbocciata coincidono alla fine la realtà e il concetto stesso di fiore. Si tratta, dunque, della struttura logico-metafisica della vita e non dipende da noi e dall’essere stesso, perché anche noi siamo così e non possiamo far nulla per essere diversi, anche noi sbocciamo e tendiamo alla realizzazione del nostro concetto, quale esso sia. Ciò è stato argomentato in modo estremamente logico e chiaro sia da Aristotele che da Hegel, i due più grandi logici e metafisici della storia, oltre che da svariati altri pensatori oggi considerati “classici”.
Le frontiere, quindi, vanno superate e abolite, ovviamente in modo ragionato e programmato, il tutto va preparato seriamente e non costruito dall’oggi al domani a tavolino, va realizzato pian piano, ma già da subito. Già da subito occorre impostare il processo di unificazione europea come processo di nascita dello Stato mondiale perché appunto l’Europa è un concetto filosofico, non una semplice espressione geografica.
[1] A. Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, London, W. Strahan and T. Cadell Editions, 1776.
[2] K. Marx, Das Kapital, Hamburg, Otto Meissner Verlag, 1867.
[3] “Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbst verschuldeten Unmündigkeit”, in: I. Kant, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? Berlinische Monatsschrift, Haude und Spener Verlag, Berlin, H. 12 (1784), p. 481.
[4] B. Spaventa, Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia del 1861 nella Università di Napoli, Napoli, Stabilimento Tipografico di Federico Vitale, 1862.
[5] A. Toynbee, Il racconto dell’uomo. Cronaca dell’incontro del genere umano con la Madre Terra, Milano, Garzanti 1987, p. 582 (originale inglese: Mankind and Mother Earth. A Narrative History of the World, Oxford, Oxford University Press, 1976).
[6] I. Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, Riga, Johann Friedrich Hartknoch Verlag, 1785.
[7] Traduzione mia, originale tedesco: “Handle so, daß du die Menschheit, sowohl in deiner Person, als in der Person eines jeden andern, jederzeit zugleich als Zweck, niemals bloß als Mittel brauchst”, in: Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, Akademie-Ausgabe Kant Werke IV, Berlino, Walter de Gruyter Verlag, 1968, p. 429, 10-12.
[8] G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, Heidelberg, Verwaltung des Oßwald’schen Verlags (C.F. Winter), 1830.
[9] G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, Nürnberg, Johann Leonhard Schrag Verlag, 1812-16.
[10] Cfr. M. De Angelis, Filosofia per tutti (1.0). Manifesto per l’Identità Filosofica del Popolo Europeo, Lecce, Libellula, 2016, pp. 45-62.
[11] I.Kant, Zum ewigen Frieden, Königsberg, Friedrich Nicolovius Verlag, 1785.
[12] I. Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft, Königsberg, Friedrich Nicolovius Verlag, 1793.
[13] Cfr. al riguardo il pregevole saggio di L. Alfieri, I confini d’Europa, Europea, 1, n. 2 (2016), pp. 7-32.
[14] A tal riguardo sono fondamentali gli studi di Mario Albertini, nei quali è argomentata in modo chiarissimo la superiorità dello Stato mondiale rispetto allo Stato nazionale (si veda la raccolta: M. Albertini, Tutti gli scritti, a cura di Nicoletta Mosconi, Bologna, Il Mulino, 2006 sgg.).