Anno XL, 1998, Numero 2, Pagina 135
Spinelli Monnet Albertini
JOHN PINDER
Spinelli.
Alberto Jacometti, che si trovava ancora a Ventotene nelle settimane successive alla liberazione, scrisse che «Spinelli ha la stoffa di un fondatore di movimenti»[1]. In quello stesso periodo Spinelli confermava questo giudizio ispirando la fondazione del MFE a Milano. Ma Spinelli era molto più che un fondatore di movimenti. Egli era, nelle parole di Albertini, un eroe politico in senso weberiano e, in quelle di Rossolillo, un uomo dell’opera in senso heideggeriano[2].
L’opera di Spinelli è nota. Ma occorre ai nostri fini ricordarne gli elementi principali. Quando l’esercito europeo fu proposto dal governo francese nel 1950, Spinelli comprese subito che un esercito doveva essere responsabile di fronte ad un governo federale. Egli convinse De Gasperi che occorreva una Comunità politica europea; De Gasperi a sua volta convinse gli altri governi; e Spinelli lavorò con Spaak, allora Presidente dell’Assemblea ad hoc, per promuovere la creazione del trattato relativo[3]. Albertini ha osservato nella sua prolusione all’anno accademico 8586 dell’Università di Pavia[4] che, senza la cattiva fortuna, l’esercito europeo, e dunque la Federazione europea, avrebbero potuto essere realizzati trent’anni fa. Del resto Spinelli, con la sua eccezionale capacità di analisi politica, aveva già scritto nel suo diario,. all’indomani della morte di Stalin, che questa poteva «significare anche la fine del tentativo attuale di unire l’Europa»[5].
La reazione di Spinelli alla caduta della CED fu del tutto opposta a quella di Monnet, che cercò un rilancio comunitario nel campo economico. Spinelli criticò duramente questo approccio e tentò di condurre l’UEF ad un «nuovo corso», quello del Congresso del popolo europeo. Ma perfino nel MFE c’era, anche secondo il diario, un «notevole malcontento» contro il nuovo corso da parte di uomini con forti preoccupazioni di vita politica nazionale. Spinelli peraltro era consapevole dell’importanza del fatto che fossero rimasti con lui i suoi «discepoli, Badarau, Albertini, Da Milano... che [avevano] compreso il senso dell’azione da [lui] voluta». Sempre nel diario egli aggiunse: «Il momento è venuto ormai di tirare io, solo, le conclusioni, e non già di cominciare a discutere con altri per cercare il nuovo cammino, ma tracciarlo io, solo. E che Dio mi aiuti»[6].
Questa era la reazione intrepida dell’eroe politico, dell’uomo dell’opera. Ma il tentativo non ebbe il successo politico sperato da Spinelli. Certo, la Campagna formò parecchi militanti, soprattutto italiani. Ma questo non era mai stato lo scopo principale di Spinelli, che desiderava sempre risultati politici a breve o medio termine. Poiché tali risultati non ci furono, e ci si trovava nel periodo in cui la Comunità era dominata da de Gaulle, Spinelli sospese la sua lotta politica federalista per intraprendere un decennio di attività in gran parte accademica. Egli riconobbe in seguito il successo della Comunità di Monnet e tentò di continuare la lotta federalista come membro della Commissione europea. Imparò molto sulla politica comunitaria, ma non riuscì a convincere gli altri Commissari della necessità di impegnarsi in questa lotta. Non era quello il posto giusto per Spinelli. Egli era un parlamentare, non un uomo di governo. E quello di parlamentare fu appunto il ruolo che gli consentì di compiere il suo capolavoro: il progetto di Trattato per l’Unione europea.
Dopo il lancio di questa iniziativa alla famosa cena nel ristorante «Crocodile», Visentini, che vi partecipò, scrisse a Spinelli, rimproverandogli di essere «sempre stato ed ora di esser diventato ancor più intollerante con le idee degli altri»; e anche Albertini gli scrisse una lettera nello stesso senso. Nel diario si trova un’interessante osservazione di Spinelli: «Riconosco senz’altro che nelle discussioni ho un linguaggio aggressivo che fa pensare all’intolleranza. Ma non credo di essere intollerante. Tengo a quel che penso, ma ho sempre avuto la sensazione di stare attento alle idee altrui, e di essere sempre assai incline a cooptarle se riesco a connetterle con le mie. Ma se questa deve essere chiamata intolleranza, ciò vuol dire che si desidera che io abbandoni le mie idee per mostrare quanto comprendo quelle altrui»[7].
Questo è vero. Eppure è una questione di misura. Mi sembra che, prima della battaglia per il progetto di Trattato in seno al Parlamento europeo, l’inclinazione di Spinelli a cooptare le idee altrui fosse troppo limitata. Per questo egli aveva difficoltà a lavorare a lungo con altre persone. «Sono ormai 15 anni che mi sto battendo per creare un gruppo di federalisti hamiltoniani», egli scrisse nel diario del 10 gennaio 1956, «e sono ancora un solitario. Devo continuare? E se sì, in quale direzione?»[8]. Come abbiamo visto, Spinelli riprese rapidamente coraggio e lanciò l’originale e ambiziosa Campagna del Congresso del popolo europeo. Le parole di Eric Weil che ha citato Rossolillo sul Federalista sono evidentemente adatte al personaggio: «l’uomo dell’opera è non solo unico... ma solo. Sarebbe assurdo per lui immaginarsi al posto di un altro, perché non esistono posti né esseri comparabili ... Gli uomini non sono che i mezzi ... la massa, il materiale dell’opera, l’uomo dell’opera non può parlare con gli altri, ma soltanto agli altri»[9]. Weil ha definito non Spinelli, bensì un tipo ideale. Ma Spinelli era più vicino a questo tipo di qualsiasi altro personaggio che ho mai conosciuto.
Nel Parlamento europeo, comunque, per l’elaborazione del progetto di Trattato, Spinelli lavorò con grande successo con quasi tutti i gruppi politici e soprattutto con i colleghi della commissione istituzionale. Successivamente, dopo l’approvazione del progetto da parte del Parlamento, egli convinse molti gruppi e personaggi politici, compreso il Presidente Mitterrand, ad appoggiarlo. L’europarlamentare britannico Derek Prag espresse apprezzamento per la capacità di Spinelli di fare i compromessi necessari e di ottenere consensi sul progetto, anche quando le posizioni iniziali erano apparentemente inconciliabili[10]. Forse Spinelli era finalmente diventato saggio!
Le conseguenze del progetto di Trattato furono due. Il modello di una Comunità trasformata in Unione federale, anche se le istituzioni della politica estera e di sicurezza sarebbero rimaste provvisoriamente intergovernative, è rimasto un grande obiettivo per le forze federaliste; ed il progetto di Trattato fu, insieme al progetto per il mercato unico, una delle due fonti dell’Atto Unico europeo. Quest’ultimo non piaceva a Spinelli. Ma chiamarlo, come fece Spinelli, un topolino morto era ingiustificato. L’Atto ha rilanciato il processo di unificazione, con la conseguenza diretta del Trattato di Maastricht,. cioè della moneta unica. Ma questo processo esemplificava il federalismo di Monnet, non quello di Spinelli.
Monnet.
Spinelli era sicuro che Monnet «[voleva] arrivare veramente ad una federazione», anche se non aveva «la minima idea di cosa voglia dire fare una costituzione, e pensa[va] che alcuni brandelli di idee improvvisate siano sufficienti»[11]. Monnet non era un uomo di cultura. Subito dopo la scuola egli era diventato un uomo d’affari. Aveva imparato,. dunque, come negoziare, organizzare, fare piani e realizzarli. Inoltre, avendo occupato alti posti nella pubblica amministrazione, anche come vice-segretario generale della Società delle Nazioni, era l’uomo adatto a convincere i governi.
Monnet pensò la CECA come base per la costruzione di una federazione. Non è giusto considerarlo un semplice funzionalista. Egli capiva bene la necessità di istituzioni europee indipendenti dai governi nazionali. Come scrisse Spinelli, egli non era in grado di fare un’analisi di natura costituzionale. Ma affermò risolutamente che un’autorità sovranazionale era essenziale. I suoi colleghi inserirono la Corte e l’Assemblea nel progetto, ed egli capì che questi erano elementi indispensabili per una Comunità di paesi democratici. Ma per lui l’elemento fondamentale era l’esecutivo indipendente.
Monnet capì anche che l’esercito europeo toccava il cuore della sovranità nazionale, e che per questo la Federazione europea doveva divenire «un obiettivo immediato»[12]. Dopo la caduta della Comunità europea di difesa, Monnet, allora Presidente dell’Alta Autorità, disse ai suoi colleghi che ciò che la CECA stava realizzando «doveva essere continuato fino alla creazione degli Stati Uniti d’Europa»[13]. Monnet lasciò quindi l’Alta Autorità e fondò il Comitato d’Azione per gli Stati Uniti di Europa, con lo scopo di promuovere un trasferimento di potere da parte di tutti i paesi partecipanti «a favore di istituzioni federali»[14]. Grazie al fatto che al Comitato parteciparono i leaders di quasi tutti i partiti e i sindacati democratici e grazie all’instancabile opera di convinzione e di organizzazione di Monnet, l’azione del Comitato diede un importante contributo alla preparazione dei Trattati di Roma e alla realizzazione di molti passi successivi verso la Federazione europea.
Anche Monnet, dunque, era un uomo dell’opera. Egli creò qualcosa che «prima non esisteva»[15]. Non era un solitario come Spinelli. Certo, anch’egli prendeva le sue decisioni camminando solo in montagna. Ma coltivò una rete enorme di amici fra politici, alti funzionari, giuristi, giornalisti, uomini d’affari dappertutto in Europa e negli Stati Uniti; e lavorò per lunghi anni in stretto contatto con alcuni fedeli collaboratori, come Hirsch, Uri, Triffin. Mentre Spinelli scrisse spesso nel diario che egli doveva «comandare» il MFE o l’UEF, Monnet scrisse: «Ho cercato dai miei colleghi la fedeltà piuttosto che l’ubbidienza... Nessuno mi ha mai costretto a fare qualcosa che non ho creduto desiderabile ed utile... ma io ho di rado costretto qualcuno ad agire contro la sua volontà»[16].
Spinelli ha lasciato come sua eredità il Movimento federalista, sul quale ha impresso un’impronta indelebile con le sue idee ed il suo esempio, ed il progetto di Trattato. L’eredità di Monnet è stata la Comunità — ora Unione — europea, con il suo metodo per costruirla consistente nella realizzazione di passi verso l’obiettivo della federazione di natura tale da renderne possibile l’accettazione da parte dei governi. Si parla spesso, a proposito di Monnet, di piccoli passi. Ma l’espressione non è corretta. La fondazione della CECA non è stata un piccolo passo, e neppure il Mercato comune. Con l’impulso dato alla conclusione dell’Atto Unico e del Trattato di Maastricht, cioè alla realizzazione del mercato unico e alla moneta unica, insieme alla codecisione, Delors ha contribuito, seguendo il metodo di Monnet, al raggiungimento di due ulteriori risultati molto importanti. Spinelli, che spesso criticava questo metodo, scrisse tuttavia nel 1985: «Grazie alla Comunità europea, la nostra generazione ha visto il sogno durevole di un’Europa libera e unita cominciare ad essere una realtà»[17]. L’opera di Monnet è stata una costruzione non soltanto originale e importante, ma veramente indispensabile per la civiltà politica europea.
Monnet e Spinelli.
Spinelli scrisse: «Monnet ha il grande merito d’aver costruito l’Europa e la grande responsabilità d’averla costruita male»[18]. Egli denunciava così l’ambiguità della sua relazione con l’altro «uomo dell’opera» dell’unificazione dell’Europa.
Monnet aveva cercato Spinelli dopo aver saputo che egli era «l’autore del memorandum n. 3 dell’UEF inviato ai ministri», nel quale Spinelli spiegava «il metodo da seguire per affidare all’Assemblea del piano Schuman il mandato costituente». Monnet disse che «è così raro... incontrare una persona che pensa con chiarezza... E’ una rivoluzione quella che vogliamo, e la dobbiamo fare con mezzi legali, con uomini di Stato privi di energia, senza alcun richiamo sentimentale». Dal canto suo Spinelli osservò che Monnet «ha il senso drammatico e tuttavia non retorico della gravità della situazione europea, che coincide completamente col mio pensiero»[19].
Monnet chiese a Spinelli di preparare il suo discorso inaugurale all’Alta Autorità nell’agosto 1952[20]. In quel discorso Spinelli analizzò con precisione gli elementi federali della costruzione: l’esecutivo indipendente, responsabile davanti all’Assemblea europea;. l’Assemblea, indipendente dai governi degli Stati membri, e da eleggere con suffragio diretto; la Corte di Giustizia, indipendente dalle Corti degli Stati membri; i rapporti diretti con gli individui e le imprese, compresa la competenza di imporre tributi a queste ultime. Così, scrisse Spinelli non senza una certa fierezza, sarebbe stata «inaugurata la prima autorità sovranazionale europea».
Monnet propose a Spinelli di restare a lavorare con lui all’Alta Autorità, preparandogli «i discorsi politici, che devono essere secondo lui l’equivalente del Federalist di Hamilton». Ma Spinelli rispose che preferiva «attendere un anno per entrare nelle istituzioni europee come uomo politico, anziché entrarci subito come funzionario». Spinelli aiutò Monnet a preparare anche il suo primo discorso all’Assemblea davvero il primo discorso politico mai fatto da Monnet[21]! Poi se ne andò. Due uomini dell’opera non possono lavorare insieme.
Monnet e Spinelli non potevano lavorare insieme perché le loro idee erano diverse. Dopo la sconfitta della Comunità europea di difesa, Spinelli aveva tentato di mobilitare il popolo contro i governi, mentre Monnet sperava sempre, nelle parole di Spinelli, «nella capacità dei governi di rilanciare la costruzione dell’Europa, attraverso i risultati della conferenza di Messina». Ma, secondo Spinelli, la conferenza di Messina era stata l’occasione della «liquidazione di Monnet», che ormai aveva solo la scelta di «stare con me o sparire»[22]. Egli si sbagliava: i governi hanno rilanciato la costruzione dell’Europa. Monnet non è sparito. Come aveva detto Spinelli, Monnet ha avuto il grande merito di aver costruito l’Europa. E’ vero che essa è stata costruita male. Ma senza l’accordo dei governi, essa non sarebbe stata costruita affatto. Si può immaginare che i governi avrebbero accettato un’Europa costruita bene se Monnet avesse capito meglio «cosa voglia dire fare una costituzione». Ma credo che questa sarebbe una affermazione azzardata. La realizzazione del «sogno di un’Europa libera ed unita» tenuto vivo da Spinelli, nella forma che essa stava allora assumendo, fu l’opera di uomini di tipo governativo, e soprattutto di Monnet. Il merito enorme di Spinelli rimaneva quello di aver dimostrato la necessità di una buona costruzione, efficace e democratica, cioè federale, e di aver indicato un metodo per realizzarla per uomini di tipo parlamentare, come Spinelli stesso.
Albertini e Spinelli.
Negli anni Cinquanta Spinelli stimava veramente Albertini. Già nel 1954 egli gli propose di «pensare ad una rivista federalista»[23]. Nel 1958 annotò nel diario: «Albertini e Guderzo pensano ad una rivista. Ho proposto loro di studiarla. Ma se non avranno loro forza realizzatrice non nascerà»[24]. Il suo scetticismo non era giustificato: quarant’anni dopo Il Federalista rimane in ottimo stato di salute. Ho ricordato la soddisfazione di Spinelli nel vedere che il suo «discepolo» Albertini aveva compreso il senso dell’azione da lui voluta,. cioè della Campagna per il Congresso del popolo europeo. Nel contesto di questa Campagna Spinelli inviò il suo «discepolo» a Bolzano, dove questi scandalizzò un po’ i bolzanesi, ma, aggiungeva Spinelli, «è bene che ci sia nel MFE un tipo di Saint-Just»[25]. Il discepolo «puro e duro» piaceva a Spinelli. Ma questa purezza era una manifestazione della «razionalità come valore assoluto, in certi casi esasperato», che, secondo Gianni Merlini, spiega il difficile (ma sempre intenso) rapporto che Mario Albertini ebbe con Altiero Spinelli[26]. Ciò che Spinelli ha chiamato il linguaggio diurno, basato sulla ragione, era la lingua comune di Albertini e Spinelli ma forse il linguaggio notturno di Spinelli, quello piuttosto istintivo, non era comprensibile per Albertini[27].
Le difficoltà di comprensione fra Albertini e Spinelli si sono manifestate nel 1961, quando Spinelli propose ai federalisti di «conquistare alcune posizioni di forza sbalzando via i vecchi politicanti. Occorrerebbe», scriveva Spinelli, «concentrarsi per 4-5 anni in tre città... per conquistarle, come modello per l’azione futura»[28]. Per Spinelli, questa era una nuova tattica federalista per una situazione nuova, quella dell’Europa dominata da de Gaulle. Per Albertini si trattava invece di una violazione del principio fondamentale secondo il quale i federalisti devono concentrarsi sulla lotta per il potere europeo, non per quello nazionale. Spinelli ammise nel suo diario che questa nuova opposizione «mi mette un po’ in imbarazzo perché è lo spinellismo puro e astratto che si rivolge contro di me... non mi sarei aspettato di ritrovarmi innanzi nel bel mezzo di una cosa così poco ideologica come il federalismo una così pura espressione del bordighismo...di quell’estremismo ... »[29]. Il piano di Spinelli fallì ed egli iniziò il suo decennio accademico, mentre Albertini garantì in quegli anni, «quando una divergenza politica ... divise per un periodo il Movimento», la vita del MFE[30]. Spinelli non accettava questa opposizione da parte del «discepolo». La divisione fra lui e Albertini fu profonda. Il nome di Albertini non compare nella versione pubblicata del diario di Spinelli per tutto il periodo dal giugno 1962 fino al marzo 1969.
Verso la fine di questo decennio, ci fu un accenno di riavvicinamento fra Spinelli e Albertini. Spinelli assistette al Comitato Centrale del MFE e propose un testo. Albertini lo accettò e la mozione fu approvata all’unanimità[31]. Ma i loro rapporti rimasero difficili per tutti gli anni Settanta. Certo, Spinelli apprezzò la lettera di Albertini del 1974 che lo invitava a divenire Presidente del MFE e la risposta decisa di Albertini alla richiesta di qualche sezione che Spinelli desse le dimissioni dalle cariche dell’UEF[32]. Ma Spinelli criticò parecchie volte duramente le scelte politiche di Albertini.
Quando, nel 1970, Albertini ha «fatto decidere» i federalisti italiani di studiare un progetto di Costituzione federale europea, Spinelli lo accusò di fare sempre «le mosse nel momento sbagliato», affermando che egli avrebbe dovuto seguire «il piano d’azione suggerito da me e adottato dal Comitato Centrale»[33]. Si vede forse nel linguaggio un certo fastidio per il fatto che colui che era stato il suo discepolo continuasse a seguire una politica diversa da quella del maestro. Ma la differenza era più di fondo. Spinelli si concentrava sempre sull’obiettivo politico scelto da lui, mentre Albertini stava costruendo una strategia per il lungo termine ed un’organizzazione per perseguirla.
La politica di Albertini non si poteva certo qualificare sempre come «spinellismo puro e astratto». Egli era anzi capace di perseguire una politica piuttosto monnettiana. Egli vide nelle elezioni dirette del Parlamento europeo e nella moneta unica due elementi fondamentali della strategia della lotta per l’Europa: due tappe che avrebbero fatto evolvere la Comunità fino a un punto nel quale la logica politica della Costituzione federale sarebbe diventata irresistibile. E già nel 1978 egli aveva visto nel Sistema monetario europeo un obiettivo intermedio verso la moneta unica. Questa scelta fu duramente criticata da Spinelli, perché avrebbe rispecchiato l’eresia «di Werner e del suo cianciare di preunione monetaria», e perché Albertini avrebbe «fatto dello SME una battaglia come se fosse per la Federazione europea»[34]. Ma io credo che Albertini avesse ragione. Lo SME era un passo verso la moneta unica, che a sua volta è un grande passo verso la federazione.
Dopo questo episodio, il rapporto fra i due migliorò. Spinelli apprezzò l’iniziativa di Albertini di stabilire un «incontro permanente» fra federalisti e politici di sinistra, e giudicò buono il suo intervento alla celebrazione del quarantesimo anniversario del Manifesto di Ventotene[35]. Egli apprezzò soprattutto l’appoggio di Albertini al progetto di Trattato. Forse, come ho già suggerito, Spinelli, in questo ultimo periodo della sua straordinaria vita, era diventato veramente saggio.
Albertini.
Ancora un’ultima citazione dal diario di Spinelli: «Ho lanciato ad Albertini l’idea di costituire un `ordine federalista europeo´»[36]. Spinelli scriveva questo nel maggio del 1956. A quarant’anni di distanza mi pare di poter dire che Albertini lo abbia fatto veramente. Il significato preciso della parola «ordine» non è del tutto chiaro. Ed è certo che Albertini non ha fondato una sorta di ordine religioso. Ma ha creato un gruppo di persone moralmente e intellettualmente impegnato in una grande causa.
Amedeo Mortara racconta che Albertini, negli anni Cinquanta, «spiegava con passione a [un] gruppo di giovani i principi del pensiero federalista hamiltoniano e demitizzava le false ideologie che cercano di giustificare gli Stati nazionali»[37]. Albertini ha continuato a perseguire la sua vocazione pedagogica fino all’ultimo e per i federalisti del MF’E è stato un «grande maestro». La sua «passione per il Logos, cioè per la ragione; la sua «assoluta moralità anche politica»; la sua «totale apertura al dialogo»; il suo «assoluto rispetto per l’interlocutore»; la sua coerente fedeltà al MFE: tutte queste qualità erano perfettamente adatte alla costruzione di un Movimento con le caratteristiche di un «ordine»[38]. La campagna per le elezioni dirette, la grande manifestazione a Milano del giugno 1985, il referendum del giugno 1989 hanno dimostrato la forza di questo Movimento.
Esiste il pericolo che un Movimento diventi troppo dottrinario. Questa era una critica di Spinelli al «MFE di Albertini». Ma Albertini, benché fosse un maestro di dottrina, non era dottrinario. Ho osservato come questo spinelliano radicale abbia accettato una politica monnettista quando questa gli pareva ragionevole. Egli sosteneva che il «MFE deve cercare di promuovere... situazioni nelle quali sia la gestione stessa del potere nazionale a spingere i governi su un piano inclinato nel quale un potere sovrano tende a scivolare dalle nazioni all’Europa...»[39]: cioè, deve promuovere passi verso l’obiettivo della federazione.
La morte è non solo un’occasione inesprimibilmente dolorosa ma anche un momento per la riflessione. La conclusione di questa mia modesta riflessione su Albertini, Monnet e Spinelli è che Albertini era pronto ad accettare ciò che è utile nei metodi federalisti di Spinelli e di Monnet, ed a basare su questo la sua politica. Sono sicuro che il MFE continuerà ad ottenere grandi successi se seguirà questo saggio esempio.
[1] Citazione da Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio: Io, Ulisse, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 315.
[2] Mario Albertini, «Altero Spinelli, eroe della ragione», in Il Federalista, XXVIII (1996), n. 1; Francesco Rossolillo, «Spinelli, ‘uomo dell’opera’», in Il Federalista, XXVI (1984), n. 2.
[3] Sergio Pistone, «Il ruolo di Altiero Spinelli nella genesi dell’Art. 38 della Comunità di Difesa e del progetto di Comunità politica europea», in La construction de l’Europe, du Plan Schuman aux Traités de Rome: Projets et initiatives, déboires et échecs (a cura di G. Trausch), Bruxelles, Bruylant, 1992.
[4] V. Mario Albertini, «L’Europa alla soglia dell’Unione», in Il Federalista, XXVIII (1986), n. 1.
[5] AltieroSpinelli, Diario europeo: 1948-1969 (a cura di Edmondo Paolini), Bologna, Il Mulino, 1989, p. 168 (seguito da Diario europeo 1970-1976 pubblicato nel 1991 e da Diario europeo: 1976-1986 pubblicato nel 1992).
[6] Diario: 1948-1969, cit., pp. 290-92.
[7] Diario: 1976-1986, cit., p. 508.
[8] Diario: 1948-1969, cit., p. 284.
[9] Eric Weil, Logique de la philosophie, Parigi, Librairie philosophique P. Vrin, 1974 (prima edizione 1967), citato in Rossolillo, op.cit.
[10] Derek Prag MEP, «A New Framework», in Facts, settembre/ottobre 1982, Londra, European Movement, pp. 6-7.
[11] Diario: 1948-1969, cit., p. 163.
[12] Jean Monnet, Mémoires, Parigi, Fayard, 1976, p. 402.
[13] Ibidem, p. 468.
[14] Action Committee for the United States of Europe: Statements and Declarations 1955-1967, European Series N. 9, Londra, Chatham House abd 11P, 1969, p. 11.
[15] Eric Weil, Logique de le philosophie, citato in Rossolillo, op.cit., p. 139.
[16] Jean Monnet, Mémoires, cit., p. 475.
[17] Altiero Spinelli, «Preface», An Ever Closer Union: A Critical Analysis of the Draft Treaty Establishing the European Union, a cura di Roland Bieber, Jean-Paul Jacqué, Joseph H.H. Weiler, Bruxelles, Commission of the European Communities, 1985, p. 3.
[18] Intervista con Spinelli, citata in Michael Burgess, Federalism and European Union: Political Ideas, Influences and Strategies in the European Community, 1972-1987, Londra, Routledge, 1989, pp. 55-6.
[19] Diario: 1948-1969, cit., p. 140.
[20] Ibidem, pp. 142-5.
[21] Jean Monnet, Mémoires, cit., pp. 447-48.
[22] Diario: 1948-1969, cit., pp. 261, 269, 270.
[23] Ibidem, p. 202.
[24] Ibidem, p. 338.
[25] Ibidem, p. 301.
[26] Gianni Merlini, «Ricordi e testimonianze», in L’Unità Europea, gennaio 1997,p.3.
[27] V. Altiero Spinelli, lo Ulisse, cit., p. 309.
[28] Diario: 1948-1969, cit., p. 416.
[29] Ibidem, p. 417.
[30] Teresa Caizzi, «Ricordi e testimonianze», in L’Unità Europea, gennaio 1997,p. 2.
[31] Diario: 1948-1969, cit., pp. 552-53.
[32] Diario: 1970-1976, cit., pp. 727,946.
[33] Ibidem, pp. 39-40.
[34] Diario:1976-1986, cit., pp. 186, 240-41.
[35] Ibidem, pp. 548, 670.
[36] Diario: 1948-1969, cit., p. 297.
[37] Amedeo Mortara, L’Unità Europea, gennaio 1997, p. 3.
[38] Queste citazioni sono prese dai contributi di Teresa Caizzi, Gianni Merlini e Francesco Rossolillo nello stesso numero de L’Unità Europea.
[39] Mario Albertini, «L’aspetto strategico della nostra lotta», editoriale del n. 205 (marzo 1991) de L’Unità Europea, ristampato in L’Unità Europea, gennaio 1997, pp. 4-5.