Anno LIX, 2017, Numero 2, Pagina 140
Il difficile percorso dell’unione bancaria
GIOVANNI SALPIETRO
1. Introduzione.
Nella storia del processo di integrazione europea, il settore bancario e finanziario è stato quello che solo di recente è stato effettivamente coinvolto in un processo di riforma. Storicamente la necessità di operare sul settore bancario e finanziario nasce dall’idea del completamento del mercato unico ed in particolare del mercato dei capitali. In questi anni, però, l’Europa si è mossa lentamente nell’integrazione e armonizzazione di questo settore, lasciando delle vulnerabilità che sono emerse chiaramente allo scoppiare della crisi economica e finanziaria del 2007-2008, che ha avuto come primo bersaglio proprio le banche europee, per poi spostarsi in un secondo momento sui debiti sovrani degli Stati.
Il punto di partenza per l’integrazione del mercato dei capitali è stato il Trattato di Maastricht (Trattato sull’Unione europea) del 1992. In quel momento storico la priorità per i paesi europei era trovare una soluzione comune ai problemi di politica monetaria dopo i risultati inefficaci degli anni Ottanta, per aprire la strada all’unione monetaria europea.[1] Il TUE sancisce la nascita della Banca centrale europea (BCE) e del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC).[2] L’assetto delineato dal TUE segna però una “asimmetria”[3] tra livello europeo e livello nazionale. Da un lato alla BCE vengono attribuiti poteri riguardanti la politica monetaria in funzione del rispetto degli obiettivi fissati dal Trattato all’art. 105, con priorità al mantenimento della stabilità dei prezzi; dall’altro, tuttavia, emergono almeno due criticità che si ripercuoteranno negativamente allo scoppiare della crisi economica:
1) nonostante la nascita di una politica monetaria comune nell’ottica della creazione della moneta unica, non vengono attribuite alle istituzioni comunitarie competenze di politica economica comune, lasciando tale ambito al coordinamento tra Stati;
2) la vigilanza sul settore bancario rimane una prerogativa nazionale lasciata al controllo di autorità nazionali (principio dell’home country control), delineando quindi una frammentazione del mercato bancario. Tale aspetto può essere imputabile alla decisa volontà degli Stati dell’Unione europea di mantenere la sovranità e il controllo sul settore creditizio.[4]
Tale asimmetria cerca di trovare una “compensazione” nell’articolo 127 del TFUE in cui si afferma che la BCE può, attraverso una procedura speciale, ricevere dal Consiglio “compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie”;[5] lo stesso statuto della BCE le attribuisce la possibilità di avere un ruolo consultivo verso le banche centrali nazionali in merito alle politiche di vigilanza.[6] Ma nonostante tali disposizioni, il sistema di vigilanza prudenziale sugli istituti finanziari è rimasto frammentato, rimanendo dunque una competenza esclusivamente nazionale in cui al massimo si afferma un potere meramente consultivo del livello istituzionale europeo e si definisce pertanto un quadro di armonizzazione minima. Il fatto che la volontà degli Stati membri fosse quella di mantenere a livello nazionale il controllo sulle regole di vigilanza bancaria, ha comportato che questi, in sede di Consiglio, non abbiano avuto interesse a concordare deroghe speciali sulla materia in favore della BCE.
2. L’impatto della crisi sulle banche europee e gli interventi pubblici degli Stati.
La crisi finanziaria del 2007-2008 ha avuto origine dalla crisi del debito privato nel mercato statunitense in riferimento ai cosiddetti mutui subprime; rapidamente la crisi si è spostata dalle banche statunitensi a quelle europee. Ciò è stato possibile grazie all’alta operatività di molte delle principali banche europee nel mercato finanziario che le aveva portate ad esporsi all’alto rischio legato ai titoli subprime. Tali circostanze mettono in evidenza quanto la frammentazione del sistema di vigilanza bancaria abbia rappresentato un punto di debolezza dell’economia europea: la crisi infatti conferma come “in un contesto in cui banche sottoposte a regole e vigilanze nazionali competono in modo crescente su scala europea […], emergono incentivi perversi e pressioni in ciascun Stato membro ad adottare regole e prassi compiacenti nei confronti dei cosiddetti ‘campioni nazionali’, al fine di sostenerne la competitività anche a scapito della loro solidità e della stabilità”.[7] A questo proposito basti pensare che regole nazionali diverse nel definire il rischio di un determinato titolo o capitale hanno comportato per le banche l’accumulazione di asset che, prima della crisi, erano considerati sicuri, e che invece si sono rivelati del tutto inadeguati al fine di coprire le perdite. Tale fenomeno produce delle esternalità negative che non compromettono soltanto gli istituti responsabili di aver operato in settori finanziari non sicuri, ma anche quegli attori che avevano avuto un comportamento virtuoso nei mercati nel rispetto delle regole di vigilanza. A complicare ulteriormente e rendere meno trasparente la solidità degli istituti bancari è stata una strategia denominata originate to distribute per la quale le banche, ricorrendo alla leva finanziaria e alla cartolarizzazione, hanno emesso ulteriori titoli sul mercato il cui valore era fondato sui titoli subprime[8] aumentando dunque il rischio di contagio in caso di shock sistemico.
I primi paesi ad essere investiti dalla crisi dei titoli subprime del 2007 sono stati la Gran Bretagna e l’Irlanda a causa dell’elevata esposizione delle loro banche a tali titoli (nel caso dell’Irlanda si aggiunge anche l’esplosione di una bolla immobiliare in cui le banche irlandesi hanno mostrato le debolezze di un sistema bancario nazionale soggetto a regole di vigilanza poco trasparenti). Rapidamente lo shock si è esteso anche agli altri paesi europei costringendo, a partire dalla fine del 2008, i governi nazionali europei ad un intervento pubblico a favore degli istituti bancari al fine di evitarne il default. Questa prima parte della crisi ha determinato un generale clima di sfiducia nei confronti della solidità delle banche in Europa; un’analisi più approfondita ci mostra infatti come un sistema di regole di vigilanza prudenziale decentralizzato ha impedito agli attori sui mercati finanziari di avere un quadro chiaro e trasparente dell’effettiva condizione dei grandi gruppi bancari europei, minando dunque la fiducia nei loro confronti a prescindere dalle reali condizioni di ciascuno degli istituti.[9]
Dopo il fallimento della Lehman Brothers avvenuto nel settembre del 2008, la politica europea ha quindi ritenuto necessario effettuare degli interventi di bilancio pubblico al fine di sostenere il sistema finanziario-creditizio ed evitare dunque il collasso del settore e ripristinarne la fiducia.[10] In assenza di una disciplina comune in ambito europeo sulle misure di intervento possibili, gli Stati membri hanno agito in maniera differenziata, in base a scelte nazionali. Tali interventi possono essere riassunti in quattro categorie:
1) immissione diretta di liquidità nelle banche;
2) garanzie sulle passività bancarie;
3) ritiro di attività di difficile esigibilità;
4) acquisto di azioni e prestiti alle banche.
La risposta alla crisi adottata dai governi europei di intervenire con risorse pubbliche al fine di sostenere il settore bancario ha generato tuttavia alcune perplessità. In primo luogo, si è venuto a creare il rischio che le diverse tipologie di intervento comportassero delle disparità di trattamento tra i diversi istituti creditizi coinvolti dalle misure di aiuto, minando dunque i principi sulla concorrenza e aumentando ulteriormente la frammentazione del mercato bancario. In secondo luogo, si è venuta creare una spirale perversa tra i bilanci pubblici dei paesi europei e i bilanci delle banche: tutte le strategie di intervento incidono infatti negativamente sul debito pubblico o sul deficit (o su entrambi come nel caso di iniezione diretta di liquidità).
Il rischio di tale strategia dunque è quello che, a seguito della necessità di intervenire per ricapitalizzare le banche in difficoltà, le condizioni finanziarie dello Stato si indeboliscano ulteriormente.[11] Inoltre, le banche spesso detengono quantità significative di titoli del debito pubblico il cui prezzo è sotto pressione da parte dei mercati e quindi, anche per tale via, possono indebolirsi dando luogo a nuove necessità di ricapitalizzazione pubblica.[12] Le misure adottate dagli stati dell’UE per la ricapitalizzazione e l’aiuto alle banche europee tra il 2008 e il 2014, insieme ai costi dei salvataggi (che sono stati notevoli, raggiungendo una cifra pari a 641,17 miliardi di euro e, per alcuni Stati, come ad esempio l’Irlanda, particolarmente gravosi sul bilancio pubblico) hanno creato un circolo vizioso tra bilancio pubblico e bilancio delle banche che ha portato la pressione dei mercati finanziari a spostarsi dal debito privato ai debiti sovrani.
In tale quadro diventa dunque chiaro quanto fosse necessario superare non solo la frammentazione del mercato creditizio (ed in particolare le disposizioni in merito alla vigilanza prudenziale), ma anche evitare che il salvataggio delle banche gravasse sulla finanza pubblica a causa della pressione dei mercati sui debiti sovrani. Una ulteriore considerazione che è utile fare è che la crisi di una banca nazionale o la crisi del debito di un singolo Stato non sono problemi che interessano solo la dimensione nazionale: la crisi economica ha dimostrato che, per via della forte interdipendenza e interconnessione delle economie europee, gli shock che colpiscono uno Stato membro hanno ripercussioni su tutti gli altri membri dell’UE ed in particolare ciò è ancora più evidente nel caso dell’eurozona.
3. Le prime misure di accentramento e il raporto dei quattro Presidenti.
Già nel 2009 erano stati messi in evidenza i limiti di un sistema di vigilanza definito di “armonizzazione minima” e gli effetti che tali limiti avevano avuto nel diffondersi della crisi di fiducia nel settore bancario in Europa. Il rapporto di Jacques de Larosière del 2009 proponeva il superamentodi tale sistema attraverso la creazione di “un sistema regolamentare e istituzionale del settore bancario europeo basato sulla armonizzazione massima, vale a dire sulla creazione di un corpo unico di regole europee direttamente applicabili negli Stati membri senza bisogno di trasposizione nazionale”.[13]
Le proposte del rapporto Larosière vennnero messe in atto dalle istituzioni europee a partire dalla creazione della European Banking Authority (EBA), in funzione dal 1 gennaio 2011. L’EBA si costituisce come una autorità europea indipendente che ha come scopo quello di assicurare la stabilità finanziaria nell’UE e di garantire l’integrità, l’efficienza e il regolare funzionamento del settore bancario.[14] I tre compiti principali dell’EBA sono:
1) adottare norme tecniche vincolanti e orientamenti allo scopo di creare una disciplina unica delle norme bancarie;
2) promuovere la convergenza delle pratiche di vigilanza per garantire un’applicazione armonizzata delle norme prudenziali;
3) valutare il rischio e le vulnerabilità presenti nel settore bancario dell’UE attraverso relazioni periodiche di valutazione dei rischi e prove di stress su scala paneuropea.[15]
L’insieme delle norme e dei comportamenti individuati dall’EBA definiscono il Single Rulebook (SR) che ha come scopo quello di armonizzare ulteriormente la normativa riguardante il settore bancario in Europa; l’obiettivo del SR è avere un settore bancario che sia più resiliente, trasparente ed efficiente.[16] L’assetto originario dell’EBA e del SR non supera tuttavia alcune criticità; in particolare le norme previste dal SR continuano ad operare in un contesto in cui vengono ancora lasciate alle autorità nazionali competenze e spazi di intervento che non consentono un grado sufficente di armonizzazione delle norme nel settore bancario; sebbene si stia definendo in questa fase una nuova architettura istituzionale la dimensione nazionale è pertanto ancora presente.
Un passo significativo nell’evoluzione del settore bancario europeo fu poi proposto nel 2012 nel cosiddetto “Rapporto dei quattro Presidenti”[17] che avanzava la proposta delle quattro unioni, bancaria, di bilancio, economica e politica. Il Rapporto individuava tre pilastri sul quale si dovrebbe fondare l’unione bancaria: un sistema di vigilanza integrata, un sistema di risoluzione europeo e infine un sistema europeo di garanzia dei depositi.[18]
Per quanto riguarda il “primo pilastro” il Rapporto definisce tale aspetto come indispensabile al fine di garantire l’applicazione delle norme prudenziali (dell’EBA) in tutta l’Unione. Invita dunque ad un’evoluzione dell’architettura europea allo scopo di attribuire la responsabilità finale in materia di vigilanza al livello istituzionale europeo. Viene identificata la BCE come l’istituzione cui conferire poteri di vigilanza e di intervento preventivo, applicabili a tutte le banche europee; a tale scopo il Rapporto invita a “valutare a fondo”[19] le possibilità previste dal già citato articolo 127, paragrafo 6, del TFUE sulle competenze della BCE in tema di vigilanza bancaria. Il “secondo pilastro” consiste invece nell’istituzione di un sistema di risoluzione europeo; al fine di evitare che il salvataggio degli istituti bancari gravi esclusivamente sui bilanci pubblici degli Stati membri, il Rapporto propone la nascita di un fondo finanziato principalmente dai “contributi delle banche” allo scopo di fornire assistenza a quegli istituti “irrecuperabili” che necessitano di un intervento finanziario; in tal modo non solo si proteggerebbero i fondi dei contribuenti ma si potrebbe spezzare il circolo vizioso tra il bilancio pubblico e quello delle banche in crisi. Il “terzo pilastro” previsto dal Rapporto, cioè la creazione di un sistema europeo di garanzia dei depositi, ha come scopo quello di “introdurre una dimensione europea ai sistemi nazionali di garanzia dei depositi per le banche oggetto di vigilanza europea”. L’intento è dunque quello di rendere il sistema bancario europeo più credibile di fronte ai mercati fornendo un’importante garanzia che i depositi siano adeguatamente assicurati da un meccanismo di tutela non più nazionale ma europeo.[20]
Sulla base di quanto previsto all’interno del Rapporto, nel marzo 2013, quindi in tempi relativamente brevi, Parlamento europeo e Consiglio hanno raggiunto un’intesa per dare il via all’applicazione dell’unione bancaria, a partire dalla realizzazione del primo pilastro sulla vigilanza. Più complesso è stato invece il dibattito sulla realizzazione degli ultimi due pilastri dell’unione bancaria: ciò, come verrà specificato nei paragrafi successivi, è dovuto alla difficoltà dei governi nazionali nel trovare un’intesa comune, poiché la realizzazione del fondo di risoluzione e del fondo di garanzia dei depositi tocca direttamente gli interessi e le preferenze degli Stati che cercano ancora di tutelare i propri istituti bancari e finanziari.[21]
4. Il meccanismo di vigilanza unico.
L’iter per la realizzazione dell’unione bancaria inizia nel marzo 2013 quando Parlamento europeo e Consiglio europeo raggiungono l’accordo per l’attuazione del primo pilastro, cioè il Meccanismo di vigilanza unico (MVU). I lavori preparatori si protraggono fino all’autunno 2013 e l’impostazione originaria pensata dal Rapporto dei quattro Presidenti viene integrata dalle modifiche apportate dal COREPER (il Comitato dei rappresentanti permanenti dell’Unione europea, organo del Consiglio europeo) nel mese di aprile e dal Parlamento europeo a settembre, che hanno ridotto la centralità della BCE come unica istituzione responsabile della vigilanza, senza tuttavia compromettere gli obiettivi della riforma.[22] La base giuridica del MVU risiede nei due regolamenti approvati tra la fine del 2013 e il 2014 cioè il Regolamento (UE) n. 1024/2013 (c.d. “Regolamento sull’MVU”) e il Regolamento (UE) n. 468/2014 (c.d. “Regolamento quadro su MVU”). Il primo regolamento definisce la struttura, il funzionamento e la ripartizione delle competenze tra le autorità coinvolte nel MVU, mentre il secondo definisce il quadro di cooperazione tra la BCE e le autorità nazionali competenti (ANC). L’ambito di applicazione del MVU è l’eurozona cui si aggiungono quei paesi che, pur non avendo adottato l’euro, intendono partecipare all’unione bancaria.[23] Il Meccanismo è entrato in vigore ed è diventato operativo il 4 novembre 2014; esso si compone della Banca centrale europea coadiuvata dalle autorità nazionali designate dagli Stati membri partecipanti. La BCE assume dunque le funzioni di vigilanza bancaria e persegue gli obiettivi del MVU, cioè “assicurare la sicurezza e la solidità del sistema bancario europeo, accrescere l’integrazione e la stabilità finanziarie e garantire una vigilanza coerente”.[24] L’indipendenza della BCE e la separazione dalle sue funzioni di politica monetaria è garantita dalla sua autonomia finanziaria per quanto riguarda la remunerazione dei costi dell’attività di vigilanza: la BCE impone infatti il pagamento di un contributo annuale ai soggetti sottoposti alla sua sorveglianza secondo le disposizioni del Regolamento (UE) n. 1163/2014 e della Decisione (UE) n. 2015/530. L’MVU è responsabile della sorveglianza di circa 4.900 istituti bancari[25] e, al fine di rendere più efficiente il lavoro del Meccanismo, si è deciso di suddividere tali enti in “significativi” e “meno significativi”; i regolamenti alla base del MVU contengono gli elementi che specificano quando il soggetto vigilato è da considerare come significativo o meno. Un ente è significativo se soddisfa una delle seguenti condizioni:
1) il valore totale delle attività supera i 30 miliardi di euro o, a meno che il valore totale delle attività sia inferiore a 5 miliardi di euro, supera il 20% del PIL nazionale;
2) è uno dei tre enti creditizi più significativi in uno Stato membro;
3) riceve assistenza diretta dal Meccanismo europeo di stabilità (MES);[26]
4) il valore totale delle attività supera i 5 miliardi di euro e il rapporto tra le attività transfrontaliere in più di un altro Stato membro partecipante e le attività totali è superiore al 20% o il rapporto tra le passività transfrontaliere in più di un altro Stato membro partecipante e le passività totali è superiore al 20%.[27]
La BCE esercita poteri di “vigilanza diretta” su tutti gli enti creditizi qualificati come significativi (circa 1.200 soggetti),[28] mentre gli enti meno significativi sono soggetti a “vigilanza indiretta”: ciò significa che nel caso degli enti meno significativi la vigilanza è esercitata dalle ANC sotto la supervisione della BCE;[29] tuttavia la BCE può evocare a sé la vigilanza sugli istituti meno significativi se ciò ha come scopo l’assicurare un più elevato e coerente livello di applicazione delle disposizioni sulla vigilanza bancaria. L’organo interno alla BCE titolare dei poteri di vigilanza è il Consiglio di vigilanza (CDV), composto da un Presidente, un Vice-presidente, quattro rappresentanti della BCE e un membro per ognuna delle ANC; lo scopo del Consiglio di vigilanza è quello di discutere, pianificare e svolgere i compiti di vigilanza della BCE; le sue proposte sono inviate al Consiglio direttivo della BCE, principale organo decisionale dell’istituzione. Nel processo decisionale si applica il principio della “non-obiezione”; se entro dieci giorni dalla proposta del CDV il Consiglio direttivo non emette obiezioni, la decisione del CDV avrà esecuzione.
Il CDV è coadiuvato da un Comitato direttivo i cui membri sono il Presidente e il Vice-presidente del Consiglio, un rappresentante della BCE e cinque membri nominati dal Consiglio stesso provenienti dalle ANC (in carica per un anno e nominati a rotazione in modo da garantire la piena rappresentatività di tutti gli Stati partecipanti). La BCE ha istituito quattro Direzioni generali (DG):
– le DG Vigilanza microprudenziale I e II che sono responsabili della vigilanza diretta su base giornaliera degli enti significativi;
– la DG Vigilanza microprudenziale III, incaricata della supervisione della vigilanza condotta dalle ANC sugli enti meno significativi;
– la DG Vigilanza microprudenziale IV la quale svolge funzioni orizzontali e specialistiche nei confronti di tutti gli enti creditizi sottoposti a vigilanza nell’ambito del MVU e mette a disposizione competenze specialistiche su particolari aspetti della vigilanza.[30]
All’ interno delle DG sono istituiti i Gruppi di vigilanza congiunti (GVC), che si occupano della vigilanza giornaliera e sono coadiuvati dalle divisioni della DG IV (che ha un ruolo di supporto e consulenza alle altre DG). Il quadro normativo europeo sulla vigilanza bancaria segue gli accordi di Basilea le cui politiche di regolamentazione costituiscono le basi per le attività di vigilanza del MVU; la BCE partecipa alla formulazione di queste politiche attraverso la cooperazione dei suoi organi ai processi decisionali. Le politiche di vigilanza costituiscono le basi fondamentali per la definizione di metodologie e standard di vigilanza necessari al fine di ottenere risultati coerenti e uniformi sugli enti creditizi sottoposti al controllo del MVU. Una volta definito il quadro normativo di riferimento e i parametri standard di vigilanza, il MVU procede ad eseguire il “processo di revisione e valutazione prudenziale” (SREP): tale procedura consiste in un’analisi effettuata dai GVC o dalle ANC a seconda della significatività dell’ente. Gli elementi principali dell’analisi effettuata dal SREP sono:
– un sistema di analisi dei rischi a cui sono esposti gli enti creditizi;
– una revisione complessiva dell’adeguatezza del patrimonio e della liquidità a disposizione degli enti creditizi;
– una quantificazione di capitale e liquidità che gli enti creditizi devono avere a disposizione alla luce dei risultati rilevati dall’analisi dei rischi.[31]
Nell’esercitare i suoi poteri di vigilanza la BCE dispone di diverse facoltà: in primo luogo essa ha il potere di concedere o revocare la licenza di attività bancaria a tutti gli istituti creditizi dell’eurozona. La BCE può intervenire anche sull’acquisizione da parte di un soggetto di quote di partecipazione degli enti creditizi sottoposti alla sua vigilanza. Qualora la BCE riscontrasse delle irregolarità nella situazione finanziaria di un istituto creditizio, se lo ritiene necessario, può imporre condizioni di rispetto delle regole prudenziali più stringenti al fine di mettere in sicurezza la stabilità finanziaria.
Un’ulteriore facoltà della BCE è quella di valutare la “professionalità e l’onorabilità”[32] dei membri degli organi di amministrazione degli enti creditizi significativi sottoposti al suo controllo. Infine alla BCE sono attribuiti poteri di indagine per i quali può richiedere ai soggetti vigilati informazioni di approfondimento o effettuare delle ispezioni in loco. Qualora venissero riscontrate delle irregolarità in un ente creditizio, la BCE negozia direttamente con l’ente i termini e le condizioni entro i quali esso è tenuto a rientrare nel quadro del rispetto delle norme prudenziali; l’ente creditizio presenta dunque un piano strategico che verrà sottoposto alla visione e sorveglianza della BCE.
Al fine di garantire il rispetto delle norme prudenziali, alla BCE è stata affidata la possibilità di comminare sanzioni agli enti creditizi; tali sanzioni amministrative possono arrivare fino al “doppio dell’importo dei profitti ricavati o delle perdite evitate grazie alla violazione […] o fino al 10% del fatturato complessivo nell’anno di esercizio precedente”.[33]
Per rinstaurare la fiducia nel settore finanziario europeo e garantire la trasparenza dei conti degli enti creditizi, a partire dal 2014 sono stati effettuati annualmente degli stress test da parte dell’EBA e della BCE; questi test hanno lo scopo di simulare uno shock finanziario e verificare dunque quanto capitale le banche possono utilizzare per assorbire le eventuali perdite. Dal computo del capitale sono esclusi i prestiti che la banca ha elargito e la soglia di capitale minimo richiesto dalle norme prudenziali tiene conto del rischio a cui le banche sono esposte. Ciò significa che prestiti più rischiosi richiederanno una quantità di capitale a disposizione più elevata. Il primo stress test effettuato è stato condotto dalla BCE nell’ottobre del 2014, poco prima che entrasse in funzione il Meccanismo di vigilanza unico. Sono state sottoposti al test 130 istituti bancari[34] e la BCE ha fissato la soglia di capitale minimo al 5,5% di tutte le attività pesate al rischio; i risultati hanno mostrato che 25 delle banche esaminate avevano carenze di capitale.[35] Tutti gli enti creditizi hanno dovuto presentare alla BCE un piano di ricapitalizzazione fissando entro nove mesi la scadenza per colmare le lacune.
L’ultima rilevazione dell’EBA è quella relativa agli stress test del 2016.[36] Rispetto all’esame effettuato nel 2014 non sono state più contemplate soglie minime di capitale ai fini di determinare la “promozione/bocciatura” degli enti[37] e non è stata richiesta la ricapitalizzazione automatica in caso di evidenza di carenze di capitale. I risultati hanno confermato il miglioramento generale dei bilanci delle banche europee che rispetto al 2014 hanno rafforzato la loro disponibilità di capitale a fronte di eventuali crisi. Situazioni di carenza e criticità sono state invece riscontrate per il Monte dei Paschi di Siena, che consegue il risultato peggiore tra gli istituti esaminati, e altre due banche irlandesi (Royal Bank of Scotland e la Allied Irish Bank).[38]
5. Il meccanismo di risoluzione unico.
L’intervento pubblico per il bail out delle banche e il conseguente aumento dei debiti sovrani hanno seriamente compromesso la stabilità della moneta unica, trasferendo i rischi sui debiti pubblici di alcuni Stati a tutti i membri dell’UEM. La risposta individuata per affrontare il problema del salvataggio degli enti creditizi risiede nella realizzazione del secondo pilastro dell’unione bancaria, cioè creare un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie europee. Nel già citato Rapporto dei quattro presidenti, si propone la creazione di un sistema di risoluzione europeo finanziato principalmente dalle banche stesse.[39] La centralizzazione a livello europeo degli strumenti di risoluzione delle crisi bancarie, attraverso la creazione di un fondo finanziato dalle banche stesse, consente in primo luogo di rompere il circolo vizioso tra le condizioni finanziare degli istituti di credito e quelle degli Stati membri poiché evita che siano questi ultimi a dover intervenire per sostenere gli enti in difficoltà.[40] Inoltre la disponibilità di risorse comuni comporta un aumento dei benefici condivisi di tutti gli Stati membri dell’eurozona, poiché accresce la stabilità finanziaria e la fiducia nei mercati. In terzo luogo, un sistema unico di risoluzione delle crisi è coerente con la creazione del MVU; accentrando le decisioni di risoluzione, si allineano infatti le responsabilità di vigilanza a quelle di gestione delle crisi bancarie.[41]
Un primo passo verso la centralizzazione a livello europeo delle politiche di risoluzione degli enti creditizi è stato fatto dalla direttiva n.2014/59/UE, la cosiddetta Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD), del 15 maggio 2014. La direttiva introduce nuove regole in merito alla gestione delle crisi bancarie, ed in particolare intende limitare l’intervento del bilancio pubblico nel salvataggio delle banche in difficoltà. I destinatari della direttiva, entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2016, sono tutti gli Stati membri dell’UE.
La BRRD prevede l’introduzione di:[42]
– misure per la prevenzione dell’insorgere di crisi e misure di intervento per affrontare i casi di banche in sofferenza;
– misure preparatorie affinché le crisi bancarie possano essere affrontate tempestivamente e con rischi minimi per la stabilità finanziaria nazionale;
– strumenti di risoluzione comuni a tutti i paesi;
– istituzione di un Fondo nazionale di risoluzione.
Secondo la direttiva vengono individuate delle “autorità nazionali di risoluzione” (in Italia la Banca d’Italia) le quali sono responsabili dell’attuazione delle suddette misure. In caso di crisi di una banca si identificano due fasi.
Nella prima, la banca in crisi sottopone alle autorità nazionali un piano di risanamento al fine di ottenerne l’approvazione. In tal senso la BRRD mette a disposizione dell’autorità nazionale degli strumenti di intervento tempestivo che possono arrivare fino alla rimozione dell’intero organo di amministrazione e alla nomina di amministratori temporanei.[43]
Qualora il piano di risanamento non sia sufficiente a superare la crisi della banca in difficoltà, le autorità nazionali potranno procedere alla risoluzione dell’istituto a determinate condizioni.[44] La direttiva affida alle autorità nazionali diversi poteri:
– vendere una parte dell’attività a un acquirente privato;
– trasferire temporaneamente le attività e passività a un’entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato;
– trasferire le attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli;
– applicare il bail in, ossia svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali.[45]
L’introduzione del bail in costituisce l’elemento di novità della direttiva; esso infatti prevede che i costi della crisi bancaria vengano ripartiti tra gli azionisti e i creditori dell’istituto bancario per un valore pari all’8% delle passività. Attraverso il bail in si rompe dunque il legame tra il bilancio pubblico e il salvataggio delle banche.
Infine, in ciascuno Stato membro, viene istituito un “Fondo nazionale di risoluzione”, finanziato dai versamenti delle banche operative nello Stato, da impiegare durante la risoluzione degli istituti bancari. Il Fondo ha infatti la finalità di fornire sostegno temporaneo alle banche in risoluzione attraverso prestiti, garanzie, acquisto di attività o capitale. In casi eccezionali il fondo può essere utilizzato per indennizzare azionisti e creditori, per assorbire le perdite o per la ricapitalizzazione della banca in crisi.
La BRRD, sebbene costituisca un passo importante verso l’armonizzazione dei processi di risoluzione delle crisi bancarie, rappresenta una normativa da declinarsi in tutti gli Stati membri dell’UE e pertanto non risponde ancora alle esigenze dell’eurozona di una piena centralizzazione del settore creditizio e finanziario. Le disposizioni della direttiva prevedono ancora un ruolo importante per le autorità nazionali e non eliminano del tutto i rischi di un mercato frammentato. Lo stesso uso dello strumento legislativo della direttiva come fonte di diritto lascia infatti “spazio di manovra” ai governi nazionali nella fase di implementazione e adozione delle norme nazionali.
La concreta realizzazione del “secondo pilastro” dell’unione bancaria si ha con il regolamento (UE) n. 806/2014 del 14 luglio 2014, che istituisce il Meccanismo di risoluzione unico (MRU) ed è destinato ai paesi della moneta unica. L’MRU si compone di due elementi: vengono istituiti il “Comitato di risoluzione unico” e il “Fondo di risoluzione unico”.
Il Comitato è un’agenzia dell’UE indipendente che si riunisce in due diverse configurazioni: il “Comitato in sessione esecutiva” composto dal Presidente ed altri quattro membri[46] a cui non partecipano i rappresentanti degli Stati: il “Comitato in sessione plenaria”, a cui partecipano anche i rappresentanti delle autorità nazionali di risoluzione e che interviene per la risoluzione degli enti che richiedono 5 miliardi di capitale o 10 miliardi di sostegno alla liquidità. Commissione e BCE partecipano ai lavori del Comitato come osservatori.
Il Comitato viene identificato come principale organo decisionale del Meccanismo, ed è incaricato di elaborare e gestire i piani di risoluzione delle banche in crisi.[47] Le banche soggette all’autorità del Comitato sono le banche definite “significative” dal regolamento sull’MVU cui si aggiungono le banche “meno significative” su cui però la BCE ha deciso di esercitare direttamente i suoi poteri di vigilanza. La risoluzione degli enti “meno significativi” è invece affidata alle autorità nazionali di risoluzione.
Il “Fondo di risoluzione” è un fondo istituito a livello sovranazionale, finanziato dai contributi delle banche e gestito integralmente dal Comitato di risoluzione; il suo scopo è quello di essere impiegato per la risoluzione delle banche in dissesto. Ogni banca contribuisce al fondo proporzionalmente al totale delle proprie passività[48] e l’obiettivo è quello di raggiungere una dotazione complessiva del fondo pari a circa 55 miliardi di euro entro 8 anni, andando progressivamente a sostituire i fondi nazionali degli Stati partecipanti. Le condizioni per poter accedere al Fondo sono le stesse contenute nella direttiva BRRD, per cui devono essere prima state applicate le norme relative al bail in. Anche in questo caso dunque si rafforza il principio per cui i costi dei salvataggi delle banche non devono ricadere sui bilanci pubblici. Il processo decisionale prevede che a dare il via all’applicazione del MRU sia la BCE, nella sua funzione di vigilanza, la quale indica al Comitato gli istituti di credito in crisi. Il Comitato, in sessione esecutiva, può autonomamente dare inizio alla risoluzione delle banche in crisi se, dopo essere stata informata, la BCE non reagisce entro 3 giorni. La sessione esecutiva del Comitato stabilisce se esistono le condizioni per l’impiego degli strumenti di risoluzione.[49] In tal caso si procederà con la formulazione di un “programma di risoluzione” nel quale si identificano le misure da adottare e l’impiego del Fondo di risoluzione. Il programma viene infine inviato dal Comitato alla Commissione europea la quale ha 24 ore di tempo per poter obiettare o proporre al Consiglio europeo delle modifiche. Nel caso in cui il Consiglio obietti al programma di risoluzione, esso ha 12 ore di tempo dall’approvazione per formulare la propria obiezione e in tal caso l’ente verrà sottoposto a liquidazione.[50]
Le norme che riguardano il trasferimento e la creazione del Fondo di risoluzione sono state disciplinate da accordi intergovernativi tra gli Stati partecipanti. Il primo accordo è stato raggiunto il 21 maggio 2014[51] e stabilisce che il Fondo avrà in dotazione 55 miliardi di euro che le banche dovranno versare nell’arco di otto anni a partire dal 1° gennaio 2016.
Tuttavia, il periodo di transizione di otto anni rischia di esporre il mercato finanziario ad eventuali crisi bancarie, e, non essendo ancora operativo il fondo, potrebbero nuovamente mancare le risorse necessarie per affrontarle. A tal proposito, nel “Rapporto dei cinque presidenti”[52] viene fatta notare la necessità di realizzare un meccanismo ponte in modo da garantire che vi sia sufficiente denaro per affrontare le crisi bancarie anche se il finanziamento del Fondo non è sufficiente.[53] Il Rapporto aggiunge anche che è necessario creare un meccanismo comune di backstop, ossia una rete di sicurezza che consenta di trovare risorse aggiuntive al Fondo nella fase provvisoria. In tale ottica nel dicembre 2015 il Consiglio economia e finanza (ECOFIN) degli Stati partecipanti ha approvato la creazione di un “sistema di meccanismi ponte”[54] tramite il quale, a partire dal 2016, ciascuno Stato membro potrà negoziare con il Fondo un accordo per aprire una linea di credito nazionale e sostenere le proprie banche nazionali che non dispongono delle risorse necessarie a contribuire al Fondo. Tali linee di credito hanno la forma di prestiti che dovranno essere poi rimborsati dalle banche, pertanto non incidono nel medio periodo sul debito pubblico.
6. Il mancato completamento dell’unione bancaria.
Il “Rapporto dei quattro Presidenti” aveva individuato come terzo pilastro dell’unione bancaria la realizzazione di un “sistema di europeo di garanzia dei depositi” per le banche sottoposte alla vigilanza europea. Tuttavia la piena realizzazione del terzo pilastro non è stata ancora compiuta lasciando dunque incompleta l’unione bancaria: ciò è dovuto alle difficoltà dei governi dei paesi dell’area euro a trovare un’intesa comune. Un sistema europeo di garanzia dei depositi costituirebbe infatti una forma di “mutualizzazione” del debito privato delle banche e ciò preoccupa i governi dei paesi “solidi”, come Germania, Finlandia e Austria.[55]
Finora l’unico provvedimento adottato sul tema della garanzia dei depositi bancari è stata la direttiva n. 2014/49/UE che prevede la creazione di meccanismi a livello nazionale detti “sistemi di garanzia dei depositi” (SGD); analogamente ai fondi di risoluzione nazionali, i SGD sono finanziati direttamente dagli enti creditizi. Lo scopo di questa direttiva dunque è quello di armonizzare le legislazioni degli Stati membri senza però disporre l’istituzione di meccanismi a livello europeo come per i primi due pilastri dell’unione bancaria. I SGD vengono infatti attivati dalle autorità nazionali competenti o dalle autorità giudiziarie nazionali.[56]
La direttiva introduce alcune novità importanti in materia di garanzia dei depositi; in particolare viene previsto un requisito finanziario minimo comune a tutti i SGD, da raggiungere entro il 2024, pari allo 0,8 % dei depositi correnti.[57]I depositi verranno garantiti fino a 100.000 euro che dovranno essere rimborsati entro 7 giorni lavorativi. La direttiva prevede anche che i fondi presenti nei SGD possono essere impiegati nella risoluzione degli istituti bancari, aggiungendo dunque risorse ai fondi di risoluzione nazionali.
Nonostante il contributo della direttiva, rimangono però ancora delle differenze a livello nazionale che evidenziano la distanza rispetto alla centralizzazione a livello europeo raggiunta con la realizzazione del MVU e del MRU. Inoltre i SGD come concepiti dalla direttiva non forniscono adeguate garanzie sulla stabilità finanziaria a livello europeo. Rimane infatti ancora il problema della capacità dei fondi nazionali di essere effettivamente in grado di assorbire le perdite causate dalla crisi di un ente creditizio; qualora un SGD nazionale non dovesse disporre di adeguate risorse si rischierebbe di compromettere la credibilità e la fiducia del settore e ciò costituisce una pesante criticità dell’unione bancaria. Non per nulla, il “Rapporto dei cinque presidenti” del 2015 sottolinea l’importanza del completamento dell’unione bancaria attraverso la realizzazione del cosiddetto “terzo pilastro”, suggerendo la creazione di un “sistema europeo di garanzia dei depositi” (European Deposit Insurance Scheme – EDIS); proprio come per il “Fondo unico di risoluzione” anche il EDIS, nella proposta del Rapporto, prevede la creazione di un fondo a garanzia dei depositi che sia finanziato dagli enti creditizi attraverso contributi basati sul rischio. Il suo ambito di applicazione dovrebbe quindi coincidere con quello del MVU, vale a dire le banche significative dell’eurozona. La proposta dell’istituzione del EDIS è stata approfondita e ripresentata dalla Commissione europea il 24 novembre del 2015 sotto forma di proposta legislativa. Per la creazione del EDIS la Commissione individua un percorso diviso in tre fasi.[58]
La fase 1, da realizzarsi entro il 2020, viene definita di “riassicurazione”: il EDIS, finanziato dalle risorse degli enti creditizi, potrà concedere i propri fondi soltanto ai SGD che hanno esaurito le risorse proprie e solo se conformi alla direttiva n. 2014/49/UE. La proposta afferma che il EDIS elargirà queste risorse supplementari fino ad un determinato livello che, tuttavia, non viene specificato. Allo scopo di evitare il moral hazard verranno identificate delle “salvaguardie” al fine di giustificare l’intervento del EDIS soltanto se e quando necessario. Tutti i fondi EDIS ricevuti saranno sottoposti a monitoraggio e quelli indebitamente ricevuti da un SDG dovranno essere interamente rimborsati.[59]
La fase 2, detta di “coassicurazione” a partire dal 2020, prevede un maggior impiego del EDIS il quale potrà intervenire anche nel caso in cui un sistema nazionale non abbia esaurito i propri fondi. Il fondo del EDIS, sebbene ancora soggetto a limitazioni per prevenire gli abusi, potrà coprire una parte dei rimborsi per una quota pari al 20% nel primo anno che aumenterà progressivamente fino al 2024. In tal modo si ha, seppure ancora limitato, un certo grado di condivisione dei rischi a livello europeo.[60]
Nella terza e ultima fase, detta di “riassicurazione totale”, il “Fondo europeo di garanzia dei depositi” sostituirà del tutto i SGD nazionali, e il EDIS si assumerà dunque il 100% della quota di rischio.[61]
La proposta della Commissione, tuttavia, non è stata ancora realizzata a causa delle divergenze tra i governi nazionali. In particolare la proposta ha trovato una forte resistenza da parte dei governi dei paesi più “forti” dell’area euro, con la Germania in testa.
Durante il consiglio ECOFIN tenutosi l’8 dicembre 2015, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble avrebbe infatti contestato la proposta della Commissione sostenendo che è necessario “separare in modo appropriato la conduzione della politica monetaria da quella di vigilanza bancaria […]; i rischi dei sistemi bancari nazionali dell’area euro vanno ridotti prima di poter pensare a qualunque forma di mutualizzazione, ed è pertanto opportuno attendere la piena operatività del Meccanismo unico di risoluzione […]”. Schäuble, inoltre, avrebbe contestato la base giuridica della proposta di regolamento dichiarando che la Germania è pronta, in proposito, ad adire la Corte di giustizia, sostenendo che la materia del EDIS dovrebbe essere oggetto di un accordo intergovernativo, come avvenuto per il Fondo unico di risoluzione.[62] Tra i fattori che preoccupano il governo tedesco si può identificare la sfiducia nei confronti dei sistemi bancari di alcuni paesi europei, giudicati poco trasparenti e poco solidi. In tal senso, ha pesato anche il caso di Banca Etruria e il salvataggio fatto dal governo italiano, lasciando trasparire l’idea di un sistema bancario fragile in cui altre banche potrebbero fallire.[63]
Al momento dunque la realizzazione del terzo pilastro dell’unione bancaria è in stallo, poiché in sede di Consiglio europeo non sarebbe possibile trovare un intesa tra i rappresentati dei governi dell’eurozona.
Al fine di trovare un accordo, il Consiglio ha istituito nel gennaio 2016 una commissione preparatoria ad hoc, detto gruppo di “Rafforzamento dell’unione bancaria” allo scopo di esaminare le iniziative e le proposte legislative volte a rafforzare l’unione bancaria e definire di volta in volta la posizione del Consiglio. Il gruppo è composto dal Presidente di turno del Consiglio UE e dai rappresentanti degli Stati membri cui si aggiungono, in qualità di osservatori, rappresentanti della BCE e del Comitato unico di risoluzione.
I lavori di tale gruppo hanno prodotto nel novembre 2016 una ulteriore proposta di avanzamento dei lavori per completare l’unione bancaria[64] che è stata sottoposta al Consiglio in dicembre. Tuttavia non sono ancora state adottate misure esecutive per la realizzazione del EDIS.
7. Conclusioni.
Il caso di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza di questa estate hanno rischiato di mettere in seria crisi il processo di completamento dell’unione bancaria. Secondo le regole del MRU coerenti al principio del bail-in, il costo del salvataggio delle banche venete doveva essere assorbito dalle risorse interne agli stessi istituti bancari: creditori subordinati, creditori senior e i depositi oltre i 100.000 euro. Le istituzioni europee invece hanno preferito agire diversamente dichiarando le due banche inadatte alla risoluzione secondo le regole dell’unione bancaria poiché non rappresentavano un rischio sistemico per l’eurozona e ha lasciato al governo italiano la facoltà di intervenire direttamente nella liquidazione degli enti. L’operazione ha messo però in dubbio la credibilità dell’unione bancaria: il governo si è infatti addossato il costo di rimborsare i creditori delle due banche venete, compresi quelli che non erano stati truffati e coinvolti nelle operazioni poco trasparenti dei due enti; si è rotto dunque il principio di separazione tra bilancio pubblico e condizioni economiche degli enti creditizi che si era affermato durante le prime fasi dell’unione bancaria. L’operazione messa in atto dal governo ha suscitato critiche poiché sembra essere stata più una scelta politica di consenso priva di una giustificazione economica. La Commissione e la BCE hanno comunque lanciato un avvertimento all’Italia: Bruxelles vigilerà sull’impatto dell’operazione banche venete sui conti pubblici mentre Francoforte ha annunciato una maggiore vigilanza sul settore bancario in Italia. Entrambe le istituzioni hanno però concordato che c’è stata una grave mancanza di tempestività nell’affrontare il problema delle banche venete che ha peggiorato ulteriormente la crisi dei due enti.
Quanto avvenuto non ha certo aiutato a ristabilire la fiducia nei mercati sulla tenuta del sistema bancario italiano e ha confermato i dubbi dei governi più esitanti nel completamento dell’unione bancaria. Non sono stati pochi i commentatori che hanno affermato che il caso delle banche venete avesse assestato un colpo letale all’unione bancaria.
Ciononostante, e sebbene ci sia stata una fase di stallo sui negoziati per portare a compimento il “terzo pilastro”, proprio lo scorso ottobre la Commissione ha rilanciato il tema del completamento dell’unione bancaria nelle parole del Vice-presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis: “il completamento dell’unione bancaria è essenziale per il futuro dell’unione economica e monetaria e per un sistema finanziario che promuova la crescita e l’occupazione. Vogliamo avere un settore bancario che riesca ad assorbire le crisi e condivida i rischi attraverso canali privati per evitare l’uso del denaro pubblico. Oggi presentiamo idee pragmatiche per rilanciare il processo sia di riduzione dei rischi che di condivisione dei rischi”.
La nuova proposta della Commissione riparte da alcuni punti della proposta EDIS, modificandone altri sul sistema di garanzia dei depositi; viene anche introdotto il tema dei crediti deteriorati (o inesigibili) delle banche europee, che al momento pesano per circa 1.000 milardi di euro e sono il punto di maggior preoccupazione delle istituzioni europee e della BCE.
Bisogna augurarsi che la nuova proposta della Commissione possa essere utile a riprendere i negoziati. Il completamento dell’unione bancaria, dovrebbe essere una priorità per la politica europea al fine di garantirne la credibilità. Ma a tale scopo è necessario che si mettano da parte gli interessi nazionali per costruire un sistema europeo in grado di offrire vantaggi a tutti gli Stati partecipanti.
[1] TUE, Disposizioni comuni, art. A.
[2] TUE, art. 4.
[3] Andrea Pierini, Unione bancaria europea e mercato unico dei servizi finanziari. Dinamiche di integrazione e limiti del processo di federalizzazione delle funzioni in materia di vigilanza e risoluzione delle crisi bancarie, in Costituzionalismo.it, Crisi e conflitti nell’Unione europea: una prospettiva costituzionale, fascicolo 3 (2016), p. 398.
[4] Ibid., p. 404.
[5] TFUE, art.127.
[6] Andrea Pierini, op. cit., p. 400.
[7] Stefano Cappiello, Il meccanismo di adozione delle regole e il ruolo della European Banking Authority, in Raffaele D’Ambrosio (a cura di), Scritti sull’unione bancaria, Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale di Banca d’Italia, n. 81, luglio 2016, p. 38.
[8] Andrea Pierini, op. cit., p. 398.
[9] Stefano Cappiello, op. cit., p. 39.
[10] La Commissione europea ha prodotto due documenti tra il 2008 e il 2011 per giustificare l’intervento pubblico degli Stati al fine di salvare le banche europee senza dunque infrangere la normativa europea relativa alla disciplina degli aiuti di Stato. Vedi C(2011) 8744.
[11] Alessandra De Aldisio, Il Meccanismo di risoluzione unico. La distribuzione dei compiti tra il Comitato di risoluzione unico e le autorità di risoluzione nazionali e altri aspetti istituzionali, in Raffaele D’Ambrosio (a cura di), Scritti sull’unione bancaria, op. cit., p. 140.
[12] Ibid., p. 141.
[13] Jacques De Larosière et al., The High-Level Group on Financial Supervision in Europe, Report.
[14] https://www.eba.europa.eu/languages/home_it.
[15] Ibid..
[16] http://www.eba.europa.eu...
[17] Verso un’autentica unione economica e monetaria, Relazione del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, Bruxelles, 26 giugno 2012.
[18] Ibid., p. 5.
[19] Ibid..
[20] Ibid., p. 6.
[21] Ibid..
[22] Marco Mancini, Dalla vigilanza nazionale armonizzata alla Banking Union, in Scritti sull’unione bancaria, Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale di Banca d’Italia, n. 73, Settembre 2013, p. 15.
[23] In base all’art. 7 del MVU è prevista infatti la possibilità di una “stretta collaborazione con le autorità competenti degli Stati membri partecipanti la cui moneta non è l’euro”.
[24] Banca centrale europea, Guida alla vigilanza bancaria, settembre 2014, p. 3.
[25] Banca centrale europea, op. cit., p. 8.
[26] E’ questo ad esempio il caso di alcuni istituti bancari di Spagna e Grecia che hanno ricevuto sostegno da parte del MES durante la crisi.
[27] I criteri sulla significatività degli enti sono ripresi da: Banca centrale europea, op. cit., p. 8.
[28] Ibid., p. 10.
[29] Ciò rafforza l’idea della superiorità gerarchica del livello europeo su quello nazionale.
[30] Banca centrale europea, op. cit., p. 14.
[31] Ibid., p. 23.
[32] Ibid., p. 34.
[33] Ibid., p. 39.
[34] Parlamento europeo, Note sintetiche sull’unione bancaria.
[35] Tra le banche in carenza di capitale dieci sono italiane; il risultato peggiore è stato conseguito dal gruppo Monte dei Paschi di Siena le cui carenze di capitale al 2014 ammontavano a 2,11 miliardi di euro.
[36] European Banking Authority, Press Release on 2016 Eu-wide stress test results.
[37] Nello stress test effettuato nel 2014 invece la BCE aveva individuato per il 2016 una soglia di capitale minimo pari all’8%, ibid..
[38] IlSole24Ore.com, Stress test, la classifica dell’ABE.
[39] Verso un’autentica unione economica monetaria, Relazione del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, op. cit., p. 5.
[40] Alessandra De Aldisio, op. cit., p. 141.
[41] Ibid..
[42] Ministero dell’economia e delle finanze, Unione bancaria: con direttiva UE più tutele per depositi e creditori, 2 luglio 2015.
[43] Banca d’Italia, Che cosa cambia nella gestione delle crisi bancarie, Roma, 8 luglio 2015, p. 1.
[44] Le condizioni sono: a) la banca è in dissesto o a rischio di dissesto; b) non si ritiene che misure alternative di natura privata (quali aumenti di capitale) o di vigilanza consentano di evitare in tempi ragionevoli il dissesto dell’intermediario; c) sottoporre la banca alla liquidazione ordinaria non permetterebbe di salvaguardare la stabilità sistemica, di proteggere depositanti e clienti, di assicurare la continuità dei servizi finanziari essenziali e, quindi, la risoluzione è necessaria nell’interesse pubblico, ibid., p. 3.
[45] Ibid.
[46] Sia il Presidente che i quattro membri sono scelti sulla base di una procedura di selezione aperta, che rispetta i principi di equilibrio di genere, esperienza e qualifica secondo le disposizioni dell’art. 56 del Regolamento (UE) n. 806/2014.
[47] Art. 7 Regolamento (UE) n. 806/2014.
[48] Art. 70 Regolamento (UE) n. 806/2014.
[49] Qualora queste non risultino rispettate si disporrà per la liquidazione della banca secondo la disciplina delle norme nazionali.
[50] Da notare come i tempi molto stringenti previsti dal regolamento limitano la discrezionalità dei governi nazionali in sede di Consiglio rendendo le decisioni dell’MRU più tempestive ed efficaci.
[51] Consiglio dell’Unione europea, 10088/14, Member states sign agreement on bank resolution fund.
[52] Commissione europea, Completare L’unione economica e monetaria dell’Europa, relazione di Jean-Claude Juncker in stretta collaborazione con Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi e Martin Schulz.
[53] Ibid., p. 13.
[54] ECOFIN, Statement on Banking Union and bridge financing arrangements for the Single Resolution Fund.
[55] Chiara Giussani, Unione Bancaria europea: le istituzioni europee completano il puzzle? Una prima analisi della proposta EDIS, Eurojus.it Rivista, febbraio 2016.
[56] Filippo Croci, Adottata la direttiva 2014/49: verso una maggiore armonizzazione dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi bancari, Eurojus.it Rivista, Agosto 2014. http://rivista.eurojus.it/adottata-la-direttiva-201449-verso-una-maggiore-armonizzazione-dei-sistemi-nazionali-di-garanzia-dei-depositi-bancari/.
[57] Ibid..
[58] Commissione europea, Un’unione bancaria più solida: nuove misure per rafforzare la protezione dei depositi e ridurre ulteriormente i rischi bancari, Strasburgo, Comunicato stampa, 24 novembre 2015.
[59] Ibid..
[60] Ibid..
[61] Ibid..
[62] Sito istituzionale del Senato della Repubblica italiana, Dossier sul consiglio ECOFIN dell’8 dicembre 2015.
[63] Ibid..
[64] Consglio europeo, Relazione della Presidenza sullo stato di avanzamento delle misure volte a rafforzare l’unione bancaria, novembre 2016.