Anno LVI, 2014, Numero 3, Pagina 217
Riformare l’Unione europea:
con o senza revisione dei trattati?*
THIERRY CHOPIN
La crisi economica e finanziaria ha innescato un ampio dibattito sul futuro del processo di integrazione europea: gli Stati europei, e in particolare quelli dell’eurozona, hanno compreso infatti che l’unica via per riacquisire la propria sovranità nei confronti dei mercati, e dunque la capacità di prendere decisioni sul proprio futuro, consiste in un rafforzamento dell’Unione economica e monetaria. Questa consapevolezza ha portato alla creazione di meccanismi di solidarietà finanziaria[1] e all’entrata in vigore del Meccanismo europeo di stabilità; inoltre, sono state adottate regole più stringenti in materia di bilancio e si sono rafforzati i meccanismi di governance economica (Six-Pack, Fiscal Compact, Two-Pack). Infine, il progetto di unione bancaria ha fatto passi in avanti, attraverso la creazione di un’autorità di vigilanza europea affidata alla Banca centrale europea (BCE) e il raggiungimento di un accordo in seno al Consiglio su un meccanismo di risoluzione bancaria realmente europeo.
Permangono, tuttavia, dei disaccordi tra gli Stati membri in materia di unione economica e di bilancio, in particolare sull’ingerenza europea nelle decisioni nazionali e sull’opportunità di una maggiore solidarietà fiscale (mutualizzazione di una parte del debito, contributi economici in cambio di riforme, bilancio dell’eurozona ecc.). Inoltre, la contestazione della legittimità delle decisioni europee esige avanzamenti sul terreno dell’unione politica, campo nel quale si procede molto lentamente.[2]
Ora, per progredire sulla via del rafforzamento dell’integrazione europea, è inevitabile porsi il problema del quadro istituzionale e giuridico nell’ambito del quale tale rafforzamento può avvenire. In effetti, ognuna delle riforme ipotizzabili pone una questione di metodo, che si traduce nella necessità di scegliere tra l’introduzione di elementi di innovazione senza modificare i trattati istitutivi, oppure la modifica dei trattati istitutivi attraverso la procedura di revisione, o la conclusione di un trattato internazionale esterno alla cornice istituzionale dell’Unione.
La tentazione dello status quo consolidato: una scelta realistica?
Nel clima politico attuale, segnato dal rafforzamento dei populismi e delle forze di estrema destra antieuropee, è probabile che più Capi di Stato e di governo ritengano che un simile contesto è politicamente sfavorevole a una riforma ambiziosa dei trattati europei e non vogliano dunque assumersi il rischio politico di un processo di ratifica incerto, soprattutto negli Stati nei quali è richiesto un referendum. In tale situazione, a prima vista sembra opportuno concentrare l’analisi sui progressi che possono essere compiuti senza modificare il quadro attuale dei trattati, attraverso il solo impulso politico che gli Stati interessati vogliano imprimere all’unione economica della zona euro.
Di fronte alle sfide sopra illustrate, la tentazione di limitarsi a un consolidamento dello status quo è in effetti forte, dal momento che gli ostacoli al superamento della fase alla quale l’Unione europea è approdata poco più di vent’anni fa, con i grandi progetti strutturali del mercato unico e della moneta unica, sembrano troppo numerosi. Le ragioni delle difficoltà a concepire un nuovo progetto politico di medio-lungo termine per l’Europa sono ormai ben chiare:[3] il deficit di leadership europea, il rafforzamento della dimensione intergovernativa,[4] la tendenza degli Stati a ripiegarsi su sé stessi in un contesto di concorrenza internazionale sempre più forte e di crisi economica, la più grave dai tempi della Grande depressione. Tutti questi fattori rischiano di immobilizzare in una condizione stagnante un’Europa già in via di invecchiamento.
Tali considerazioni potrebbero indurre nella tentazione di allentare gli sforzi – dal momento che la pressione dei mercati sembra meno forte rispetto ad alcuni mesi fa – e di limitarsi a consolidare l’Unione senza modifiche importanti della sua struttura attuale. Tuttavia, una simile scelta costituirebbe un errore, perché il mantenimento dello status quo non è un’opzione percorribile sul lungo periodo.[5] Se vi è infatti un dato acquisito grazie alla crisi, è che la governance economica europea ha mostrato i suoi limiti[6] sia dal punto di vista della sua efficacia, sia dal punto di vista della sua legittimità. Le regole di bilancio e le politiche di coordinamento economico degli Stati membri hanno perduto di credibilità: in primo luogo perché non sono state applicate,[7] poi perché gli strumenti istituzionali corrispondenti non sono adatti ai tempi di crisi – il bilancio europeo è insufficiente per un rilancio significativo della crescita e le decisioni in materia di bilancio e fiscale richiedono l’unanimità degli Stati membri, e dunque lunghi negoziati –, infine perché enunciano degli obiettivi senza definire i mezzi attraverso i quali raggiungerli.
D’altronde, su un piano più politico, lo scollamento tra le modalità di funzionamento delle istituzioni europee e le esigenze legate alla crisi è sempre più evidente. I tempi di negoziazione per via diplomatica sono troppo lenti: è stato necessario un mese per negoziare dei piani di aiuto ai paesi in difficoltà, fattore che ha comportato una moltiplicazione dell’entità e dei costi degli aiuti stessi. Si è così progressivamente diffusa la sensazione che l’Europa fosse sempre “in ritardo di una crisi”.
Inoltre, questo modo di procedere provoca fortissime tensioni: il risultato delle negoziazioni è sempre incerto, le posizioni dei vari governi sembrano costantemente condizionate dai calendari elettorali, le decisioni prese dai governi a livello europeo possono essere poi rimesse in discussione a livello nazionale – soprattutto in un contesto in cui molti governi sono fortemente indeboliti sul piano politico nei loro paesi. L’incertezza che ne deriva accresce la percezione del rischio economico da parte degli investitori e riduce la credibilità degli impegni europei.
Infine, i meccanismi di funzionamento attuali, che danno costantemente la priorità al Consiglio sul Parlamento europeo nella gestione della crisi, pongono un problema di comprensibilità e di legittimità agli occhi dei cittadini europei.[8] I dibattiti su questi temi a livello nazionale non consentono ai candidati di impegnarsi in modo fermo a sostegno di determinate posizioni, perché le decisioni saranno in ultima analisi il risultato di negoziazioni con gli altri Capi di Stato e di governo. Finora, in effetti, non esiste alcun dibattito pubblico transeuropeo sul federalismo fiscale e la politica economica (in particolare sulle misure di austerità e sulle riforme strutturali) al di fuori del Parlamento europeo, che peraltro non ha voce in capitolo in queste materie.
Tutto questo comporta un costo politico ed economico. I partiti populisti ed estremisti guadagnano voti in Europa, denunciando la debolezza della democrazia, soprattutto a livello europeo, e rifiutando il sistema politico ed economico attuale. Sul piano economico, poi, l’incertezza costituisce un freno agli investimenti, alla crescita e dunque all’occupazione in Europa.
Lo status quo è dunque pregiudizievole e sarebbe illusorio accontentarsi di consolidare quanto acquisito finora.
Le posizioni delle istituzioni europee e degli Stati membri sulla riforma dell’Unione europea e dell’UEM in particolare
– Nel settembre 2012, i Ministri degli affari esteri di undici Stati membri dell’Unione europea[9] hanno firmato un documento che può essere considerato come il primo tentativo di formalizzare un progetto di unione politica.
– In occasione del Consiglio europeo del dicembre del 2012, il Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha presentato un piano per la realizzazione di una vera unione economica e monetaria,[10] che identifica quattro sfide fondamentali: un quadro finanziario integrato, un quadro di bilancio integrato, un quadro economico integrato e un rafforzamento della legittimità democratica insieme all’obbligo per gli Stati di attenersi al principio di responsabilità.
– La Commissione europea ha pubblicato nel novembre 2012 Un piano per un’unione economica e monetaria autentica e approfondita. Avvio del dibattito europeo,[11] che, relativamente ad alcune proposte, implica una revisione dei trattati.
– Da parte sua, il Parlamento europeo considera che “un’UEM autentica e approfondita richiede maggiori competenze, risorse finanziarie e responsabilità democratiche, e che la sua istituzione dovrebbe seguire un approccio in due fasi, basato in primo luogo sullo sfruttamento immediato e pieno delle potenzialità dei trattati vigenti e in secondo luogo su una loro modifica, da definire mediante una Convenzione”;[12]
– Angela Merkel è sembrata esprimere il desiderio di convocare una seconda Convenzione.[13] La CDU, in occasione del suo congresso a Leipzig nel novembre 2011, ha peraltro proposto l’elezione del Presidente della Commissione europea a suffragio universale, procedura che presupporrebbe una revisione dei trattati; più recentemente, nel suo discorso al Bundestag del 18 dicembre 2013, la stessa Merkel ha riaffermato che sarebbe favorevole a una “evoluzione dei trattati europei”;[14]
– Il Presidente della Repubblica francese François Hollande ha annunciato il 16 maggio 2013 di voler dare un contenuto all’unione politica.[15] Si tratterebbe di uno sviluppo, ancora da precisare, delle proposte franco-tedesche presentate nel maggio 2013[16] (e che non comportano una revisione dei trattati) sulla creazione di un Presidente a tempo pieno dell’Eurogruppo e di una sotto-formazione del Parlamento europeo competente per l’eurozona.[17]
Revisione dei trattati o evoluzione a trattati invariati?
Una revisione dei trattati è esclusa nel breve periodo?
In linea teorica, la via abituale di revisione dei trattati (art. 48 TUE) sembrerebbe la più logica. È questo il metodo che è stato utilizzato più spesso prima della crisi, che si trattasse della creazione del mercato unico (Atto unico europeo), della moneta unica (Trattato di Maastricht), della politica estera e di sicurezza comune o della politica di asilo e immigrazione (Trattato di Amsterdam).
Una revisione dei trattati comporterebbe senza dubbio dei vantaggi. I trattati internazionali attuali (MES, Fiscal Compact) sarebbero inseriti all’interno del quadro giuridico dei trattati UE. Si potrebbe approfondire l’UEM con una solidarietà finanziaria e una vera unione bancaria, fondate su un’accresciuta legittimazione democratica (in particolare attraverso un coinvolgimento più forte dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo – le cui prerogative sarebbero rafforzate – nella vigilanza economica e di bilancio, ma anche attraverso una ridefinizione della composizione della Commissione). La revisione costituirebbe poi l’occasione per chiarire i rapporti tra l’UEM e l’Unione europea.
Il calendario politico di un tale scenario potrebbe essere il seguente: una volta entrati in funzione i nuovi Presidenti del Consiglio europeo e della Commissione (situazione che si verificherà in coincidenza con la fine della presidenza italiana del Consiglio UE), il Consiglio europeo potrebbe decidere di convocare una Convenzione alla fine del 2014 i cui lavori si svolgerebbero lungo tutto il 2015 (anno delle elezioni in Regno Unito) e sarebbero seguiti da una Conferenza intergovernativa; il processo di ratifica si svolgerebbe nel 2016 (dal momento che il 2017 è l’anno delle elezioni presidenziali in Francia e legislative in Germania).
Tuttavia, oggi non è certo che vi siano in tutti gli Stati membri le condizioni politiche necessarie per una revisione dei trattati, vale a dire l’unanimità degli Stati membri per la firma e la ratifica delle modifiche decise. Se alcuni alti responsabili tedeschi non sembrano escludere a priori una modifica dei trattati per migliorare la governance dell’eurozona,[18] probabilmente non vi è oggi un consenso tra gli altri partner su questo punto, a meno che la revisione non si concentri solo su questioni limitate (ad esempio la necessità di fornire una base giuridica solida al potere di risoluzione dell’unione bancaria).[19]
Rivedere i trattati significa inoltre anche aprire un nuovo vaso di Pandora per quanto riguarda le richieste di un trattamento particolare di questo o quell’altro Stato membro, a partire dal Regno Unito, più che mai tentato di ridefinire i termini del suo rapporto con l’Unione europea.[20] Molti responsabili, tra i quali il Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, hanno messo in guardia contro i danni che potrebbero derivare al mercato unico da un eventuale ritrasferimento di poteri verso Londra.[21] La volontà di evitare una simile ipotesi rischia dunque di costituire un ostacolo a un’eventuale revisione dei trattati. Infine, il clima politico attuale si caratterizza per la forza dei populismi e dei partiti di estrema destra antieuropei, che denunciano il potere delle élite nazionali ed europee e che puntano sulla contestazione della legittimità politica e democratica delle istituzioni europee.
Evolvere a trattati invariati.
Alcuni passi avanti potrebbero essere compiuti senza modificare il quadro giuridico attuale, attraverso il semplice impulso politico da parte degli Stati interessati alla costruzione di un’unione economica della zona.
Innanzitutto potrebbe essere nominato un Presidente dell’Eurogruppo a tempo pieno senza altri mandati nazionali. Si tratta di una figura che potrebbe diventare un vero Ministro delle finanze dell’eurozona attraverso una sua simultanea nomina a Commissario incaricato dell’euro. Questo Ministro delle finanze sarebbe assistito da una Direzione generale del tesoro dell’eurozona composta da una parte degli attuali servizi della DG ECFIN. In secondo luogo si potrebbe dar vita a una rappresentanza unificata della zona euro nel FMI e nella Banca mondiale (art. 138 TFUE) nella persona del Presidente dell’Eurogruppo. In terzo luogo si potrebbe fissare un calendario politico di convergenza economica e fiscale degli Stati membri. Infine, potrebbe essere creata una sottocommissione della zona euro nell’ambito del Parlamento europeo e si potrebbe applicare in modo più ambizioso l’art. 13 del Fiscal Compact, in modo da rafforzare l’associazione dei parlamenti nazionali e quindi la legittimità democratica delle decisioni prese in materia di controllo di bilancio.[22]
L’ipotesi di “avanzare” poggiando sulle basi giuridiche esistenti, finora utilizzata dagli Stati membri (Six-Pack e Two-Pack, adottati sulla base dell’art. 136 TFUE), presenta dei vantaggi, dal momento che consente di evitare di riaprire il vaso di Pandora, di dilungarsi in negoziati e di rischiare un processo di ratifica sempre incerto. In termini di calendario, queste proposte potrebbero in particolare essere discusse e poi realizzate in occasione delle nomine che avranno luogo nel corso della seconda metà del 2014 (Presidente della Commissione, Commissari, Presidente dell’Eurogruppo, Presidente del Consiglio europeo).
Tuttavia, essa presenta anche degli aspetti negativi. I trattati pongono infatti dei limiti alla solidarietà finanziaria tra Stati, in particolare quelli dell’eurozona. Inoltre, passaggi come quello di integrare il MES e il Fiscal Compact[23] nella struttura istituzionale dell’Unione presupporrebbero una modifica dei trattati. Anche rafforzare la legittimità democratica delle decisioni europee prese in materia economica comporta in larga misura una modifica dei trattati, in particolare nell’ottica del rafforzamento della legittimità e della rappresentatività del Parlamento europeo.
In breve, dei progressi sostanziali sulla via di un’unione di bilancio, bancaria e politica dell’eurozona, così come l’unione monetaria in passato, presuppongono un’evoluzione significativa del quadro giuridico attuale. Ma attraverso quali strumenti?
Un trattato internazionale?
Dal momento che l’unanimità necessaria per la revisione dei trattati europei sembra difficile da ottenere, non bisogna escludere la possibilità di ricorrere alla firma di un trattato tra gli Stati membri della zona euro, trattato che dovrebbe essere compatibile con i trattati istitutivi.[24] Questo metodo è stato già utilizzato più volte: a titolo di esempio si possono citare l’accordo di Schengen (1986) volto all’eliminazione dei controlli alle frontiere tra gli Stati membri partecipanti; il Trattato di Prüm (2005) relativo allo scambio di dati e alla cooperazione nel settore della lotta al terrorismo; il Meccanismo europeo di stabilità (MES) e il Fiscal Compact, firmato da 25 Stati membri nel marzo 2012 in un quadro intergovernativo, al di fuori dei trattati.
Ricorrere allo strumento del trattato internazionale, che avrebbe l’obiettivo di riunire in un trattato sull’unione economica e monetaria i trattati internazionali attuali (MES e Fiscal Compact), permetterebbe di fornire una base più solida atta a consentire che gli Stati firmatari stabiliscano tra loro un’unione economica e di bilancio più integrata, comprensiva di una solidarietà finanziaria e di una vera unione bancaria e basata su una legittimità democratica più forte. La negoziazione tra gli Stati membri della zona euro e i “pre-in”, che volessero partecipare alla moneta unica, sarebbe ritenuta poi dai partigiani di tale opzione meno difficile rispetto a una negoziazione a 28 e consentirebbe di evitare il rischio di blocco, in particolare da parte del Regno Unito. Infine, l’entrata in vigore del trattato non sarebbe condizionata alla ratifica unanime da parte degli Stati firmatari, dal momento che le condizioni di entrata in vigore potrebbero ricalcare quelle del Fiscal Compact del 25 marzo 2012.[25] Non va poi sottovalutato il fatto che la negoziazione e la ratifica di un tale accordo consentirebbero di mostrare che è stata scelta esplicitamente una rotta precisa per superare la crisi.
Per quanto concerne una possibile tabella di marcia, nel caso in cui si decida di scegliere la via del trattato internazionale tra gli Stati dell’eurozona, un accordo tra Francia e Germania nel 2014-2015 aprirebbe la via a una negoziazione tra gli Stati membri tra i quali circola la moneta unica e i “pre-in” che lo desiderino. Il processo di ratifica potrebbe aver luogo nel 2016 o potrebbe essere rimandato al 2017 dopo le elezioni in Francia e in Germania.
Il ricorso a un accordo internazionale anziché a una revisione dei trattati europei presenta tuttavia anche degli svantaggi.
Sul piano politico e diplomatico non è certo, infatti, che la negoziazione di un trattato internazionale sia meno difficile rispetto a una revisione dei trattati tra i 28 Stati membri dell’Unione europea; inoltre, anche con condizioni di entrata in vigore modificate, si pone comunque la questione delle difficoltà sempre presenti nel processo di ratifica di un accordo europeo, soprattutto nel caso in cui in alcuni Stati venga organizzato un referendum.
Sul piano giuridico, poi, un simile scenario porrebbe la questione della concorrenza tra i due strumenti (trattati internazionali dell’eurozona e trattati UE) e dunque delle modalità di una loro conciliazione. Peraltro, ci si può chiedere in che misura e fino a dove delle nuove tappe del processo di integrazione possono essere decise e attuate al di fuori del quadro dei trattati UE.
L’opzione illustrata non è quindi una panacea, perché rende ancora più complessa la geometria dell’Europa. La moltiplicazione dei gradi di integrazione e delle soluzioni istituzionali implica infatti che la costruzione europea sia sempre meno comprensibile, con conseguenze negative sul dibattito democratico. La scelta di un tale strumento giuridico costituirebbe inoltre la prova dell’impronta intergovernativa data all’UEM.
Che compromesso è possibile immaginare?
Gli sviluppi che precedono mostrano che non esiste una soluzione ideale (dal momento che sia una revisione dei trattati, sia la stipulazione di un trattato internazionale dell’eurozona comporterebbero degli aspetti negativi). Conviene allora terminare questa analisi suggerendo le linee di un possibile compromesso, che potrebbe consistere nell’attuazione entro la fine del 2014 delle misure che non necessitano una modifica dei trattati e l’avvio in contemporanea di una revisione dei trattati.
Quest’ultima sarebbe volta innanzitutto a creare un protocollo sull’Unione economica e monetaria (UEM) allegato al trattato sul funzionamento dell’UE che avrebbe lo scopo di consolidare i trattati internazionali creati al di fuori del quadro dell’Unione (Fiscal Compact, Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità – MES), di precisare la base giuridica del meccanismo di risoluzione bancaria e della ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del MES, di precisare altresì il funzionamento delle istituzioni europee in formato eurozona (comitato della zona euro in seno al Parlamento europeo, creazione di un Ministro delle finanze dell’eurozona che riassuma in sé le funzioni di Presidente dell’Eurogruppo e di Commissario incaricato dell’euro, definizione della responsabilità delle istituzioni dell’eurozona – ivi compresa la Troika, il Ministro delle finanze e il MES – dinnanzi al suddetto comitato del PE).
Inoltre, essa dovrebbe condurre all’adozione di una procedura di revisione limitata dei trattati istitutivi da parte degli Stati membri dell’eurozona, che faciliti l’adozione di disposizioni addizionali specifiche per l’UEM, a patto che esse siano compatibili con le regole UE. Gli Stati non membri dell’eurozona sarebbero liberi di unirsi, ma non potrebbero opporsi a tali modifiche, e le disposizioni addizionali sarebbero inserite nel quadro del Protocollo sull’UEM annesso al TFUE. La modifica di tale protocollo (e dunque l’aggiunta di nuove disposizioni specifiche all’eurozona) richiederebbe poi la ratifica unicamente degli Stati che partecipano alla moneta unica (e degli Stati che decidono di adottare l’acquis della zona euro).
La revisione dovrebbe poi precisare, nel quadro del Protocollo sul Regno Unito, i settori (ulteriori rispetto al mercato interno) ai quali tale paese continua a partecipare. Il Regno Unito non potrebbe prendere parte (in seno al Consiglio e al Parlamento europeo) alle decisioni relative alle materie alle quali ha rinunciato a partecipare, mentre, per quanto concerne il bilancio, esso contribuirebbe e si pronuncerebbe solo sulla parte del bilancio relativa ai settori ai quali partecipa, senza potersi pronunciare sulla totalità di questo. Infine, il Regno Unito conserverebbe la possibilità di opt-in per politiche ulteriori rispetto a quelle si è impegnato a partecipare nel quadro del protocollo.
Per finire, dovrebbero essere inserite nei trattati delle modifiche volte a rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni europee e a concretizzare il progetto di Unione politica.
Allegato 1 – Tavola riassuntiva delle proposte illustrate
Proposte |
Senza revisione dei trattati |
Revisione dei trattati necessaria o nuovo trattato internazionale |
Revisione del Protocollo sull’Eurogruppo |
Unione bancaria |
|||
Creazione di un Meccanismo di risoluzione unico per l’unione bancaria (che completi il meccanismo di vigilanza unico) |
X La procedura legislativa è in corso (allo stadio del Trilogo) |
Una revisione dei trattati sarebbe necessaria per affidare le decisioni in materia di risoluzione a un’Agenzia indipendente anziché alla Commissione |
|
Dare la possibilità al Meccanismo europeo di stabilità di ricapitalizzare le banche in maniera diretta |
X Vedi l’accordo ottenuto su questo punto: |
Una revisione del Trattato istitutivo del MES sarebbe necessaria per autorizzare una linea di credito al Fondo di risoluzione unico |
|
Unione fiscale |
|||
Integrazione del Trattato sul MES e del Fiscal Compact nel TFUE |
X |
||
Creazione di un bilancio proprio dell’eurozona |
X |
||
Capacità di stabilizzazione economica dell’eurozona |
X |
||
Creazione di un Tesoro europeo con possibilità di emissione in comune del debito |
X |
||
Fondo proprio della zona euro/eurobills |
X |
||
Potere di controllo affidato a un’altra istituzione (Corte di giustizia o Parlamento) in materia di deficit eccessivi |
X |
||
Unione economica |
|||
Rendere il Patto Europlus vincolante (era già l’obiettivo della procedura per squilibri economici eccessivi creata dal Six-Pack, che risulta tuttavia poco efficace) / Attuare un meccanismo di incitamento delle riforme che costituisca oggetto di un accordo contrattuale tra il Consiglio e lo Stato membro interessato |
X (un regolamento può essere adottato all’unanimità sulla base dell’art. 121 TFUE) |
X (se una soluzione simile a quella adottata per il Fiscal Compact si rende necessaria a causa dell’opposizione di uno Stato membro) |
|
Rappresentanza unificata dell’eurozona nel FMI e nella Banca mondiale |
X |
||
Creazione di un equivalente europeo del Congressional Budget Office |
X |
||
Rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo in materia di controllo dei deficit e degli squilibri eccessivi |
X |
||
Unione politica |
|||
Attuazione dell’art. 13 del Fiscal Compact (in corso, v. riunioni a Vilnius e Bruxelles) |
X |
||
Modifica del numero dei membri della Commissione o introduzione di una gerarchia tra Commissari |
X |
||
Creazione di un Vice-presidente della Commissione e del Consiglio incaricato dell’euro e degli affari economici |
X |
X Per precisare il suo ruolo (non indispensabile) |
|
Modifica della procedura elettorale europea |
X |
||
Composizione del Parlamento europeo – soppressione della regola della proporzionalità degressiva |
X |
||
Riconoscimento di un diritto di iniziativa congiunto al Parlamento europeo e al Consiglio |
X |
||
Creazione di una sottocommissione dell’eurozona nell’ambito del Parlamento europeo |
X (solo il regolamento di procedura del Parlamento) |
Allegato 2
Calendario politico dell’Unione europea 2014-2017
Data |
Evento |
07-12/2014 |
Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea |
Autunno/2014 |
Rinnovo della Commissione Fine del mandato di Herman Van Rompuy |
01-06/2015 |
Presidenza lettone del Consiglio dell’Unione europea |
05/2015 |
Elezioni legislative nel Regno Unito[26] |
07-12/2015 |
Presidenza lussemburghese del Consiglio dell’Unione europea |
10/2015 |
Elezioni legislative in Polonia |
11/2015 |
Elezioni legislative in Spagna |
01-06/2016 |
Presidenza olandese del Consiglio dell’Unione europea |
07-12/2016 |
Presidenza slovacca del Consiglio dell’Unione europea |
01-06/2017 |
Presidenza maltese del Consiglio dell’Unione europea |
05/2017 |
Elezione presidenziale in Francia |
06/2017 |
Elezioni legislative in Francia |
07-12/2017 |
Presidenza britannica del Consiglio dell’Unione europea |
09/2017 |
Elezioni federali in Germania |
Legenda:
Presidenze a rotazione del Consiglio dell’Unione europea |
Elezioni nell’ambito degli Stati membri dell’Unione europea |
Eventi politici europei |
[*] Questo saggio è stato pubblicato in francese con il titolo: Réformer l’Union européenne : Quelles méthodes ? Quels scénarios ?, e in inglese con il titolo: Reforming the European Union: Which methods? Which options?, Questions d’Europe/European Issues (Policy Papers della Fondazione Schuman), n. 320, 7 luglio 2014; in tedesco con il titolo: Die Europäische Wirtschafts - und Währungsunion stärken – Drei Wege zu einer Vertragsrevision, DGAPanalyse, n. 12, luglio 2014.
[1] Dal 2010, l’ammontare totale dell’assistenza finanziaria da parte dell’eurozona a favore dei suoi membri più fragili ha raggiunto i 425 miliardi di euro.
[2] T. Chopin, Political Union: Legitimacy and Efficiency to Overcome the Crisis, Berlino, European View, Center for European Studies, Springer, 2013; Id. Political Union: From Slogan to Reality, Berlino, Schuman Report on Europe. State of the Union 2013, Springer, 2013.
[3] C. Lequesne, L’Union européenne après le Traité de Lisbonne: diagnostic d’une crise, Questions internationales, n. 45, settembre-ottobre 2010.
[4] V.P. Buras, The EU’s Silent Revolution, Policy Brief, ECFR, settembre 2013.
[5] V. il dibattito tra economisti, giuristi e politologi tedeschi, Towards a Euro Union, Die Zeit, 17 ottobre 2013.
[6] Ad eccezione della politica monetaria della BCE, che tuttavia non sarebbe in grado da sola di proporre e di attuare una strategia in grado di superare il problema della eccessiva lentezza delle risposte.
[7] È sotto l’effetto della crisi che sono state adottate regole comuni più stringenti in materia di bilancio e che sono stati rafforzati i meccanismi di governance economica (Six-Pack, Fiscal Compact, Two-Pack).
[8] Come ha sottolineato Nicolas Véron, i dirigenti europei non hanno un mandato politico europeo: “Individual members of the European Council may have a mandate from their respective national citizenries, but the aggregation of national mandates which are often mutually contradictory does not result in a European political mandate”, The Political Redefinition of Europe, Opening Remarks at the Financial Markets Committee (FMK)’s Conference on The European Parliament and the Financial Market, Stoccolma, giugno 2012.
[9] Cf. Final Report of the Future of Europe Group of the Foreign Ministers (Austria, Belgium, Denmark, France, Italy, Germany, Luxembourg, The Netherlands, Poland, Portugal and Spain) 17 settembre 2012.
[10] Verso un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita, 5 dicembre 2012; il riferimento è anche alle Conclusioni del Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre 2012.
[11] Cfr. Un piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita – Avvio del dibattito europeo, Commissione europea, 28 novembre 2012.
[12] Cf. Progetto di risoluzione del Parlamento europeo (Problemi costituzionali di una governance a più livelli nell’Unione europea), 10 luglio 2013; si può ugualmente far riferimento alla Risoluzione del PE sul rafforzamento della democrazia europea nell’ambito della futura Unione economica e monetaria (UEM).
[13] Cfr. The Future of Europe: Merkel Pushes for Convention to Draft New EU Treaty, Spiegel Online International, 27 agosto 2012.
[14] Cfr. il discorso di Angela Merkel di fronte al Bundestag, 18 dicembre 2013.
[15] François Hollande : “L’Allemagne, plusieurs fois, a dit qu’elle était prête à une union politique, à une nouvelle étape d’intégration. La France est également disposée à donner un contenu à cette union politique (…). Ce n’est plus une affaire de sensibilité politique, c’est une affaire d’urgence”, intervento preliminare del Presidente della Repubblica in occasione della conferenza stampa del 16 maggio 2013.
[16] La France et l’Allemagne ensemble pour renforcer l’Europe de la Stabilité et de la Croissance, 30 maggio 2013.
[17] Queste iniziative franco-tedesche pongono tutta una serie di interrogativi che dovranno trovare una risposta, in particolare sul piano istituzionale. Le proposte messe sul tavolo sono in effetti caratterizzate da una certa ambiguità. Per quanto riguarda la presidenza a tempo pieno dell’Eurogruppo, bisogna porre la questione della sua responsabilità dinnanzi al Parlamento europeo. Inoltre, il rafforzamento del coordinamento intergovernativo pone la questione della concorrenza tra due rami dell’esecutivo in materia economica (Consiglio c. Commissione), così come quella della concorrenza tra due piani, quello dei trattati internazionali tra gli Stati membri dell’eurozona e quello dei trattati istitutivi UE. Come conciliare i due? Peraltro, anche i poteri della sotto-formazione del Parlamento europeo competente per l’eurozona meriterebbero di essere precisati. Questa formazione, come eserciterà il proprio controllo democratico? Avrà un potere di codecisione con il Consiglio in materia economica? Eserciterà un controllo nei confronti della troika? Avrà il potere di sottoporre ad audizione e di approvare la nomina del Presidente dell’Eurogruppo?
[18] Il Ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble si è pronunciato a più riprese a favore di una revisione dei trattati, da ultimo sul Financial Times del 28 marzo 2014.
[19] Cfr. Angela’s Agenda: A Grand, Controversial Plan for Europe, Spiegel Online International, 21 ottobre 2013.
[20] In un discorso pronunciato il 23 gennaio 2013, David Cameron ha promesso che, nell’ipotesi di una vittoria dei Tories alle elezioni della primavera 2015, sarà organizzato nel 2017 un referendum sulle nuove condizioni di partecipazione del Regno Unito all’Unione europea.
[21] Cf. il discorso del Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy alla Conferenza annuale del Policy Network La Gran Bretagna in Europa: indirizzare insieme il cambiamento.
[22] L’articolo 13 del nuovo trattato prevede che “il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali delle parti contraenti definiranno insieme l’organizzazione e la promozione di una conferenza dei rappresentanti delle pertinenti commissioni del Parlamento europeo e dei rappresentanti delle pertinenti commissioni dei parlamenti nazionali ai fini della discussione delle politiche di bilancio e di altre questioni rientranti nell’ambito di applicazione del presente trattato”. Le modalità di attuazione dell’articolo 13 del Fiscal Compact potrebbero essere fissate nel quadro di un accordo interistituzionale. La Conferenza interparlamentare sulla governance economica e finanziaria dell’Unione europea, istituita dal Fiscal Compact, ha tenuto la sua prima sessione il 16 e 17 ottobre 2013 a Vilnius, e poi il 20 e 21 gennaio 2014 a Bruxelles.
[23] Tecnicamente, il Fiscal Compact potrebbe essere integrato nei trattati istitutivi tramite l’articolo 126 TFUE, ma una simile base giuridica richiederebbe l’unanimità degli Stati membri, unanimità che non si era riusciti ad ottenere inizialmente a causa dell’opposizione del Regno Unito.
[24] È la tesi di Jean-Claude Piris, The Future of Europe: Towards a Two Speed Europe?, Cambridge, Cambridge University Press, 2012.
[25] Il Fiscal Compact è entrato in vigore dopo essere stato ratificato da 12 Stati membri dell’eurozona.
[26] In un discorso pronunciato il 23 gennaio 2013, David Cameron ha promesso che, nell’ipotesi di una vittoria dei Tories alle elezioni della primavera 2015, verrà organizzato, nel 2017, un referendum sulle nuove condizioni di partecipazione del Regno Unito all’UE.