Anno XXIX, 1987, Numero 2, Pagina 155
L’EUROPA E IL MONDO*
1. Attualità storica dell’unificazione mondiale.
Il punto di partenza per definire in modo adeguato il ruolo dell’Europa nel mondo è la presa di coscienza che il problema dell’unificazione mondiale è ormai all’ordine del giorno della storia. L’umanità si trova infatti di fronte a sfide che pongono in discussione oggi, e non in un futuro imprecisato, la sua stessa sopravvivenza e che possono trovare una valida risposta solo nella decisione di dare avvio alla costruzione di un governo mondiale. Esse sono: la sfida nucleare, la sfida del sottosviluppo, la sfida ecologica, la sfida dell’interdipendenza economica globale.
La possibilità che una guerra generale comporti, data la capacità distruttiva raggiunta dalle armi moderne, l’olocausto dell’umanità è ormai generalmente riconosciuta. E’ giunto ora il momento di prendere coscienza che la fiducia nell’equilibrio del terrore come meccanismo in grado di scongiurare una guerra generale è infondata. In primo luogo la rapidità del progresso scientifico e tecnologico rende oggettivamente sempre più difficile il mantenimento dell’equilibrio militare. Si pensi, ad esempio, al gravissimo squilibrio che nascerebbe da un vantaggio decisivo acquisito da una delle superpotenze nell’installazione di un efficace scudo spaziale, squilibrio che renderebbe verosimile l’ipotesi di un fallimento della dissuasione. In secondo luogo, la proliferazione delle armi nucleari, che nell’attuale mondo anarchico può solo essere rallentata ma non bloccata, rende sempre più concreta la possibilità che le superpotenze siano trascinate contro la loro volontà in una guerra nucleare.
D’altra parte ci si deve ormai rendere conto che i costi economici (lo spreco di enormi risorse a scapito del progresso economico-sociale nei paesi avanzati e soprattutto nei paesi arretrati), politici (la restrizione dei diritti di libertà derivante dalla crescente militarizzazione della società e dello Stato) ed etici (connessi con l’imbarbarimento dello Stato che da organizzazione per la difesa della vita si trasforma in organizzazione che crea deliberatamente o subisce passivamente il rischio della distruzione del genere umano) del proseguimento della corsa agli armamenti diretta al mantenimento dell’equilibrio militare, stanno diventando incompatibili con il progresso dell’umanità e appaiono destinati a produrre catastrofi spaventose prima ancora che scoppi una guerra generale.
In realtà, poiché la guerra, nell’era nucleare, non può più oggettivamente essere considerata la continuazione della politica con altri mezzi, ma significherebbe la fine della politica come di ogni altra attività umana, si pone all’ordine del giorno della storia il problema di eliminare la guerra (e quindi la corsa agli armamenti) come strumento per risolvere i conflitti fra gli Stati. Ma ciò è possibile solo creando una autorità mondiale che sia in grado, da una parte, di impedire a qualunque paese di fabbricare le armi, che abbia cioè il monopolio dell’uso legittimo della forza e, quindi, del controllo degli aspetti militari della tecnologia, e che sappia, dall’altra, tutelare l’indipendenza e gli interessi legittimi di ogni Stato, rendendo, oltre che impossibile, inutile il ricorso all’autotutela.
Al di là del pericolo dell’olocausto nucleare, l’attualità storica del problema del superamento dell’anarchia internazionale è legata al problema, di dimensioni sempre più paurose, del sottosviluppo del Sud del mondo. Affrontare seriamente questo problema è necessario non solo per motivi umanitari, ma perché altrimenti non si potrà evitare di giungere ad uno scontro catastrofico fra popoli ricchi e popoli poveri del mondo, uno scontro che ha già i suoi prodromi nel terrorismo internazionale, il quale utilizza oggi solo armi convenzionali, ma prima o poi giungerà a disporre di armi atomiche tascabili e di altrettanto distruttive armi chimiche o batteriologiche. Inoltre è ormai chiaro che solo l’avvio di un reale sviluppo del Sud del mondo renderà possibile una duratura ripresa dello sviluppo economico dei paesi avanzati. Poiché il superamento del divario fra Nord e Sud del mondo richiede la mobilitazione di enormi risorse che solo la fine della corsa agli armamenti e lo sforzo coordinato e solidale dei paesi avanzati renderà possibile, questa sfida potrà essere affrontata efficacemente solo con la costruzione di un governo mondiale che renda inutili, oltre che impossibili, gli armamenti e imponga la solidarietà fra paesi ricchi e poveri, così come gli Stati nazionali impongono la solidarietà fra regioni ricche e povere al loro interno.
La drammaticità crescente della sfida ecologica e la sua globalità sono di fronte agli occhi di tutti e appare sempre più evidente che essa non può essere affrontata in modo adeguato alla sua pericolosità con l’attuale organizzazione politica dell’umanità. In effetti un numero crescente di decisioni che rientrano nella sfera di sovranità dei singoli Stati (si pensi, ad esempio, al disboscamento delle regioni tropicali ed equatoriali, all’installazione di centrali nucleari e in genere alle produzioni con alto grado di pericolosità) può condurre a catastrofi ecologiche di dimensioni continentali e mondiali con conseguenze più gravi di quelle provocate dalle ultime guerre mondiali. Questa situazione, che appare ancora più grave se si pensa ai pericoli impliciti in uno sviluppo anarchico delle biotecnologie, rende sempre più urgente l’esigenza di una efficace disciplina sovrannazionale e, quindi, della limitazione della sovranità nazionale a vantaggio di una autorità mondiale.
Infine,di fronte ad un’interdipendenza economica globale, che impedisce anche ai più potenti Stati del mondo di governare efficacemente il proprio sviluppo economico, continua a sopravvivere il sistema della sovranità statale assoluta che impedisce un efficace governo dello sviluppo economico complessivo del mondo. Questa contraddizione, che fu alla base della crisi economica del 1929, è destinata prima o poi, se non verrà superata con la creazione di solide istituzioni sovrannazionali mondiali, a produrre una crisi enormemente più grave, poiché l’interdipendenza economica ha fatto progressi enormi rispetto ad allora.
In sostanza, il mondo è ormai diventato una comunità di destino e l’alternativa «unirsi o perire», messa in luce da Briand nel 1929 in riferimento all’Europa, e diventata la fondamentale spinta storica oggettiva del processo di unificazione europea, riguarda ormai l’umanità nel suo insieme. Di conseguenza, se è chiaro che il processo di unificazione mondiale non potrà non essere estremamente complesso e il suo punto di arrivo estremamente lontano, è altrettanto chiaro che il suo avvio non può più essere rinviato a lungo. D’altra parte, alla luce dell’esperienza dell’unificazione europea, è ragionevole attendersi che il fatto stesso di dare avvio al processo di unificazione mondiale cambierà in modo sostanziale il quadro generale della situazione mondiale, determinando un’inversione di tendenza rispetto ai pericoli che gravano sulla sopravvivenza dell’umanità.
Infatti, l’apertura nell’Europa occidentale di una fase storica caratterizzata dalla limitazione della sovranità statale ha fatto sì che, pur non essendosi ancora raggiunta l’unità politico-militare, si siano potute smilitarizzare le frontiere fra i paesi della Comunità europea e si siano istituite, con l’Unione europea occidentale, delle procedure molto avanzate di controllo reciproco del livello e delle caratteristiche degli armamenti fra gli Stati membri, che rendono anche tecnicamente impossibile una guerra fra essi. Allo stesso modo, con la messa in moto del processo di unificazione mondiale, si potranno ottenere le prime forme di politica mondiale e l’attenuazione, se non la fine, della rivalità militare fra tutti gli Stati. Nel quadro dell’avvio della costruzione di un governo mondiale diventerà cioè possibile realizzare i primi seri passi in direzione del disarmo sulla base di controlli efficaci. Questi sono infatti strutturalmente esclusi in una situazione in cui, non essendoci neppure un inizio di limitazione della sovranità statale assoluta, rimane in vita l’aspettativa della guerra come extrema ratio per risolvere i conflitti internazionali.
2. La transizione verso l’unità mondiale.
Se il problema fondamentale di fronte a cui si trova il mondo è quello di dare avvio alla propria unificazione, il ruolo fondamentale di un’Europa unita nel mondo è di contribuire ad essa. Di conseguenza la lotta per il completamento dell’unificazione europea trova la sua giustificazione fondamentale proprio nel contributo che essa può dare all’unificazione mondiale. Per meglio chiarire ciò, occorre riflettere sul processo di transizione ragionevolmente prevedibile verso questo obiettivo. Il punto di partenza di questa riflessione è la definizione della struttura dell’unità mondiale nella sua configurazione finale, al fine di individuare delle tappe intermedie.
Alla luce della teoria federalista l’unità del mondo, per essere valida ed efficace, dovrà essere basata su di una federazione di grandi raggruppamenti regionali, organizzati, a loro volta, su base federale e democratica. Tre punti vanno sottolineati a questo riguardo.
In primo luogo, solo sulla base del federalismo si può realizzare una unità stabile, in quanto esso permette di conservare il massimo di autonomia delle parti componenti (che vanno dai raggruppamenti regionali, attraverso le nazioni e le regioni, fino ai quartieri) compatibile con l’unità, evitando i pericoli connessi con l’accentramento. Mentre, per contro, una unità di tipo imperiale, oltre ad essere antidemocratica ed irrealistica, perché potrebbe essere realizzata solo con una guerra implicante il pericolo di distruzione del pianeta, sarebbe anche, ammesso che potesse essere realizzata, fortemente instabile e comporterebbe la sostituzione della guerra internazionale con la guerra civile endemica, con conseguenze altrettanto distruttive. In secondo luogo, solo se i pilastri della Federazione mondiale saranno grandi federazioni regionali (America anglosassone, America latina, Europa, URSS, Africa nera, paesi arabi, Cina, India, Giappone, federazioni subregionali in Asia ecc.), si potrà realizzare un equilibrio efficace nella struttura politica mondiale ed evitare sia i pericoli egemonici che l’oppressione dei piccoli Stati. In terzo luogo, è chiaro che una vera federazione può realizzarsi solo fra Stati democratici e non fra Stati totalitari o autoritari. Questi infatti, fondandosi sul principio del potere incontrollato, non possono strutturalmente accettare la limitazione della loro sovranità esterna, a meno che sia imposta e mantenuta con la forza, né di quella interna, dal momento che un regime totalitario o autoritario ha bisogno, per conservarsi, di essere il più possibile isolato da influenze esterne di segno contrario rispetto ai suoi principi e alla sua prassi.
La definizione della forma finale dell’unità mondiale rende evidente che, perché possa raggiungersi l’obiettivo ultimo, devono realizzarsi due premesse fondamentali.
Da una parte occorre che si realizzi una serie di unificazioni regionali indispensabili per costituire, accanto agli Stati che hanno già dimensioni continentali, i pilastri insostituibili su cui deve fondarsi la Federazione mondiale. L’esistenza, ormai da molti decenni, di processi di unificazione regionale, il più avanzato dei quali è quello che riguarda l’Europa occidentale, è la fondamentale dimostrazione empirica dell’attualità storica del problema dell’unificazione mondiale, del fatto che essa non è più una semplice utopia, ma già un elemento radicato nel processo storico effettuale.
D’altra parte, occorre che la democrazia si estenda al mondo intero e cioè ai paesi a regime comunista e alla grande maggioranza dei paesi del Terzo mondo. In quest’ultimo caso si tratta, quindi, di realizzare anzitutto le premesse in termini di sviluppo economico-sociale di un tale progresso politico, il quale è, a sua volta, la condizione indispensabile perché possano essere create vitali federazioni regionali. L’estensione della democrazia a tutto il mondo non significa, occorre precisare, che il modello liberal-democratico occidentale debba imporsi sic et simpliciter al resto del mondo. E’ chiaro però che devono realizzarsi forme di pluralismo economico-sociale e di pluralismo politico-istituzionale che permettano ai cittadini di godere delle libertà politiche fondamentali e di esercitare un controllo effettivo del potere.
Se queste sono le premesse imprescindibili perché si possa giungere all’unità mondiale nel suo stadio finale, ciò non significa che esse debbano essere realizzate nella loro interezza perché possa avere inizio il processo di unificazione mondiale, così come non è stato necessario che in tutta Europa ci fossero dei regimi democratici e che tutti gli Stati europei fossero coinvolti fin dall’inizio perché potesse mettersi in moto il processo di unificazione europea. Se si vuole rendere meno generico il discorso sulla transizione all’unità mondiale, si tratta dunque di formulare delle ipotesi ragionevoli circa l’avvio del processo e l’idea-guida in questo contesto è quella del governo mondiale parziale formulata da Einstein all’inizio di questo dopoguerra, integrata dagli insegnamenti dell’esperienza dell’unificazione europea. Perché, al di là delle premesse già esistenti in termini di integrazioni regionali e di interdipendenza globale, l’unificazione mondiale abbia veramente inizio (nel senso in cui si può dire che l’integrazione europea ha avuto veramente inizio con il piano Schuman), occorre la creazione di un governo mondiale parziale che sia da un punto di vista politico ed economico sufficientemente forte da poter coinvolgere gradualmente nell’unificazione mondiale il resto del mondo (facendo maturare le premesse indispensabili), da svolgere in altre parole un effetto trainante paragonabile a quello svolto dall’asse franco-tedesco e dalla «piccola Europa» rispetto all’integrazione europea.
Nella situazione storica attuale, che appare destinata a durare ancora assai a lungo, la creazione di un governo mondiale parziale fornito di queste caratteristiche non può che avere la sua base nel Nord del mondo per ragioni così evidenti che non necessitano di essere esplicitate. Ciò premesso, si possono individuare due piattaforme possibili. La piattaforma ideale è quella di una convergenza fra tutte le fondamentali componenti del Nord del mondo, cioè di USA, URSS, Europa e Giappone. Il che presuppone ovviamente che in tempi non troppo lunghi si realizzino in URSS le premesse democratiche indispensabili per la partecipazione alla creazione del governo mondiale e che si raggiunga altresì una distensione duratura fra Est e Ovest, cioè una svolta paragonabile alla riconciliazione franco-tedesca e al suo rapporto con l’unificazione europea. Con la partecipazione fin dall’inizio di tutti i centri fondamentali del Nord del mondo alla costruzione del governo mondiale parziale, questo avrebbe subito un potenziale enorme e potrebbe, tra l’altro, fornire un contributo determinante ad uno sviluppo economico-sociale relativamente rapido del Sud del mondo, soprattutto tramite il trasferimento di enormi risorse dalla corsa agli armamenti all’aiuto allo sviluppo. Pertanto, potrebbero svilupparsi in modo relativamente rapido le premesse (progresso economico-sociale, sviluppo democratico e integrazioni regionali) di una piena partecipazione di tutto il Sud del mondo alla costruzione del governo mondiale.
Se però le premesse necessarie per la piena partecipazione dell’URSS, fin dall’inizio, alla costruzione del governo mondiale parziale tardassero eccessivamente a realizzarsi, l’attualità storica del problema dell’unificazione mondiale potrebbe imporre la scelta di una piattaforma iniziale più limitata, comprendente cioè USA, Europa occidentale e Giappone. In questo caso i problemi del superamento del conflitto Est-Ovest e della democratizzazione dell’URSS diventerebbero i temi prioritari dell’impegno verso l’esterno del governo mondiale parziale, e il persistere, finché questi problemi non saranno stati risolti, della rivalità militare all’interno del Nord del mondo ritarderebbe il superamento del divario Nord-Sud (con tutte le sue implicazioni), nella misura in cui questo superamento dipende in modo decisivo dall’impegno dei paesi economicamente più avanzati.
L’individuare in USA, URSS, Europa e Giappone i pilastri del governo mondiale parziale non significa, ovviamente, escludere la partecipazione fin dall’inizio a questa impresa di altri Stati democratici, quali Canada, Australia, Nuova Zelanda, India, o anche Cina se, per ipotesi, avviasse un processo di democratizzazione in tempi relativamente brevi (per i paesi dell’America latina in via di transizione alla democrazia dovrebbe realizzarsi preventivamente la tappa dell’unificazione regionale). Va però realisticamente riconosciuto che questa partecipazione, per quanto altamente auspicabile, non è una condizione indispensabile alla creazione di un efficace governo mondiale parziale.
Per quanto riguarda le caratteristiche istituzionali del governo mondiale parziale, pur essendo prematuro delineare modelli precisi e dettagliati, è tuttavia necessario chiarire che l’avvio della sua costruzione non comporta che fin dall’inizio debba realizzarsi una federazione in senso pieno fra le aree forti del mondo. In realtà una qualche forma di gradualismo politico-istituzionale sarà molto probabilmente inevitabile. Si può comunque affermare, alla luce dell’esperienza dell’unificazione europea, che le istituzioni dell’unificazione mondiale, per avere reali possibilità evolutive, dovranno contenere fin dall’inizio degli embrioni federali.
Se la costruzione di un governo mondiale parziale nei termini sopraindicati deve essere vista come la strada maestra dell’avvio dell’unificazione mondiale, ciò non significa che si debbano a priori rifiutare organizzazioni mondiali di tipo funzionalistico prive di embrioni federali. In realtà già ora è possibile e auspicabile la creazione di strutture di questo tipo (come l’agenzia per lo sfruttamento delle risorse degli oceani), le quali non possono essere dotate di caratteristiche sia pure embrionalmente federali e democratiche proprio perché la maggior parte degli Stati partecipanti non avrebbero regimi democratici. Si deve però essere consapevoli che organizzazioni funzionalistiche di questo genere non costituiscono ancora l’avvio della costruzione di un governo mondiale e soprattutto che esse sono destinate a restare in una situazione di grave debolezza e precarietà sino a quando non trovino il sostegno di un governo mondiale parziale. Lo stesso discorso vale per la riforma dell’ONU.
3. Il ruolo dell’Europa unita nella costruzione del governo mondiale.
Alla luce di quanto detto finora circa l’attualità storica dell’unificazione mondiale e la transizione ragionevolmente prevedibile verso la meta finale, si può ora definire in modo fondato il ruolo decisivo che in questo processo può svolgere l’Europa portando rapidamente a completamento la sua unificazione. Non solo si creerebbe in tal modo un fondamentale pilastro, inteso in senso statico, di un governo mondiale parziale e, quindi, della futura Federazione mondiale. Ma soprattutto si attiverebbe un fattore dinamico di enorme efficacia rispetto allo sviluppo del processo di unificazione del mondo. A questo riguardo occorre distinguere la funzione di modello che il completamento dell’unificazione europea eserciterebbe e l’azione politica che un governo europeo potrebbe svolgere. E’ evidente l’importanza dell’esempio che la Comunità europea fornirebbe al mondo giungendo a dar vita a un governo federale europeo che renderebbe irreversibile l’integrazione, permetterebbe di sfruttare pienamente gli enormi vantaggi in essa impliciti e instaurerebbe vincoli di solidarietà inscindibili fra le nazioni partecipi. In Europa hanno visto la luce le grandi rivoluzioni della storia moderna: quella liberale, quella democratica, quella socialista. In Europa è nato lo Stato nazionale che tanti imitatori ha avuto in tutto il mondo. Se ora gli Stati europei, che nella prima metà di questo secolo hanno scatenato le guerre più distruttive della storia, mostrassero che è possibile unirsi definitivamente in modo pacifico e democratico senza rinunciare all’indipendenza effettiva dei governi nazionali (il che è possibile precisamente con il sistema federale), essi darebbero all’umanità un esempio di eccezionale forza attrattiva. Da una parte si favorirebbero processi analoghi nelle altre zone del mondo in cui il problema dell’integrazione regionale è già all’ordine del giorno, sulla base di tentativi di imitazione dell’integrazione europea per ora deboli proprio per la debolezza del modello di riferimento. Dall’altra parte, poiché il sistema di governo federale in grado di unire in modo irreversibile le nazioni d’Europa è lo stesso con il quale si potrà creare un efficace governo mondiale parziale e, infine, il governo mondiale globale, il suo affermarsi in Europa indicherebbe con grande forza di convinzione la strada da percorrere.
Al di là della funzione di modello, appare decisiva l’azione politica concreta che il governo europeo potrebbe svolgere a favore dell’unificazione del mondo. In primo luogo, la Comunità europea è la massima potenza commerciale mondiale (per di più importatrice di materie prime essenziali dai paesi terzi) e, quindi, ha un interesse assai più immediato e pressante che non le superpotenze al superamento delle tensioni Est-Ovest e Nord-Sud, che ostacolano pesantemente lo sviluppo dei rapporti economici e commerciali su scala mondiale. Una politica seria in questa direzione non può d’altra parte che inquadrarsi in una politica diretta alla costruzione del governo mondiale e potrebbe essere condotta efficacemente dalla Comunità europea solo dotandosi di un vero governo sovrannazionale. In secondo luogo, solo sulla base di una duratura distensione Est-Ovest sarebbe possibile superare la divisione fra le due Europe e, in questo quadro, la divisione fra le due Germanie. In terzo luogo, l’integrazione europea, sostituendo alla secolare contesa franco-tedesca un sistema di cooperazione europea durevole intorno a questo nucleo centrale riconciliato del vecchio continente, ha fatto dell’Europa occidentale la zona relativamente più stabile, più pacifica e più prospera del mondo, in cui la democrazia si è consolidata ed estesa pacificamente ai paesi mediterranei che ne erano rimasti sostanzialmente esclusi. Da questa situazione è nata una radicata spinta in senso moderatore delle tensioni mondiali che si è manifestata, a livello dell’opinione pubblica, nella presenza in questa regione del mondo del più forte movimento per la pace oggi esistente, e, a livello dei governi, in un orientamento costante a favore della distensione Est-Ovest e nel tentativo di avviare un rapporto più cooperativo con il Terzo mondo. Se questa tendenza è caratterizzata da gravi limiti e contraddizioni, connessi con i limiti e le contraddizioni dell’attuale processo di integrazione, sembra evidente che un salto qualitativo in direzione dell’Unione politica permetterebbe alla Comunità di far valere in modo decisamente più efficace la sua oggettiva propensione a favore di un ordine mondiale di pace.
C’è ancora un quarto elemento di importanza decisiva da evidenziare. La creazione di un governo federale sovrannazionale darebbe all’Europa occidentale un peso internazionale incomparabilmente superiore a quello attuale, ma essa avrebbe una fortissima difficoltà strutturale a utilizzare questo peso per diventare una terza superpotenza in concorrenza con USA e URSS. Un governo federale europeo, avendo come propri pilastri grandi nazioni storicamente consolidate, sarebbe un governo federale vero, cioè con poteri limitati al compito di mantenere l’unità fra le parti, e, quindi, avrebbe difficoltà enormi a sviluppare una politica di potenza, con tutte le sue implicazioni in termini di armamenti e di accentramento del potere, analoga a quella sovietica e americana. Di conseguenza, se è vero che i pericoli che gravano sulla sopravvivenza dell’umanità stanno ponendo tutti gli Stati, e quindi anche le superpotenze, di fronte al dilemma di unirsi o perire, è ragionevole aspettarsi che il governo europeo, che avrà una sovranità più debole di quella russa e americana, avrà una propensione più forte a perseguire, invece che il rafforzamento della propria sovranità, la sua limitazione a vantaggio della costruzione del governo mondiale.
Ciò premesso, si possono individuare, nelle linee essenziali, le prospettive concrete di avvio della costruzione del governo mondiale che si aprirebbero con il completamento dell’integrazione europea. Si possono, in questo contesto, distinguere tre settori: le relazioni atlantiche in senso stretto (Europa-USA) e in senso ampio (cioè trilaterali: Europa-USA-Giappone), le relazioni con il blocco sovietico, le relazioni con il Terzo mondo.
Rispetto al rapporto Europa-USA, il completamento dell’integrazione europea permetterebbe di trasformare l’Alleanza atlantica dall’attuale protettorato americano sull’Europa in una vera partnership fra eguali. Ciò eliminerebbe la situazione di disagio e di crisi permanente che caratterizza le relazioni atlantiche, le quali si trovano continuamente di fronte all’alternativa fra irrigidimento dell’egemonia americana e dissoluzione, e porrebbe le premesse di un’azione comune a favore della costruzione del governo mondiale. In effetti, non solo l’Europa occidentale avrebbe una assai maggiore influenza sulla politica estera americana e, quindi, una maggiore capacità di far valere la sua più forte propensione oggettiva verso l’unificazione mondiale, ma una situazione di vera partnership favorirebbe di per sé stessa un mutamento qualitativo di segno positivo delle attitudini americane rispetto ai problemi mondiali. Gli orientamenti nazionalistici, imperialistici e militaristici, che rappresentano indubbiamente una forte componente della politica estera americana e che ostacolano la presa di coscienza della necessità di avviare l’unificazione mondiale, hanno in realtà un legame assai stretto con gli impegni internazionali eccessivamente pesanti a cui gli Americani sono oggettivamente costretti per l’incapacità degli Europei di assumersi le responsabilità corrispondenti alle proprie potenzialità economiche e politiche. Il troppo gravoso impegno americano sul piano mondiale, con le sue implicazioni in termini di enormi spese militari, di accentramento del potere e di erosione delle conquiste liberali e democratiche, può trovare sostegno soltanto in una coscienza ideologica con forti elementi nazionalistici, la quale alimenta la visione di un mondo irreparabilmente conflittuale e ostacola la presa di coscienza che l’umanità è ormai una comunità di destino. Pertanto, se l’Europa occidentale producesse, con una sua più forte unità, una riduzione sostanziale dell’impegno americano nella difesa europea anzitutto, ma anche nel Terzo mondo, il nazionalismo si indebolirebbe negli USA ed emergerebbe in essi un atteggiamento assai più positivo verso la distensione e il superamento del conflitto Est-Ovest e verso il superamento del divario e della tensione fra Nord e Sud. Emergerebbero in sostanza le condizioni per un forte impegno comune in direzione dell’unificazione mondiale. Ed è assai verosimile che questo impegno da bilaterale diventerebbe trilaterale, con il pieno coinvolgimento del Giappone, che già oggi costituisce un polo fondamentale del raggruppamento delle aree forti con regime democratico.
Rispetto all’URSS, un’Europa occidentale veramente unita avrebbe possibilità molto maggiori delle attuali di favorire lo sviluppo di una distensione duratura nel cui ambito possano realizzarsi progressi reali verso la democratizzazione dell’URSS, con le evidenti implicazioni che ciò avrebbe rispetto a una positiva evoluzione del blocco sovietico nel suo complesso. Non solo infatti si realizzerebbe, per le ragioni sopra indicate, un impegno congiunto euro-americano in questa direzione, ma l’Europa occidentale acquisterebbe capacità di influenza qualitativamente nuove sul terreno della cooperazione economica con l’Est e su quello delle trattative circa gli armamenti. Un’Europa occidentale che completasse la propria integrazione acquisterebbe intanto una forza economica che le permetterebbe di approfondire la propria cooperazione e quindi l’interdipendenza economica con il blocco sovietico, contribuendo in modo decisivo all’accelerazione del suo progresso economico, che alla lunga non può non avere una influenza positiva sul progresso dell’URSS e dei paesi satelliti verso il pluralismo sociale e politico. Ma soprattutto il maggiore peso politico che l’Europa occidentale acquisterebbe per il fatto di non dipendere più per la propria difesa dal protettorato americano, le permetterebbe di attuare una politica di cooperazione economica con l’Est di grandi dimensioni senza correre il rischio di cadere sotto l’influenza sovietica ed anzi con capacità crescenti di subordinare, nei fatti e non a parole, l’approfondimento della cooperazione economica, che per l’URSS sta diventando una necessità sempre più vitale, a sviluppi graduali sul terreno dei diritti civili.
Sul piano militare, è evidente che un’Europa occidentale emancipata dal protettorato militare americano avrebbe un ben altro peso per far valere nelle trattative Est-Ovest il proprio interesse e la propria propensione verso un mondo di pace. La presenza di una forte ed unitaria voce europea non potrà produrre risultati sostanziali sul terreno del disarmo fino a quando non si potrà incominciare a costruire un governo mondiale parziale con la partecipazione della stessa URSS, perché solo in questo quadro incomincerebbe a venir meno fra le massime potenze l’aspettativa della guerra come extrema ratio nella soluzione dei conflitti e per la difesa dell’indipendenza. In effetti le cosiddette trattative sul disarmo sono in realtà trattative sul controllo e per la razionalizzazione della corsa agli armamenti dirette soprattutto al mantenimento di un equilibrio che di fatto tende costantemente verso l’alto. Una presenza europea unitaria potrà però favorire fortemente uno sviluppo sempre più avanzato delle cosiddette misure di fiducia. Queste infatti hanno un reale spazio nel mondo attuale, il quale è certo ancora anarchico e, quindi, dominato dall’aspettativa della guerra come extrema ratio, ma è altresì dominato dal terrore dell’olocausto nucleare e perciò non può fare a meno di cercare le vie per diminuire il pericolo che le crisi internazionali diano avvio all’escalation verso la catastrofe. Se ciò è vero, l’attivazione nelle trattative militari Est-Ovest di un soggetto quale quello europeo, fornito di una forte propensione oggettiva allo sviluppo di un mondo pacifico, sembra destinata ad ampliare in modo assai rilevante le possibilità esistenti nel campo delle misure di fiducia.
Uno dei temi che, nel contesto delle misure di fiducia e di un loro sviluppo qualitativamente nuovo che un ruolo attivo europeo potrebbe produrre, dovrebbe essere studiato con particolare attenzione è quello della difesa difensiva. Con ciò si intende una difesa imperniata, sul piano nucleare, sul principio del deterrente minimo ed esclusivamente dissuasivo nei confronti di un attacco nucleare, e, sul piano convenzionale, sulla difesa di tipo territoriale, capace di contenere efficacemente un attacco convenzionale senza però avviare l’escalation nucleare, e incapace strutturalmente di iniziative offensive. Una simile impostazione della difesa europea non solo configurerebbe una misura di fiducia di ordine qualitativamente nuovo, ma significherebbe altresì il superamento del principio dell’equilibrio per cui si deve perseguire la parità di capacità offensive e difensive, senza comportare però la rinuncia alla sicurezza, senza cioè cadere nel disarmo unilaterale. D’altra parte una opzione di questo genere avrebbe un’enorme valenza positiva sul terreno della politica della distensione. Già il fatto stesso di disporre da parte dell’Europa occidentale di una vera unità difensiva permetterebbe il ritiro delle truppe americane dal suolo europeo, il che renderebbe estremamente difficile all’URSS opporsi alla richiesta di ritiro delle proprie truppe dai paesi satelliti dell’Europa orientale. Ma, se a ciò, si aggiungesse l’opzione della difesa difensiva, per l’URSS sarebbe altresì estremamente difficile opporsi a richieste di ristrutturare nello stesso senso la propria difesa. Le implicazioni che simili sviluppi avrebbero all’interno del blocco sovietico sono così evidenti che non richiedono articolati chiarimenti. In sostanza, emergerebbero le condizioni politiche per un progresso decisivo verso la democratizzazione in URSS, e quindi nel blocco sovietico nel suo complesso, e verso lo stesso superamento dei blocchi, e quindi della divisione fra le due Europe. Le prospettive di un coinvolgimento dell’URSS nella costruzione del governo mondiale diventerebbero estremamente concrete.
Nei rapporti con il Terzo mondo, il completamento dell’integrazione darebbe all’Europa occidentale soprattutto la capacità politica di passare dall’attuale debole politica di aiuto allo sviluppo alla realizzazione — in stretta cooperazione con USA e Giappone, e tendenzialmente con l’URSS — di un vero e proprio piano Marshall per il Terzo mondo, fondato su un organico collegamento fra un aiuto di dimensioni adeguate e lo sviluppo delle integrazioni regionali. Ovviamente un ruolo attivo europeo permetterebbe anche un grande sviluppo della cooperazione con le grandi aree del Terzo mondo, come l’India e la Cina, che già possiedono le dimensioni demografiche sufficienti per essere pilastri della futura Federazione mondiale, ma che devono ancora superare enormi problemi di arretratezza economico-sociale e politica (in quest’ultimo caso soprattutto la Cina).
In conclusione, con il completamento dell’unificazione europea nascerebbero le condizioni indispensabili per iniziare concretamente una politica di unificazione mondiale. Il settore più immediato di sviluppo efficace di questa politica sarà costituito dalle regioni forti del mondo, fra le quali è possibile avviare la costruzione del governo mondiale parziale. Ma questa politica dovrà diventare operativa anche nel Terzo mondo con lo sviluppo delle integrazioni regionali e il consolidamento delle aree già unificate, ma ancora arretrate sul piano economico-sociale e politico.
Sergio Pistone
* Si tratta del testo del rapporto presentato alla III Commissione del XII Congresso del Movimento federalista europeo, tenuto a Verona il 20-22 febbraio 1987.