Anno XXVI, 1984, Numero 3, Pagina 232
L’INVOLUZIONE DEL GENERALE LÖSER IN DIREZIONE DEL NAZIONALISMO
Il generale in pensione della Bundeswehr, Jochen Löser, è conosciuto come uno dei più brillanti critici dell’attuale dottrina strategica della NATO imperniata sulla difesa avanzata e sul ricorso alle armi nucleari tattiche per respingere un attacco convenzionale in Europa che non si sia in grado di contenere con i soli mezzi convenzionali. L’alternativa da lui proposta consiste nella difesa di tipo territoriale sul modello svizzero o jugoslavo.[1] Egli ha dimostrato in maniera molto convincente che in questo modo l’Europa occidentale sarebbe in grado non solo di difendersi molto più efficacemente, ma anche di evitare sia una guerra convenzionale classica, che produrrebbe distruzioni spaventose sul suo territorio, sia di dover ricorrere per prima alle armi nucleari, il che significherebbe assumersi la tremenda responsabilità di innescare la scalata all’olocausto dell’umanità. Egli ha altresì chiarito che un’Europa occidentale dotata di un sistema difensivo come quello territoriale, strutturalmente incapace di iniziative aggressive, potrebbe svolgere un’azione veramente efficace a favore della distensione e della riduzione degli armamenti fra Est e Ovest.
Questo orientamento ha avuto altri importanti sostenitori[2] in Europa nella fase della crisi della distensione in cui tuttora ci troviamo, ma Löser ha avuto il merito di sottolineare un elemento a cui i sostenitori della difesa territoriale non prestano normalmente una adeguata attenzione: la necessità di un decisivo rafforzamento dell’integrazione europea come premessa insostituibile della capacità da parte dell’Europa occidentale sia di difendersi efficacemente, sia di contribuire in modo incisivo e duraturo alla attenuazione delle tensioni Est-Ovest e Nord-Sud. Per questo il Movimento federalista europeo ha considerato le sue tesi, e in particolare quelle sulla difesa territoriale, come un importante contributo alle proprie riflessioni e proposte sul tema del ruolo che l’Europa può svolgere nella costruzione della pace.[3] Dati questi precedenti, è con grande delusione e anche con sorpresa che dobbiamo prendere atto che Löser è passato dalla parte dei nazionalisti. Ciò emerge dal suo ultimo libro, scritto in collaborazione con Ulrike Schilling, intitolato Neutralität für Mitteleuropa. Das Ende der Blocke (C. Bertelsmann Verlag, Munchen, 1984).
Questo libro ha come tema centrale la proposta della creazione di una « confederazione dell’Europa centrale, intesa come comunità neutrale di Stati sovrani », la quale dovrebbe comprendere le due Germanie, gli Stati del Benelux, la Cecoslovacchia, l’Austria, la Polonia, l’Ungheria, la Romania e la Jugoslavia. Il territorio di questa comunità dovrà essere denuclearizzato, sgombrato dalle truppe straniere e protetto militarmente con un sistema difensivo di tipo territoriale; le superpotenze dovranno essere le garanti della sua neutralità negli stessi termini in cui ciò avviene per l’Austria. Secondo i due autori è questa, per quanto assai ardua, l’unica strada attraverso cui si può giungere al superamento dei blocchi in Europa e, quindi, a una reale e duratura distensione fra Est e Ovest, che aprirebbe la prospettiva di sviluppi pacifici di importanza decisiva su scala mondiale. In questo quadro diventerebbero possibili progressi reali in direzione del superamento della divisione tedesca e si potrebbe perseguire, nel lungo termine, l’ampliamento della confederazione centroeuropea fino a comprendere l’intera Europa dall’Atlantico agli Urali.
Gli argomenti portati a sostegno di questa tesi sono, con variazioni marginali, quelli tipici del cosiddetto « nuovo patriottismo tedesco », sul quale ci siamo già soffermati su questa rivista.[4] A quanto già detto in proposito aggiungiamo qui alcune brevi considerazioni.
La divisione dell’Europa in blocchi egemonizzati dalle due superpotenze, la quale ha come conseguenza sia la divisione della Germania, sia l’impossibilità della liberalizzazione dei regimi dei paesi satelliti dell’URSS, ha il suo fondamento nell’equilibrio bipolare formatosi in seguito al crollo nel 1945 dell’equilibrio europeo delle potenze. L’equilibrio bipolare è strutturalmente rigido poiché manca in esso la funzione di ago della bilancia esercitato da altri poli autonomi del sistema politico internazionale, e, quindi, ogni rafforzamento o indebolimento di uno dei due poli comporta un automatico indebolimento o rafforzamento dell’altro polo. Da qui l’organica tendenza di questo sistema a produrre un livello particolarmente alto e duraturo di tensione e una particolarmente accentuata corsa agli armamenti, con l’ulteriore conseguenza di rafforzare le spinte imperialistiche, militaristiche e autoritarie presenti (anche se con caratteristiche molto diverse) in entrambe le superpotenze. Da qui la tendenza a ostacolare qualsiasi cambiamento sostanziale all’interno delle zone di influenza delle potenze egemoniche, poiché ne deriverebbero alterazioni di un equilibrio strutturalmente precario. Per superare i blocchi in Europa si deve dunque anzitutto spezzare il bipolarismo, ma ciò richiede la formazione di un polo autonomo europeo che può nascere solo nell’Europa occidentale, la quale, pur facendo parte del blocco occidentale, ha la possibilità oggettiva (a differenza dei satelliti dell’URSS) di dar vita a una solida unione economica, politica e militare e, quindi, di emanciparsi dall’egemonia americana. In tal modo si aprirebbe realmente la strada al superamento della divisione della Germania e dell’Europa nel suo complesso.
Al di fuori di questa prospettiva ci sono soltanto o delle illusioni o il pericolo di un ritorno all’anarchia dei nazionalismi contrapposti in Europa. In effetti non si può escludere del tutto che, nell’attuale situazione di crisi del sistema bipolare e di crescente incapacità da parte delle superpotenze di tenere sotto controllo l’evoluzione del mondo, possa prodursi una grave crisi del sistema dei blocchi in Europa. Ma se una tale crisi non coincidesse con un rafforzamento dell’integrazione europeo-occidentale e l’avvio della sua estensione graduale verso l’Europa orientale, si ritornerebbe in Europa a una situazione analoga a quella fra le due guerre mondiali, in cui l’anarchia degli Stati nazionali sovrani non era attenuata né dal processo di integrazione europea, né dalla pax americano-sovietica. Il risultato sarebbe una catena di conflitti nazionalistici, con il nazionalismo tedesco, alimentato dalla questione della divisione nazionale, in primo piano, e con conseguenze catastrofiche per l’Europa e per il mondo.
Ciò detto, occorre soffermarsi sulle motivazioni per cui un uomo come Löser, che alla luce dei suoi precedenti scritti sembrava abbastanza consapevole dell’importanza decisiva del rafforzamento dell’integrazione europea ai fini di una evoluzione positiva della situazione internazionale, ha mutato in modo così drastico il proprio punto di vista. Il punto decisivo è qui il suo giudizio sulle prospettive dell’integrazione dell’Europa occidentale.
Löser parte dall’affermazione pienamente condivisibile che la Comunità attuale, che si è ridotta in sostanza a essere nulla più che un organo di compensazione di interessi nazionali particolari di natura economico-commerciale, non può dare alcun contributo al superamento della divisione della Germania e dell’Europa nel suo complesso, né può svolgere un ruolo positivo ed efficace su scala mondiale. Da questa constatazione non trae però la conclusione che è indispensabile andare al di là dell’integrazione economica e giungere all’integrazione politica e militare, perché possa diventare politicamente attiva la solidarietà degli Europei occidentali verso gli Europei orientali, tedeschi e non tedeschi. Al contrario, l’integrazione europeo-occidentale deve, a suo avviso, cessare di essere l’impegno prioritario della RFdG, e questa deve invece rivolgere i suoi sforzi in modo prioritario, come si è visto, alla costruzione della confederazione centro-europea. Questa tesi viene fondata su due argomentazioni di natura logicamente eterogenea relative all’obiettivo del rafforzamento della integrazione europeo-occidentale.
La prima riguarda la possibilità oggettiva di questo rafforzamento. A giudizio di Löser lo sviluppo dell’integrazione europeo-occidentale in direzione di uno Stato federale è una pura chimera per la fondamentale ragione che nessun governo francese (ma ciò vale anche per gli altri governi, con la differenza che essi non lo dicono altrettanto apertamente) è disposto ad accettare istituzioni comunitarie che gli impongano di subordinarsi alle decisioni di una maggioranza di cui esso non faccia parte. A questa affermazione molto drastica si può dare una immediata risposta sul piano dei fatti, ricordando lo storico discorso di Mitterrand al Parlamento europeo del 24 maggio 1984 (il libro di Löser doveva già essere in stampa a quella data), nel quale fu espressa sia l’adesione al principio del voto a maggioranza nel Consiglio dei ministri della Comunità, sia l’appoggio al progetto di Trattato di Unione europea approvato dal Parlamento europeo, che prevede uno sviluppo in senso federale della Comunità. Questa dichiarazione non significa certo che la realizzazione dell’Unione europea è ormai acquisita, ma indica comunque che una battaglia per questo obiettivo ha effettive possibilità di essere vinta e che ciò dipende in definitiva dall’impegno delle forze favorevoli al rafforzamento dell’integrazione europea. Al di là del fattore favorevole costituito dall’attuale atteggiamento dei vertici della politica francese, non si deve dimenticare la situazione generale dell’Europa che deve fronteggiare la sfida della rivoluzione tecnico-scientifica e che deve quindi unire le proprie forze se non vuole accettare passivamente un destino di fatale decadenza.
La seconda argomentazione riguarda non la fattibilità ma la stessa auspicabilità del rafforzamento dell’integrazione europeo-occidentale, ed è qui che emerge in modo scoperto l’adesione da parte di Löser a un punto di vista nazionalistico. In sostanza la trasformazione in senso federale della Comunità non corrisponde, a suo avviso, all’interesse della RFdG, poiché in tal modo essa sarebbe costretta a finanziare lo sviluppo delle zone arretrate della Comunità, e in particolare dei paesi mediterranei. Se già gli attuali meccanismi comunitari impongono gravi oneri finanziari a Bonn, il passaggio al voto a maggioranza e il conseguente decisivo aumento del bilancio comunitario porterebbero questi oneri a dimensioni intollerabili.
Non occorrono molte parole per dimostrare l’inconsistenza di questo ragionamento, che costituisce uno dei fondamentali cavalli di battaglia della critica nazionalistica all’integrazione europea in Germania. Basterà qui ricordare che il calcolo dei vantaggi economici derivanti dall’appartenenza alla Comunità europea non può tener conto soltanto del dare e dell’avere rispetto al bilancio comunitario, ma deve soprattutto tener conto del fatto di avere a disposizione un vasto mercato che, in mancanza dell’integrazione europea, sarebbe diviso in compartimenti stagni.[5] Proprio questo fatto è la ragione decisiva dell’eccezionale progresso economico realizzato in questo dopoguerra dai paesi membri della Comunità, e che ha permesso di superare la situazione di ristagno caratterizzante il primo dopoguerra e avente la sua causa di fondo nelle chiusure protezionistiche. L’integrazione europea, producendo, oltre a un eccezionale progresso economico, la fine della rivalità militare fra le nazioni dell’Europa occidentale, ha d’altra parte reso possibile il consolidamento del regime democratico in paesi come l’Italia e la Germania, che altrimenti non avrebbero potuto superare la loro cronica instabilità.
Se sono evidenti i vantaggi economici e politici dell’integrazione europea, altrettanto evidente dovrebbe essere l’esigenza di una seria politica diretta a superare i gravi squilibri fra regioni forti e deboli che caratterizzano l’Europa. Non è soltanto una questione di giustizia, ma anche di utilità economica, poiché un maggiore sviluppo delle aree arretrate della Comunità amplierebbe automaticamente il suo mercato interno con vantaggio generale. Inoltre verrebbero eliminate le pericolose spinte disgregatrici della integrazione derivanti dalle tendenze protezionistiche che inevitabilmente si manifestano nei paesi con problemi di arretratezza, se non vengono sostenuti dai paesi più ricchi nei loro sforzi per venire a capo di questi problemi. Per questo un trasferimento di risorse dalle regioni forti verso quelle deboli della Comunità (analogamente a quanto avviene all’interno dei singoli paesi) non può essere considerato uno svantaggio per le regioni forti, bensì un investimento per il futuro, un perseguire i loro interessi più generali e di lungo periodo invece che gli interessi immediati e di gruppi particolari.
Che i nazionalisti siano impermeabili a questo tipo di considerazioni non ci ha mai stupito. Chi vuol difendere una istituzione, come lo Stato nazionale sovrano, che è ormai morta sul piano della storia, ha inevitabilmente una visione deformata della realtà ed è portato a negare la stessa evidenza. Piuttosto deve dar da pensare il fatto che da qualche tempo, in Germania come negli altri paesi della Comunità, le deformazioni nazionalistiche tendano a guadagnare terreno. E il caso di Löser è in questo senso emblematico. Alla radice di questo trend c’è chiaramente lo stallo del processo di integrazione europea che tende a indebolire le forze della ragione e a far riapparire i fantasmi del passato. Una ragione di più per impegnarsi senza risparmio nella lotta per l’unificazione politica europea, in modo da ottenere un’inversione di tendenza prima che sia troppo tardi.
Sergio Pistone
[1]Cfr. J. Löser, Weder rot noch tot. Überleben ohne Atomkrieg - Eine Sicherheitspolitische Alternative, Olzog, München, 1981.
[2]Cfr. in particolare: G. Brossolet, Essai sur la non-bataille, Belin, Paris, 1975; H. Afheldt, Verteidigung und Frieden. Politik mit militärischen Mitteln, Hanser, München, 1976; C.F. von Weizsacher, Wege in der Gefahr. Eine Studie über Wirtschaft, Gesellschaft und Kriegsverhütung, Miinchen, 1976; R. Close, L’Europe sans défense, Arts et Voyages, Bruxelles, 1977; A. Mechterscheimer, Rüstung und Frieden. Der Widersinn der Sicherheitspolitik, Wirtschaftsverlag Langen-Müller/Herbig, München, 1982.
[3]Cfr. S. Pistone, « Alcune considerazioni sul rapporto fra la difesa territoriale dell’Europa e la costruzione della democrazia internazionale e della democrazia partecipativa », in Il Federalista, XXV, 1983, 3.
[4]Cfr. S. Pistone, « Riunificazione tedesca e unificazione europea », in Il Federalista, XXVI, 1984, 1.
[5]Questa linea di analisi è sviluppata in modo approfondito e sistematico da B. May, Kosten und Nutzen der deutscben EG-Milgliedschaft, Europa-Union Verlag, Bonn, 1982 e R. Hrbeck - W. Wessels (Hsrg.), EG-Mitgliedschaft: ein vitales Interesse der Bundesrepublik Deutschland?, Europa-Union Verlag, Bonn, 1984.