IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XLIV, 2002, Numero 1, Pagina 22

 

 

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA STRATEGIA
DEI FEDERALISTI NELLA FASE COSTITUENTE
 
 
Ogni discorso sulla strategia per creare la Federazione europea deve definire con chiarezza due cose: il potere di fare l’Europa e la volontà di fare l’Europa. A partire da questo chiarimento una scelta strategica è inevitabilmente condizionata dal quadro storico-politico in cui va calata, ossia dagli elementi concreti, non teorici, che caratterizzano la situazione in cui emerge la necessità e la possibilità di fare un passo avanti (o addirittura il passo definitivo) verso l’obiettivo politico da raggiungere.
Il potere di fare l’Europa non è facile da definire perché muta di significato a seconda che lo si consideri staticamente o dinamicamente. Nel primo caso si può affermare che non esiste un potere che possa fare l’Europa, ossia non si può pensare a una situazione in cui qualcuno imponga la soluzione unitaria perché ha il potere di imporla. In un processo di unificazione di Stati i singoli soggetti che ne sono protagonisti hanno e mantengono, in quanto Stati, il potere sovrano fino a che non è stata portata a compimento l’unificazione, e, per portarla a compimento, sarebbe necessaria una decisione simultanea da parte di tutti.
Nel secondo caso, ossia considerando il potere di fare l’Europa dinamicamente, si può affermare che questo potere può incominciare a manifestarsi, almeno potenzialmente, se l’iniziativa (unita a un certo grado di determinazione) di uno o più governi, essendo la risposta giusta a un problema sul tappeto, riesce ad ottenere il consenso degli altri. Il concetto di leadership occasionale è dunque l’elemento dinamico che, in una situazione di potere tendenzialmente cristallizzata (Stati sovrani divisi), può dar vita a un processo che spinge i detentori dei vecchi poteri verso la decisione di creare il nuovo potere, o, nella fase del gradualismo costituzionale, di realizzare un obiettivo strategico intermedio, la cui valenza strategica consiste nel fatto che esso implica la cessione della sovranità (ad esempio difesa e moneta).
Il problema dell’iniziativa è legato da una parte alla situazione oggettiva, ossia alla impossibilità di dare risposte nazionali a problemi sul tappeto (crisi del potere nazionale), e, dall’altra parte, al problema della volontà. L’atteggiamento favorevole nei confronti dell’unità europea ha le sue radici nell’unità di fatto dell’Europa e spinge i governi a cercare soluzioni unitarie. Ma il semplice atteggiamento favorevole indirizza i governi verso quelle soluzioni unitarie che siano compatibili con il mantenimento della sovranità. Solo laddove è in gioco il trasferimento della sovranità emerge in tutta la sua importanza il ruolo della volontà dei governi. E i momenti costituenti sono quelli in cui questa volontà si manifesta in tutta la sua forza e in cui quindi diventa matura la decisione finale e irrevocabile di creare la federazione.
Naturalmente la decisione e la volontà dei governi non sono gli unici elementi in gioco: la battaglia per l’unificazione dell’Europa non è un semplice patto fra Stati, ma è una battaglia costituente, in cui si deve quindi manifestare la volontà del popolo sovrano attraverso la negazione del consenso ai poteri nazionali e l’espressione del consenso con la quale si dovrà sancire la creazione del nuovo potere europeo. Ma se questo è vero, vale comunque la considerazione che nel costituire uno Stato di Stati, quale è la federazione, i poteri degli Stati esistenti possono diventare gli esecutori della volontà popolare, se essa si manifesta, nella misura in cui essi stessi, come soggetti autonomi, sono disposti a incarnare questa volontà e a decidere il proprio autosuperamento.
La formazione della volontà di creare una federazione da parte dei governi di Stati storicamente consolidati è uno dei processi più difficili nell’ambito delle grandi trasformazioni storico-politiche. Un’analisi razionale della situazione di potere che si è venuta a creare dopo la seconda guerra mondiale avrebbe dovuto e dovrebbe spingere i detentori dei poteri nazionali a condividere (e quindi a mettere in pratica) l’idea che l’unico modo per riacquistare la sovranità perduta è quello di creare la sovranità europea. Ma fare ciò significa attivare la propria autodistruzione, mentre ciò che prevale nella vita degli individui e dei gruppi è lo spirito di sopravvivenza. Si deve notare peraltro che lo stesso spirito di sopravvivenza è alla base dei progressivi avanzamenti del processo di unificazione europea e della formazione di una coscienza europeistica. Ma si tratta di una coscienza mistificata, che ha creduto e crede di costruire l’unità senza porsi il problema della rinuncia alla sovranità nazionale.
Per questo i veri antagonisti, nel momento cruciale in cui questa rinuncia è l’unico modo per evitare il fallimento totale di una impresa storica, non sono i dichiarati nemici dell’Europa, facilmente attaccabili, ma sono coloro che si professano europeisti difendendo nel contempo, con formule e proposte ambigue, la sovranità nazionale. Sono i veri antagonisti perché è più difficile smascherarli di fronte ai cittadini e perché una coscienza mistificata è meno permeabile e più difficilmente sensibile a motivazioni razionali.
Tuttavia, essendo freddamente consapevoli di queste difficoltà, il compito strategico dei federalisti rimane sempre lo stesso: «forzare» i governi a fare la scelta giusta. Ma che cosa significa in concreto «forzare»? E che cosa significa per converso «pregare»? Se si prende alla lettera Machiavelli la differenza fra i due atteggiamenti sta nel basarsi o meno su una azione autonoma. Ma un’azione autonoma, di per sé, non esclude che essa venga diretta a interlocutori-antagonisti affinché svolgano il ruolo che è loro proprio. Se colleghiamo il termine «forzare» a una «azione di forza» da parte di una massa rivoluzionaria che sola avrebbe il potere di far crollare, come una marea montante, i poteri nazionali, escluderemmo gli altri soggetti, che hanno un ruolo essenziale nel processo di unificazione. In questo caso il «popolo rivoluzionario» sarebbe l’unico soggetto non compromesso, innocente, libero, o in grado di liberarsi dalla schiavitù della visione nazionale, l’unico soggetto su cui i federalisti possono contare per una azione di forza.
Una simile estremizzazione è già comparsa nel MFE durante il dibattito sulla strategia dopo Maastricht. E, sia pure con accenti più moderati, si avvicina alla tendenza di far coincidere la mobilitazione con le grandi manifestazioni di piazza. Queste possono essere considerate parte di un’azione strategica se e solo se diventano lo sbocco naturale di un’azione coerente e capillare a tutti i livelli non in funzione delle manifestazioni, ma del lancio della giusta parola d’ordine.
D’altra parte, lo stesso tipo di estremizzazione si nasconde dietro la tesi secondo cui è possibile che la Convenzione istituita al Vertice di Laeken «si prenda il potere» e diventi una Costituente. Ma anche in questo caso, che viene erroneamente interpretato come la pratica concreta del metodo costituente, non si fanno i conti con gli elementi e i soggetti in gioco in un processo di unificazione di Stati.
Quando affermiamo che, laddove è in gioco la rinuncia alla sovranità, l’unico metodo che può e deve essere usato è il metodo costituente (contrapposto al metodo del gradualismo costituzionale), dobbiamo essere consapevoli del vero significato che attribuiamo ad esso per non correre il pericolo di perdere il contatto con la realtà.
In una lettera a Spinelli del 19 luglio 1980, all’inizio della sua azione costituzionale all’interno del Parlamento europeo, Mario Albertini lo metteva in guardia da quel pericolo. «La tua azione — scriveva — ha bisogno: a) di credibilità, di un minimo di fiducia nella possibilità della vittoria, e pertanto, b) di un rapporto col processo del potere che consenta di pensare che esiste la possibilità, anche minima, ma effettiva, di battersi per la vittoria. In ogni altro caso l’azione costituzionale, dopo aver acceso un fuoco di paglia, si spegnerebbe, pur restando sul terreno come l’ombra cui dovrebbe dar corpo.
In sostanza la tua azione si può paragonare alla creazione di una sacca nel territorio del nemico (il Parlamento europeo resterà nelle mani del nemico fino a che subirà il dominio dei poteri nazionali), cioè ad una manovra che può essere eseguita con poche forze scelte ma che deve essere collegata concettualmente e praticamente con l’azione globale del grosso delle forze proprie e di quelle del nemico. Ciò serve a stabilire che il rapporto esterno deve essere realizzato con chi può decidere, con chi controlla il processo del potere.
Vediamo la cosa, senza ridurla ad un gioco dell’immaginazione. Tu dici… di creare una mobilitazione dell’opinione pubblica con una organizzazione ad hoc, e alimenti questa ipotesi con i fantasmi del passato. Ma a prescindere dal fatto che anche le organizzazioni (come l’Europa) «non cadono dal cielo», bisogna tener presente che l’opinione pubblica (come qualunque altra forza sociale) si mobilita solo dietro un potere contro un altro potere. In pratica, se fai un gruppo al Parlamento europeo (dove non c’è il potere di decidere unilateralmente), e lo colleghi ad un gruppo esterno che non partecipa al processo del controllo del potere, tu sommi due impotenze. Conseguenza: non c’è credibilità, l’azione si spegne. Se invece tu colleghi il gruppo del Parlamento europeo con una parte, inizialmente anche piccola, dell’insieme delle persone e delle organizzazioni che controllano il processo del potere, tu sprigioni e sommi due linee di forza che possono crescere; e puoi di volta in volta ottenere il grado di mobilitazione dell’opinione pubblica (e di chi la serve: informazione ecc.) pari al grado di sviluppo della lotta. In effetti, tutto andando bene, il Parlamento europeo diventa in questo caso il luogo dove sbocca una azione che ha l’altro centro di decisione nei campi di forza nazionale.
A questa logica di potere non si può sfuggire. Il potere va stanato dov’è (gli Stati) e portato dove è necessario (l’Europa). Ne segue che collegare, e unificare nel momento più alto della lotta, due centri di decisione (il centro nuovo europeo e la somma occasionale di quelli nazionali) è uno degli imperativi strategici fondamentali della lotta per l’Europa».
In sostanza, chiedere la Costituente (o, nel caso del Parlamento europeo in passato e nel caso della Convenzione oggi, rivendicarne il ruolo costituente) non basta, non serve a nulla se non ci si pone il problema di come arrivarci, cioè della situazione di potere per promuoverla e sostenerla.
Oggi, alla vigilia dell’allargamento, identificare la situazione di potere che permetta di arrivare alla Costituente significa identificare il quadro all’interno del quale si può manifestare il massimo potenziale di responsabilità storica e politica. Questa responsabilità naturalmente non è già attiva: se lo fosse, dopo la creazione della moneta unica, dopo le guerre jugoslave, dopo l’11 settembre ecc. la decisione di creare la Federazione europea sarebbe già stata presa. Ma identificare questo quadro, che è quello dei paesi fondatori, è comunque il primo passo indispensabile, poiché significa individuare un quadro di potere potenzialmente attivo contrapposto a quello inerte dell’Unione attuale e a quello completamente non influenzabile dell’Unione allargata.
Se ciò è vero, bisogna trarne le necessarie conseguenze e puntare sulla formazione del nucleo dell’iniziativa. La differenza rispetto al passato — in cui puntualmente ogni fase strategica è stata a un certo punto caratterizzata dall’emergere del problema del nucleo e dalla conseguente accentuazione di questa emergenza — consiste nel fatto che la rinuncia vera e definitiva alla sovranità nazionale è un passo più difficile degli altri fin qui compiuti dagli Stati. Di conseguenza sarà più difficile il compito dei federalisti e nello stesso tempo sarà più drammatica la responsabilità della scelta strategica giusta. La prospettiva di un lento avanzamento oggi non è più pensabile né accettabile: sono ormai troppe le urgenze non potendo affrontare le quali l’Europa andrebbe incontro alla propria rovina, negando nel contempo al resto del mondo il contributo morale e politico che la sua unificazione metterebbe in campo.
Una volta identificati i soggetti da cui in ultima istanza dipende la decisione finale (i governi) e una volta individuato il quadro da cui può partire l’iniziativa, si tratta a) di porre sul tappeto il problema dello Stato europeo, b) di coagulare attorno a questo obiettivo cittadini e forze politiche, ossia organizzare e dare voce al consenso verso l’obiettivo dello Stato europeo, c) di tenere in campo questo obiettivo fino a che qualcuno fra coloro che detengono il potere nazionale non lo faccia proprio. Questo è quanto i federalisti hanno sempre fatto con successo nei momenti in cui era in gioco un possibile avanzamento, ed è quanto possono e devono fare anche nella fase costituente.
 
Nicoletta Mosconi

 

 

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