Anno XXXIV, 1992, Numero 2 - Pagina 124
ALCUNE RIFLESSIONI SULLA STRATEGIA PER LA FEDERAZIONE EUROPEA
La decisione presa a Maastricht di fissare scadenze precise per la creazione dell’Unione economico-monetaria è lo sbocco di un lungo periodo di compromessi, dichiarazioni d’intenti, proposte, lotte politiche condotte da tutte quelle forze che, spinte a confrontarsi con l’evoluzione del modo di produzione e dei rapporti internazionali, sono state costrette a porsi il problema dell’unificazione europea. Ognuna di queste forze – i governi, le istituzioni comunitarie, le forze politiche e sociali, l’avanguardia federalista – ha avuto un ruolo diverso, e ognuno l’ha giocato secondo la propria logica.
Il processo per arrivare alla decisione operativa di trasferire la sovranità monetaria è durato più di vent’anni, e può essere utile ripercorrere i punti essenziali di un’analisi teorica – e delle conseguenti linee d’azione – compiuta da Mario Albertini, proprio vent’anni fa, su questa stessa rivista.[1] Questo esame, da una parte, ci permette di capire la correttezza delle previsioni fatte allora, e, dall’altra, ci fornisce indicazioni strategiche per proseguire la nostra lotta fino al raggiungimento dell’obiettivo, la Federazione europea.
In quell’articolo Albertini scriveva: «...non si può progettare l’unificazione monetaria europea senza progettare la creazione di uno Stato federale europeo».[2] [...] «In termini formali, l’aspetto politico del problema è semplice. L’unificazione monetaria è un problema tecnico che può essere risolto da uno Stato europeo; e che, per definizione, uno Stato federale europeo risolverebbe senz’altro. Anche il problema della fondazione di questo Stato nuovo è semplice. Nel quadro democratico, per fare un governo si indicono delle elezioni. Per fare uno Stato, bisogna convocare un’Assemblea costituente. Ma il pensiero comincia a cadere nel vuoto quando si usa l’espressione ‘unione politica’ invece dell’espressione ‘Stato federale’; e, per il processo di fondazione, invece delle espressioni ‘Assemblea costituente’ e ‘lotta per convocarla’, qualche espressione che cerca di nominare l’impossibile, la trasformazione graduale di un gruppo di Stati in uno Stato nuovo, sia pure federale.
Gli iniziati possono anche dare ad intendere che sanno di che cosa si tratta. L’opinione pubblica, che non può tirare a indovinare, resta inerte. Non ha torto. Con discorsi di questo genere nominano le esigenze, non le soluzioni; non si propongono scelte, ci si rimette al buon Dio. Ed è curioso che su questa base, che concettualmente è quella della ‘cattiva infinità’ ... alcuni pretendano di liquidare come ‘dottrinarismo dei mistici dell’Europa’ il realismo di coloro che dicono pane al pane e vino al vino.
Bisogna dunque, per cominciare, tener fermi gli aspetti formali del problema, contro la reticenza della classe politica e le sofisticazioni della classe dirigente. E non importa se questi aspetti formali sono di semplice buonsenso, sfiorano addirittura la banalità. Il problema ha questa natura. Questo è il punto di partenza per affrontarlo. Naturalmente, bisogna anche tener conto del fatto che, in sede operativa, nessuno riconosce questa necessità. Ed è proprio a questo riguardo che l’impegno per l’unione monetaria acquista rilievo politico. Il punto decisivo mi sembra questo: bisogna accettare, e sostenere, contro la logica, una operazione graduale di unificazione monetaria precedente, e non seguente, la creazione di un potere politico europeo, perché i protagonisti del processo per quanto riguarda l’esecuzione (l’iniziativa... non è affar loro) non si comportano secondo criteri logici.
Ovviamente si tratta di un espediente. Ma ci sono espedienti utili. Forse ci sono espedienti che possono spingere le forze politiche su un piano inclinato. Ed è con espedienti di questo genere che si deve cercare di risolvere l’aspetto non formale del problema della creazione del potere europeo. Se si riesce ad impegnare qualcuno per qualcosa (l’unione monetaria) che implica un presupposto (il potere politico), può accadere che costui finisca per trovarsi, suo malgrado, nella necessità di crearlo. L’ipotesi va dunque presa in considerazione. In pratica, si tratta di accertare: a) se la situazione storica presenta la possibilità di creare uno Stato federale europeo, b) se la situazione politica presenta qualche punto scivoloso per spingere la classe dirigente su un piano inclinato dalle nazioni all’Europa anche sul terreno politico-istituzionale.
[...] L’unione monetaria è uno dei punti scivolosi del piano inclinato dalle nazioni all’Europa. Per valutarne l’efficacia sotto questo aspetto, converrà ricordare che si tratta di una scelta imposta dal grado di sviluppo dell’integrazione economica, che è giunta ormai ad un punto nel quale non può né consolidare i risultati già acquisiti, né avanzare, senza affrontare il problema monetario. Si tratta, in sostanza, di una scelta imposta dai fatti, e non revocabile, a meno di modificarli...
In effetti il quadro è più vasto. Il grado di sviluppo dell’integrazione europea obbliga i governi ad affrontare non solo il problema monetario, ma anche altri problemi economici, in ultima istanza quello stesso dell’unificazione delle politiche economiche (senza considerare i problemi politici collegati, direttamente o indirettamente, a questo sviluppo economico). Ma su questo terreno, a causa del limite costituito dalla sovranità ancora intatta degli Stati (ossia dal fatto che la formazione della volontà pubblica è ancora confinata nel quadro nazionale), ciò che si potrà ottenere, se le circostanze saranno favorevoli, non avrà comunque il carattere di un fatto nuovo, europeo, ma solo quello di una maggiore o minore collaborazione internazionale.
Sul terreno monetario, invece, si possono fare dei passi avanti di natura istituzionale, tangibile, europea...».[3]
Se questa è l’analisi teorico-strategica, il problema da affrontare è il ruolo delle forze sul campo, dei soggetti che, da una parte, sono spinti ad agire perché la realtà stessa lo richiede, e, dall’altra, sono disposti ad agire, tenendo conto del fatto che in questa «disposizione» entrano in gioco sia fattori legati alla volontà (scelte di valore, interesse, ecc.) sia condizionamenti che derivano dal ruolo che queste forze normalmente svolgono.
«Se si tratta di rinuncia alla sovranità nazionale, non si può contare sull’azione normale della classe politica, cioè sulle leaderships nazionali... [Esse sono coscienti dell’alternativa storica a cui si trova di fronte l’Europa, ma a questa stessa classe politica] nulla sembra più irrealizzabile, più improponibile, del mezzo per creare uno Stato europeo, la Costituente europea. Questa cecità non dipende solo dalle forme di irresponsabilità morale e intellettuale... ma dipende anche, e soprattutto, ... dalla contraddizione tra la natura della decisione di convocare la Costituente europea e la struttura del processo normale di produzione delle decisioni politiche...
La decisione di convocare una Costituente europea può essere presa, ovviamente, solo a livello internazionale, cioè in un quadro dove non si forma una volontà pubblica, ma solo il compromesso fra le espressioni di vertice di diverse volontà pubbliche. Giuridicamente si tratta di una decisione possibile a patto che si formi, in un numero sufficiente di paesi, e nello stesso tempo, la volontà di prenderla. Ma con la politica normale, e persino con la politica rivoluzionaria qualora essa miri alla conquista del potere nello Stato, è non solo difficile, ma addirittura teoricamente impossibile, giungere ad una situazione di questo genere.
Le decisioni dipendono dal potere, il potere dallo scontro delle forze, lo scontro delle forze dal quadro della lotta. Da ciò discende, rispetto alla decisione di convocare una Costituente nell’ambito di diversi paesi (diversi quadri di lotta): a) che le forze interessate non avrebbero alcuna possibilità, se non casuale, di giungere ad una maggioranza per la Costituente nello stesso tempo; b) che esse, invero, non potrebbero nemmeno iniziare la lotta per questa maggioranza perché non si possono dividere le forze in campo con la proposta di una decisione che non sarebbe una decisione (uno Stato solo non può convocare la Costituente europea); c) che in ogni caso il potere normale – che si acquista, si perde o si mantiene solo in un quadro di lotta, uno Stato – e la decisione di convocare una Costituente in diversi paesi – che corrisponde a quella di cambiare proprio il quadro della lotta – sono incompatibili, perché il potere normale si conquista solo con la mobilitazione delle possibilità storico-sociali di sopravvivenza di un quadro di lotta, quali che siano, e non con il contrario. Sta in ciò la difficoltà da superare per creare la Federazione europea. Gli Stati possono giungere a qualunque livello di viltà o di follia, ma non possono essere superati dalla politica normale, che, per definizione, non è che gestione o trasformazione dello Stato... [Dunque] non si può contare, per l’avvio di un’azione risolutiva, sull’azione normale della classe politica. C’è una possibilità. Si può contare sull’azione di una leadership europea occasionale, se esiste, nel piano inclinato verso l’Europa, un punto scivoloso verso una situazione che si potrebbe chiamare di ‘Costituente strisciante’».[4]
Ma la leadership occasionale può attivarsi solo se le circostanze e la volontà politica di forze non compromesse con il potere riescono a far emergere o a identificare una situazione in cui sia possibile, come ha scritto Monnet, «un’azione concreta e risoluta, su un punto limitato ma decisivo, che provochi un cambiamento fondamentale su questo punto, e modifichi progressivamente i termini stessi dell’insieme dei problemi».[5]
La leadership occasionale si è manifestata ai tempi della discussione sulla CED, con la posizione italiana, e in particolare di De Gasperi, (che coincideva con quella assunta dal Movimento federalista europeo), mirante a dar vita, insieme all’esercito europeo, a una Comunità europea democratica attraverso la creazione di un’Assemblea rappresentativa. La battaglia per la CED fu perduta, ma le riflessioni e l’azione dei federalisti sono proseguite nella direzione indicata da Monnet.
Al Vertice dell’Aja del dicembre 1969 i governi riconobbero la necessità dell’unione monetaria e, sulla base di ciò, Albertini scriveva: «...c’è l’impegno dei governi per l’unione monetaria. Sappiamo che mette in gioco la sovranità nazionale, ma sappiamo anche che non impegna le leaderships nazionali a superarla davvero. Tuttavia, con le leaderships nazionali impegnate su questo fronte, e col favore delle circostanze, una leadership europea occasionale sta agendo su un ‘punto limitato’ che dovrebbe essere decisivo, perché riguarda la fonte stessa della formazione della volontà politica democratica.
Questo punto è l’elezione diretta unilaterale dei delegati al Parlamento europeo. Da qualche anno gli europeisti più seri e i federalisti più responsabili, si battono per questo obiettivo...
Con una elezione europea si formerebbe una volontà pubblica nel quadro europeo: un fatto, che lo si voglia o no, virtualmente costituzionale».[6]
Nel corso dei primi anni ‘70, dunque, la strategia dei federalisti si è concentrata su questo «punto decisivo» e ha vinto: il Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini europei, da una parte è diventato il simbolo della contraddizione in cui si dibatte tuttora l’Europa (è l’unico organo democratico della Comunità, ma rimane escluso, anche se dopo Maastricht sono stati fatti alcuni passi avanti, dal processo di formazione della volontà politica), ma d’altra parte è potenzialmente in grado di assumere il ruolo costituente che solo può essere svolto dai cittadini, o dai loro rappresentanti eletti democraticamente.
Naturalmente, raggiungendo questo traguardo, è stata vinta una battaglia, non la guerra, ma ogni passo avanti cambia i termini della «questione europea» e comunque permette di identificare le azioni successive.
***
Dobbiamo ora chiederci se le analisi che abbiamo ripercorso ci forniscono delle indicazioni teoriche e strategiche per agire nella nuova situazione che si è venuta a creare dopo Maastricht.
Nel fare ciò non possiamo non tener conto del fatto che, se nel passato si poteva accettare un lento avanzamento verso l’obiettivo all’interno di un quadro internazionale relativamente stabile, oggi il processo di unificazione europea è condizionato e minacciato da fattori di instabilità che chiamano in causa il fattore tempo. La crisi storica dello Stato nazionale si manifesta attraverso fenomeni sempre più gravi e dilaganti di disgregazione, razzismo e xenofobia, la Comunità deve affrontare i problemi connessi al suo allargamento, che pone con forza l’Europa di fronte all’alternativa fra rafforzamento e diluizione in una grande area di libero scambio. Tutto ciò richiede che il processo di unificazione europea venga accelerato, perché non si arresti il cammino verso la creazione di una Federazione europea che possa assumere le responsabilità che le competono.
Tenendo conto di ciò, si possono considerare alcuni dati di fatto comprensibili e interpretabili sulla base dell’analisi di Albertini esposta precedentemente, si possono identificare le forze in gioco nel ruolo che hanno svolto e che devono ancora svolgere e si può individuare una possibile strategia per i federalisti.
I dati di fatto sono le complessive decisioni prese a Maastricht, e soprattutto le precise scadenze fissate nel Trattato relative all’Unione economico-monetaria. Se sarà superato l’ultimo ostacolo della ratifica, gli Stati avranno preso la decisione più avanzata che, nella loro ottica (un’ottica che tende a limitare più che ad accentuare la cessione di sovranità) poteva fin qui essere presa. Ma cedendo parte della loro sovranità in campo monetario, essi avranno aperto la strada alle necessarie decisioni più avanzate e avranno attivato quel «piano inclinato» che costringerà le forze sul campo a porsi il problema politico della creazione di un potere federale europeo.
L’esempio della Francia è emblematico: le decisioni prese a Maastricht pongono alla Francia un problema di revisione costituzionale, perché la Costituzione francese, che prevede solo la possibilità di una limitazione di sovranità (per cui i poteri trasmessi a un organo europeo vengono gestiti col criterio dell’unanimità), accolga il principio del trasferimento di sovranità (per cui i poteri stessi vengono gestiti col criterio della maggioranza). L’importanza del dibattito apertosi in Francia su questo problema è legata al fatto che esso mette l’accento sul punto cruciale dell’alternativa federalista, e che su questo punto si scatenerà la lotta politica, creando schieramenti, trasformando equilibri e mettendo a confronto le forze politiche non più sul terreno della politica interna, ma sul terreno europeo. La rilevanza della fase di revisione costituzionale risulta ancora maggiore se si riflette sul fatto che essa ha aperto un dibattito sul federalismo che ha fatto emergere addirittura la possibilità che la Francia accetti il trasferimento di sovranità quando è in corso la formazione di una «nazione di nazioni», ossia di uno Stato federale. Un simile dibattito non può non influenzare anche gli altri Stati europei.
All’interno della logica del piano inclinato, è possibile oggi identificare una leadership occasionale che si faccia carico di un avanzamento verso l’obiettivo finale? In realtà sembrava che Mitterrand potesse assumere questo compito quando, in un discorso tenuto al Parlamento europeo il 24 maggio 1985 (quindi prima di Maastricht), ha proclamato la necessità che il Parlamento stesso svolgesse un ruolo costituente. Ma non è seguita alcuna iniziativa concreta in quella direzione (a differenza di quanto è avvenuto in Italia con il referendum del 1989).
Ciò che forse possiamo sperare oggi è che la leadership occasionale europea emerga dal rafforzamento della obiettiva convergenza di interessi di Francia e Germania, in un quadro europeo mutato in seguito alla riunificazione tedesca e alla disgregazione dell’Est. Solo ancorando la Germania all’Europa, infatti, si può fermare sul nascere la possibilità di un ritorno al nazionalismo tedesco e all’assunzione, da parte della Germania, di un ruolo dominante in Europa, sia attraverso il marco, sia attraverso la creazione di rapporti privilegiati con alcune aree dell’Est europeo. Che ciò non avvenga è certamente interesse di tutti gli Stati europei, ma soprattutto della Francia, che ha sempre visto nello Stato tedesco un potenziale antagonista, e della Germania stessa, che teme di dover assumere responsabilità europee e mondiali a cui non potrebbe far fronte (il fatto che Kohl abbia sempre con forza indicato nella costruzione europea l’obiettivo della sua politica ne è la dimostrazione).
Ma la leadership occasionale è solo uno degli elementi in gioco, e da essa non ci si possono aspettare, per le ragioni indicate da Albertini, progetti decisivi autonomi. Quando essa si è manifestata, ha agito su un punto strategico proposto dai federalisti attraverso le loro analisi e le loro azioni. Ed anche nella situazione attuale il ruolo dei federalisti è essenziale: la loro logica, la logica costituente, deve imporsi. Essa si basa su un’analisi estremamente realista del processo in corso: moneta, economia e governo sono tre aspetti inscindibili di esso e non possono non avere come sbocco uno Stato basato su una costituzione democratica, ossia elaborata dai rappresentanti del popolo.
Dopo Maastricht e dopo gli sconvolgimenti che sono seguiti al crollo dell’Unione Sovietica, l’obiettivo strategico della nostra lotta deve dunque coincidere con l’obiettivo finale, l’attribuzione del mandato costituente al Parlamento europeo. Non sono più pensabili tappe intermedie, perché, essendo in questione il trasferimento di sovranità in campo monetario, è posto in modo ormai definitivo il problema della costruzione di uno Stato nuovo, e perché il pericolo di un disordine dilagante richiede che l’Europa diventi un soggetto attivo nella politica internazionale acquisendo strumenti democratici di governo.
Se compito dei governi è prendere la decisione operativa di attribuire il mandato costituente al Parlamento europeo, è certamente importante che entrino in gioco anche quei soggetti politici, istituzionali e non, che possono influenzare quella decisione: il Parlamento europeo, innanzitutto, che deve rivendicare il ruolo costituente, i parlamenti nazionali, la Commissione (il cui Presidente Delors si è già mosso nella direzione giusta quando, pur prigioniero dell’ottica intergovernativa, ha chiesto di anticipare la Conferenza, fissata per il 1996, per affrontare le riforme istituzionali che permetterebbero all’Europa di gestire il problema dell’allargamento), i partiti politici e le forze sociali, attraverso la creazione di schieramenti europei e una campagna elettorale, per le elezioni europee del 1994, incentrata sui temi costituenti.
Un ruolo indispensabile, comunque, spetta ai federalisti. Essi hanno sempre avuto il compito di indicare la risposta alla crisi dello Stato nazionale, alla crisi di un quadro di potere ormai incapace di gestire le nuove forme di convivenza create dall’evoluzione del modo di produzione e dei rapporti internazionali. Ma non si sono mai limitati né a testimoniare un ideale, né a contare soltanto su una progressiva e inevitabile evoluzione autonoma della realtà verso la realizzazione dell’ideale, né a dare suggerimenti ai gestori dei poteri esistenti, contando solo sulla speranza di essere ascoltati. I federalisti si sono sempre fatti carico di un ruolo di iniziativa attraverso la ricerca di strategie che, a partire da una certa situazione, permettessero di schierare il maggior numero di forze possibile sul fronte della lotta per la Federazione europea.
Nelle diverse fasi di questa lotta si sono alternate azioni di denuncia radicale, legata alla mobilitazione per rivendicare direttamente l’obiettivo finale, ad azioni miranti a raggiungere obiettivi più limitati, ma decisivi per compiere dei passi avanti. In questa capacità di mutare strategia a seconda del momento storico-politico, mantenendo stabile l’obiettivo finale, consiste il realismo dei rivoluzionari. Essi non devono temere momenti di oscuro lavoro sotterraneo, non devono privilegiare l’«apparire» nei confronti dell’«essere», devono esercitare l’infinita pazienza e la tenace fermezza di chi vuole sostituire un nuovo ordine al vecchio.
Nicoletta Mosconi
[1] Mario Albertini, «Le problème monétaire et le problème politique européen», in Le Federaliste, XIV (1972), pp. 77-108.
[2] Op. cit., p. 91.
[3] Op. cit., pp. 92 segg.
[4] Op. cit., pp. 101 segg.
[5] Op. cit., p.105.
[6] Op. cit., pp. 106 segg.