Anno XLV, 2003, Numero 1, Pagina 47
CONFRONTARSI CON IL POTERE.
UN IMPERATIVO PER I FEDERALISTI
Il Congresso di Lione del MFE sovranazionale (gennaio 1959) approvò in riunione plenaria il «Progetto di Trattato per la convocazione di una Costituente europea», elaborato da una Commissione ad hoc eletta dal Congresso del Popolo Europeo (CPE) a Torino, nel dicembre 1958.
Il Trattato iniziava con la frase seguente: «Le Alte Parti contraenti, coscienti di esprimere la volontà dei loro popoli e decise a stabilire il fondamento della loro unione indissolubile… hanno convenuto fra loro circa le seguenti disposizioni».
Nell’articolo 1 si legge: «Le Alte Parti contraenti decidono col presente Trattato di convocare un’Assemblea Costituente Europea con mandato di elaborare la Costituzione degli Stati Uniti d’Europa».
L’articolo 8 del Trattato prevedeva la sua entrata in vigore «il giorno in cui sarà stato ratificato da tutte le Alte Parti contraenti o, in difetto, tre mesi dopo la sua firma, a condizione che venga ratificato da almeno tre Stati, che contino… una popolazione globale minima di 100 milioni di abitanti».
Dopo l’entrata in vigore del Trattato si sarebbero dovute tenere le elezioni a suffragio universale dell’Assemblea Costituente, che, entro 6 mesi, avrebbe dovuto redigere la «Costituzione degli Stati Uniti d’Europa».
L’articolo 4 prevedeva di sottoporre a referendum tale Costituzione, che sarebbe stata promulgata dal presidente dell’Assemblea Costituente «negli Stati in cui essa è stata approvata con la maggioranza semplice dei suffragi, sotto riserva che questi Stati siano almeno 3 e contino… una popolazione globale di almeno 100 milioni di abitanti».
Una lettura superficiale di quella fase della battaglia federalista e dei suoi strumenti strategici potrebbe indurre a vedervi delle analogie con la situazione attuale, in cui i governi (Vertice di Laeken) hanno incaricato un’Assemblea (la Convenzione, sia pure non eletta direttamente) di redigere una costituzione. E in realtà è stata da alcuni richiamata come attuale la strategia del CPE. Ma una attenta e obiettiva analisi di ciò che il Movimento chiedeva allora e dei testi che ne fanno fede dimostra che le differenze rispetto al quadro all’interno del quale sta agendo la maggioranza del MFE sono rilevanti, per non dire essenziali.
E sono proprio queste differenze che dimostrano come la strategia alternativa basata sull’Appello ai governi dei sei paesi fondatori riflette la concezione strategica di base (al di là degli strumenti o degli obiettivi concreti che hanno caratterizzato le varie fasi) a cui il Movimento si è sempre attenuto e che ne definisce il ruolo: il confronto con il potere.
E’ proprio questo che ci differenzia dal cosiddetto «movimentismo», che si accontenta di reclamare degli obiettivi o dei valori senza indicare i mezzi, i soggetti e la via attraverso i quali raggiungerli. E ci differenzia anche dal generico europeismo, cui basta ottenere qualche aggiustamento per cantare vittoria.
Quali sono queste differenze?
In primo luogo allora veniva ritenuto prioritario un Trattato fra i paesi membri della Comunità, nella consapevolezza che per creare uno Stato di Stati sono questi ultimi che, detenendo il potere e la sovranità, devono avere e manifestare, tramite i rispettivi governi, la volontà di cederli. Se questa volontà non si manifesta, non esiste nessun soggetto politico che può arrogarsi il potere di decidere.
Un Trattato fra Stati che vogliono «stabilire il fondamento della loro unione indissolubile» è qualcosa di più di un semplice Trattato internazionale fra Stati sovrani. Esso è il crinale che separa l’unione dalla divisione. Un tale Trattato non può essere definito dal punto di vista meramente giuridico, né può essere considerato come un atto che riguarda l’ordine internazionale, come ha scritto Dominique Rousseau su Le Monde del 22 ottobre 2002. Esso è un atto politico in mancanza del quale permane l’ordine internazionale nel quale non può manifestarsi la sovranità del popolo europeo, ed è solo da un tale Trattato che può derivare il mandato costituente (vedi l’articolo 1 del Trattato citato prima). Il fatto che il Vertice di Laeken abbia affidato alla Convenzione il compito di scrivere una costituzione per l’Europa, senza definirla come atto costituente di un nuovo Stato, cioè senza il mandato costituente che noi abbiamo ripetutamente chiesto in passato, è indice del fatto che quella volontà di cedere la sovranità non si è ancora manifestata.
Norberto Bobbio, che nel ‘58 fu eletto come membro della Commissione costituzionale del CPE, ha commentato lucidamente il «Progetto di Trattato per la convocazione di una Costituente Europea». In una intervista rilasciata a Popolo Europeo egli affermò: «Posto il fine di costituire uno Stato federale in Europa, non vedo altro mezzo per raggiungerlo che un accordo internazionale, in cui gli Stati contraenti si impegnino a convocare una Assemblea costituente col mandato di elaborare una Costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Per questo ritengo che il Progetto di Trattato, elaborato dalla Commissione del Popolo Europeo, sia un passo necessario e decisivo verso il raggiungimento dello scopo. L’averlo compiuto è segno di maturità, e di spirito di concretezza. Ricordo vari progetti di Costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Ma non sono mai riuscito a dare loro molta importanza. Ciò che importa non è elaborare un progetto di Costituzione, ma suggerire le vie più dirette per giungere alla convocazione di un’Assemblea costituente. Se l’Assemblea costituente sarà convocata, il testo della Costituzione verrà da sé. Bisogna fare un passo per volta: e il passo difficile è il Trattato internazionale per la Costituente europea, non la redazione di un testo costituzionale, che, del resto, nessuno meglio di un’Assemblea eletta allo scopo saprà e potrà elaborare».
Anche allora (articolo 8) si prevedeva la possibilità che non tutti i paesi (e allora erano pochi) avrebbero accettato di creare la Federazione europea. Ma ciò che era ritenuto indispensabile era la manifestazione della volontà dei governi (tutti o in parte) di procedere, attraverso il Trattato, alla loro «unione indissolubile». E ciò prima, e non dopo, che una Assemblea redigesse una Costituzione. In mancanza di ciò, la sua creazione sarebbe stata una farsa, un inganno, in quanto necessariamente il mandato non avrebbe potuto essere costituente nel senso proprio del termine. Così come non è costituente il mandato alla Convenzione attuale, perché, nella sua assoluta genericità, rende impensabile (e lo stiamo verificando nei fatti) l’elaborazione di una Costituzione che dia vita a uno Stato federale europeo. E ciò d’altra parte è inevitabile per il fatto che, oltre alla mancata manifestazione della volontà di almeno alcuni governi di procedere in tal senso, si sta agendo in un quadro che vede coinvolti Stati dichiaratamente contrari alla federazione. Ciò è riconosciuto da tutti (e in fondo rappresenta la foglia di fico dell’europeismo di facciata, che utilizza le resistenze altrui per nascondere le proprie), ma anche tra i federalisti non se ne traggono le conseguenze.
C’è infine, all’articolo 4 del Trattato del ‘59, l’indicazione del referendum come sanzione democratica della «Costituzione degli Stati Uniti d’Europa». I cittadini, cioè, avrebbero dovuto essere chiamati ad approvare, con la Costituzione, sia la creazione dello Stato federale, sia i principi in essa contenuti. Ma, ancora una volta, il vero atto istitutivo del nuovo Stato coincideva con la ratifica del Trattato internazionale con la quale i governi decidevano di rinunciare alla loro sovranità a favore di quella europea.
Lo stesso percorso deve essere seguito oggi. Senza la previa decisione dei governi — di quei governi nelle cui mani sta la responsabilità maggiore e che dobbiamo forzare attraverso la mobilitazione di tutte le forze in campo —, il rischio di dare una sanzione democratica a una Costituzione-truffa (mero elenco di diritti e di doveri senza un potere che li sappia soddisfare e imporre) si avvicina molto a una certezza. E i cittadini europei sarebbero ingannati nell’immediato e tragicamente avviati sulla via della rovina per gli anni a venire.
Nicoletta Mosconi