Anno XLV, 2003, Numero 1, Pagina 43
PERCHE’ RIPARTIRE DAI PAESI FONDATORI
L’incompatibilità del quadro a quindici, ed a maggior ragione di quello a venticinque, con la fondazione di uno Stato federale europeo è evidente ed è largamente riconosciuta. Ma questa constatazione può portare a due conclusioni opposte: o si opta per la conservazione del quadro a quindici (e domani a venticinque) e allora si abbandona l’obiettivo dello Stato federale, adottando la prospettiva senza futuro dei piccoli aggiustamenti e delle piccole riforme; oppure si mantiene fermo l’obiettivo dello Stato federale e allora si abbandona la prospettiva del quadro a quindici (e domani a venticinque).
Chi è impegnato nella lotta per l’unità politica dell’Europa non può che collocarsi in questa seconda prospettiva, che è quella del nucleo federale. Non è il caso di riesporre, data la loro ovvietà, le ragioni di questa scelta. Vale soltanto la pena di ribadire ancora una volta che l’opzione strategica fondata sull’obiettivo del nucleo federale non dà affatto per scontato che in un certo numero di paesi dell’Unione esista oggi la volontà di fondarlo. Un’affermazione di questo genere sarebbe palesemente falsa. Si tratta soltanto di constatare che in alcuni paesi dell’Unione il grado di maturazione europea, indipendentemente dalle posizioni dei rispettivi governi, è più avanzato che in altri, a causa del grado più profondo di interdipendenza che esiste tra di essi e della loro più lunga storia di integrazione, e che ciò si riflette nella recettività dell’opinione pubblica al messaggio federalista e nelle contraddizioni e ambiguità che si manifestano nella classe politica. Il problema non è quindi quello di distinguere i paesi i cui governi vogliono lo Stato federale europeo da quelli i cui governi non lo vogliono; ma quello di individuare un quadro nel quale esistono i presupposti per la formazione della volontà di fondare uno Stato federale europeo e nel quale quindi ha senso agire per farla nascere. Ogni contributo alla creazione di questo quadro sarà un passo avanti verso la creazione di uno Stato federale europeo.
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Il dibattito sul nucleo è talvolta oscurato da una serie di incomprensioni e di equivoci, dovuti al fatto che nell’ambito dell’Unione attuale (e a maggior ragione di quella futura) non esistono due, ma più gradi diversi di maturazione europea, ai quali corrispondono ruoli diversi e diverse responsabilità nel processo. E’ quindi essenziale cercare di capire come questo è destinato a svolgersi e affinare l’analisi per impedire che l’obiettivo strategico del nucleo federale diventi equivoco e la sua indeterminatezza disperda energie invece di mobilitarle. L’elaborazione e l’esecuzione di una strategia politica presuppone infatti la chiara identificazione del contesto in cui essa deve essere portata avanti e degli interlocutori ai quali si rivolge. Per questo è privo di senso fingere di perseguire l’obiettivo del nucleo federale senza indicare — almeno in prima istanza e salvo correzioni di rotta nel corso del processo — i paesi che lo devono comporre.
Bisogna chiarire prima di tutto che il processo dovrà avere un motore che gli consenta di decollare. Questo motore non potrà che essere la comune volontà dei due paesi che costituiscono il cuore dell’Europa e la cui storica riappacificazione ha dato inizio al cammino dell’integrazione europea. Questi paesi sono la Francia e la Germania. Se in uno solo di essi o in entrambi non nascerà la volontà di fondare il primo nucleo di uno Stato federale, il processo non potrà neppure iniziare.
Francia e Germania potrebbero partire anche da sole, se nessun altro paese condividerà all’inizio il loro progetto. Ma si tratta di un’ipotesi debole e improbabile. I paesi che costituiranno il gruppo di avanguardia dovranno essere abbastanza poco numerosi da garantire un elevato grado di coesione e un forte grado di consenso su di un progetto di rifondazione, ma insieme essere abbastanza numerosi da costituire la massa critica necessaria per imprimere forza al processo e per sostenerlo con l’appoggio di un’opinione pubblica vasta e matura. Del resto, attorno alla Francia e alla Germania si è storicamente coagulato, fin dall’avvio del processo di unificazione europea, un gruppo di altri paesi strettamente interdipendenti, ed è evidente che sarebbe assai più facile vincere le resistenze che si opporranno al progetto di creare un nucleo federale se, al momento in cui esso sarà sanzionato da un accordo ufficiale, l’accordo tra Francia e Germania sarà stato rafforzato dall’adesione di questi. Stiamo parlando evidentemente dei sei Stati fondatori della CECA. La loro lunga storia comune di integrazione, il grado di maturazione europea dei loro cittadini e il grande valore simbolico legato alla loro identità di pionieri del processo di integrazione europea li collocano naturalmente sulla stessa lunghezza d’onda, destinandoli necessariamente a questo ruolo. Non avrebbe quindi alcun senso elaborare una strategia che prevedesse come interlocutori soltanto i governi, le classi politiche e l’opinione pubblica di Francia e Germania, escludendo quelli che sono i loro partner naturali.
Esiste infine, nell’ambito dell’Unione, l’insieme dei dodici paesi accomunati dall’adozione dell’euro. Anche questo è un raggruppamento che ha una sua realtà e un suo grado di interdipendenza. La sua esistenza ha quindi spinto taluno a sostenere che il nucleo federale dovrà coincidere con esso. Ed è vero che, una volta costituito il nucleo, o addirittura una volta che sia stata proclamata con chiarezza dai Sei la volontà irreversibile di fondarlo, molti dei paesi dell’euro, posti di fronte alla scelta tra entrarvi o rimanerne esclusi, deciderebbero ben presto di entrarvi. Il nucleo non rimarrebbe quindi a lungo limitato ai Sei, ma si estenderebbe rapidamente ai paesi della zona dell’euro, anche se non necessariamente a tutti e anche se in tempi diversi.
Ma è un dato di fatto che i paesi della zona dell’euro esterni ai sei paesi fondatori hanno una storia di integrazione molto più recente, che alcuni di essi sono radicalmente contrari ad una politica estera e di sicurezza europea che metterebbe in discussione il loro statuto di neutralità e che in ciascuno di essi l’appartenenza all’euro e quella alla stessa Unione sono sentite dalla grande maggioranza dell’opinione pubblica come scelte dettate da considerazioni di pura convenienza economica. Il fatto che questi paesi aderirebbero rapidamente al nucleo una volta che la sua fondazione fosse stata decisa in modo non reversibile e non negoziabile non sopprime la differenza radicale tra l’adesione ad una realtà che una volta che si è posti di fronte alla scelta tra entrarvi o rimanerne esclusi, e la partecipazione alla sua creazione, che richiede una volontà politica lucida e forte e la capacità di resistere alla tentazione di cercare compromessi o false soluzioni. Questa volontà non può nascere nei paesi dell’euro esterni ai Sei, e il loro coinvolgimento nei negoziati la soffocherebbe sul nascere negli stessi paesi fondatori.
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Si dice talora che l’identità del nucleo emergerà da un processo che avrà come soggetto la Convenzione, o qualche organo (verosimilmente a venticinque) che le succederà dopo il suo fallimento. Lo scenario più semplice che viene delineato da alcuni di coloro che credono in questa possibilità prevede che la Convenzione, o l’organo che eventualmente le succederà, sia in grado di proporre, e la Conferenza intergovernativa di decidere all’unanimità, la nascita di un nucleo federale. Questa ipotesi presuppone che i paesi contrari ad entrare a far parte del nucleo consentano agli altri di fondarlo, e siano disposti ad accoglierlo in un’Unione che manterrebbe le sue attuali caratteristiche istituzionali. Questo disegno è irrealizzabile. I paesi che starebbero fuori dal nucleo se questo nascesse sarebbero anche contrari alla sua nascita. E’ impensabile che uno Stato — come per esempio la Gran Bretagna — che non vuole sacrificare la propria sovranità entrando in una unione federale nella quale essa manterrebbe, come Stato membro, un ruolo decisivo, accetti di avere ai propri confini una grande federazione sottratta alla sua influenza e che ridurrebbe in modo sostanziale la libertà di decisione delle sue istituzioni nazionali. E’ vero che il nucleo, una volta creato, non solo, come si è detto, si espanderà rapidamente, ma entrerà anche a far parte dell’Unione, dando luogo, nel corso di una fase più o meno lunga, ad un’Europa a due velocità. Ma perché ciò accada occorrerà che il nucleo sia stato preventivamente fondato, indipendentemente dalla volontà degli altri paesi dell’Unione e in alcuni casi contro di essa.
Lo scenario più stravagante prevede una procedura più complessa in forza della quale, una volta che la Convenzione abbia approvato un progetto di costituzione federale, saranno le ratifiche che decideranno della composizione del nucleo. Questo sarà cioè formato dai paesi che ratificheranno la costituzione, eventualmente con un referendum. Ma perché questo scenario si realizzi si dovrà verificare una serie di condizioni: a) la Convenzione dovrà approvare, senza precisarne la composizione, un vero progetto di Unione federale e non un pasticcio incoerente che lasci tutto al punto di prima, o, più probabilmente, lo peggiori; b) la Conferenza intergovernativa — cioè i governi — dovrà approvare il progetto all’unanimità; c) contemporaneamente, sempre all’unanimità, la Conferenza intergovernativa dovrà modificare le regole di procedura previste dai trattati esistenti, a norma dei quali la mancata ratifica di un nuovo trattato anche da parte di un solo paese comporta la necessità di rinegoziarlo, e sostituire la relativa disposizione con un’altra che preveda che il trattato entrerà in vigore soltanto nei paesi che lo avranno ratificato. Come si vede, si tratta della somma di tre impossibilità.
La verità è che quella di far emergere senza un atto di rottura un nucleo a Sei dal quadro a quindici (e domani a venticinque) è un’illusione, che peraltro non può nascondere una verità aspra e scomoda, ma non per questo meno vera: che la volontà di fondare un nucleo federale può nascere soltanto nel quadro dei Sei (o eventualmente in uno più ristretto qualora uno o più dei governi dei paesi fondatori rifiutassero di associarsi al progetto) e che, in questa prospettiva, le istituzioni europee, lungi dall’essere il motore del processo, sono soltanto un ostacolo al suo inizio e al suo sviluppo.
Francesco Rossolillo