Anno XXVIII, 1986, Numero 2-3, Pagina 141
«LA ROSA BIANCA» QUARANT’ANNI DOPO
Ci sono almeno tre buoni motivi per riproporre, soprattutto alle giovani generazioni, la lettura di Die Weisse Rose di Inge Scholl,[1] sorella di Hans e Sophie, due dei principali esponenti del gruppo omonimo che, tra la primavera del 1942 febbraio del 1943, sviluppò nelle università tedesche un’opposizione, morale e politica ad un tempo, al regime nazista. La loro azione fu l’episodio più generoso, nobile e luminoso della Resistenza tedesca: «Un tenue raggio di luce nell’ora più buia», come ebbe a dire Theodor Heuss.
Il primo motivo è che sulla storia della Germania nazista e, a maggior ragione, della Resistenza tedesca calò, nell’immediato dopoguerra, una gigantesca opera di rimozione collettiva, sollecitata dagli Alleati stessi. Una riscoperta di quel passato terrificante (e dei suoi momenti nobili) è allora quanto mai necessario.
Il secondo motivo è che anche «La Rosa Bianca» mise in luce le radici europeiste e federaliste della Resistenza, radici che, soprattutto nell’esperienza degli altri paesi europei, furono ottenebrate dalla restaurazione degli Stati nazionali dopo il crollo del nazifascismo.
Il terzo motivo sta nel fulgido esempio di eroismo e di assoluta dedizione all’ideale che quei giovani studenti seppero trasmettere con la loro azione. Dopo oltre quarant’anni sono ancora quello stesso spirito e quella stessa tensione che si rendono necessari per i giovani militanti dell’unità europea.
Chi erano quei giovani dell’Università di Monaco? Quasi tutti provenienti dalle Jungenschaft, associazioni giovanili di matrice cattolica, decisero, poco più che adolescenti, che, di fronte all’avanzare della barbarie nazista che stordiva con la propaganda il popolo tedesco, occorreva tener duro, non abdicare ai principî di libertà, di tolleranza e di solidarietà della cultura democratica.
Nessuno meglio di Inge può dirci chi fossero Hans, Sophie ed i loro amici. «…Andavano a fare delle gite a fine settimana e solevano abitare, anche nei periodi di freddo più intenso, in capanne,
in accampamenti sul genere di quelli che sogliono costruirsi i
Lapponi… Uno di essi soleva leggere ad alta voce, quando sedevano attorno al fuoco; altre volte cantavano in coro, accompagnandosi con la chitarra, col banjo o con la balalajka.
Raccoglievano i canti di tutti i popoli e solevano scrivere parole e musica
dei loro canti solenni e di canzonette gaie. Dipingevano e facevano delle fotografie, scrivevano e componevano poesie. Scrissero così i loro meravigliosi diari e le loro inimitabili riviste. Usavano attendarsi d’inverno sulle praterie alpestri più remote e andavano a sciare nei punti più difficili. Amavano tirare di scherma al mattino presto. Solevano portare con sé i libri che avevano importanza per loro e che aprivano loro nuove prospettive sul mondo… Erano seri e taciturni, avevano un loro peculiare umorismo. Erano facili allo scherzo, scettici e sarcastici. Erano capaci di correre all’impazzata attraverso i boschi e solevano tuffarsi nelle prime ore dell’alba in fiumi gelidi. Erano capaci di starsene per delle ore pancia a terra ad osservare la selvaggina o il volo degli uccelli e sedevano, trattenendo del pari il respiro, ai concerti per scoprire la musica… Si aggiravano in punta di piedi nei musei e conoscevano perfettamente il Duomo e i suoi tesori d’arte più reconditi. Amavano in modo particolare i cavalli azzurri di Franz Marc, i campi ardenti di grano, i soli di Van Gogh e il mondo esotico di Gauguin».[2]
Nessuno meglio di Inge può dirci chi fossero Hans, Sophie ed i loro amici. «…Andavano a fare delle gite a fine settimana e solevano abitare, anche nei periodi di freddo più intenso, in capanne,
in accampamenti sul genere di quelli che sogliono costruirsi i
Lapponi… Uno di essi soleva leggere ad alta voce, quando sedevano attorno al fuoco; altre volte cantavano in coro, accompagnandosi con la chitarra, col banjo o con la balalajka.
Raccoglievano i canti di tutti i popoli e solevano scrivere parole e musica
dei loro canti solenni e di canzonette gaie. Dipingevano e facevano delle fotografie, scrivevano e componevano poesie. Scrissero così i loro meravigliosi diari e le loro inimitabili riviste. Usavano attendarsi d’inverno sulle praterie alpestri più remote e andavano a sciare nei punti più difficili. Amavano tirare di scherma al mattino presto. Solevano portare con sé i libri che avevano importanza per loro e che aprivano loro nuove prospettive sul mondo… Erano seri e taciturni, avevano un loro peculiare umorismo. Erano facili allo scherzo, scettici e sarcastici. Erano capaci di correre all’impazzata attraverso i boschi e solevano tuffarsi nelle prime ore dell’alba in fiumi gelidi. Erano capaci di starsene per delle ore pancia a terra ad osservare la selvaggina o il volo degli uccelli e sedevano, trattenendo del pari il respiro, ai concerti per scoprire la musica… Si aggiravano in punta di piedi nei musei e conoscevano perfettamente il Duomo e i suoi tesori d’arte più reconditi. Amavano in modo particolare i cavalli azzurri di Franz Marc, i campi ardenti di grano, i soli di Van Gogh e il mondo esotico di Gauguin».[2]
Non dissimili dai fratelli Scholl erano gli altri membri del gruppo, conosciuti nei primi mesi del ‘42 all’Università di Monaco: Alex Schmorell, elegante, fantasioso, brillante, Christl Probst, appassionato studioso della natura, Willi Graf, taciturno e introverso, che a quindici anni aveva annotato sul suo diario: «Venga pure quel che vuole, noi rimaniamo fermi nelle nostre idee».
Il loro era un gruppo «naturale», dai percorsi individuali praticamente identici. Studiavano tutti medicina, deliberatamente, per potersi sottrarre al controllo ideologico del regime, se avessero potuto scegliere liberamente avrebbero studiato tutti filosofia. I grandi dello spirito tedesco, Keller, Goethe, Schiller, li avevano inizialmente formati, successivamente i filosofi antichi, Socrate, Platone e i primi filosofi cristiani, poi Sant’Agostino, Pascal…, senza dimenticare il pensiero moderno: Holderlin, Rilke, Nietzsche, Stefan Gorge, Theodor Haecker.. Inoltre, sia Hans che Willi avevano già conosciuto il carcere per alcune settimane con l’ondata di arresti che nel ‘38 seguì allo scioglimento delle organizzazioni cattoliche. Erano assillati dall’idea di dover far qualcosa, di risvegliare il popolo dal torpore e dall’abiezione che lo avevano colpito. Una coraggiosa presa di posizione del vescovo di Münster contro gli orrori della guerra e le persecuzioni del regime li aiutò a maturare la decisione di passare all’azione.
Alla fine di giugno del ‘42 volantini intestati I Manifestini della Rosa Bianca vengono distribuiti clandestinamente nelle università di Monaco e di altre città della Germania meridionale, suscitando grande emozione tra gli studenti. Nel giro di poche settimane vengono stilati quattro volantini. Nel primo si descrive lo stato di passività del popolo tedesco («un popolo tragico, paragonabile agli ebrei e ai greci») e lo si sprona ad opporsi, a fare «resistenza passiva», senza attendere che ci sia qualcuno a dare il via. È una rivolta morale e individuale ad essere sollecitata. Nel secondo è assai avvertito il senso di colpa che grava su di loro, mentre il popolo assiste, senza reagire, alle persecuzioni degli ebrei («un senso di complicità… se noi tolleriamo questo governo che si è macchiato di colpe così atroci, siamo colpevoli noi stessi… non ci si può assolvere perché ognuno è colpevole, colpevole, colpevole!»). E si auspica un’ondata di ribellione che si estenda a tutto il paese, qualunque sia il prezzo da pagare, perché «una fine terribile è ancor sempre preferibile ad un terrore senza fine». Nel terzo l’indicazione politica comincia ad emergere più chiaramente, affiancandosi all’aspetto morale della rivolta, prevalente fino a quel momento. Si rompe in maniera netta con il lealismo verso lo Stato, auspicandone la sconfitta militare (è opportuno ricordare che anche chi si opponeva al nazismo in Germania non arrivava al punto di augurarsi la sconfitta del proprio paese): «La principale preoccupazione di ogni tedesco non dev’essere la vittoria sul bolscevismo, ma la sconfitta del nazionalsocialismo. Ciò deve assolutamente essere la cosa principale». Ne deriva la indicazione del «sabotaggio nelle aziende belliche…, nel settore dell’informazione, della cultura, della ricerca scientifica…». Nel quarto emerge, per la prima volta, l’idea dell’Europa, vista come frutto della cristianità e della sua azione pacificatrice: «…solo la religione può risvegliare l’Europa… se dovesse balenare davanti ai nostri occhi la prospettiva di uno Stato sovrannazionale (ein Staat der Staaten), di una dottrina politica…, dovrebbe essere forse la gerarchia il fondamento di una unione di Stati (Staatenvereins)? ».[3]
Alla fine di luglio Hans Scholl, Alex Schmorell e Willi Graf partono per il fronte russo, arruolati nel servizio sanitario. Prima della partenza decidono che, al loro ritorno, «l’azione della ‘Rosa Bianca’ si sarebbe dispiegata completamente; l’audace inizio si sarebbe trasformato in una dura ed accuratamente meditata resistenza… la cerchia dei cospiratori sarebbe stata allargata».[4] Alla riunione è presente Kurt Huber, professore di filosofia e psicologia dell’Università di Monaco, molto stimato dagli studenti che affollavano le sue lezioni. Si può presumere che sia stato proprio il professar Huber a far maturare politicamente il gruppo verso posizioni dichiaratamente federaliste. Risulta, infatti, dagli atti del processo che questi faceva «discorsi sul federalismo… come di una necessità per la Germania, invece di insegnare il nazionalsocialismo…».[5] Ricorda, ancora, Inge Scholl che Huber andava sostenendo che occorreva «approfittare del meraviglioso istante della liberazione per costruire assieme agli altri popoli europei un mondo nuovo e più umano».[6]
Nel novembre del ‘42 i principali esponenti del gruppo tornano dal fronte, decisi ad operare un salto di qualità verso l’azione. Si allacciano rapporti con altri oppositori (fra cui i cospiratori che il 20 luglio 1944 tenteranno, senza successo, di assassinare Hitler), mentre avvengono in varie caserme e nel paese i primi atti di sabotaggio.
Nei primi giorni del gennaio ‘43 il gruppo fa uscire un documento, stilato verosimilmente dal professar Huber,[7] intitolato Volantini del Movimento di Resistenza (col sottotitolo «Appello a tutti i Tedeschi!»), quasi a significare che «La Rosa Bianca» ambiva a trasformarsi (o stava trasformandosi) in un vero e proprio movimento resistenziale. La diffusione fu massiccia: Monaco, Francoforte s. M., Stoccarda, Friburgo, Mannheim, Saarbrücken, Vienna, Salisburgo, Linz, Karlsruhe, ecc.
È questo il documento di maggiore livello politico. Si riprendono succintamente i temi dei volantini precedenti (la guerra è ormai persa) l’obiettivo è la sconfitta del nazismo, occorre rivoltarsi prima che sia troppo tardi§) e, soprattutto, appaiono, per la prima volta, tematiche europeiste e federaliste. «L’idea imperialistica di potenza dev’essere resa innocua per sempre… ogni potere accentratore sul genere di quello che lo Stato prussiano ha tentato di esercitare in Germania e in Europa deve essere soffocato sul sorgere…».
L’individuazione dello Stato nazionale quale fonte dell’accentramento statale, dell’ideologia nazionale, del militarismo e dell’imperialismo è assai chiara. Così come lo è l’indicazione della alternativa: «La futura Germania non può essere che federalista. Solo un sano ordine statale federalista può ridare nuova vita all’Europa indebolita. I lavoratori devono essere liberati mediante un ragionevole socialismo dallo stato di completa schiavitù in cui sono stati ridotti. La fallace immagine dell’economia autarchica deve sparire dall’Europa. Ogni popolo ed singolo hanno diritto ai beni della terra».[8]
Per l’indagine storica sarebbe interessante sapere come l’idea di un futuro ordine federale per l’Europa fosse maturata in quel periodo anche nel cuore della Germania. Fu un frutto solitario del kantiano professar Huber oppure l’onda lunga di un pensiero e di un dibattito che circolava già allora in altri paesi europei? Questa novità teorica della Resistenza tedesca non ebbe però tempo di svilupparsi perché il 18 febbraio vennero arrestati Hans e Sophie (e successivamente tutti gli altri), proprio mentre diffondevano l’ultimo volantino tra i corridoi dell’università, appositamente indirizzato agli studenti che, pochi giorni prima, avevano protestato duramente per le vie di Monaco, scontrandosi con gli agenti della Gestapo. Subito processati, furono condannati a morte in sei. Tre vennero decapitati subito: Hans e Sopbie Scholl e Christl Probst. La loro esecuzione fu annunciata a Monaco da grandi manifesti. Poi fu la volta del professor Huber e di Alex Schmorell. Infine, il 12 ottobre, venne ucciso Willi Graf, dopo molti mesi di interrogatori e di segregazione cellulare.
Come ebbe a dire Altiero Spinelli, «l’eroica breve avventura della ‘Rosa Bianca’ costituisce il capitolo più bello e puro della Resistenza tedesca. Qui non ci sono calcoli di partiti passati o futuri, non sapienti meditazioni sul possibile, sul probabile; non ci sono esitazioni paralizzanti dinanzi al mito della patria in guerra che non bisogna colpire. Qui c’è solo il semplice schietto coraggio morale che, una volta riconosciuto il cammino giusto, decide di percorrerlo e lo percorre con fermezza fino alla fine».[9] A più di quarant’anni di distanza, la battaglia per la Federazione europea non presuppone più la sconfitta di esperienze mostruose come quella del nazifascismo, ma «semplicemente» di quell’involucro che ne fu la culla: la sovranità assoluta dello Stato nazionale. Lo spirito, la tensione morale e politica dei ragazzi della «Rosa Bianca» sono ancora un esempio ed un faro per il proseguimento della lotta politica che ad essi ci accomuna.
Antonio Longo
[1] Inge Scholl, Die Weisse Rose, Fischer Bucherei KG, Frankfurt a.M. & Hamburg, 1957 (ed. it., La Rosa Bianca, La Nuova Italia, .Firenze, 1959).
[2] Inge Scholl, op. cit., pp. 23-24. Per quei giovani, nati e cresciuti nell’altopiano svevo, la comunità (Gemeinschaft) era la struttura sociale basilare e naturale, che si identificava con la patria (Heimat): «Se pensavamo alla patria ci sembrava di sentire l’odore del muschio, della terra umida e il profumo delle mele» (p. 13).
[3] In mancanza di una conoscenza teorica del federalismo, l’unione tra i popoli era vista, nella tradizione continentale, solo come unione ‘coatta’, basata sul principio dell’egemonia di uno Stato su tutti gli altri. Gli autori del volantino, con questa citazione tratta da Novalis, esponente del romanticismo tedesco, dubitano, appunto, che quella gerarchica possa essere la unica forma di unione possibile. Per le citazioni dei volantini, cfr. ibidem, pp. 103-125.
[5] Cfr. AA.VV., Gewalt und Gewissen - Willi Graf und die «Weisse Rose», Herder Freiburg, Basel, Wien (ed. it., Violenza e coscienza - Willi Graf e la Rosa Bianca) La Nuova Europa Editrice, Firenze, 1978, p. 170).
[7] Cfr. AA.VV., Gewalt und Gewissen, cit., p. 172.