Anno XLI, 1999, Numero 3, Pagina 196
A PROPOSITO DELLA RIFORMA DELLA STRUTTURA DELLE FINANZE DELL’UNIONE EUROPEA
1. L’attuale struttura delle finanze dell’Unione, e in particolare l’attuale modo di finanziamento della stessa, ledono alcuni dei principi che si possono dedurre dalla teoria economica del federalismo.
Il principio di congruenza. Esso postula la generale coincidenza dell’ambito spaziale in cui si manifestano gli effetti di un intervento pubblico e vengono imposti i prelievi per il suo finanziamento con quello sul quale si estende la giurisdizione dell’istituzione o ente che ne è responsabile. Per il finanziamento delle spese dell’Unione europea dovrebbero quindi essere disponibili entrate riscosse su base europea, per le quali anche gli organi dell’Unione devono assumere la relativa responsabilità. Ciò oggi non accade.
Il principio di corrispondenza. Questo richiede che esista un equilibrio tra decisore, beneficiario della spesa pubblica e contribuente. Se sono troppo forti i beneficiari, il bilancio viene aumentato in misura eccessiva; se sono troppo forti i contribuenti — e questi non profittano nello stesso tempo in misura corrispondente delle spese che essi hanno finanziato — ne deriva un bilancio troppo ridotto. Soltanto in presenza di un grado elevato di corrispondenza ci si può attendere disciplina finanziaria e un bilancio dalle dimensioni prossime a quelle ottimali. La corrispondenza al livello dell’Unione europea implica che i singoli decisori politici — si tratti degli elettori, dei commissari, dei deputati europei o dei membri del Consiglio dei Ministri — siano dotati dei necessari poteri decisionali sia con riferimento alle spese che con riferimento alle entrate. Questi presupposti non sono realizzati nell’Unione europea in quanto questa non possiede una propria sovranità fiscale, talché le decisioni di spesa possono essere prese senza tener conto del relativo carico fiscale. Questo spiega la prassi ormai consolidata negli anni di lasciare in larga misura in particolare al Consiglio dei Ministri dell’agricoltura la facoltà di decidere in materia di prezzi agricoli e di spese nel settore agricolo. Il risultato di ciò è stato un bilancio agricolo di dimensioni eccessive che, in una fase precedente, superava i due terzi del bilancio complessivo della Comunità e oggi ne costituisce comunque la metà. Scendere da questo livello eccessivamente elevato, una volta che questo è stato raggiungo, si sta rivelando straordinariamente difficile, come dimostrano i tentativi di riformare la politica agricola comunitaria del 1992 e quelli in corso attualmente.
I principi dell’attribuzione, differenziazione e esercizio ottimali delle competenze. Per ottemperare ai requisiti del principio democratico e di quello della divisione dei poteri, il sistema decisionale della Comunità deve disporre di ampi e differenziati poteri. Ed è ciò che in sostanza accade in Europa in rapporto allo stadio attuale dell’integrazione europea. Ma questa notevole — e dispendiosa — capacità di decidere potrebbe essere meglio utilizzata se all’Unione europea fossero affidati più compiti di dimensione europea, se si realizzasse una ripartizione più chiara delle funzioni tra l’Unione e gli Stati membri in accordo con il principio di sussidiarietà e se fosse corrispondentemente ridotto e semplificato l’intreccio di politiche che esiste in molti settori tra Unione e Stati membri. Un’attribuzione ottimale di competenze comporta anche una autonoma competenza fiscale.
Il principio dell’equa distribuzione degli oneri finanziari. Attualmente l’Unione europea viene finanziata con i proventi dei dazi doganali e dei prelievi agricoli. I prelievi agricoli, una parte dei dazi doganali e la quota dell’IVA sono tendenzialmente regressivi. Ciò significa che i cittadini e le famiglie più poveri contribuiscono al finanziamento dell’Unione — in proporzione al loro reddito — più dei cittadini e delle famiglie più ricchi. Di conseguenza anche i paesi membri più poveri subiscono un’imposizione relativamente più gravosa. I contributi finanziari degli Stati membri commisurati al prodotto interno lordo sono certo formalmente proporzionali, ma gravano come gli altri in misura più che proporzionale sulle famiglie più povere. Ciò discende dal fatto che essi devono essere reperiti per il tramite dei sistemi fiscali nazionali, dei quali fa parte anche l’IVA. Quest’ultima viene quindi prelevata sia direttamente che indirettamente, e quindi due volte; inoltre, essa costituisce nei paesi poveri una percentuale più elevata delle entrate complessive di quanto non accada nei paesi ricchi. La circostanza che tutti i sistemi fiscali degli Stati membri prevedano anche imposte progressive come le imposte sul reddito, che nel quadro nazionale compensano almeno in parte la regressività delle imposte sui consumi, ha effetti assai attenuati ai fini del finanziamento dell’Unione. Per realizzare un’equa distribuzione del carico fiscale, l’Unione europea dovrebbe essere dotata di un nuovo strumento di prelievo fiscale di natura progressiva. Già nel rapporto McDougall avevamo avanzato proposte per l’introduzione di uno strumento di prelievo di questo genere. Esse erano state raccolte dalla commissione Spinelli del Parlamento europeo. Il Parlamento europeo peraltro abbandonò questa linea con il rapporto Lange, contribuendo a introdurre l’IVA come imposta europea. Io stesso, negli anni Ottanta, avevo proposto una soprattassa sulle imposte sul reddito e sulle imposte sulle società. E infine la Spagna, con l’appoggio del Portogallo e della Grecia, aveva suggerito, nel quadro della discussione sull’Agenda 2000, una formula di natura progressiva. Ma nessuna di queste proposte per una soluzione progressiva ha finora ottenuto la necessaria maggioranza.
Il principio del riequilibrio finanziario. A questo proposito si deve fare una distinzione tra un riequilibrio finanziario implicito ed un riequilibrio finanziario esplicito. Un riequilibrio finanziario esplicito si basa sul confronto tra capacità contributiva ed esigenze di spesa di un’istituzione. Se le esigenze di spesa superano la capacità contributiva, l’istituzione può avanzare una pretesa ad aiuti finanziari. Questi devono essere dati dalle istituzioni che hanno una maggiore capacità contributiva. Si crea così un diritto a questi aiuti finanziari, e l’istituzione che li riceve può in generale disporne liberamente senza vincoli di impiego. Questo riequilibrio finanziario esplicito presuppone un sistema di valori sociali più omogeneo e di conseguenza un più elevato grado di solidarietà sociale.
Quello che è operante nella Comunità europea è invece un riequilibrio finanziario implicito. Esso consiste nel fatto che, relativamente ad alcune politiche comunitarie, vi è un flusso di risorse finanziarie in direzione delle regioni più povere più intenso di quello che perviene alle regioni più ricche. Queste risorse sono inoltre vincolate fondamentalmente alla realizzazione di specifici investimenti. Già nel rapporto McDougall del 1977 avevamo sottolineato che, nel quadro degli Stati unitari e federali che avevamo esaminato, questo riequilibrio finanziario implicito avviene attraverso i bilanci centrali. Esso consiste nel fatto che le regioni più ricche di uno Stato trasferiscono alle più povere una parte dei proventi che ricavano dal commercio internazionale e interregionale. In questo modo le regioni ricche sono tendenzialmente contributrici nette, mentre le più povere sono tendenzialmente beneficiarie nette.
Il riequilibrio finanziario implicito relativo al bilancio dell’Unione europea peraltro è, da un lato, eccessivo e, dall’altro, improprio. E’ eccessivo in quanto la Germania, con circa il 60% di tutti i trasferimenti netti, è di gran lunga il maggior contributore netto. Tutti i più importanti uomini politici tedeschi hanno in verità sempre riconosciuto che la Germania sarà sempre un contributore netto; ma la loro preoccupazione è quella di ridurre le dimensioni eccessive del contributo netto tedesco. Anche l’Olanda, l’Austria e la Svezia sono contributori netti; la Gran Bretagna sarebbe il maggiore contributore netto dopo la Germania se la situazione non fosse cambiata a seguito dello «sconto» che le è stato concesso al vertice di Fontainebleau. Peraltro, tra gli Stati favoriti non si trovano soltanto quelli finanziariamente deboli, che sono a buon diritto beneficiari netti, ma anche paesi più ricchi, che dovrebbero essere contributori netti.
La posizione di contributore netto o di beneficiario netto di un paese non dipende comunque soltanto dalla ripartizione dei carichi sotto il profilo del finanziamento, ma anche dalla ripartizione delle spese dell’Unione. Uno dei fattori che entrano in gioco a questo proposito è costituito dal fatto che l’Unione europea dispone soltanto di alcune competenze che comportano spese di ammontare elevato. In prima linea viene la politica agricola, con circa il 50%, seguita dalle politiche strutturali con circa il 30% della spesa complessiva. Le spese dipendenti dalle politiche strutturali sono in larga misura in armonia con un equo riequilibrio finanziario implicito, poiché esse giovano prevalentemente agli Stati che hanno alloro interno regioni finanziariamente deboli. Lo stesso non vale però per le spese agricole. Questo fatto è stato messo in evidenza dai calcoli fatti in occasione dell’elaborazione da parte della Commissione finanze del Parlamento europeo della proposta di introdurre un cofinanziamento nazionale dei trasferimenti di reddito dipendenti dalla politica agricola comune. Con un cofinanziamento del 25% le spese della Germania verrebbero fortemente diminuite, mentre, per esempio, Spagna, Francia e Grecia vedrebbero aumentare fortemente il loro carico complessivo. E’ per questa ragione che la relativa proposta non è stata accettata in occasione del Vertice di Berlino, mentre le proposte della Commissione di abbassare i prezzi agricoli sono state profondamente emendate: e questo, tra l’altro, per assicurare maggiori ritorni alla Germania.
2. Le considerazioni svolte finora fanno emergere con chiarezza il duplice problema di fondo dell’attuale struttura finanziaria dell’Unione europea: gli oneri del finanziamento da un lato e i benefici delle spese dall’altro non sono distribuiti equamente. Tutti sono d’accordo sul fatto che non ci deve essere alcun principio del giusto ritorno, in forza del quale ogni Stato membro riceve in restituzione una somma pari a quella che ha pagato. Un principio di questo genere distruggerebbe i fondamenti della Comunità, che si è solennemente impegnata a mantenere una coesione economica e sociale, e quindi in sostanza anche ad una redistribuzione delle risorse attraverso il bilancio dell’Unione europea. La coesione economica e sociale deve però essere valutata sulla base di criteri di giustizia e richiede quindi una riforma della struttura finanziaria dell’Unione europea.
I principi fondamentali di una riforma di questo genere potrebbero essere i seguenti:[1]
a) L’Unione europea viene dotata di un proprio potere autonomo di imposizione fiscale, che le darà la possibilità di decidere l’applicazione di addizionali sia sulle imposte indirette, con particolare riferimento all’imposta sul valore aggiunto, sia sulle imposte dirette, con particolare riferimento alle imposte sui redditi e alle imposte sulle società.
b) Il finanziamento di carattere regressivo, che attualmente prevale, e che grava in modo eccessivo sugli strati più poveri della popolazione e sugli Stati membri economicamente più deboli, viene soppresso grazie all’introduzione di un’addizionale di carattere progressivo, in modo da introdurre una distribuzione più equa del carico. Attraverso entrambe le forme di imposte addizionali è possibile realizzare qualunque grado di progressività ritenuto auspicabile. Si tratta di una decisione di natura eminentemente politica, rispetto alla quale gli studiosi possono svolgere un’opera di consulenza, ma che come tale non ha alcun fondamento scientifico. Questo grado di progressività può essere modesto all’inizio del processo ed essere successivamente adattato al grado di integrazione di volta in volta raggiunto.
c) La divisione del bilancio in una parte «obbligatoria» e in una parte «non obbligatoria» viene eliminata; la responsabilità comune e indivisa per il bilancio nella sua interezza viene attribuita al Consiglio e al Parlamento europeo. Ciò presuppone la creazione di una procedura di mediazione nell’ipotesi di dissenso tra Consiglio e Parlamento europeo.
d) La fissazione unilaterale e asimmetrica, nell’art. 203 del Trattato della Comunità europea, di un tetto massimo che vale soltanto per le spese non obbligatorie, viene soppressa. Essa era già fuori luogo prima, poiché era stato proprio l’aumento delle spese agricole obbligatorie a provocare la prima crisi di bilancio del 1987/88. L’autonoma capacità impositiva che discende dal principio di corrispondenza determinerà in generale una maggiore disciplina di bilancio. Peraltro, nella misura in cui le parti interessate dovessero avere dubbi quanto al fatto che questa misura sarebbe sufficiente a mettere un freno alle loro decisioni di spesa, si imporrebbe la necessità di trovare un’altra soluzione complessiva.
3. La proposta della Commissione europea di introdurre una formula per la ripartizione dei contributi finanziari basata esclusivamente sul prodotto interno senza l’attribuzione di un autonomo potere impositivo non è compatibile con queste concezioni. La proposta della Commissione costituisce a mio parere una soluzione tecnocratica a breve termine, non una soluzione politica a lungo termine, suscettibile di una legittimazione democratica. Questa impostazione sorprende anche perché la stessa Commissione constata che, a causa della mancanza di autonomia finanziaria, «si verifica una vanificazione della responsabilità democratica perché per il cittadino europeo le imposte destinate al bilancio dell’Unione europea non sono immediatamente riconoscibili come tali».[2]
Anche un ulteriore argomento, secondo il quale la progressività non dovrebbe essere realizzata dal lato delle entrate, ma soltanto dal lato delle spese,[3] non è né solido né convincente. Esso dimentica il fatto che un tentativo di introdurre la progressione nelle spese era già fallito nel caso della Gran Bretagna e aveva dovuto essere sostituito dallo sconto concesso a Fontainebleau; ciò significa che è estremamente difficile attribuire una sufficiente progressività a un numero sufficiente di politiche comunitarie. Gli svantaggi di questo metodo sono apparsi evidenti anche in occasione del Vertice di Berlino, nel quale il pacchetto complessivo degli abbattimenti dei prezzi agricoli proposto dalla Commissione non ha potuto essere varato perché si dovevano garantire ritorni di maggiore entità alla Germania.
E’ infine vergognoso dover constatare che gli Stati membri dell’Unione europea partecipano al finanziamento delle Nazioni Unite nel quadro di un sistema contributivo che già negli anni Ottanta era leggermente progressivo, e comunque proporzionale, allorché il finanziamento dell’ Unione europea era ancora caratterizzato dalla regressività.[4] Se ne deve dedurre che nel quadro delle Nazioni Unite, e quindi a livello mondiale, vi è una solidarietà maggiore, o comunque non minore che nel quadro dell’Unione europea?
Il vantaggio essenziale della soluzione per i contributi finanziari preferita dalla Commissione è che la regressività viene un po’ diminuita. Per contro il principio di corrispondenza e quello dell’equa distribuzione degli oneri finanziari vengono pesantemente violati. Considerata nel suo complesso, la soluzione relativa ai contributi finanziari deve essere considerata, a mio parere, anche alla luce delle numerose dichiarazioni solenni formulate dai diversi Vertici, come un ritorno alla fasi iniziali del processo di integrazione europea.
Dieter Biehl
[1] V. a questo proposito alcuni miei recenti contributi, come per esempio Dieter Biehl, «Zur ökonomischen Theorie des Föderalismus, Grundelemente und ihre Anwendung auf eine EU-Finanzunion», in H.Schneider und W.Wessels (a cura di), Föderale Union - Europas Zukunft?, Monaco 1994, pp. 99-122; Idem, «Wechselspiel zwischen Prozeß und Institutionalisierung im Zuge der europäischen Integration», in Bertram Schefold (a cura di), Wandlungsprozesse in den Wirtschaftssystemen Westeuropas, Marburg, 1995, pp. 109-52; Idem, «Braucht die Europäische Union eine eigene Steuerhoheit? Ein Plädoyer für eine Reform der Finanzverfassung der Gemeinschaft», in W. Gick (a cura di), Die zukünftige Ausgestaltung der Regionalpolitik in der EU, Monaco 1996, pp. 29-54.
[2] Commissione europea, Agenda 2000, Il finanziamento dell’Unione europea. Rapporto della Commissione sul funzionamento delle risorse proprie, Supplemento 2/98 al Bollettino della Commissione europea, Lussemburgo, 1998.
[4] Dieter Biehl, «Finanzausgleich IV: Internationaler Finanzausgleich», in Handwörterbuch der Wirtschaftswissenschaft, Vol. 2°, Stoccarda, 1980, pp. 689-713.