IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXIV, 2022, Numero 2-3, Pagina 116

 

  

 LA TERZA CRISI DEL SECONDO MILLENNIO
PER L’EUROPA:
LA “GUERRA PARALLELA” E
LA SFIDA ESISTENZIALE PER L’ECONOMIA EUROPEA

 

 

 

Premessa.

Non v’è dubbio che i primi vent’anni di questo secondo millennio stiano mettendo a dura prova la tenuta e la sostenibilità quel mondo globalizzato che si era sviluppato a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.

Siamo all’interno del villaggio globale nel quale le crisi finanziarie, economiche e sanitarie di un paese si ripercuotono irreversibilmente e velocemente sugli altri; pertanto, non deve stupire, se in questi anni più recenti si siano andate sviluppando tre gravi crisi che hanno toccato i diversi continenti, e sempre l’Europa.

In primo luogo, la crisi finanziaria, poi economica e sociale, scoppiata nel 2007-8 negli USA e durata in Europa fino al 2014 interessando pesantemente, a rischio default, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.

In secondo luogo, la crisi pandemica da Covid-19, che ha avuto il suo iniziale epicentro a Wuhan e che nel biennio 2020-2021 ben presto si è diffusa drammaticamente in tutto il mondo. Uno shock divenuto ben presto e diffusamente da sanitario a economico (con la paralisi di diverse economie di filiera a causa del lockdown) e sociale (ampie fasce di disoccupazione e nuove povertà).

Infine, la guerra, con il deprecabile tentativo armato del Cremlino di appropriarsi dell’intero territorio ucraino ed arrivare così ai confini dell’Unione europea.
 

Gli anni 2020 - 2021: prima la crisi e poi la ripresa.

La pandemia da Covid-19 ha segnato profondamente il nostro Continente, anzitutto perché la maggior parte delle infezioni si sono registrate in Europa, ma anche perché pesanti sono state le ripercussioni sul piano economico e commerciale per l’allentamento, se non per l’interruzione, a livello internazionale, delle “catene produttive di filiera”. Nel 2020 il PIL dell’area euro faceva registrare un -6,4% e -5,9% nell’UE. Nell’Unione i disoccupati avevano superato i 16 milioni, in prevalenza donne e giovani.

Nello stesso anno, in Italia, il PIL crollava dell’8,9% e il sistema produttivo-occupazionale veniva scosso alle sue basi con il rischio strutturale per il 45% delle imprese e con 800.000 occupati in meno rispetto al periodo pre-Covid.

È stato grazie alla sospensione delle regole del Patto di Stabilità e soprattutto alla solidarietà tra i paesi europei, nonché alle ingenti risorse finanziarie mobilitate da BCE e Commissione europea (Fondo di Garanzia paneuropeo, MES, SURE, Next GenerationEU, …) che anche l’Italia ha potuto far fronte alla crisi sanitaria-economica-sociale ed avviarsi alla ripresa. Una ripresa resiliente a tal punto che, a fine 2021, viene fatto registrare un PIL del +6,3% (il resto dell’Eurozona +5,3%) e l’OCSE indicava l’Italia quale nuova “locomotiva” economica d’Europa. The Economist ebbe ad indicare l’Italia “Paese dell’anno 2021”; un riconoscimento non per i suoi calciatori che hanno vinto il trofeo più importante d’Europa, non per le sue pop star che hanno vinto la gara canora Eurovision, ma perché la sua economia correva più di quelle di Francia e Germania. A capo del Governo c’era Mario Draghi.
  

2022: scoppia il terzo shock. 

Dopo il 24 febbraio 2022 inizia una crisi in Europa che, da circa 80 anni a questa parte, non ha precedenti; una crisi “umanitaria, securitaria, energetica, economica” proprio nel cuore del Continente. Parallelamente al conflitto armato russo-ucraino, quanto era stato preannunciato dal premier Draghi (“Non siamo in economia di guerra ma bisogna prepararsi”[1]) ben presto è diventato una cruda realtà.

Alla guerra combattuta sul campo si è affiancata una “guerra parallela”. Da un lato, la “deterrenza economica” per iniziativa dei paesi, tra cui quelli UE, che hanno imposto sanzioni finanziarie, economiche e individuali alla Russia, come reazione all’aggressione di un paese sovrano e democratico e con l’obiettivo di indebolirne il potenziale bellico e di fermare così la guerra. Dall’altro lato, la “resistenza economica” dei paesi UE a fronte delle privazioni energetiche — non solo — imposte come ritorsione dal Cremlino.

Molto significative le parole della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen: “Il presidente russo Vladimir Putin ha mobilitato le sue forze armate per cancellare l’Ucraina dalla carta geografica. Noi abbiamo mobilitato il nostro potere economico unico per difendere l’Ucraina. È anche un nuovo capitolo nella storia dell’Unione: un nuovo modo di usare la potenza economica per contrastare quella militare e per difendere i nostri valori europei più cari.”[2]

C’è da tener presente che la guerra manu militari, non è stata la sola causa originante della crisi in corso; piuttosto si è rivelata — con le sue conseguenze — un potente acceleratore di una situazione economica mondiale già in fieri ancor prima dello shock, come notato da alcuni commentatori già dal 2017.[3]

L’accelerazione della crisi è dovuta alla guerra energetica, messa in atto dal Cremlino come ritorsione contro l’Occidente europeo, ben consapevole della sua dipendeva dal petrolio (per il 27%) e soprattutto dal gas (per circa il 40%); una dipendenza accentuata per Italia e Germania, che si rifornivano da Gazprom per quasi la metà del gas utilizzato, e addirittura totale per Slovacchia, Lettonia e Repubblica Ceca. Nei primi nove mesi del 2022 il deficit nel commercio di energia dell’UE con la Russia ammontava a 491,4 miliardi mentre nello stesso periodo dell’anno precedente era stato di 179,6 mld.

Un riferimento eclatante della gravità della crisi, in cui si sono venuti a trovare i Paesi UE, è rappresentato dalla Germania, la prima economia in Europa, che essendosi vincolata alla Russia per le forniture energetiche, si è venuta a trovare in una situazione di grande fragilità e di “ricattabilità”. Il Cancelliere Olaf Scholz lo aveva ammesso: “l’embargo del gas avrebbe gravose conseguenze economiche per il nostro paese, con la perdita di milioni di posti di lavoro e di fabbriche che non riaprirebbero mai più. Non ce lo possiamo permettere”.[4] Gli facevano eco gli industriali e i sindacati tedeschi: con l’embargo su petrolio e gas, l’inflazione rischia di arrivare alla doppia cifra. Un vero e proprio incubo per i tedeschi: sarebbe la prima volta dalla Seconda guerra mondiale.

L’Europa, molto più degli altri Paesi partecipanti alla “deterrenza economica”, si trova nel mezzo della sua terza crisi di questo nuovo millennio, uno shock completamente diverso dai due precedenti perché costituisce uno storico spartiacque, con implicazioni politiche, economiche e strategiche, tali da richiedere un cambio di prospettiva per il futuro stesso dell’Europa.

È del tutto evidente che la ritorsione russa — i tagli progressivi delle forniture di petrolio e gas, fino a minacciarne il blocco alla vigilia dell’inverno, l’innalzamento esponenziale dei prezzi delle forniture energetiche — ha quali conseguenze per i paesi UE l’incremento dei costi di produzione per le imprese, l’ulteriore rallentamento delle filiere produttive, l’impennata dell’inflazione e la contrazione dei consumi, un più diffuso disagio sociale e un maggiore ricorso alla spesa pubblica. Il che, in una prospettiva di accelerazione, potrebbe mettere a rischio la tenuta dell’economia e la sostenibilità sociale dei paesi europei.

Ne sono un esempio i dati congiunturali dell’Italia: l’inflazione del mese di ottobre 2022 segna un +11,8% (record dal 1984; nel 2019 era 0,6% e si parlava di “deflazione” con calo dei prezzi), nel settore alimentare (il c.d. “carrello della spesa”) raggiunge quota +13,1%. In Italia, le risorse complessivamente stanziate nel 2022 per far fronte ai rincari energetici sono sommate a circa 60 miliardi, quasi il doppio di quanto stanziato dalla Spagna.

E se di parziale conforto è il dato del terzo trimestre 2022 (l’economia italiana fa registrare una crescita dello 0,5%, protraendo la fase espansiva del PIL per il settimo trimestre consecutivo (grazie al rimbalzo del turismo: +75%), “osservati speciali” sono l’industria e l’agricoltura che sono in decelerazione rispetto al secondo trimestre dell’anno. I timori sono rivolti soprattutto al nuovo anno ed è lo stesso Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a dirlo: “Grande incertezza, serve prudenza a motivo del pericolo di un deterioramento delle prospettive economiche che si riveli peggiore del previsto”. Una “incertezza” che trova riscontro nella Congiuntura flash del 6 novembre di Confindustria: “nel 4° trimestre si rischia un calo: gli indicatori qualitativi sono nel complesso negativi; il prezzo del gas resta alto, da troppi mesi; l’inflazione che ne deriva (+11,8% annuo) erode reddito e risparmio delle famiglie e avrà un impatto negativo sui consumi; il rialzo dei tassi si sta accentuando, un’altra zavorra sui costi delle imprese”.[5]
 

Guerra energetica: una minaccia esistenziale per l’industria europea. 

Nella Tavola rotonda europea degli industriali (ERT) del 23 ottobre è emersa in modo evidente la grande preoccupazione per i prezzi elevati dell’energia e per l’allentamento, se non la riduzione, delle catene di approvvigionamento delle materie prime, fattori che stanno rimuovendo le basi per la competitività globale dell’industria europea e la sua capacità di raggiungere audaci obiettivi di decarbonizzazione.

Le industrie europee sono colpite dall’impennata dei costi energetici così tanto da ridurre o chiudere la produzione, perdendo quote di mercato globale e rischiando un danno permanente alla competitività dell’Europa. Poiché i produttori stanno riducendo, chiudendo o trasferendo la produzione, rischiano di non riaprire mai più in Europa, anche nei settori cruciali per la transizione energetica come il settore dei metalli, erodendo la competitività dell’UE.

Secondo una recente analisi dell’Economist Intelligence Unit, “la riduzione della domanda sta costringendo l’industria in tutta Europa a rimanere inattiva, e aumenterà i costi di input a livelli che renderanno l’industria europea non competitiva. Ciò potrebbe durare per diversi anni, causando l’allontanamento delle catene di approvvigionamento globali dall’Europa”.[6]

Particolarmente indicativa, a tale riguardo, è la nota congiunta di Confindustria e della francese Medef: “Tra agosto 2021 e agosto 2022 i costi di produzione nell’industria sono aumentati del 28% in Francia, del 40% in Italia e del 33% nell’UE. In particolare, i produttori europei di fertilizzanti e alluminio hanno ridotto la loro produzione rispettivamente del 70% e del 50%. Un segnale che testimonia come nel prossimo inverno sia molto alto il rischio di perdere capacità produttiva con la chiusura di migliaia di aziende, competitività e posti di lavoro, oltre a quello di delocalizzazioni da parte di realtà industriali ad alta intensità energetica”.[7]

Molto esplicite le parole del Primo Ministro del Belgio, Alexander De Croo: “C’è un rischio di una ‘deindustrializzazione’ del Vecchio Continente. La crisi dell’energia rappresenta la più grande minaccia che incombe sull’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Lo è sul piano, anzitutto, economico, ma anche politico e sociale” (10 ottobre 2022).
 

Focus sulle imprese industriali: è a rischio l’industria italiana? 

Come precedentemente notato, il sistema produttivo italiano è stato particolarmente reattivo e dinamico nel corso del 2021 e di gran parte del 2022, eppure in corso d’anno si sono elevate voci fortemente preoccupate per le conseguenze della “guerra energetica” soprattutto ad iniziare dai primi mesi del prossimo anno.

Secondo la fonte Cerved - Camere di Commercio del 27 aprile scorso, la destabilizzazione del quadro internazionale insieme ai consistenti rincari dei prezzi delle materie prime, nonché l’incontrollato aumento dei costi energetici e l’indisponibilità dei materiali, con conseguente aumento dei prezzi d’acquisto, sono fattori che rischiano di bloccare nel prossimo anno la produzione di molti settori. Sono messi a rischio ben 218 miliardi di euro di ricavi per il sistema produttivo dell’industria italiana. Ne era consapevole il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in audizione alle Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato sulla legge di Bilancio, quando ha detto: “La nostra economia è in fase di rallentamento e assistiamo ad un forte rialzo dell’inflazione. L’impennata del costo dell’energia mette a rischio di sopravvivenza le nostre imprese, non solo quelle energetiche”.[8]
  

Le imprese si appellano all’Unione europea. 

Diciamo subito che, se apprezzabile è stata la reazione di “desistenza economica” portata avanti dall’Unione avverso la Russia per indebolirne la macchina bellica e creare le condizioni per delegittimare l’autarca Putin, non altrettanto soddisfacente è stata — fino ad ora — la reazione a supporto della “resistenza economica”.

L’aspetto positivo, se vogliamo, è riconducibile agli aiuti finanziari messi in campo dalla Commissione nel contesto delle proprie competenze:

— il piano RepowerEu (risparmio energetico, massima accelerazione sulle rinnovabili, diversificazione delle fonti energetiche) per sostenere i 27 Paesi membri nel processo di affrancamento dalla dipendenza energetica da Mosca nel più breve tempo possibile: 300 miliardi di euro, tra cui, 225 mld dai prestiti Pnrr ancora sul tavolo; il restante: nuove sovvenzioni, risorse dei fondi di coesione (26,9 miliardi) e della Pac (7,5 miliardi);[9]

— la possibilità per i governi di impiegare i fondi di coesione ancora non utilizzati (40 miliardi) della programmazione 2014-2020 e riprogrammarli per sostenere le aziende e le famiglie vulnerabili nel pagare le bollette energetiche.

Una certa delusione, invece, deriva dalla mancanza di una pronta volontà politica comune e di una strategia unitaria tra paesi membri. Tutto permane complicato e a rilento, mortificato dal protrarsi di mediazioni condizionate da interessi nazionali divergenti.

Per essere assertivi non è necessario ripercorrere singole circostanze e fatti; sono sufficienti ed oltremodo significative le parole di Mario Draghi: “Stiamo discutendo di gas da sette mesi. Abbiamo speso decine di miliardi dei contribuenti europei, serviti a foraggiare la guerra di Mosca e non abbiamo ancora risolto nulla. Se non avessimo perso così tanto tempo ora non ci troveremmo sull’orlo della recessione”.[10]

La reazione comune, la solidarietà poi concretamente manifestata tra Paesi europei, il ruolo proattivo svolto da BCE e Commissione Ue nell’annus horibilis della pandemia, potevano far pensare che finalmente la “lezione” fosse stata capita e assimilata come patrimonio comune. Invece no.

Con difficoltà e una certa fatica, il premier italiano Draghi, grazie alla sua autorevolezza, era riuscito a far convergere alcuni paesi europei, tra cui Francia, Spagna e Polonia, sulla necessità di adottare un pacchetto di misure, in primis un prezzo massimo (al ribasso) del gas, a sostegno delle imprese e dell’economia.

Lo chiedevano a gran voce Confindustria e Medef, con un appello congiunto al Consiglio europeo: “Le imprese italiane e francesi lanciano l’allarme sull’escalation della crisi energetica e sottolineano l’urgenza di intervenire a livello europeo con effetto immediato per frenare i prezzi e per evitare ulteriori danni all'economia (…), ritengono urgente un rapido e deciso intervento europeo attraverso misure di carattere temporaneo che stabiliscano un tetto al prezzo del gas” — e con l’avvertimento: “non c’è tempo da perdere, in gioco c’è la sopravvivenza dell’industria europea”.[11]

Così anche l’Associazione degli industriali europei Business Europe: “le aziende di tutte le dimensioni in tutto il continente hanno già ridotto la loro produzione o addirittura interrotto completamente la loro produzione. Esiste il pericolo reale che le imprese ad alta intensità energetica si trasferiscano al di fuori dell’Europa, dove i prezzi dell’energia sono molto più bassi, il che avrebbe conseguenze drammatiche sulla nostra competitività e sui nostri posti di lavoro”.[12]

Se ne rendeva interprete la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, intervenendo alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo: “I prezzi elevati del gas fanno lievitare i prezzi dell’elettricità. Dobbiamo limitare questo impatto inflazionistico del gas sull’elettricità ovunque in Europa. Siamo quindi pronti a discutere il tetto sul prezzo del gas, che deve essere studiato in modo appropriato e deve essere una soluzione temporanea”.[13] Nell’occasione, von der Leyen informava che La Commissione stava lavorando anche per ottenere il mandato a definire un processo, in caso di emergenza, in grado di condurre alla definizione della quota di gas spettante a ciascun Stato membro secondo una precisa chiave di allocazione e a un prezzo calmierato per evitare offerte al rialzo tra i paesi UE. Uno strumento simile a quello usato per i vaccini.

Alla vigilia del Consiglio europeo di ottobre, la Commissione ha messo a punto un pacchetto di misure per contrastare la crisi energetica.

In primo luogo, l’obbligo di acquisti congiunti di gas per almeno il 15% del volume degli stoccaggi e soglie più alte per gli aiuti di Stato. In secondo luogo la possibilità di utilizzare per l’emergenza energetica fino al 10% dei fondi di coesione del bilancio. Infine, un parametro di riferimento alternativo per il gas naturale liquefatto. Il nuovo indice, però, sarà pronto solo all’inizio del 2023: per questo, nel frattempo, ci sarà “un meccanismo per limitare i prezzi tramite il Ttf”, da attivare in caso di necessità.

Il Consiglio europeo, riunitosi il 20-21 ottobre 2022, ha dato il via libera all’accordo sul “pacchetto”, dando poi mandato ai ministri dell'Energia di elaborare i dettagli tecnici di una road map per la sua applicazione.

Sul “price cap”, c’era stata un’intesa politica di massima in attesa di una proposta tecnica più puntuale da parte della Commissione da sottoporre alla condivisione del Consiglio dei ministri energetici. La proposta, annunciata il 22 novembre 2022, dalla Commissaria all’Energia, Kadri Simson, indicava in 275 euro al megawattora, al Ttf di Amesterdam, il prezzo massimo del gas. Una proposta modellata sulla forzatura di Germania e di altri Paesi più preoccupati di mantenere il flusso delle forniture dalla Russia che del prezzo. Da considerare che mai, anche nei momenti di maggior picco, il gas aveva toccato quota 275 e che nel momento in cui il prezzo è stato formulato, i future sul mese di dicembre si muovono sotto i 120 euro.

I ministri dell’Energia dell’UE, riunitisi giovedì 24 novembre, hanno raggiunto un accordo sulla sostanza delle nuove misure sugli acquisti in comune di gas (con esclusione di quello russo) e su un meccanismo di solidarietà. Ma non sulla quota 275 euro del “price cap”, in quanto i ministri dell’Energia di quindici Paesi — tra cui Italia, Spagna e Francia — hanno deciso di non aderire alla proposta della Commissione europea. Nel frattempo sono arrivati nuovi avvertimenti da parte della Russia, che ha minacciato il taglio delle forniture di gas e petrolio a chi imporrà un tetto alle due materie prime. E il prezzo del gas subiva forti oscillazioni per via dell’incertezza intorno al “price cap”.

E mentre i paesi dell’Unione europea faticano a definire una linea condivisa sul tetto al prezzo del gas pagato alla Russia e su una politica comune di gestione della crisi energetica, Francia e Germania il 25 novembre, a Berlino, hanno firmato un accordo di “sostegno reciproco” nel campo dell’energia. Una “mossa” che rischia di rinfocolare polemiche sul rischio di divisioni all’interno dell’Europa con ricadute in termini di vantaggi o svantaggi competitivi. La prima ministra francese Elisabeth Borne, in un tweet a margine dell’intesa, ha scritto: “La Francia e la Germania hanno reciprocamente bisogno una dell’altra per superare le tensioni energetiche. È il senso dell’accordo di solidarietà che abbiamo appena concluso per attuare scambi di gas ed elettricità tra i nostri due Paesi ed agire insieme nel quadro dell’Unione europea”.Si apre, a questo punto, l’interrogativo sul destino degli altri 25 paesi dell’UE.

Le difficoltà nel trovare un accordo tra i paesi membri e le “fughe” in avanti ristrette tra pochi partner preoccupano profondamente.

Il 2 dicembre, sulla base della precedente decisione del G7, la Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione ha annunciato l’accordo sul tetto al prezzo del petrolio russo, fissato a 60 dollari al barile a decorrere dal 5 dicembre 2022, nessun accordo invece sul “price cap” al gas russo. Un gruppo di sette paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, ha proposto di fissarne un tetto al prezzo: 160 euro per megawatt/ora, ben lontano dal tetto di 275 euro proposto dalla Commissione europea e dal compromesso a 264 euro avanzato dalla Presidenza ceca dell’Unione. La svolta avviene in occasione della riunione del Consiglio europeo del 19 dicembre con l’invito al Consiglio dell’Unione di “portare a termine, il 19 dicembre 2022, i lavori sulla proposta di regolamento (…) che promuove la solidarietà mediante un migliore coordinamento degli acquisti di gas, in particolare attraverso la piattaforma dell’UE per l’energia, scambi transfrontalieri di gas e parametri di riferimento affidabili per i prezzi”.[14] E puntualmente, il lunedì seguente, i ministri europei dell’Energia a maggioranza qualificata, contraria l’Ungheria e astenuti Austria e Paesi Bassi, hanno trovato una mediazione e un accordo sul “price cap” del gas a 180 euro a megawatt/ora che scatterà dal prossimo 15 febbraio.

Una intesa salutata con cauta soddisfazione dal Presidente di Assolombarda, Alessandro Spada: “È un risultato positivo che ci sia stato un accordo UE sul tetto del prezzo del gas, ma il prezzo rimane molto alto per le imprese. La notizia positiva è che in Europa sono stati in grado di raggiungere una mediazione, ed era una mediazione più bassa rispetto a quello che prevedeva la Commissione”.
  

L’industria europea verso gli USA?

A tutto quanto sopra, si aggiunge quella che il Commissario europeo per il Mercato Interno, Thierry Breton, ha definito come “una sfida esistenziale all’economia europea”, vale a dire, l’Inflation Reduction Act (IRA), la legge approvata ad agosto dall’amministrazione Biden per accelerare la transizione verde dell’industria statunitense.

Sul piatto sono stati messi 369 miliardi di dollari tra sussidi e agevolazioni fiscali. Una misura che entrerà in vigore nel 2023, ma che sta già portando più di una azienda europea a spostare i propri investimenti dal Vecchio Continente agli USA. Grazie all’IRA, ad esempio, la costruzione di una nuova fabbrica di batterie elettriche negli States viene sussidiata con fino a 800 milioni di dollari. La stessa fabbrica in Europa riceverebbe “solo” 155 milioni di euro. Anche nel settore dell’idrogeno le sovvenzioni americane sono ora cinque volte quelle europee. Uno spread che si aggiunge a quello dei costi dell’energia. Attualmente, il gas naturale costa sei volte di più in Europa che negli USA. A causa di questa asimmetria, l’aumento annuo dei prezzi alla produzione è molto più marcato per le aziende europee rispetto a quelle statunitensi: +42% vs +8,5%. Di conseguenza, nei primi dieci mesi dell’anno l’industria dell’UE è stata costretta a razionare l’utilizzo di gas (-13% rispetto alla media dei tre anni precedenti) e quindi la produzione. Viceversa, l’industria americana ha persino aumentato i suoi consumi di gas (+5%).

Proprio a causa degli alti prezzi dell’energia in Europa, secondo un sondaggio della Camera di Commercio tedesca, l’8% delle imprese nazionali intervistate starebbe valutando di spostare parte della produzione fuori dai confini europei.

Un’emorragia industriale che l’Europa non può permettersi.
  

Reazioni e contrasti tra Stati Ue all’Inflation Reduction Act.

Parigi e Berlino aumentano il pressing sulla Commissione per una risposta dello stesso tono al piano di sussidi Usa.

Secondo l’Agenzia Bloomberg, che cita fonti vicine alla Cancelleria tedesca, Olaf Scholz, sostenendo le richieste provenienti dai socialdemocratici tedeschi (Spd), sarebbe propenso a proporre all’Unione Europea di replicare al piano di sussidi USA con nuovi strumenti finanziari comuni.[15]

Parigi ha fatto circolare un documento articolato per adottare una strategia ribattezzata “Made in Europe” e, tra i quattro pilastri, il più significativo riguarda l'esigenza di “rispondere alla necessità di sostenere e finanziare urgentemente” i settori “suscettibili alla delocalizzazione” per difendere “la solidità dell’economia europea, la sua sovranità e la transizione ecologica”. La Francia chiede all’UE di presentare “a brevissimo termine” uno “strumento di finanziamento credibile e ambizioso” da costruire in due tempi. Prima “un fondo d’urgenza” creato riorientando finanziamenti già esistenti. Poi, entro la fine del 2023, utilizzando uno strumento simile a “Sure”, vale a dire finanziato attraverso debito comune. La crisi dell’industria romperebbe così un altro tabù.

La danese Margrethe Vestager, vice-presidente esecutiva della Commissione UE, nella lettera “urgente” inviata il 13 gennaio 2023 a tutti i governi, prende consapevolezza che “gli elevati prezzi dell'energia”, “la necessità di dare un’adeguata formazione professionale ai lavoratori” e soprattutto il piano USA anti-inflazione “che rischia di attirare gli investimenti delle imprese UE negli Stati Uniti” richiedono “una forte risposta europea”[16]. Nella sua lettera Vestager propone l’istituzione di un “Fondo comune europeo” per “sostenere i Paesi in modo equo” e prima ancora un ulteriore allentamento delle regole sugli aiuti di Stato oltre al potenziamento di RePowerEU.

Più prudente al momento appare Ursula von der Leyen che vorrebbe evitare contrapposizioni e privilegiare un “dialogo” con l’amministrazione Biden per evitare uno scontro transatlantico.

E c’è chi, invece, dice di “no”.

La Confederazione delle imprese di Stoccolma, nella sua risposta alla consultazione lanciata dalla Commissione prima di Natale, scrive: “non può ritenersi giustificato apportare ulteriori cambiamenti alle regole sugli aiuti di Stato a causa dell’IRA: gli Stati membri forniscono già somme sostanziose di aiuti di Stato e non è chiaro in che modo l’IRA sarà implementato”.[17]

Anche il Governo spagnolo nel suo parere ha chiesto di non battere la strada di ulteriori aiuti di Stato, che costituirebbero “una minaccia al terreno equo di concorrenza”.

In vista della riunione del Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio, la Commissione Europea ha presentato il 1° febbraio il “Green Deal Industrial Plan”, una serie di proposte ed iniziative a sostegno e protezione dell'industria verde dell’Unione europea. Si tratta, di fatto, di una risposta all’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti e ai programmi multimilionari per la transizione energetica della Cina. Il nuovo piano punta a semplificare le norme sugli aiuti di Stato per l’introduzione di energie rinnovabili e per la decarbonizzazione dei processi industriali. “Sappiamo che nei prossimi anni si deciderà la forma dell'economia, l’economia a emissioni zero, e la sua collocazione. E noi vogliamo essere una parte importante di questa industria di cui abbiamo bisogno a livello globale”, ha detto la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.[18] Ma il piano non ha riscosso il consenso unanime di tutti gli Stati membri e del settore industriale.
  

Considerazioni conclusive.

Dall’esperienza della crisi pandemica e dall’emergenza della crisi in corso, l’Unione europea tarda a tradurre in fatti concludenti i tanti autorevoli appelli per rafforzarsi, per essere più coesa, solidale, pronta ed efficace per assumere un ruolo di potenza.

È pertanto condivisibile la considerazione di Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, secondo il quale “Sull’energia serve una Europa che condivida sforzi e misure, esattamente come siamo stati capaci di fare con le sanzioni. Non si può essere uniti sulle sanzioni e sull’energia fare, invece, da soli, la condizione e solidarietà non possono esistere su un tema e non sull’atro”.[19]

Un fatto è certo: questa Unione fatica e tarda ad essere all’altezza delle sfide che l’attendono, ne è riprova questa “guerra di resistenza” in cui le “decisioni” non prese unitariamente o protratte nel tempo o non efficaci rischiano di pregiudicare irrimediabilmente la competitività di filiere e di imprese europee, rendendo attuale il rischio di un impoverimento industriale del Vecchio Continente.

Ugualmente certo è che i governi nazionali non stanno usando la spinta di questa ulteriore emergenza per fare i passi in direzione di una vera unità politica che permetta all’Europa di elevarsi al livello di potenza continentale dotandosi della capacità, dell’autorevolezza e della forza necessarie per agire al proprio interno e nel mondo. Dovrebbe essere chiaro che l’Europa, per sopravvivere come Unione, non ha alternative al compiere quei passaggi politico-istituzionali che sono essenziali (e che sono emersi nella Conferenza sul futuro dell’Europa) per dare competenze, risorse e poteri effettivi alle istituzioni europee per agire nei campi cruciali che solo a livello europeo trovano l’adeguata dimensione di governo. E allora, traendo motivazione dalle stimolanti e passionali parole di David Sassoli all’apertura della Conferenza sul futuro dell’Europa lo scorso 9 maggio, come militanti federalisti con grande impegno “dobbiamo lavorare (…) perché sul funzionamento [l’Europa] sia più coerente, affinché l’Europa abbia competenze chiare in tante materie, in cui i nostri paesi da soli sarebbero emarginati e si troverebbero solo in grande difficoltà. Vediamo che nel mondo vi sono attori geopolitici che ci attaccano e che approfittano delle nostre divisioni per indebolire la nostra forza, che è grande ed è sostenuta dal diritto, dalla democrazia e dai nostri valori. Facciamo un’Europa più forte, più resistente, più democratica e più unita”.

Con altre parole a noi più familiari: facciamo un’Europa federale! 

Piero Lazzari


[1] S. Mattera, Un miliardo alle imprese contro il caro-energia. Draghi: “Prepariamoci all’economia di guerra”, la Repubblica, 12 marzo 2022, https://www.repubblica.it/politica/2022/03/11/news/draghi_un_miliardo_alle_imprese_contro_il_caro_energia-341070617/.

[2] Speech by President von der Leyen on the occasion of the II Cercle d’Economia Award for the European Construction, Barcellona, 6 maggio 2022, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/SPEECH_22_2878.

[3] F. Martìn, Perché la crescita continua a rallentare? Il Sole 24 ore - Econopoly ,15 febbraio 2017, https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/02/15/perche-la-crescita-continua-a-rallentare/?refresh_ce=1; F. Daveri, Economia mondiale: torna lo spettro della crisi? ISPI, 27 dicembre 2018: “Per il 2019 il Fondo Monetario si attende un rallentamento: Ma la domanda che si pongono tutti gli osservatori è se il ‘rallentamento’ assumerà lo sgradevole aspetto di una crisi mondiale”, ISPI, 27 novembre 2018, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/economia-mondiale-torna-lo-spettro-della-crisi-21869; C. Natoli, Outlook OCSE: economia mondiale in rallentamento anche nel 2020 – I rischi per Germania e Italia, https://www.pricepedia.it/it/magazine/article/2019/11/25/outlook-ocse-economia-mondiale-in-rallentamento-anche-nel-2020-i-rischi-per-germania-e-italia/, 25 novembre 2019); G. Santevecchi, Pil Cina, così Xi Jinping ha fatto rallentare l’economia - E’ un rallentamento annunciato, ma ancor più pronunciato del previsto, quello dell’economia cinese. Rallentamento delle logistiche, Corriere della sera, 18 ottobre 2021, https://www.corriere.it/economia/finanza/21_ottobre_18/cosi-xi-jinping-ha-fatto-rallentare-l-economia-cinese-26c93746-2fed-11ec-9d51-3a373555935d.shtml.

[4] M. Amman and M. Knobbe, An interview with German Chancellor Olaf Scholz, “There Cannot Be a Nuclear War”, Spiegel International, 22 aprile 2022, https://www.spiegel.de/international/germany/interview-with-german-chancellor-olaf-scholz-there-cannot-be-a-nuclear-war-a-d9705006-23c9-4ecc-9268-ded40edf90f9.

[5] Centro Studi Confindustria, Caro energia persistente, inflazione record e rialzo dei tassi, frenano l’economia a fine 2022, novembre 2022, https://www.confindustriasr.it/comunicazione.asp?id=89&id_news=1478&anno=2022.

[6] Energy crisis will erode Europe’s competitiveness in 2023, 13 ottobre 2022, https://www.eiu.com/n/energy-crisis-will-erode-europe-competitiveness-in-2023/.

[7] Confindustria, Medef e Bdi: subito misure condivise su energia, Energiaoltre, 20 dicembre 2022, https://energiaoltre.it/confindustria-medef-e-bdi-subito-misure-condivise-su-energia/?v=163a1b9b5c5312.

[8] Audizione del ministro Giorgetti sul disegno di legge di bilancio per il triennio 2023-2025 [Commissioni bilancio di Camera e Senato], https://www.mef.gov.it/ufficio-stampa/articoli/2022-Giancarlo_Giorgetti/Audizione-del-ministro-Giorgetti-sul-disegno-di-legge-di-bilancio-per-il-triennio-2023-2025-Commissioni-bilancio-di-Camera-e-Senato/.

[9] European Commission, REPowerEU: A plan to rapidly reduce dependence on Russian fossil fuels and fast forward the green transition, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_22_3131.

[10] L’Ue ferma l’Italia sul gas, Draghi furioso: “Colpa vostra se siamo in recessione” - Business.it.

[11] Confindustria, Medef e Bdi…, op. cit..

[12] BusinessEurope, Energy crisis: European business calls for new EU-wide measures (press release), https://www.businesseurope.eu/publications/energy-crisis-european-business-calls-new-eu-wide-measures.

[13] U. van der Leyen, Speech by President von der Leyen at the European Parliament Plenary on Russia's escalation of its war of aggression against Ukraine, Strasburgo, 5 ottobre 2022, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/SPEECH_22_5964.

[14] General Secretariat of the Council, European Consilium meeting (15 December 2022) – Conclusions, https://www.consilium.europa.eu/media/60872/2022-12-15-euco-conclusions-en.pdf.

[15] MilanoFinanza News 12.1.2023.

[16] https://www.politico.eu/wp-content/uploads/2023/01/16/Letter_EVP_Vestager_to_Ministers__Economic_and_Financial_Affairs_Council__Competitiveness_Council_aressv398731.pdf.

[17] S. Disegni, Francia e Germania vogliono un nuovo piano Ue di aiuti all’industria. Ma nel 2022 l’80% delle risorse è finito proprio a loro, Open, 13 gennaio 2023, https://www.open.online/2023/01/13/ue-francia-germania-nuovo-piano-aiuti-industria/.

[18] European Commission, Statement by President von der Leyen on the Green Deal Industrial Plan, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_23_521.

[19] Caro energia, Bonomi: “Da soli non ce la possiamo fare, serve l'Ue”, Adnkronos.com, 5 ottobre 2022.

 

 

 

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