Anno LXIII, 2021, Numero 2-3, Pagina 111
L’EUROPA E L’AFRICA DI FRONTE AL CAMBIAMENTO
La struttura profonda del mondo, relativa alla distribuzione del potere politico e agli equilibri internazionali, si sta trasformando repentinamente. Essa è intaccata da un radicale processo di mutamento e ridefinizione.
In particolare, possiamo riconoscere tre grandi classi di fenomeni che innescano il mutamento, o che lo caratterizzano: fatti sociali e demografici; fatti economici; fatti politici e istituzionali. Beninteso, la suddivisione dei processi di cambiamento in queste tre classi ha valenza puramente analitica, serve ai fini della comprensione di ciò che analizziamo. Nella realtà queste classi di fatti non solo sono strettamente interdipendenti, ma sono embricate l’una nell’altra.
Il World Population Prospects del 2019, una ricerca condotta dalla Divisione per la Popolazione del Dipartimento degli Affari Economici e Sociali del Segretariato delle Nazioni Unite, contiene stime e proiezioni utili per riflettere sulle tendenze che caratterizzeranno l’evoluzione del mondo in termini sociali e demografici nei prossimi decenni. Il prospetto rileva alcune dinamiche precipue di cui è necessario tenere conto per contestualizzare responsabilmente la progettualità politica in un quadro ampio e comprensivo.[1]
Nel report si asserisce che alcune tendenze generali caratterizzano l’andamento della popolazione globale. In primo luogo, essa continua a crescere, sebbene a un ritmo più lento; in secondo luogo, si assiste al suo progressivo invecchiamento, dovuto anche all’aumento della longevità. Queste tendenze generali producono esiti e sfide cruciali che differiscono in base al contesto considerato. In alcuni paesi, la dimensione della popolazione sta diminuendo a causa della bassa fertilità o dell’emigrazione sostenuta. In altri contesti, invece, il calo della fertilità sta creando condizioni demografiche favorevoli per una crescita economica accelerata. Infine, il divario tra paesi ricchi e poveri è confermato assieme alle disparità significative nella sopravvivenza che persistono tra paesi e regioni.
Intendo riflettere su alcuni dei dati contenuti nel report, considerando tre indici significativi, due termini temporali (il 2020 e il 2050) e due macroregioni il cui destino è connotato da un rapporto di stretta interdipendenza: l’Europa e l’Africa. Cosa cambierà nei prossimi trent’anni? Quali processi è necessario identificare, comprendere e quindi governare?
Il primo indice da valutare è quello del tasso di fecondità totale, ovvero il numero medio di nascite per donna.
Nell’arco temporale compreso tra il 2020 e il 2025, il numero medio di nascite per donna in Europa è pari a 1.62. In Africa, invece, si ha la media di 4.16 nascite per donna. Tra il 2045 e il 2050 la situazione europea rimane sostanzialmente invariata (1.72), mentre nell’area africana si assiste a una notevole riduzione (3.07).
Il secondo indice da prendere in considerazione è il potenziale rapporto di sostegno; esso riguarda la proporzione che intercorre tra il numero di persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni per ogni persona di età pari o superiore a 65 anni; ovvero, il numero di persone in età lavorativa a sostegno di ogni persona in età non più produttiva e dipendente. In Europa, nel 2020 si osserva un rapporto di 2,9 a 1, mentre in Africa un rapporto di 10,5 persone in età lavorativa per ogni persona over 65. Spostandosi nella prospettiva temporale del 2050, il dato europeo è in calo (1,7 a 1); quello africano è in calo ma rimane comunque notevole: si parla di una media di 7,6 persone in età lavorativa per ogni persona di età pari o superiore a 65 anni. L’ultimo indice significativo che concorre a dare un’idea delle prospettive di cambiamento sociale e demografico dei due continenti riguarda la percentuale di popolazione di età pari a o superiore a 65 anni. In Europa, nel 2020, questa fascia di popolazione corrisponde al 19.1% del totale, mentre nel 2050 il prospetto indica una percentuale media del 28.1%. In Africa subsahariana, nel 2020 la percentuale media è del 3.5%, mentre si prevede un aumento al 5.7% nel 2050.
Quale prospettiva emerge dalla considerazione dei dati offerti da questi indici e dalla comparazione delle due regioni secondo una prospettiva diacronica?
Per quanto riguarda l’Europa: nei prossimi trent’anni, stando ai dati, aumenterà la popolazione anziana, non produttiva e dipendente dal punto di vista economico. Diminuirà il potenziale rapporto di sostegno, quindi la proporzione tra la fascia di popolazione in età lavorativa e la popolazione in età pensionabile; invece, rimarranno stabili i tassi di nascita. In sintesi: la popolazione dipendente è in aumento, mentre la popolazione produttiva in decrescita.
In Africa si assiste ad una situazione radicalmente diversa: in particolare rispetto ai tassi di fecondità, oggi molto alti, destinati però a decrescere. Questo prospetto implica una situazione per la quale la società africana, in particolare la componente dell’area subsahariana, sarà connotata da un’ampia fascia di popolazione in età produttiva e una fascia di popolazione in età infantile ristretta. Per citare il documento: “nella maggior parte dell’Africa subsahariana, le recenti riduzioni della fertilità significano che la popolazione in età lavorativa (da 25 a 64 anni) sta crescendo più rapidamente che in altre fasce di età. Queste condizioni possono offrire un’opportunità per una crescita economica accelerata, nota come ʻdividendo demograficoʼ.” Questa espressione fa riferimento alla crescita economica potenziale che può derivare dai cambiamenti nella struttura della popolazione di un paese: quando i tassi di fertilità diminuiscono, la popolazione in età lavorativa di un paese aumenta rispetto alla popolazione giovane e ancora dipendente. Con più persone nella forza lavoro e meno individui in età infantile dipendenti, una comunità politica ha una finestra di opportunità per stimolare e, eventualmente, realizzare una rapida crescita economica.[2]
La prima considerazione che ricaviamo è che a fronte di alcune tendenze generali (invecchiamento globale, rallentamento della crescita della popolazione mondiale, diminuzione dei tassi di fertilità) si verificano risultati regionali diversi.
Una seconda considerazione riguarda l’interdipendenza tra i processi di cambiamento che abbiamo postulato nell’introduzione di questo testo. Nel caso del contesto africano, più precisamente dell’area subsahariana, il dividendo demografico contiene in sé le possibilità dello sviluppo economico. Ciò dimostra come processi di cambiamento sociale e demografico possano stimolare processi di mutamento economico. Tuttavia, il legame tra questi processi non è certo, né definitivo. Il rapporto di consequenzialità regge se e solo se le tendenze di cambiamento sociale sono governate, ovvero se vengono effettuati i giusti investimenti e implementate politiche sociali ed economiche strategiche. Qui giungiamo ai fatti e ai processi di cambiamento della terza classe, ovvero i fatti istituzionali e politici.
Considerando questa potenzialità sociale ed economica, infatti, dobbiamo tenere a mente un aspetto politico: gli Stati africani sono spesso strutture fragili, regimi a bassa capacità di governo, talvolta affiancati da strutture di potere non istituzionali, rilevanti in termini economici, sociali e organizzativi. Esiste un problema nel rapporto tra la società africana e lo Stato, che necessita passaggi senza i quali risulterà complicato, se non impossibile, investire sulle potenzialità economiche e produttive del continente.
Questa è una precondizione per risolvere un problema di second’ordine: il continente africano è un continente frammentato. Al momento, la convergenza politica degli Stati in termini di sviluppo sociale ed economico è molto limitata, e la stessa struttura dei diversi regimi politici appare spesso diversificata. Come può un continente frammentato politicamente e fragile in termini di strutture statali governare e esprimere positivamente le potenzialità di sviluppo contenute nel dividendo demografico?
Queste considerazioni generali vogliono suggerire un’idea: Per gestire le potenzialità del continente sono necessari due salti politici: un salto di qualità della struttura degli Stati e, successivamente, un salto politico sovranazionale. Difatti, la scarsa interdipendenza dei paesi africani lascia spazio all’ingerenza di paesi terzi, che sfruttano le divergenze del continente a proprio vantaggio.
Credo che siano chiare le ragioni per le quali si debba ritenere che il destino dell’Europa e il destino dell’Africa siano destini intrecciati: da un lato, l’Europa è un continente stabile in termini politici e auspicabilmente sempre più integrato, ma vecchio in termini demografici e privo di potenziale economico interno inespresso. Dall’altro, l’Africa è un continente giovane, con un grande potenziale economico inespresso; tuttavia, è privo di una struttura politica forte e di un tessuto sociale omogeneo e resistente.
In questo senso, ritengo che il destino dell’Africa e il destino dell’Europa, considerata la complementarità dei loro punti di forza e delle loro fragilità, nonché la prossimità geografica, si intreccino di fronte a tre sfide. Una sfida sociale, che oggi, innanzitutto, assume la forma della sfida migratoria. Una sfida economica, che consiste nel saper valorizzare il potenziale economico dell’Africa e supportare il continente nella gestione consapevole delle sue risorse. Infine, una sfida politica: l’Unione africana – organizzazione internazionale che da poco ha ottenuto un importante risultato, ovvero l’adozione dell’AfCFTA, il trattato di libero commercio continentale africano, quindi l’istituzione della più grande area di libero scambio al mondo che coinvolge 54 dei 55 stati africani – è ispirata all’UE; ne segue il cammino e ricalca la sua struttura istituzionale. L’Unione europea è il tentativo più avanzato di un processo profondo di trasformazione della struttura politica del mondo, che risponde all’incapacità della forma statale nazionale di resistere alle sfide dell’interdipendenza globale. È l’espressione massima di un processo di integrazione che si verifica anche altrove: basti pensare alla già citata Unione africana, al Mercosur, all’ASEAN. Verosimilmente, se l’integrazione politica dell’UE fosse dirottata e limitata all’ambito angusto dell’integrazione economica, probabilmente l’Africa seguirebbe la medesima direzione.
La capacità dell’Africa di governare questi processi di cambiamento e di esprimere il proprio potenziale economico e sociale, dunque, passa anche dalla capacità dell’Europa di essere un partner stimolante, che sappia indicare la via per costituire un’unione politica federale. Una via il cui tracciato non può deviare dal nodo cruciale della creazione di una capacità fiscale, ovvero del potere di raccogliere risorse e di spenderle nell’interesse generale della comunità politica. Solo attraverso questo passaggio, infatti, si può costituire un primo embrione di sovranità condivisa a livello europeo, la cui realizzazione renderà necessario un forte controllo democratico esercitato dall’istituzione rappresentativa dei cittadini d’Europa: il Parlamento federale. Per concretizzare questi auspici, l’Unione europea dovrà sforzarsi di superare l’impasse che talvolta sembra costringere i processi di integrazione regionale ad una dimensione puramente economica e mai pienamente politica; un palliativo utile solo finché le interdipendenze tra i cambiamenti sociali, le trasformazioni economiche e i fatti politici producono criticità non più risolvibili.
Andrea Apollonio
[1] Department of Economic and Social Affairs of the United Nations, 2019 Revision of World Population Prospects, https://population.un.org/wpp/.
[2] Per approfondire il tema del “dividendo demografico”, consulta il sito web dell’United Nations Population Fund: UNFPA, Demografic Dividend, https://www.unfpa.org/demographic-dividend.