IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXII, 2020, Numero 1-2, Pagina 41

 

 

COME ENTRARE NELL’ERA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE?

 

 

Oggi, e-mail, GPS, forni a microonde e sviluppo dell’intelligenza artificiale sono considerati strumenti del tutto normali nella vita degli individui e nei processi produttivi, ma non lo erano affatto solo una generazione fa o erano considerati addirittura inimmaginabili o troppo costosi da introdurre nel secolo scorso. Tutto ciò non è avvenuto spontaneamente, ma è stato promosso con interventi e politiche promosse da uno Stato, gli USA, in un contesto di progressiva pacificazione, ma anche di confronto a tutto campo fra USA e URSS: Internet è stato il frutto di ricerche promosse dalla DARPA, l’agenzia di ricerca della difesa statunitense;[1] il GPS è stato introdotto a seguito di ricerche promosse dalla marina statunitense; l’impiego delle microonde per scopi civili è avvenuto a seguito di ricerche promosse dall’esercito USA; lo sviluppo della robotica e dell’automazione è avvenuto grazie alle politiche promosse dal governo federale degli USA.[2] Per Alexander Hamilton l’industrializzazione rappresentava la grande impresa da realizzare da parte del nuovo Stato per costruire un’economia in grado di competere a livello mondiale. Oggi i paesi europei devono far fronte ad una sfida analoga per quanto riguarda la diffusione dei processi di automazione in tutti gli aspetti della vita civile e della produzione. Ma, presi singolarmente, essi non hanno né le risorse né la capacità per farlo. Questo è quanto emerge anche da recenti rapporti che sono stati commissionati dalla Commissione europea e da alcuni governi europei, come quello francese,[3] che nel 2018 aveva commissionato ad un gruppo di studiosi, coordinato da Cédric Villani, il compito di studiare le prospettive e le implicazioni dello sviluppo dell’intelligenza artificiale in Francia e in Europa. Queste prospettive ed implicazioni in realtà erano già state indagate dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso da un gruppo di studiosi cecoslovacchi coordinati da Radovan Richta,[4] a partire da un paese, la Cecoslovacchia, con una popolazione che allora doveva gestire una industrializzazione giunta ormai ad un limite oltre il quale era necessario elaborare nuovi modelli economici e politici per produrre dei miglioramenti qualitativi del tenore di vita di una popolazione che, già allora, aveva una produzione pro-capite preceduta solo dagli USA, ma doveva ancora portare a compimento la bonifica di una regione, la Slovacchia, ancora sottosviluppata economicamente. Ed era imprigionato in un sistema burocratico accentrato dominato dall’URSS che mostrava enormi limiti rispetto alle esigenze della nuova fase della rivoluzione industriale. Per fornire un’idea della dimensione di un programma continentale di promozione dell’automazione nel sistema produttivo e nella società attuali, vale la pena ricordare quanto gli USA hanno messo in campo con la National Robotics Initiative 2.0 a partire dalla prima decade di questo secolo, tenendo conto del fatto che le industrie private USA contribuivano per il 70% delle spese per la ricerca e lo sviluppo e fornivano il 90% dei nuovi brevetti USA. L’impegno del governo federale in questo settore parte dai presupposti che:

  • il laissez faire non basta, in quanto il settore privato non è in generale disposto ad investire nella ricerca di base in quanto generalmente non può trarvi profitti a breve termine;
  • le ricadute economiche delle innovazioni tendono a diffondersi a macchia d’olio senza produrre vantaggi per specifici settori. Basti considerare che oggi l’impiego delle nanotecnologie e dell’automazione tende ad estendersi rapidamente ad intere filiere di produzioni;
  • nessuna singola impresa è disposta a far spontaneamente grandi investimenti se contemporaneamente non lo fanno anche le imprese concorrenti a livello nazionale ed internazionale; per questo è importante il quadro legislativo di riferimento.

Dal punto di vista dell’occupazione tutto ciò ha sempre avuto ed ha delle implicazioni. Basti pensare che anche le più affermate imprese su scala globale tendono oggi a ricorrere a sistemi automatizzati di produzione e a contratti di lavoro appaltati a società esterne.[5]

Già negli anni sessanta del secolo scorso la relazione tra automazione ed occupazione era ben presente nella classe politica più consapevole e nel dibattito in generale. Quando alla fine degli anni cinquanta l’economia entrò in crisi, il Congresso USA approvò un Manpower Development and Training Act a seguito del quale il Presidente Kennedy spiegava che questa legge tendeva a fermare lo spreco di risorse umane in campo lavorativo, conseguente al sempre più largo impiego delle macchine. A seguito di questo provvedimento nel 1964 il Presidente Johnson istituiva una commissione sulla tecnologia, l’automazione e il progresso economico per studiare gli effetti dei cambiamenti tecnologici. Tuttavia, a causa dell’aumento dei tassi di occupazione, le preoccupazioni circa gli effetti dell’automazione scemarono, per riaffiorare ancora negli anni ottanta, quando la disoccupazione negli USA raggiunse il dieci per cento della forza lavoro, salvo dimezzarsi dieci anni dopo, e il problema venne nuovamente accantonato. Oggi le aspettative sono che l’automazione, che attualmente copre il 10% di tutte le operazioni produttive, tenderà a svolgere il 25% delle azioni produttive entro il 2025[6] e il tema del rapporto tra automazione ed occupazione sembra tornare d’attualità.

Il fatto è che la progressiva diminuzione del lavoro manuale nella produzione industriale fa sì che il prodotto orario per addetto ormai raddoppi ogni venti anni. In questo lasso di tempo ciò implica che la produzione di beni materiali può mantenersi costante pur dimezzando la forza lavoro impiegata. Certo, il lento aumento della produttività nel settore dei servizi fa sì che l’occupazione tenda ad aumentare in questo settore, ma non in proporzioni tali da compensare la diminuzione in quello industriale.[7]

Questo trend pone all’Europa un serio problema non solo per quanto riguarda la produzione e la regolamentazione nella produzione dei nuovi strumenti messi a disposizione dall’automazione in tutti i campi dell’economia e della produzione, nel consumo e nell’uso di strumenti che impiegano l’intelligenza artificiale, ma anche in relazione al rischio di trovarsi in una situazione di estrema dipendenza da prodotti, standard e tecnologie controllati dalle superpotenze continentali. Un modello di riferimento, come sottolinea il rapporto commissionato dal governo francese, potrebbe essere quello del DARPA creato nel 1958, che era collegato al dipartimento della difesa USA. Tuttavia, sottolineano gli autori del rapporto francese, “chercher à répliquer ce modèle serait un non-sens. De part et d’autre de l’Atlantique, la force de frappe financière, les méthodes, la culture et les mentalités sont différentes. Aussi la réussite de la DARPA tient pour beaucoup à un contexte historique d’intégration très forte du complexe militaro-industriel, dont on ne trouve pas de réel équivalent en France et en Europe”. Sorprendentemente, il rapporto francese non prende però in considerazione il fatto che quando descrive il modello americano fa riferimento ad uno Stato federale di dimensioni continentali e federale mentre la Francia e gli altri paesi europei hanno una dimensione nazionale, e che l’Unione europea è tuttora prigioniera del metodo intergovernativo nella gestione di politiche cruciali in campo fiscale e della politica estera e della difesa! Ma ammette che bisognerebbe creare una ”Agence européenne d’innovation de rupture, permettant de financer des technologies et sciences émergentes, comme l’IA”, nel quadro delle indicazioni fornite dal Presidente Macron nel suo discorso sull’Europa del 26 settembre 2017. Il confronto tra la realtà USA e quella europea è presto fatto. Per dare un ordine di grandezza di quelli che sono i rapporti di forza e di potere e delle risorse in campo, i giganti americani dell’informatica rappresentano un valore di circa 2.200 miliardi di dollari di capitale, contro 1.500 miliardi di capitalizzazione dell’intera borsa francese.

Ecco perché gli investimenti in ricerca ed innovazione in Europa nel campo dell’intelligenza artificiale sono tuttora solo una frazione rispetto a quanto stanno investendo in altre parti del mondo,[8] soprattutto per quanto riguarda quelli nel campo del potenziamento delle strutture educative.[9] Inoltre in Europa si assiste ad un preoccupante ritardo anche sul terreno della definizione delle responsabilità sulle conseguenze di azioni condotte da intelligenze artificiali.[10]

E la necessità di inquadrare istituzionalmente e giuridicamente l’uso degli algoritmi dell’intelligenza artificiale diventa sempre più evidente ed urgente, proprio sulla base delle prime applicazioni per esempio nella selezione di figure professionali o in campo giuridico. Da un lato le industrie europee temono di dover affrontare delle crescenti spese per far fronte ad adeguate regolamentazioni; d’altro lato i consumatori e gli utenti temono che le potenzialità dell’intelligenza artificiale possano essere sfruttate negativamente per promuovere discriminazioni tra sessi e/o etnie o semplicemente per accrescere il potere di controllo diretto sui cittadini da parte dello Stato. Gli algoritmi che stanno alla base del funzionamento dell’intelligenza artificiale possono infatti riflettere la codifica e l’esaltazione di opinioni particolari, pregiudizi e derive psicologiche che potrebbero acuire discriminazioni e/o squilibri. Per questo assume una crescente importanza il sistema giuridico-istituzionale in cui può e deve operare un sistema economico sempre più dipendente da decisioni orientate dall’uso di algoritmi e da procedure sì automatizzate, ma pur sempre riferibili a schemi e modelli formulati da uomini e donne in carne ed ossa. Un problema questo che non può essere affrontato e risolto solo con una procedura giuridica,[11] come alcuni vorrebbero far credere, ma che richiede l’instaurazione di un sistema istituzionale articolato su più livelli di governo. Un sistema tra l’altro più articolato rispetto a quello statunitense, in cui la questione della definizione e dell’uso di algoritmi di ricerca o discriminatori ha sì prodotto degli interventi da parte della Corte suprema, ma senza giungere a conclusioni coordinate, condivise e soddisfacenti.[12]

Il fatto è che mentre la rivoluzione industriale ha potuto nascere e svilupparsi in un quadro nazionale, ed è in quel quadro che per secoli ogni battaglia conservatrice o progressista ha potuto svilupparsi, la rivoluzione scientifica e tecnologica ha sì una dimensione ed un raggio d’azione sovranazionale, ma senza un riferimento di potere adeguato. E laddove il quadro di potere rimane legato alle prerogative nazionali dei sistemi di governo, tendono a prevalere nelle società le spinte e le tentazioni di ricorrere alle ricette del passato e alle chiusure. La Storia ci insegna che i valori e la capacità d’agire si affermano con delle rivoluzioni che sanno tradursi in istituzioni durevoli e adeguate allo stadio raggiunto dal modo di produrre. Questo per gli europei significa fare subito la federazione europea anche per affrontare e governare le conseguenze dell’avvento dell’automazione e delle sue conseguenze.

Franco Spoltore


[1] Defense Advanced Research Projects Agency, https://www.darpa.mil.

[2] La politica USA ha in sostanza continuato a seguire le linee guida tracciate nel 1791 da Alexander Hamilton, allora Segretario al Tesoro, quando presentò al Congresso una relazione sulle manifatture, in cui spiegò: “L’impiego dei macchinari costituisce un elemento di grande importanza nel complesso dell’attività economica nazionale: è una forza artificiale creata in ausilio alla forza naturale dell’uomo; e, a tutti gli effetti del lavoro, costituisce un aumento di braccia, un potenziamento di forze che per di più non è gravato delle spese di mantenimento del lavoratore. Non si può quindi dedurre onestamente che queste occupazioni che offrono più larghe possibilità di impiego di questi mezzi ausiliari, diano un maggior contributo alla massa complessiva dello sforzo lavorativo e di conseguenza al prodotto generale dell’attività produttiva?”, Alexander Hamilton, Relazione sulle manifatture, in Id., Lo Stato federale (a cura di Lucio Levi), Bologna, Il Mulino, 1987 p. 173.

[3] Cédric Villani, Donner un sens à l’intelligence artificielle, mission confiée par le Premier Ministre édouard Philippe, 8 Settembre 2017 – 8 Marzo 2018, Parigi, Conseil national du numérique.

[4] Radovan Richta, Civiltà al bivio, Milano, Franco Angeli, 1972

[5] Robert Kuttner, Why Work is More and More Debased, New York Review of Books, October 23, 2014. Per esempio Apple impiega ufficialmente circa sessantamila dipendenti, ma ha contratti di lavoro gestiti da altre società con circa settecentocinquantamila persone.

[6] Per cogliere l’impatto economico di questo trend possiamo considerare il fatto che un saldatore manovrato da un operaio costa circa 25 dollari l’ora, mentre un robot ne costa 8. Già oggi per esempio un pilota d’aereo opera manualmente per meno di cinque minuti per volo mentre Amazon impiega circa 15.000 robot per gestire e spedire la merce nei/dai magazzini.

[7] L’aumento dei consumi di servizi negli USA, che rappresentano il modello di riferimento del sistema produttivo industriale, ha implicato un aumento delle attività terziarie. Mentre negli anni cinquanta del secolo scorso il consumo di beni materiali delle famiglie americane assorbiva quasi il 70% del reddito familiare, nella prima decade del XXI secolo questa quota era scesa al 42% contro un 58% di spese in servizi come turismo, ristorazione, sanità. Il settore industriale statunitense sostiene ancora circa il 70% delle spese in ricerca e sviluppo ed è all’origine della produzione del 90% dei nuovi brevetti. Per ogni dollaro prodotto in beni industriali, si generano 1,37 dollari in altre attività economiche ed ogni impiego nel settore industriale ne genera tre nel resto dell’economia. Tra la fine degli anni ottanta e la fine della prima decade di questo secolo la produttività è cresciuta del 3,4% nel settore industriale, contro un aumento del 2,2% negli altri settori.

[8] Mentre in Europa si investivano nel 2016 nel campo dell’intelligenza artificiale circa 3.2 miliardi di euro, in Nord America se ne investivano 12.1 miliardi e in Asia 6.5 miliardi, Commissione Europea, White Paper on Artificial Intelligence - A European approach to excellence and trust, 19 febbraio 2020, https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/commission-white-paper-artificial-intelligence-feb2020_en.pdf.

[9] In quest’ultima decade gli USA hanno investito circa 200 miliardi di dollari in borse di studio e in crediti di imposta per le tasse universitarie.

[10] “Come gestire le conseguenze di azioni condotte da autovetture autonome? Se per esempio un autoveicolo intelligente dovesse uccidere qualcuno in un incidente, a chi si rivolgerebbe un’assicurazione per reclamare il danno provocato? Al proprietario del veicolo? Al conducente nel momento dell’incidente? Al produttore dell’autoveicolo? Tutte domande cruciali e per ora senza risposta, mentre molti veicoli autonomi stanno già percorrendo milioni di chilometri sulle strade USA”, Morgane Tual, Enquête au cœur de l’intelligence artificielle, ses promesses et ses périls, Le Monde, 29 marzo 2018, https://www.lemonde.fr/pixels/article/2017/12/30/l-intelligence-artificielle-ses-promesses-et-ses-perils_5236008_4408996.html.

[11] La nécessité d’encadrer juridiquement l’usage des algorithmes de l’IA ne fait pas de doute. Le chantier des mesures de régulation paraît indispensable, Nozha Boujemaa, Comment régler l’intelligence artificielle, Le Monde, 18 marzo 2020.

[12] Matthew Steward, The Most Important Court Decision For Data Science and Machine Learning, Towards Data Science, https://towardsdatascience.com/the-most-important-supreme-court-decision-for-data-science-and-machine-learning-44cfc1c1bcaf. “The Google Book Search algorithm is clearly a discriminative model — it is searching through a database in order to find the correct book. Does this mean that the precedent extends to generative models? It is not entirely clear and was most likely not discussed due to a lack of knowledge about the field by the legal groups in this case. This gets into some particularly complicated and dangerous territory, especially regarding images and songs. If a deep learning algorithm is trained on millions of copyrighted images, would the resulting image be copyrighted? Similarly with songs…”

 

 

 

il federalista logo trasparente

The Federalist / Le Fédéraliste / Il Federalista
Via Villa Glori, 8
I-27100 Pavia