Anno XXVI, 1984, Numero 3, Pagina 206
LA NASCITA DI FEDERAL UNION
Federal Union fu figlia degli anni trenta. Nacque in un mondo così diverso da quello di oggi che – per spiegare come prese forma, conseguì il successo che si sa, per poi morire in quanto organizzazione – bisogna descrivere come appariva quel mondo a quelli di noi che le dettero l’avvio.
Le due superpotenze che dominano il mondo di oggi erano fuori scena. Tutte e due si erano ritirate dopo la Grande Guerra – come la si chiamava allora – entro le loro frontiere. Le nazioni che oggi costituiscono il Terzo mondo erano colonie senza alcuna voce. Quattro nazioni europee avevano effettivamente il potere di mantenere la pace o di scatenare un’altra guerra mondiale. Quelli che erano sopravvissuti a quello squallido e tuttavia eroico massacro o che, come noi, erano cresciuti nel dopoguerra, avevano creduto che doveva veramente essere stata la guerra che avrebbe messo fine a tutte le guerre, e avevano posto la loro fiducia nella Lega delle Nazioni. Noi la vedevamo quasi come un sacro memoriale per i nostri padri, i nostri fratelli, i nostri amici. Già verso la metà degli anni trenta l’avevamo vista deliberatamente sabotare da tutte e quattro le nazioni. Alcuni, come Churchill, vedevano che la guerra era inevitabile. La maggior parte, qualsiasi cosa Hitler potesse dire, trovava impossibile credere o, come avviene oggi con la guerra nucleare, « impensabile » che qualcuno potesse provocare un’altra guerra. Un forte senso di colpa, provocato dal sentimento che il Trattato di Versailles era stato gravemente ingiusto, fece sì che l’occupazione della Renania e dell’Austria fosse scusata. Altri vedevano Hitler e Mussolini come un baluardo contro il comunismo. Eppure, col passare dei mesi e degli anni, si scivolava sempre più velocemente verso la guerra. Nessuno la voleva, eppure sembrava non esservi rimedio. Fu in quest’atmosfera che fu ideata Federai Union.
Derek Rawnsley ed io eravamo stati insieme ad Eton e Oxford, eppure non ci eravamo conosciuti bene. Dopo Oxford, ci trovammo tutti e due a occuparci di relazioni pubbliche per delle compagnie petrolifere – nel mio caso, come preparazione ad una carriera politica. Prendemmo l’abitudine di far colazione insieme più o meno una volta alla settimana, e quando Derek lasciò il suo lavoro per iniziare due imprese per suo conto, cominciò a portare con sé tre o quattro suoi colleghi. Queste colazioni non erano assolutamente formali e non si parlava di politica. Ma avevamo tutti poco più di vent’anni, sentivamo tutti le cose allo stesso modo e inevitabilmente la situazione internazionale si profilava sempre più grave. Perché aveva fallito la Lega delle Nazioni, ci domandavamo? La risposta era troppo facile: perché gli Stati membri l’avevano lasciata cadere – ma non l’avrebbero fatto sempre? Scoprimmo che non avevamo nessuna fiducia, là dove era implicato l’interesse nazionale, in gentlemen’s agreements, trattati, alleanze, solenni dichiarazioni o patti. Ciò di cui vi era bisogno, concludevamo, non era una lega bensì un’assemblea eletta dagli abitanti degli Stati membri, che non solo potesse prendere decisioni per conto di tutti ma avesse anche l’autorità e il potere di renderle effettive. Non ricordo se la parola federazione fu mai pronunciata.
Tale era la posizione che avevamo raggiunto al momento della crisi di Monaco. Un giorno, nel bel mezzo di questa, Derek’ mi telefonò. « Dobbiamo fare qualcosa » mi disse. Se io avessi lasciato il mio lavoro, lui mi avrebbe dato una stanza nei suoi uffici e avremmo potuto dare l’avvio a un’organizzazione. E fu così che mi ritrovai con un tavolo, una sedia, un telefono e tanti fogli di carta bianca in un salotto del 18° secolo, peraltro vuoto, al 44 di Gordon Square.
Il nostro primo compito era di mettere per iscritto ciò che noi realmente proponevamo e di vedere quello che gli altri ne pensavano. È a questo punto che fummo presentati a Patrick Ransome. Aveva poco più di trent’anni; aveva studiato diritto internazionale a Cambridge con il professor Laulerpacht ed era poi andato alla London School of Economics dove aveva studiato con Harold Laski. Purtroppo era gravemente paralizzato sin dalla nascita e aveva sempre vissuto su una sedia a rotelle; possedeva però una bella intelligenza ed era un piacevole parlatore. Aveva la possibilità di concederci il suo tempo e contribuì alla formulazione delle nostre idee attraverso una conoscenza delle istituzioni federali che né io né Derek possedevamo.
Mentre discutevamo tutti e tre dei vari schemi che io avevo preparato, feci delle indagini su tutte le organizzazioni per la pace che potei trovare. Ve ne erano, grosso modo, due di qualche importanza. Una era la League of Nations Union (Unione per la Società delle Nazioni), piena di persone autorevoli e molto bene organizzata, con ramificazioni in tutto il paese, ma ora mi sembrava demoralizzata; l’altra era la Peace Pledge Union (Unione per l’impegno per la pace), i cui membri avevano sottoscritto la promessa di non partecipare mai ad una guerra e si opponevano alla LNU sulla questione delle sanzioni militari, come anche alle nostre proposte se la federazione fosse stata armata. A parte queste due, vi era una moltitudine di piccole organizzazioni che andavano da quelle basate su una ragionevolezza sensata ma comodamente inefficiente, a gruppi di fanatici, ognuna di esse con il suo rimedio unico per tutti i mali del mondo. Il National Peace Council (Consiglio nazionale per la pace), in quanto organizzazione che le comprendeva tutte, cercava di coprirle tutte; poteva però solo produrre risoluzioni e lettere alla stampa, con lunghe liste di firmatari. Ma esse erano redatte con molta prudenza, per nascondere le differenze inconciliabili che esistevano tra la LNU e la PPU, che non aveva nessun peso.
Ci sembrava chiaro che vi era bisogno di una nuova organizzazione. Fu concordata una dichiarazione che conteneva le nostre proposte, e copie di questa furono fatte circolare tra tutti i nostri amici che pensavamo potessero esservi interessati, invitandoli a un dibattito. Colpimmo nel segno e si presentarono in ottanta. Ci diedero il loro appoggio entusiasta per continuare e abbastanza denaro per stampare un opuscolo da far circolare.
Redigemmo poi di nuovo il memorandum dandogli la forma di un opuscolo, cambiammo il nome, che, da Pax Union (Unione per la pace) come era all’origine, divenne FederaI Union (Unione Federale) e lo facemmo stampare. Poi io selezionai da un annuario i nomi di 500 persone importanti, con interessi in affari istituzionali, e scrissi personalmente ad ognuna, accludendo una copia dell’opuscolo, e invitando quelli che erano interessati a scriverci a Gordon Square. La reazione fu estremamente incoraggiante e nel marzo del 1939 si riunì un piccolo gruppo per decidere come procedere. Esso era composto da Barbara Wootton, allora professore di Studi sociali all’università di Londra ed ora Baronessa Wootton, vicepresidente della Camera dei Lords; Kingsley Martin, direttore del « New Statesman », un settimanale di sinistra molto letto; Wickham Steed, già direttore del « Times »; Lionel Curtis e Lord Lothian, da tempo promotori dell’idea di una federazione del Commonwealth britannico.
Fu convenuto che avrei dovuto redigere una pagina di Dichiarazione d’intenti per la quale ognuno dei presenti avrebbe potuto sollecitare delle firme – le firme potevano essere apposte per appoggiare i nostri obiettivi, ma non significavano necessariamente una adesione alla nostra organizzazione. Mentre tutto ciò era in atto, Patrick Ransome ed io continuavamo a interpellare quelli che avevano risposto alla mia lettera e all’opuscolo. Fu a quel punto, mentre stavamo parlando con Harold Butler, che era allora (oppure era appena andato a riposo) direttore dell’Organizzazione internazionale del lavoro a Ginevra, che venimmo a conoscenza dell’imminente pubblicazione di « UnionNow » di Clarence Streit.
Cominciammo allora a ricercare l’appoggio dell’opinione pubblica mandando lettere alla stampa. Ancora una volta la reazione fu sorprendente. Era chiaro che avevamo espresso ciò che molta gente – e specialmente molti giovani – pensava. Le lettere e il denaro affluirono. Alcuni ci chiesero di lavorare per noi e assumemmo quindi del personale; altri ci chiesero quello che potevano fare e suggerimmo loro di fare ciò che avevamo fatto noi: sollecitare degli amici, scrivere alla stampa locale, indire un dibattito pubblico e formare una sezione. Pubblicammo opuscoli, preparammo note per eventuali oratori, bozze di lettere che avrebbero potuto mandare alla stampa. Lanciammo il « FederaI Union News » che io feci stampare come settimanale. W.B. Curry scrisse: « The case for FederaI Union » che fu pubblicato da Penguin in edizione tascabile e divenne un best seller.
La primavera e l’estate del 1939 furono tumultuose. La corrispondenza, della quale io mi occupavo, aumentava sempre più; mi fu chiesto inoltre di parlare alle riunioni che si tenevano in lungo e in largo nel paese, a volte in case private per le sezioni nuovamente formate, più spesso in sale pubbliche davanti a vasti uditòri. Formammo un gruppo di oratori e ogni mattina sul mio tavolo c’era una pila di nuovi ritagli di stampa. Quando alla fine, in settembre, scoppiò la guerra ma non cadde nessuna bomba, la vita in Gran Bretagna ritornò normale – eccetto per l’oscuramento – e l’organizzazione continuò a svilupparsi. Le sezioni attive arrivarono a 200, le riunioni pubbliche aumentarono e il loro culmine fu un’affollata riunione al Queen’s Hall – forse l’ultima che vi si tenne prima che fosse distrutto dalle bombe.
La guerra procurò un importante vantaggio a Federal Union. Derek Rawnsley aveva studiato all’University College di Oxford di cui Sir William Beveridge era rettore. Egli era stato ministro delle Munizioni durante la Grande Guerra e sarebbe diventato l‘autore del rapporto sul quale si sarebbero fondati i servizi sociali britannici dopo la seconda guerra mondiale. Derek l’aveva avvicinato sin dall’inizio per averne aiuto: Beveridge lo aveva promesso nel caso che la guerra fosse scoppiata. Mantenne questa promessa. Fu costituito un Istituto di ricerca con Patrick Ransome come segretario e Beveridge soprintendente. Furono convocati gruppi di specialisti e fu decisa la pubblicazione di una serie di opuscoli sul federalismo. Lord Lothian aveva già scritto un opuscolo; altri seguirono. Beveridge stesso ne scrisse uno proponendo una federazione iniziale di democrazie dell’Europa occidentale; Barbara Wootton scrisse sulla Federazione e il Socialismo; H.N. Brailsford sulle discussioni che avevano avuto luogo durante la Grande Guerra; l’economista I.H. Meade sui problemi economici della federazione; il prof. Ivor Jennings sui problemi giuridici e Lord Lugard sulle conseguenze che essa avrebbe avuto per le popolazioni coloniali; il prof. K.C. Wheare sulle questioni costituzionali.
Quando la Francia cadde e cominciò il bombardamento dell’Inghilterra, riunirsi divenne sempre più difficile, dato che aumentava il numero dei nostri membri che erano chiamati per il servizio attivo o per altri servizi. Le mie manchevolezze in quanto amministratore erano state largamente responsabili di una crisi finanziaria e benché ce ne fossimo ripresi, sentii che era tempo di dare le dimissioni dal posto di segretario generale – decisione che fu rafforzata dalla mia sensazione che, essendo io obiettore di coscienza, si potesse credere che il movimento fosse pacifista. R.W.G. Mackay mi subentrò. Era un giurista ed era l’autore di «The Federation of Europe ». Era anche un eccellente amministratore. Ma troppa gente era presa dai servizi per la guerra perché un’organizzazione popolare fosse possibile. Il nostro settimanale « Federal Union News » cessò le pubblicazioni e le sezioni locali si sciolsero. L’Istituto di ricerca divenne il Federal Trust, e tale è rimasto sino ad oggi. Derek Rawnsley era stato ucciso.
Possiamo, penso, affermare di aver parlato a nome di una cospicua parte della nostra generazione – la gran massa dei nostri membri aveva partecipato alla Grande Guerra oppure, come noi, era cresciuta negli anni immediatamente successivi – e di aver inserito l’idea federale nel dibattito sull’assetto post-bellico. Ma il non essere riusciti a realizzare il nostro obiettivo ed a fare di noi stessi i successori della League of Nations Union, era dovuto ad un certo numero di cause.
Il nostro opuscolo originale non conteneva la proposta di una federazione di determinati paesi: esso proponeva soltanto una unione volontaria di Stati democratici come primo nucleo e premessa per ulteriori sviluppi. Come ho già detto, l’Europa, per noi, possedeva le chiavi della guerra e della pace e pensavamo solo alle democrazie europee. La nostra speranza era che l’idea avrebbe attratto in Germania e in Italia un numero abbastanza grande di persone da permettere a un certo punto a questi due paesi di partecipare. Prima di aver avuto il tempo di elaborare questo concetto, fummo superati dalla vasta pubblicità ottenuta da « Union Now » di Clarence Streit. Egli era molto conosciuto in quanto era responsabile per le questioni di politica estera del « New York Times »; il suo libro era una chiara ed energica argomentazione in favore di una federazione di 17 paesi, tra cui anche gli Stati Uniti. Esso contribuiva molto validamente a sostenere la tesi della federazione in quanto contrapposta alla lega; ma come proposta politica sembrò, a noi che eravamo i tre iniziatori di Federai Union, alquanto irrealistica e, a Patrick Ransome e a me, certamente non auspicabile: noi eravamo europei. Per secoli l’Inghilterra non aveva saputo se facesse parte o no dell’Europa e l’effetto del libro di Streit fu di portare a Federal Union un gran numero di membri che decisamente preferivano l’idea di un’unione anglo-americana piuttosto che un’unione europea di cui la Gran Bretagna avrebbe fatto parte.
Vi erano altre ragioni. Una caratteristica rilevante delle lettere ricevute, scritte da persone che divennero membri della nostra organizzazione, consisteva nel fatto che gran parte di loro sosteneva che il nostro opuscolo aveva espresso ciò che da molto tempo pensavano. Ma poi risultò che un’alta percentuale di essi apparteneva a scuole di pensiero assai varie. Molti erano stati influenzati da filosofi quali Bertrand Russell e H.G.Wells che avevano chiaramente diagnosticato i mali della sovranità nazionale ma non avevano fatto nessuno sforzo per collegare la loro diagnosi con il contesto politico del momento. I loro seguaci erano spesso idealisti che sognavano un utopistico governo mondiale e consideravano qualsiasi altro progetto del tutto inutile. Ve ne erano altri come Brailsford, Kingsley Martin, Leonard Woolf che erano stati membri della Union of Democratic Control (Unione del controllo democratico) durante la prima guerra mondiale (o che erano stati influenzati da essa) i quali avevano affrontato il problema di come assicurare il voto di maggioranza nelle assemblee internazionali. Lionel Curtis aveva ancora qualche seguace a Chatham House che pensava in termini di federazione imperiale. All’origine, Lothian era stato uno di questi, ma il suo pensiero si era concentrato molto sul problema europeo di placare la Germania andando incontro a rivendicazioni che, a suo avviso, le ingiustizie del Trattato di Versailles rendevano ragionevoli. Sebbene, dopo Monaco, avesse realizzato che non sarebbe stato possibile mettere un freno a Hitler, egli era sempre visto come un appeaser e rimase sospetto, per questo motivo, anche dopo essere stato nominato Ambasciatore negli Stati Uniti. Accolse con interesse il libro di Streit, ma non è possibile dire a che cosa si sarebbe poi rivolta la sua mente duttile se fosse vissuto più a lungo e avesse potuto assistere al riassetto post-bellico.
Sebbene, dunque, fossimo tutti d’accordo che la sovranità nazionale doveva lasciare il posto alla federazione, esistevano ampi punti di disaccordo tra i membri di FederaI Union sulla questione delle nazioni che avrebbero preso parte alla federazione. L’ultimo opuscolo che io scrissi per Federal Union cercava, in qualche modo, di riassumere le idee del movimento. Fu scritto mentre gli Inglesi stavano evacuando Dunkerque e fu pubblicato quasi contemporaneamente alla disperata offerta fatta da Churchill di unione con la Francia. L’opuscolo si chiamava « How we shall win ». Esso si basava sulla constatazione che la conquista nazista dei Paesi Bassi era stata molto aiutata dalla loro « quinta colonna ». Esso inoltre conteneva un’aperta denuncia degli scopi della guerra al fine di sollecitare i popoli dell’Europa ad unirsi in un movimento di resistenza che avrebbe avuto come sbocco una federazione democratica.
Churchill, tuttavia, insistette tenacemente fino alla fine per una capitolazione senza condizioni; e, quando la guerra finì, l’Europa non possedeva più le chiavi della pace nel mondo. La sua sistemazione era solo una parte della sistemazione mondiale, e la dipendenza dagli Stati Uniti per la sua ricostruzione fece sì che l’esigenza della propria indipendenza sembrasse meno importante.
Le Nazioni Unite fallirono nel loro ruolo di mantenere la pace ancor prima e ancor più vergognosamente della Lega delle Nazioni. Ancora una volta un’assemblea di nazioni indipendenti era degenerata in una lotta per il potere tra le nazioni più forti, mentre quelle più deboli si schieravano da una parte o dall’altra. Gli argomenti in favore di una federazione europea sono ora gli argomenti per l’indipendenza europea; per una distinta voce europea nella trattazione delle nostre relazioni estere, dei nostri affari e delle nostre finanze; e per dimostrare quello che noi intendiamo con la parola « democrazia ».
Sono spiacente se questo racconto della breve e pur reale vita di Federal Union può sembrare inopportunamente personale. Sia Derek Rawnsley che Patrik Ransome sono morti, e sono quindi l’unico sopravvissuto. È incontestabile che avemmo molta pubblicità per alcuni anni; è possibile che sia stata questa pubblicità a indurre, come ora sappiamo, il ministero degli Affari Esteri britannico a continuare ad elaborare questa idea; e si può sostenere che se non ci fosse stata questa pubblicità e il lavoro del ministero degli Esteri, Churchill non avrebbe suggerito l’unione con la Francia. Ma in Gran Bretagna oggi, eccetto qualche anziano cittadino che ebbe una parte in essa, Federal Union è completamente dimenticata; e l’offerta di unione di Churchill è vista non come la direzione più logica e concreta perché alcune nazioni si preparassero a lavorare insieme, bensì come lo sforzo disperato per impedire alla flotta francese di cadere nelle mani dei nazisti.
Per quello che può contare, devo dire che secondo me, se gli argomenti per la federazione europea diventano una proposta seria, ciò porta gli Inglesi dinanzi allo stesso dilemma nel quale il libro di Streit « Union Now » pose Federal Union. Noi, britannici, siamo europei? Oppure facciamo parte di un mondo separato di lingua inglese?
Sir Charles Kimber