IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXXII,1990, Numero 2 - Pagina 160

 

 

HABERMAS E LA RIUNIFICAZIONE TEDESCA

 

 

In un lungo articolo apparso su Die Zeit del 30 marzo 1990, Jürgen Habermas ha svolto alcune considerazioni sulla riunificazione tedesca che offrono lo spunto per una puntualizzazione della posizione dei federalisti sugli ultimi sviluppi di questo problema.

Il punto centrale dell’argomentazione di Habermas è la critica alla linea del governo di Bonn (accettata dal governo di Berlino Est nato dalle elezioni del 18 marzo), diretta a realizzare una rapida fusione fra le due Germanie sulla base dell’art. 23 del Grundgesetz, e il sostegno alla procedura di unificazione prevista dall’art. 146. L’applicazione del primo articolo significa che l’unificazione fra le due Germanie avverrà tramite l’adesione dei Länder della RDT (che sono in via di ricostituzione) alla RFdG, la cui costituzione si estenderà in tal modo all’altra Germania. L’applicazione del secondo articolo implica invece la convocazione di una assemblea costituente del popolo delle due Germanie che elabori una nuova costituzione, destinata a sostituire, dopo la sua approvazione con «libera deliberazione» del popolo tedesco, il Grundgesetz, che ha carattere provvisorio.

L’unificazione sulla base dell’art. 23 equivale, secondo Habermas, a una annessione della RDT fondata sul nazionalismo del marco. In effetti, da una parte, i cittadini della RFdG hanno una costituzione che non è nata da una costituente direttamente eletta, bensì da una assemblea di rappresentanti dei Länder (ciò perché una costituente nel senso pieno avrebbe dovuto essere convocata solo al momento della riunificazione nazionale), e ora non sono chiamati a pronunciarsi sull’unificazione nazionale e sulla costituzione della Germania unificata, così come non erano stati chiamati a pronunciarsi sull’adesione alla RFdG della Saar nel 1957, che avvenne sulla base dell’art. 23. Dall’altra parte, i cittadini della RDT sono praticamente costretti a dire di sì all’unificazione dalla loro situazione economica disastrosa e dalla speranza – alimentata dalle promesse del governo di Bonn – di migliorarla in modo sostanzioso e rapido attraverso l’assorbimento nella ricca RFdG. Di conseguenza l’identità nazionale che starà alla base del nuovo Stato non sarà una identità repubblicana, fondata cioè sulla libera e consapevole adesione ai valori della libertà, della democrazia, dello Stato sociale e della pacifica cooperazione fra le nazioni. Sarà invece un’identità nazionale di tipo tradizionale, fondata cioè su un’idea di nazione intesa essenzialmente come una comunità etnica, culturale e collettiva voluta dal fato invece che dalla libera e meditata scelta di cittadini emancipati. In tal modo non verrebbe spezzata una volta per tutte la continuità di una tradizione che risale all’unificazione nazionale bismarckiana e che ha sempre visto l’identità nazionale tedesca affermarsi in contrasto più o meno accentuato con la tradizione liberaldemocratica occidentale.

Questo modo di realizzare l’unificazione fra le due Germanie rischia di produrre conseguenze molto pericolose. In primo luogo la conferma di una identità nazionale non repubblicana contiene il rischio di mantenere vive le tendenze all’autoritarismo e all’assimilazione forzata delle minoranze etniche, culturali, religiose e socio-economiche, che hanno avuto in Auschwitz la loro estrema manifestazione. In secondo luogo la rapidità con cui viene realizzata l’unificazione fra le due Germanie impedisce che venga prima raggiunta l’unità europea all’interno della quale dovrebbe essere inquadrata l’unità tedesca. In terzo luogo, con l’applicazione dell’art. 23 non viene meno, dal punto di vista strettamente giuridico, la provvisorietà del Grundgesetz e ciò ingenera il sospetto che, per giungere a una costituzione definitiva, si attenda l’ampliamento della RFdG anche ai territori oltre la linea Oder-Neisse. L’applicazione della procedura prevista dall’art. 146 parrebbe dunque, sulla base di queste considerazioni di Habermas, la via maestra per garantire una effettiva libera decisione dei Tedeschi, la priorità procedurale dell’unificazione europea rispetto a quella tedesca (un’assemblea costituente tedesca richiederebbe tempi lunghi) e la chiusura della questione dei confini dello Stato nazionale tedesco.

Di questa argomentazione deve essere sottolineata molto positivamente la tesi della centralità dell’unificazione europea. In effetti Habermas già da alcuni anni va sostenendo la necessità di togliere allo Stato nazionale la pretesa di essere il polo privilegiato dell’identità collettiva, la quale, nell’epoca post-nazionale, deve invece avère un carattere multidimensionale, fare cioè riferimento anche a comunità sovrannazionali e a comunità infranazionali.[1] Il fatto che da questa tesi di carattere piuttosto generale egli giunga ora ad affermare così nettamente la priorità dell’unificazione europea rispetto a quella tedesca è un segno dei tempi. Vuol dire che nella sinistra intellettuale tedesca si incomincia a prendere sul serio il discorso federalista, verso il quale si era nel passato manifestata in generale una sostanziale indifferenza. Ciò premesso, non si possono non rilevare nelle tesi di Habermas dei punti assai poco convincenti che indeboliscono la sua presa di posizione per l’unità europea.

Per cominciare,l’opzione da parte del governo di Bonn per una rapida fusione fra le due Germanie è derivata, a mio avviso, fondamentalmente da una situazione di fatto e solo secondariamente dagli interessi di potere del cancelliere Kohl e del suo partito. L’aspetto più evidente ed immediato di questa situazione è costituito dall’esodo verso l’Ovest, dal collasso economico e dalla crescente ingovernabilità della RDT, che hanno fatto vedere nella più rapida adesione possibile di quest’ultima alla RFdG la via più efficace per uscire da una condizione sempre più insostenibile. Ma c’è un altro aspetto meno congiunturale, eppure di grandissima importanza, che va tenuto presente per capire la politica di Bonn, vale a dire il ritardo accumulato dal processo di unificazione europea. Se nel 1985 fosse stato approvato il Trattato di Unione europea invece che l’Atto Unico europeo, il problema dell’unificazione tedesca sarebbe stato affrontato nel quadro di una Federazione europea in stato avanzato di costruzione, e quindi in una situazione in cui la cultura federalista sarebbe stata più forte di quella nazionalista. In presenza di una Federazione europea di carattere multinazionale avrebbe potuto prevalere l’opzione di più Stati tedeschi sotto un tetto europeo, per le stesse ragioni per cui nella Federazione svizzera ci sono più Cantoni tedeschi. Sarebbe stata indubbiamente una soluzione preferibile a quella della fusione fra RFdG eRDT in un unico Stato, perché l’applicazione del principio della coincidenza fra Stato e nazione culturale può legittimare una sequela di rivendicazioni nazionali non solo tedesche, con le evidenti conseguenze destabilizzatrici.[2] Poiché però si è rinviata la creazione di un governo federale europeo, era fatale che nell’affrontare il problema dell’unificazione fra le due Germanie, diventata improvvisamente attuale, l’impostazione nazionalista prevalesse rispetto a quella federalista.

Se la situazione di fatto ha portato a far prevalere l’opzione della rapida fusione fra le due Germanie, la strada maestra per evitare che da un successo iniziale si giunga a una vittoria completa e definitiva del nazionalismo non è ora quella di cercare di ritardare l’unificazione tedesca, bensì quella di accelerare l’unificazione europea, di realizzare cioè uno stretto parallelismo fra i due processi. Se si riesce a inquadrare la fusione fra le due Germanie in una Federazione europea, verrà anzitutto eliminata alla radice ogni spinta ad una politica di tipo egemonico da parte della Germania. Il nazionalismo egemonico tedesco ha infatti tratto il suo fondamentale alimento non dalle tradizioni antidemocratiche caratterizzanti lo Stato nazionale tedesco, bensì dalla necessità di unificare il continente europeo per metterlo in grado di affrontare i problemi posti dalla crescente interdipendenza dell’attività umana su scala continentale e intercontinentale.[3] Fin dall’inizio di questo secolo la ragione ha indicato come unica risposta progressiva a questa sfida la Federazione europea, che è in grado di conciliare l’unità a livello continentale con l’indipendenza delle nazioni e lo sviluppo della democrazia e di aprire la strada all’unificazione dell’intera umanità. E proprio perché non si è voluto dare ascolto alla ragione, si è fatta strada l’alternativa reazionaria dell’unificazione egemonica perseguita dallo Stato più forte del continente europeo. Questa opzione, sconfitta nel 1918 e nel 1945, è destinata a riproporsi ancora una volta, anche se in forme diverse – l’imperialismo del marco invece di quello delle Panzerdivisionen –, se in una situazione in cui si sta disgregando l’ordine imperiale dei blocchi contrapposti non si creerà rapidamente un ordine federale europeo. D’altra parte, con una Germania unita, ma inserita in una Federazione europea, verrebbe meno non solo la spinta a una politica egemonica tedesca, ma anche la possibilità oggettiva di attuare una tale politica, dal momento che il governo della RFdG avrebbe competenze fortemente limitate, e in modo irreversibile, a vantaggio dell’autorità federale europea (il marco verrebbe assorbito dall’Ecu), verso l’alto, e delle regioni, verso il basso. Inoltre verrebbe chiusa in modo sostanziale e non solo formale (i trattati possono sempre diventare pezzi di carta) la questione dei confini dello Stato tedesco, perché in una Federazione europea anche non ancora completamente sviluppata, diventerebbero a poco a poco impossibili politiche nazionali su problemi del genere. In ogni caso, con il progressivo allargamento della Federazione europea verso l’Europa orientale, i confini statali avranno sempre meno importanza e diventerà possibile un’efficace tutela di tutte le minoranze nazionali affidata all’autorità federale.

La linea giusta è dunque quella dell’accelerazione dell’unificazione europea, che proprio dal rapido sviluppo dell’unificazione tedesca sta peraltro traendo un forte impulso, anche perché essa trova il sostegno della grande maggioranza della classe politica e dell’opinione pubblica tedesca, che ha ceduto in parte ai richiami del nazionalismo, ma appare nello stesso tempo consapevole dei gravi pericoli a cui si va incontro se la prospettiva europea viene compromessa. Se ci si vuole incamminare seriamente sulla via del parallelismo fra unificazione tedesca e unificazione europea, l’obiettivo veramente decisivo diventa allora non la costituente tedesca, bensì la costituente europea. Questa è necessaria anzitutto perché affidare la costruzione europea esclusivamente alle trattative diplomatiche comporta immancabilmente esiti di natura intergovernativa, i quali non fanno che accentuare il deficit democratico della Comunità europea. La costituente europea è altresì necessaria per le ragioni che secondo Habermas richiedono la costituente tedesca. Affinché lo Stato europeo possa fondarsi su un’identità di cittadini repubblicani, occorre che gli Europei possano partecipare direttamente alla sua costruzione ed esprimersi liberamente e consapevolmente sulla sua costituzione. Lo strumento indispensabile a tale scopo è precisamente una costituente europea, la quale è ben più importante di una costituente tedesca, dal momento che quest’ultima opera ad un livello, quello della democrazia nazionale, che non è più adeguato alla dimensione sovrannazionale dei problemi fondamentali e richiede perciò di essere inquadrato nella democrazia sovrannazionale.

A questo punto parrebbe legittimo concludere che la soluzione ideale sarebbe il parallelismo fra la costituente europea e la costituente tedesca prevista dall’art. 146. In realtà una simile conclusione non è convincente per la ragione molto concreta che una costituente tedesca finirebbe con ogni probabilità per ritardare, o comunque rendere più complicata, la procedura costituente europea. Anzitutto la classe politica tedesca sarebbe talmente impegnata nella procedura costituente tedesca da non potersi dedicare con il necessario impegno alla procedura costituente europea. In secondo luogo, l’entrata in vigore di una nuova costituzione tedesca porrebbe il problema di una rinegoziazione dell’adesione del nuovo Stato ai Trattati conclusi dalla RFdG, e quindi anche a quelli comunitari. Per questo sembra preferibile, in considerazione dell’esigenza di accelerare l’unificazione europea, la procedura prevista dall’art. 23.

Va peraltro precisato che sarebbe giuridicamente possibile combinare le vie indicate dagli articoli 23 e 146 senza introdurre fattori di ritardo nei confronti dell’unificazione europea e nello stesso tempo permettendo ai cittadini delle due Germanie di pronunciarsi sull’unificazione tedesca.[4] In effetti, dopo l’adesione alla RFdG da parte dei Länder della RDT sulla base dell’art. 23, il Parlamento federale eletto dai Tedeschi delle due Germanie potrebbe dichiarare che il Grundgesetz è la costituzione definitiva della Germania. In tal modo l’art. 146 verrebbe eliminato tramite una revisione della costituzione e verrebbe anche meno la possibilità giuridica di mettere in discussione i Trattati sottoscritti dalla RFdG (ad esempio quelli che hanno riconosciuto i confini orientali), richiamandosi al carattere provvisorio della RFdG. La decisione del Parlamento federale potrebbe poi essere sottoposta ad una ratifica da parte del corpo elettorale tramite un referendum, che non è espressamente previsto dal Grundgesetz per la revisione della costituzione, ma che non è neppure escluso, e che sarebbe d’altra parte auspicabile per eliminare l’anomalia di una costituzione che non è nata dal voto diretto dei cittadini tedeschi.

A quest’ultimo proposito si può fare un’osservazione conclusiva. Se si decidesse che un referendum popolare dovrà apporre il sigillo finale all’unificazione tedesca, perché non decidere di tenere simultaneamente ad esso un referendum sull’unità europea? A seconda del grado di avanzamento della fase costituente dell’unità politica europea, potrebbe trattarsi di un referendum di ratifica della costituzione europea, oppure di un referendum propositivo sul mandato costituente al Parlamento europeo analogo a quello tenutosi in Italia il 18 giungo 1989. A parte questo aspetto, la motivazione giuridica della richiesta della simultaneità fra referendum tedesco e referendum europeo dovrebbe fondarsi sul richiamo al preambolo del Grundgesetz, il quale indica nell’unità tedesca e nell’unità di un’Europa pacifica i due fondamentali impegni del popolo tedesco. La motivazione sostanziale dovrebbe invece richiamare l’attenzione sul fatto che, con la simultaneità dei referendum per la Germania unita e per l’Europa unita, si renderebbe visibile con un atto di grande solennità, e quindi di grande efficacia educativa, il superamento del principio che lo Stato nazionale deve essere il polo privilegiato dell’identità collettiva. Perché Habermas non impiega la sua grande autorità intellettuale a favore di un simile disegno?

 

Sergio Pistone

 


[1] Cfr. AA.VV., Historikerstreit, Monaco, Piper, 1987.

[2] Cfr. Sergio Pistone, «Più Stati tedeschi sotto un tetto europeo», in Il Federalista, XXXI (1989), n. 3. Cfr. anche «La rinascita del nazionalismo», ibid., XXXII (1990), n. 1.

[3] La particolare aggressività del nazionalismo tedesco è certamente anche legata alle caratteristiche antidemocratiche dello Stato nazionale fondato da Bismarck, le quali hanno avuto una significativa espressione ideologica nel prevalere di una concezione «naturalistica» della nazione, invece che di una concezione «volontaristica», quale quella di Mazzini (cfr. a quest’ultimo proposito Mario Albertini, Lo Stato nazionale, Milano, Giuffré, 1960). D’altra parte, queste caratteristiche devono essere poste in relazione, per essere adeguatamente comprese, con la posizione centro-continentale della Prussia e poi della Germania, cioè con una posizione geostrategica nel sistema degli Stati che ha favorito potentemente le scelte orientate alle esigenze di sicurezza rispetto a quelle liberali e democratiche. La validità esplicativa di questa linea interpretativa propria della scuola storica tedesca (cfr. Ludwig Dehio, Equilibrio o egemonia, Bologna, Il Mulino, 1988 e Id., La Germania e la politica mondiale del secolo XX, Milano, Comunità, 1962) trova una conferma molto importante nel fatto che essa fu sostanzialmente condivisa da una autore agli antipodi ideologici rispetto a questa scuola, e cioè da Engels. Cfr. in particolare la lettera di Engels a Bloch del 21 settembre 1890, pubblicata in L. Althusser, Pour Marx, Parigi, Maspero, 1965.

[4] Cfr. in proposito J.A. Frowein, «Rechtliche Probleme der Einigung Deutschlands», in Europa Archiv, 1990, XXXXV, n. 7.

 

 

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