Anno LIV, 2012, Numero 3, Pagina 160
BRASILE E ARGENTINA AL BIVIO NEL MERCOSUR
La drammatica crisi in Grecia induce molti ad evocare l’esperienza della Argentina quale modello da seguire per uscire dalla situazione di default che attanaglia la Repubblica Ellenica. Nel citare l’esempio argentino si dovrebbero però ricordare anche gli effetti che ebbe il default programmato sul paese e sulla popolazione che ancora oggi ne pagano le conseguenze. Si tratta infatti di un pessimo esempio dal momento che in Argentina persiste una profonda crisi interna che pone anche seri problemi allo sviluppo del Mercosur, di cui è paese fondatore.[1]
Come è noto nel 2001, il governo argentino dopo un lungo periodo di crisi economica e finanziaria, ruppe la parità peso-dollaro (un processo di dollarizzazione del paese in atto dal 1991 sotto la presidenza Menem) per tornare a tutti gli effetti alla propria valuta nazionale. Seguirono anni di instabilità finanziaria che portarono ad una svalutazione dell’80% del peso sul dollaro: è bene ricordare questo dato a chi sostiene l’idea di un abbandono indolore dell’euro per un ritorno alle valute nazionali. Certo l’Argentina rientrò in possesso della propria sovranità monetaria ed ebbe la possibilità di svalutare, cosa impossibile all’epoca della dollarizzazione, ma, a dimostrazione dell’inefficacia di questo tipo di manovre monetarie, la sua crisi interna, economica e sociale, persiste a distanza di quasi dieci anni. Dopo il crack finanziario seguito al ritorno alla valuta nazionale vi fu un triennio apparentemente di grande rilancio delle attività economiche (+8% annuo), ma in realtà i tassi di crescita erano alterati dal fatto che si veniva da anni di PIL negativo; i problemi finanziari e il suo pesante debito estero sono pertanto rimasti inalterati. Si è tornati al peso con un debito estero comunque da saldare in dollari. E, per aiutare il paese ad essere solvibile, il governo del presidente Cristina Kirchner, con una ampia maggioranza parlamentare, nel marzo di quest’anno ha privato la Banca centrale della propria autonomia, imponendole di mettere a disposizione del governo le proprie riserve per pagare il debito estero.[2]
In Argentina l’inflazione reale viaggia oggi ad un tasso del 25% nonostante il governo, tramite il proprio ufficio statistico, indichi una inflazione al 9%. Il governo argentino è stato smentito già da sei importanti regioni che indicano un’inflazione al 25%.[3] Inoltre ha imposto tasse del 14% sui prodotti importati ed una tassa del 15% per tutti i beni acquistati all’estero con carte di credito attirandosi le critiche dell’intera comunità internazionale.[4] Non bastasse, è stato imposto il blocco del cambio peso-dollaro a tutti i cittadini e a tutte le banche. Gli unici sportelli abilitati al cambio sono quelli del Banco Nacional presso i due aeroporti internazionali. Con queste iniziative l’intento è quello di favorire la domanda interna e stimolare la produzione di beni e servizi locali.[5] E’ quasi paradossale che un paese che sino a dieci anni fa praticava la parità peso-dollaro con la dollarizzazione della propria economia, oggi vieti il libero cambio della propria valuta.[6]
Quella in corso è una politica economica di tipo autarchico, anche se non dichiarata, che sta impoverendo il paese con gravi ripercussioni in campo sociale. Gli unici beni che l’Argentina oggi riesce ad esportare sono soia e petrolio. E a proposito del petrolio, l’operazione del governo di Buenos Aires nel mese di aprile scorso di nazionalizzare la compagnia di estrazione YPF controllata dalla spagnola Repsol si sta ritorcendo contro il paese. L’Argentina esporta petrolio che però deve reimportare sotto forma di prodotto lavorato perché non possiede società di raffinazione. Inoltre una nazionalizzazione di questa portata mina la credibilità dell’Argentina agli occhi degli investitori internazionali, richiamando il precedente del vicino Venezuela ove le principali fonti di esportazione (miniere e petrolio) sono state nazionalizzate da quando è al governo il presidente Chavez. Come conseguenza, gli unici investitori esteri in Venezuela sono oggi in maggioranza cinesi. Per altro la recente rielezione alla presidenza del paese di Chavez ripropone la vicinanza politica del Venezuela a Cuba e Cina. Con il paese asiatico è stato siglato un accordo che prevede un finanziamento di 38 miliardi di dollari in infrastrutture con l’obbligo, da parte del Venezuela, di acquistare macchinari made in China per oltre 19 miliardi.[7]
Queste scelte politiche venezuelane, così come quelle argentine, pongono seri problemi di stabilità all’interno della regione del Mercosur della quale, dallo scorso 31 luglio, è entrato a far parte proprio il Venezuela mentre, nel contempo, è stata sospesa l’adesione del Paraguay dopo la crisi interna che ha portato alle dimissioni forzate del presidente Lugo. La crisi interna del Paraguay (paese fondatore del Mercosur) ha visto una dura reazione da parte degli altri paesi membri che ne hanno decretato la temporanea sospensione dal mercato regionale criticando il metodo antidemocratico[8] che ha portato alle dimissioni forzate del presidente eletto Lugo. Si deve poi aggiungere il fatto che il Paraguay aveva sin da subito osteggiato l’adesione del Venezuela al Mercosur, a causa delle sue posizioni protezionistiche che contrastano (così come accade per le attuali scelte del governo argentino) con i principi di libero mercato sanciti dal Mercosur.
Il primo allargamento del Mercosur, coincide quindi con un momento di forte crisi al proprio interno, evidenziata anche dal fatto che restano ancora in sospeso le decisioni relative alle elezioni a suffragio universale del futuro Parlamento del Mercosur progettate per il 2014. L’indecisione riguarda il numero di rappresentanti spettanti a ciascun paese membro e il metodo di rappresentanza per la loro elezione su base proporzionale. L’obiettivo è quello di impedire che il Brasile, da solo, possa disporre di una maggioranza di blocco che determini i lavori del futuro Parlamento. Le profonde differenze nel numero degli abitanti per singolo paese (dai circa 180 milioni del Brasile si passa ai circa 5 milioni dell’Uruguay) pongono seri problemi di rappresentanza e riaccendono contrasti tra i paesi membri.
La crisi del Mercosur riflette, di fatto, le profonde trasformazioni politiche ed economiche in atto nell’intero subcontinente americano. Il Brasile non è più solo un paese leader a livello regionale ma aspira ad un ruolo internazionale (non a caso fa parte del gruppo dei paesi BRIC — Brasile Russia India e Cina — ed aspira ad un seggio permanente all’ONU) che relega l’Argentina in un ruolo di secondo piano, non avendo quest’ultima una economia in grado di reggere il passo della crescita brasiliana. Ma mentre il Mercosur vive una fase di ripensamento del proprio ruolo, a livello continentale si moltiplicano gli organismi che auspicano progetti di integrazione politica. Si passa così dal progetto ALBA (lanciato dal Venezuela e sostenuto sia dalla Bolivia sia dall’Ecuador) che auspica un’economia di tipo socialista, al progetto UNASUR che raccoglie l’adesione di tutti i paesi latino-americani. Quest’ultimo progetto fu voluto e sostenuto dal precedente presidente brasiliano Lula. Attualmente ha una funzione consultiva sul modello del Consiglio d’Europa, ma ha di recente dato avvio alla CEED.[9] Il nuovo organismo intergovernativo, fortemente voluto dal Brasile, prevede studi di difesa politica e militare a tutela delle ricchezze naturali di cui dispone il subcontinente in vista di possibili aggressioni provenienti dall’esterno. Vi è la volontà di difendere non solo le ingenti risorse minerarie di cui dispone quest’area del mondo, ma anche le proprie immense risorse idriche. Le previsioni indicano infatti che nei prossimi venti anni vi sarà una vera e propria rincorsa alla ricerca di fonti idriche per la carenza che si manifesterà a livello mondiale, in particolare nelle regioni al Nord del mondo. In quest’ottica rientra il piano di riarmo in atto da parte del Brasile[10] il cui centro studi del ministero degli esteri prevede attacchi da parte di potenze straniere che mirano al controllo dei bacini fluviali. Questo sembra essere un riferimento al ruolo aggressivo che in futuro potrebbero tornare ad avere gli USA che dall’epoca del tragico attentato alle Torri Gemelle hanno abbandonato la propria politica di influenza nella regione meridionale del continente per concentrarsi maggiormente in Medio Oriente e Asia. Di questa prolungata assenza politica ha approfittato la Cina, stringendo accordi politici ed economici con tutti gli Stati sudamericani e diventando il primo partner commerciale non solo di alcuni paesi del Sud America ma addirittura dei paesi del Mar dei Caraibi, proprio dinanzi alle coste degli USA.[11]
I prossimi anni saranno importanti per chiarire quale ruolo avrà il Mercosur nel contesto continentale e mondiale: se diventerà cioè un nucleo regionale che ha avviato un processo di reale integrazione politica oppure un progetto perennemente embrionale. In questo contesto il Brasile dovrà chiarire quale ruolo intende assumere: se prevarranno cioè le sue aspirazioni ad avere un ruolo di leadership a livello mondiale mantenendo la propria sovranità o se vorrà svolgere tale ruolo condividendo la propria crescita politica, militare ed economica con i propri vicini.
Stefano G. Spoltore
[1] Si veda il Trattato costitutivo (Tratado de Asunción, 1991) che stabiliva la nascita del Mercosur entro il 31 dicembre 1994 tra i Paesi fondatori di Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.
[2] Si veda Lettera 43, 23 maggio 2012.
[3] La Nación, Buenos Aires, 1 settembre 2012.
[4] Si veda ad esempio El Comercio, Lima, 1 settembre 2012; O Globo, Rio de Janeiro, 25 ottobre 2012. Quest’ultimo articolo critica duramente l’attuale politica argentina che mina la credibilità del Mercosur.
[5] Tuttavia vi è un forte calo degli investimenti interni, si veda Ansalatina, Buenos Aires, 21 ottobre 2012.
[6] Sul tema del processo di dollarizzazione in America latina si veda: Il Federalista, 43, n. 2 (2001).
[7] Il Fatto Quotidiano, Roma, 9 ottobre 2012.
[8] Per questa sospensione si fa riferimento a: Protocolo de Usuhuaia sobre compromiso democrático en el Mercosur (24 luglio 1998 — integrato con il Trattato di Usuhaia II, Montevideo, 20 dicembre 2011); Declaración de Las Leñas (art.1), 27 giugno 1992. Il Trattato di Usuhuaia II è stato respinto con voto a maggioranza dal Senato del Paraguay perché dichiarato contrario al rispetto della sovranità del Paese (Boletin Parlamento Mercosur, Montevideo, 26 ottobre 2012).
[9] Centro de Estudios Estrategicos para la Defensa, giugno 2011.
[10] Eurasia rivista, 21 settembre 2009.
[11] La Stampa, Torino, 10 aprile 2012. Nell’articolo si cita anche una dichiarazione del diplomatico statunitense ad Antigua R.Sanders che spiega come “..continuando ad investire a questi ritmi in nazioni così povere ed indebitate, soprattutto nel settore delle infrastrutture, la Cina renderà presto gli Stati Uniti irrilevanti nei Caraibi”. Ove, per altro, vi è Cuba, nazione, dagli anni ’60, non allineata alle politiche degli USA.