IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXX, 1988, Numero 3, Pagina 229

 


UN PASSO CONCRETO VERSO IL GOVERNO MONDIALE
 
 
Non si può che essere colpiti dal tono sempre più serio della discussione affrontata da Il Federalista sulla costruzione di un governo mondiale parziale come un compito della nostra epoca. Nel 1984 la rivista ha prospettato in termini generali la necessità del governo mondiale nell’editoriale del primo numero dell’edizione in lingua inglese. Nel 1986 ha proposto un’autorevole rassegna delle possibili «Vie verso la Federazione mondiale». Nel 1987 ha pubblicato un articolo incisivo di Sergio Pistone («L’Europa e il mondo») sulla stessa problematica relativa al cammino verso quell’obiettivo. Senza pretendere di ritornare di nuovo su tutti questi argomenti, vorrei aggiungere alcuni commenti per ampliare e integrare ciò che è già stato detto.
 
I legami fra governo mondiale e realtà politica esistente.
 
Dopo aver sostenuto che una Federazione mondiale stabile deve fondarsi sull’estensione della democrazia a tutto il mondo, e dopo aver affermato che tuttavia l’umanità non può attendere che ovunque sia realizzata la democrazia a livello nazionale come logico presupposto, l’articolo di Pistone prosegue con un passaggio chiave: «Se si vuole rendere meno generico il discorso sulla transizione all’unità mondiale, si tratta dunque di formulare delle ipotesi ragionevoli circa l’avvio del processo, e l’idea-guida in questo contesto è quella del governo mondiale parziale formulata da Einstein… un governo mondiale parziale che sia da un punto di vista politico ed economico, sufficientemente forte da poter coinvolgere gradualmente nell’unificazione mondiale il resto del mondo (facendo maturare le premesse indispensabili), da svolgere, in altre parole, un effetto trainante paragonabile a quello svolto dall’asse franco-tedesco e dalla ‘piccola Europa’ rispetto all’integrazione europea. Nella situazione storica attuale, che appare destinata a durare ancora assai a lungo, la creazione di un governo mondiale parziale fornito di queste caratteristiche non può che avere la sua base nel Nord del mondo… Si possono individuare due piattaforme possibili. La piattaforma ideale è quella di una convergenza fra tutte le fondamentali componenti del Nord del mondo, cioè di USA, URSS, Europa e Giappone… Se però le premesse necessarie per la piena partecipazione dell’URSS, fin dall’inizio, alla costruzione del governo mondiale parziale tardassero eccessivamente a realizzarsi, l’attualità storica del problema dell’unificazione mondiale potrebbe imporre la scelta di una piattaforma iniziale più limitata, comprendente cioè USA, Europa occidentale e Giappone. In questo caso i problemi del superamento del conflitto Est-Ovest e della democratizzazione dell’URSS diventerebbero i temi prioritari dell’impegno verso l’esterno del governo mondiale parziale…».
Queste asserzioni hanno una grande importanza. Esse rivelano infatti la volontà di sottrarre la meta ideale al regno dei sogni, del tutto staccati dalla realtà, e di presentare la proposta più concreta che permetta di realizzare ciò che di essenziale è contenuto nella meta stessa. Questo contributo alla discussione sul governo mondiale è da approvare in modo particolare, dato che troppo spesso la grande difficoltà del compito ha prodotto una contrapposizione totale fra il retorico idealismo dei suoi sostenitori e l’altrettanto retorico realismo dei suoi oppositori.
E’ possibile proseguire il ragionamento e stabilire così i legami concreti fra la meta finale e la situazione attuale. Il fatto che le inadeguate premesse politiche in Unione Sovietica costituiscano un limite alla possibilità di scelta non riguarda soltanto il futuro. Questa è infatti la situazione (la contraddizione) in cui il mondo è vissuto da quando l’esplosione della prima bomba atomica ha indicato il governo mondiale come obiettivo storicamente attuale. Ed è la situazione a cui il mondo si trova tuttora di fronte, sebbene i cambiamenti che stanno avvenendo in Unione Sovietica preannuncino la possibilità che questa situazione evolva rapidamente. Ma qual è la via migliore perché questa possibilità si realizzi?
Data la situazione di stasi sul fronte globale, si sono sviluppati sempre più i legami fra i tre pilastri del Nord del mondo (Europa, America e Giappone). Questo processo non ha ancora assunto il significato di una costruzione consapevole dell’embrione di un governo mondiale parziale di tipo federale, come scrive Pistone, paragonabile al processo, avviato dal piano Schuman, verso la costruzione di un embrione di governo europeo parziale. Ma esso è avanzato obiettivamente con lo sviluppo di relazioni e accordi i quali, nonostante si possano definire puramente intergovernativi, tuttavia, nel loro significato generale, vanno ben al di là della tradizionale cooperazione internazionale. Si possono ricordare l’OCSE, il G-7, la NATO, l’Assemblea atlantica, in un certo senso anche la Comunità europea (che in qualche modo ha, con questo quadro più vasto, lo stesso rapporto che aveva un tempo il Benelux con la Comunità europea), e, in direzione opposta, il GATT, il FMI e la Banca mondiale (che, nonostante le distorsioni derivanti dal loro carattere intergovernativo, hanno già dimostrato di poter svolgere un ruolo potenzialmente più ampio dell’OCSE per quanto riguarda il governo parziale del mondo). Date queste relazioni istituzionali, dati gli accordi reciproci per la difesa, la profonda interdipendenza economica, la comune eredità culturale e politica di Europa e America (e, in misura inferiore, del Giappone), dato il valore simbolico degli incontri che avvengono nei summit economici che si svolgono regolarmente fra i capi di Stato, dato tutto ciò, l’area che abbracciano i tre grandi Stati incomincia ad essere considerata una vera «regione» del mondo, la prima «regione» intercontinentale. Inoltre, questa «regione» tende a percepirsi come una comunità di destino; una comunità di destino che lascia spazio a incrinature: per ogni iniziativa, infatti, si fa affidamento sulla posizione egemonica dell’America, l’autorità delle istituzioni comuni è debole, gli Europei sono incoerenti, si manifestano conflitti commerciali, brusche fluttuazioni delle monete nazionali e oscillazioni delle politiche nazionali. Tuttavia essa è una comunità di destino in tutte le più importanti sfere della vita pubblica: il regime politico, la difesa, la cultura, l’economia.
Ciò significa che la scelta tra iniziare da una base ideale o da una più ristretta non è un problema che riguarda del tutto il futuro. Il punto di partenza è già sul tappeto. Non dimentichiamo che l’integrazione europea non è iniziata dal nulla con la CECA. Prima del piano Schuman ne sono state poste le basi attraverso la creazione di istituzioni e accordi (patto di Bruxelles, piano Marshall, Consiglio d’Europa, NATO) che si possono paragonare alle organizzazioni internazionali citate prima. La questione non riguarda la scelta, in un futuro non ben definito, tra diverse basi di partenza, ma riguarda il modo in cui si può far progredire, all’interno della piattaforma trilaterale esistente, la volontà di creare legami più efficaci, cha diano vita a un embrione federale.
 
Il ruolo propulsore del federalismo europeo.
 
Per quanto riguarda questa volontà, le osservazioni conclusive di Pistone relative al ruolo propulsore dell'unificazione europea acquistano una grande importanza. Se molti fattori e rapporti oggettivi hanno reso matura la creazione di un governo mondiale parziale a partire dal quadro dell'OCSE, i fattori soggettivi si sono andati esaurendo, dal 1945 ad oggi, con l'affievolirsi del ricordo della guerra mondiale e con l'assuefazione al pericolo nucleare. Mentre alla fine degli anni Quaranta ci fu in Europa un forte slancio verso la costruzione di un embrione di governo europeo per merito del MFE, del Congresso dell'Aja e del Movimento europeo, nei decenni successivi l'influenza federalista, a tutti i livelli, è andata diminuendo. Comunque sia, l'Europa è l'unica regione in cui il progetto federale ha mantenuto un qualche legame con la vita politica, e per questo la battaglia dei federalisti europei è diventata un punto di riferimento di tutti gli altri federalisti nel mondo. Se nascerà un governo europeo, esso, per il solo fatto di esistere — e si spera anche per il ruolo attivo che potrebbe svolgere — darebbe un nuovo impulso a tutti gli altri progetti federali. Ne consegue che l'azione più responsabile per avviarsi verso la Federazione mondiale è quella di raddoppiare gli sforzi per creare la Federazione europea e sottrarre il processo di integrazione europea all'impasse del gradualismo.
Ma se questo è certamente il compito principale dei federalisti europei in questo momento, esso non è e non può essere l'unico. Dobbiamo diffidare delle formulazioni troppo semplicistiche, che possono indurre a trascurare opportunità di vitale importanza, così come dobbiamo diffidare del tutto di volontà o di orientamenti ambigui.
 
Tre percorsi paralleli e sincroni, non tre passi consecutivi e distinti.
 
In questo contesto bisogna modificare l'opinione diffusa che l’unificazione fra gli Stati proceda per tappe distinte, ognuna dipendente dal raggiungimento della tappa precedente, iniziando dal livello regionale (europeo), proseguendo con quello intercontinentale (atlantico, trilaterale), fino al livello globale. Già nel recente passato sono stati compiuti passi avanti nell'ambito di tutti e tre i livelli: il cammino deve dunque essere visualizzato come un movimento lungo tre percorsi paralleli. Questo movimento procede a velocità differenti, e finora è stato piuttosto lento e faticoso, ma esso procede nello stesso tempo lungo i tre percorsi, e in tutti e tre è possibile e necessario, nel periodo in cui stiamo vivendo, compiere ulteriori passi avanti. Essi approderanno alla loro rispettiva meta in tre tappe consecutive, ma il cammino è nello stesso tempo parallelo e consecutivo, e perciò sincrono.
Il processo di unificazione europea è avanzato più velocemente e decisamente. L'obiettivo dell’unificazione viene riconosciuto — formalmente dalle istituzioni europee e informalmente dal popolo europeo — come un punto d’arrivo inevitabile. Rispetto ai primi anni questa avanzata è andata rallentando, tuttavia essa è continua e, se le sarà dato impulso, l’Europa presto approderà alla creazione di un governo europeo. Questo non deve essere considerato come «il primo passo» in senso logico, come abbiamo detto, ma è del tutto probabile che la Federazione europea sarà la prima federazione internazionale, e in quanto tale essa rappresenterà una tappa cruciale, un momento di rinnovata speranza nella lunga e tortuosa marcia verso il governo mondiale.
Per quanto riguarda il livello intercontinentale (atlantico-trilaterale), il cammino è stato più lento. Come è avvenuto in Europa, esso ha proceduto in modo abbastanza spedito per circa quindici anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. In realtà lo slancio di questi primi anni è legato al fatto che i processi paralleli della costruzione europea e di quella atlantica hanno permesso di sommare gli sforzi. Dalla creazione dell’OCSE, nel 1962, sono stati fatti pochi passi avanti (soprattutto i Vertici e il G-7, che hanno dato significato politico all’OCSE e possono diventare la premessa di ulteriori passi avanti). Le crisi ricorrenti nell’ambito della difesa atlantica e nei rapporti commerciali e monetari a livello trilaterale spingono alla ricerca di una maggiore integrazione politica. Ma la debolezza dell’influenza federalista ha permesso all’approccio consultivo-pluralistico, nella terminologia di Deutsch, cioè confederale, di giocare un ruolo predominante, scivolando a volte verso posizioni funzionaliste prive di embrioni federali. Solo l’Assemblea atlantica (l’istituzione interparlamentare per cui si sono battuti i federalisti atlantici e di cui ora fanno parte anche Giappone e Australia come osservatori) offre una debole immagine di un possibile embrione federale, nel senso che questa espressione assume nel testo di Pistone quando scrive sulla necessità di un «parlamento comune eletto direttamente». Purtroppo essa è ancora un’Assemblea puramente interparlamentare ed è priva persino di quei poteri consultivi che il Parlamento europeo aveva già quando era più debole. Dunque, al fine di progredire verso forme di aggregazione federale a questo livello, è necessario rafforzare l’Assemblea atlantica attraverso il riconoscimento delle sue attuali funzioni, la ripresa di iniziative politiche più coraggiose e l’aggiunta di una qualche forma di elezione diretta. Attraverso tutto ciò sarebbe possibile trasformare i rapporti intergovernativi atlantici e trilaterali, ora basati sull’egemonia americana e sull’incoerenza dei governi europei, in rapporti democratici tra i popoli.
Il cammino verso l’unione mondiale a livello globale è stato il più lento. In verità, mentre nel 1945 c’è stato un lieve avanzamento, nei due anni successivi il processo è stato inverso, e l’ONU, por continuando ad esistere, è diventata una istituzione senza alcun ruolo. Da allora c’è stato qualche piccolo passo avanti (e qualche passo indietro), ma soprattutto la situazione è stata piuttosto stagnante. Le potenzialità più elevate furono espresse dalle organizzazioni funzionalistiche collegate con le Nazioni Unite. Anche le istituzioni di Bretton Woods possono essere inserite in questo contesto, e, nonostante non si possa affermare che esse di recente abbiano fatto qualche progresso, tuttavia la loro importanza relativa e la loro incidenza, derivanti dagli stretti legami con gli Stati che costituivano il nucleo democratico dell’OCSE e dall’uso sia pure sporadico del voto ponderato, suggeriscono alcune delle riforme necessarie alla riattivazione dell’ONU. In particolare, la proposta del voto a triplice maggioranza (degli Stati, dei popoli e della ricchezza mondiale per l’approvazione delle decisioni) metterebbe in evidenza immediatamente quali sono i più importanti interessi mondiali. Oltre a ciò, si renderebbe visibile la dimensione della comunità mondiale che esiste effettivamente o potenzialmente in questo periodo. Su questo terreno si può sperare in un avanzamento di iniziative funzionaliste e possibilmente anche federaliste, necessarie ad attivare le potenzialità esistenti di unificazione globale. Tuttavia, sussiste l’ostacolo della debolezza dell’influenza federalista.
Questa debolezza può essere superata con la creazione di un governo federale europeo. Nel frattempo si può creare una situazione più favorevole se i federalisti europei assumono un atteggiamento costruttivo nei confronti degli altri progetti più ampi e ad essi partecipano, pur senza distogliersi dal loro compito principale, la fondazione della Federazione europea; ciò contribuirebbe a creare un contesto favorevole a questo compito e nello stesso tempo li metterebbe al riparo dalla trappola del settarismo. Da questo punto di vista, l’opportuna e costruttiva attenzione che Il Federalista ha cominciato a dedicare ai più ampi processi di integrazione nel mondo è un fatto culturale di grande importanza storica.
 
I rapporti tra i processi di integrazione.
 
Il rapporto tra i vari processi è complesso e multiforme, ma, piuttosto che dialettico, esso è in massima parte diretto, nel senso che l’avanzamento di ciascun processo tende a influenzare direttamente quello degli altri, facendoli avanzare laddove hanno subito un arresto. Un avanzamento più veloce a livello delle regioni meno estese può accelerare il cammino in quadri più ampi e viceversa. E’ già successo che i primi passi avanti verso l’unificazione europea sono stati fatti a livello atlantico (piano Marshall, NATO), e che quest’ultimo ha ricevuto impulso dall’avanzamento dell’integrazione a livello globale (Società delle Nazioni, ONU). Comunque, le istituzioni di livello inferiore non sono ancora riuscite a giocare un ruolo attivo e costruttivo nei confronti delle altre, e ciò dipende dal fatto che esse sono caratterizzate da un sistema decisionale intergovernativo, basato sul diritto di veto, che le rende poco flessibili e arretrate. In realtà, per quanto riguarda i rapporti diplomatici verso l’esterno, esse hanno spesso giocato un ruolo negativo, come la CEE all’interno del GATT, o la NATO nel contesto dei negoziati Est-Ovest. Bisogna tuttavia riconoscere anche la loro importanza: in assenza delle Comunità europee, la situazione del commercio mondiale sarebbe molto peggiore, in balia di conflitti commerciali, dittature e guerre mondiali. Così pure sarebbe peggiore la situazione dei rapporti Est-Ovest se non ci fosse l’Alleanza Atlantica e l’Ovest fosse dilaniato, come è avvenuto nel periodo fra le due guerre mondiali, da contrasti diplomatici, politici ed economici e da una contraddittoria politica militare. Ma ciò significa che la riforma di queste istituzioni, introducendo un solido sistema maggioritario, è diventata il compito più importante dei federalisti e un atto di responsabilità nei confronti dei livelli più ampi.
 
Il «primo passo» e la tentazione settaria.
 
I militanti a ciascuno dei tre livelli hanno spesso sostenuto che un passo avanti al livello in cui svolgevano il loro lavoro politico sarebbe stato storicamente indispensabile per qualsiasi altro passo avanti in qualsiasi altro livello. Come ha scritto Joseph Baratta nella sua bibliografia del federalismo internazionale, «i federalisti mondiali hanno sostenuto che la Federazione europea dovrebbe seguire, non precedere, la Federazione mondiale, la quale creerebbe le condizioni di sicurezza militare e cooperazione economica necessarie per la creazione di tutte le federazioni regionali… I federalisti europei hanno affermato con forza che l’unione dell’Europa rappresenta la via obbligata verso la Federazione mondiale». In questo confronto i federalisti mondiali hanno avuto la peggio, dato che l’integrazione europea ha fatto progressi, mentre il processo verso quella mondiale è tuttora stagnante; ma ambedue le tesi sono sbagliate in quanto sono esclusive e non tengono conto di ciò che di valido è presente nella tesi opposta. Ambedue — così come tutte le tesi isomorfe — sono state smentite dalla storia, dato che qualche passo avanti è già stato fatto a tutti e tre i livelli.
E’ evidente la funzione psicologica di questa contrapposizione, in quanto essa permette di concentrare la volontà su un preciso obiettivo, ma il costo è eccessivo: una falsa percezione della storia, una prospettiva distorta e poco plausibile sia per quanto riguarda il presente che il futuro, uno stile di analisi antiquato e monomaniaco, un atteggiamento verso altre valide iniziative che va dal disdegno alla manifesta ostilità, una sorta di compiacimento nei confronti degli insuccessi altrui per paura che le altre iniziative possano confutare la propria fede e i propri dogmi. Tutto ciò è più utile al consolidamento settario di un movimento in declino che alla costruzione di un movimento in ascesa. Certamente può essere dato un maggiore impulso alla volontà attraverso idee migliori, senza gli svantaggi del settarismo e della conseguente incapacità di convincere gli estranei.
La tentazione settarla è tipica di tutte le minoranze che si trovano in una situazione di lunga attesa, specialmente di minoranze che hanno sviluppato una cultura politica che è di gran lunga superiore alla cultura politica ordinaria. A questo riguardo il ruolo de Il Federalista, che è senza dubbio l’espressione più elevata della cultura federalista nel mondo, è ancora una volta di estrema importanza. Il Federalista si fa promotore prima di tutto dell’integrazione europea e in un certo senso sono d’accordo sul fatto che i federalisti europei si assumano questo compito. Bisogna però chiedersi fino a che punto la rivista presenti una deformazione eurocentrica nelle sue analisi. Direi che ciò avviene in misura piuttosto limitata, o addirittura non avviene per nulla. Fortunatamente essa è andata via via inserendo gli elementi eurocentrici in un quadro più ampio. La Federazione europea è un punto nodale perla soluzione di molti problemi e l’analisi di essi, così come le iniziative per la loro soluzione, come ha spesso dimostrato la rivista, risultano incomplete e illusorie se non si prende in considerazione l’Europa. Ma ciò non significa che questa costituisca la premessa per la soluzione di tutti i problemi, né la premessa principale per la soluzione di molti o della maggior parte di essi; la sua integrazione non è il presupposto di qualsiasi progresso su altri fronti e una prospettiva totalmente eurocentrica renderebbe non meno incomplete e illusorie l’analisi e le iniziative relative a problemi più ampi. In realtà, un progresso in qualche ambito più ampio può rafforzare il processo di unione europea e viceversa. E’ sufficiente essere un punto di vitale importanza, e non illudersi di essere il centro dell’universo. La Federazione europea è certamente l’obiettivo per cui l’Europa ha le maggiori e le principali responsabilità nella nostra epoca, ma, in considerazione della sfortunata circostanza che questo obiettivo è allontanato nel tempo da un antistorico gradualismo e che esso non può di conseguenza essere realizzato in tempi brevi, l’Europa deve essere in grado di assumersi tutte le altre sue responsabilità.
 
Ira Straus

 

 

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