IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LVI, 2014, Numero 1-2, Pagina 173

 

 

All’eurozona serve una
“capacità di bilancio aggiuntiva”:
il “meccanismo europeo di solidarietà”
è il primo passo

 

 

La discussione sull’istituzione di una “capacità di bilancio aggiuntiva” in capo all’eurozona è, di fatto, una discussione sull’attribuzione della competenza di una vera e propria politica di bilancio in capo ad istituzioni europee.[1] È la prima volta, da quando, nel 1977, MacDougall redasse il Rapporto sul ruolo della finanza pubblica nel processo di integrazione europea,[2] che l’affiancamento della politica di bilancio alla politica monetaria diventa una possibilità politica concreta. Il percorso non sarà né facile, né breve, ma deve essere questo il grado di consapevolezza con cui i federalisti devono impegnare tutte le loro energie su questo obiettivo. Con la presente nota si cercherà di vedere in che misura è possibile attivare fin da ora, a trattati invariati, una “capacità di bilancio aggiuntiva” per i paesi dell’eurozona e di quelli che, pur non facendone parte, vorranno parteciparvi [d’ora in avanti: eurozona plus]. Di volta in volta, si evidenzieranno i passi che richiedono, invece, una modifica dei trattati.

Si ricorda che la discussione sulla politica di bilancio è stata avviata dal Rapporto provvisorio di Van Rompuy del giugno 2012 (Verso un’autentica unione economica e monetaria) e dalla sua versione definitiva del 5 dicembre 2012, dal Blueprint della Commissione europea e dalla Risoluzione del Parlamento europeo (PE) del novembre 2012. Nel discutere gli aspetti giuridico-istituzionali dell’istituzione di una “capacità di bilancio aggiuntiva”, ci si riferirà ad un documento del Parlamento europeo (Legal options for an additional EMU fiscal capacity)[3] [d’ora in avanti: documento] e ad una Risoluzione del PE sull’integrazione differenziata all’interno dell’UE.[4]

 

1. L’integrazione fiscale differenziata: una “capacità di bilancio aggiuntiva” per l’eurozona plus

 

L’istituzione di una “capacità di bilancio”.

Il documento del PE analizza, da un lato, la possibilità di istituire un “fondo” distintamente dal bilancio europeo e, dall’altro, le politiche che questo “fondo” dovrà poi finanziare. Il primo aspetto del problema che viene esaminato è quello di vedere se è possibile attivare una “capacità di bilancio aggiuntiva”, in senso lato, per i paesi dell’eurozona plus a trattati vigenti, ma che sia al di fuori dal “Quadro finanziario pluriannuale” (QFP) e dai limiti percentuali del bilancio UE che questo comporta. Quest’ultima è la condizione decisiva affinché le risorse mobilitate nel caso dell’attivazione della “capacità fiscale” siano effettivamente “aggiuntive” e non sostitutive di risorse già destinate al bilancio UE e per assicurare a queste risorse, in prospettiva, la flessibilità di una vera e propria politica di bilancio. La strada suggerita è quella di una decisione presa in base al combinato disposto dell’art. 352 del TFUE e dell’avvio di una cooperazione rafforzata.[5] Una seconda soluzione potrebbe essere quella di istituire un “fondo” sul modello del Fondo europeo di sviluppo, mentre una terza via potrebbe essere quella di un trattato internazionale. Nel secondo e nel terzo caso, il ruolo del Parlamento europeo nel controllo della “capacità di bilancio aggiuntiva” potrebbe essere assicurato solo se espressamente previsto. In caso contrario, non si violerebbe tanto il principio di unitarietà e integrità del bilancio UE, quanto soprattutto la sovranità di bilancio del PE.

 

Cosa si intende per “capacità di bilancio”?

Nei documenti delle istituzioni europee, la “capacità di bilancio aggiuntiva” è stata messa in relazione con due obiettivi di politica economica. Il primo è la politica di aiuti condizionati intesi come strumento per incentivare riforme strutturali che possano stimolare la competitività e la crescita dei paesi membri, i cosiddetti “accordi contrattuali”. Il secondo obiettivo è la politica europea di tipo assicurativo a fronte di shock economici country-specific, attraverso il loro parziale assorbimento a livello centrale. Questo secondo tipo di politica economica dovrebbe essere attuato con la concessione di sussidi europei alla disoccupazione o con trasferimenti finanziari ai paesi in difficoltà. Poiché i Consigli europei riunitisi dal dicembre 2012 al dicembre 2013 non hanno discusso di questo aspetto della “capacità di bilancio”, ad oggi, nel dibattito corrente europeo, essa deve essere unicamente riferita agli “accordi contrattuali” ed al loro finanziamento. Il documento del PE prende comunque in considerazione sia questi ultimi, che la politica di stabilizzazione macroeconomica.

 

La politica degli aiuti condizionati e gli “accordi contrattuali”.

La prima politica presa in considerazione dalle istituzioni europee per l’avvio della “capacità di bilancio” è quella degli “accordi contrattuali”, un’espressione peraltro criticata dal PE.In base alle proposte attuali, essi prevedono la concessione di aiuti finanziari volontari ad un paese che si impegna a realizzare le riforme strutturali necessarie per ridare competitività al suo sistema economico. Il documento, tenuto conto di quanto contenuto nel Six Pack per quanto riguarda la parte preventiva e correttiva degli “squilibri macroeconomici eccessivi” e la formalizzazione del “Semestre europeo” e di quanto contenuto nel Two Pack, che riguarda solo i paesi dell’eurozona, conclude che essi possono essere inseriti nella procedura, preventiva e correttiva, degli squilibri macroeconomici eccessivi e, quindi, nel contesto del Semestre europeo.[6] Nel quadro della procedura sulla sorveglianza multilaterale, non è previsto alcun ruolo del PE, ma solo del Consiglio. Tuttavia, se gli “accordi contrattuali” vengono inseriti nel Semestre europeo e quindi assumono rilievo ai fini della politica di bilancio europea, il PE dovrà essere coinvolto. L’attuazione degli “accordi contrattuali” può avvenire in base ad un’intesa firmata dalla Commissione europea, per conto del Consiglio, e dallo Stato interessato e non richiede la modifica dei trattati esistenti, in quanto fondata sulla volontarietà. Poiché essi non sono giuridicamente vincolanti, il documento non dice nulla sulla modalità del loro finanziamento. Su questo punto, le discussioni che hanno avuto luogo nel quadro del Consiglio europeo, dopo che la Commissione europea aveva diffuso il suo Blueprint e il PE aveva approvato la Risoluzione sulla “autentica unione economica e monetaria”, fanno genericamente riferimento all’attivazione di un “meccanismo europeo di solidarietà” i cui contenuti non sono ancora stati precisati. Nei mesi successivi alla diffusione del Blueprint, la Cancelliera Merkel, in un discorso davanti al Bundestag, ha però parlato della possibilità di introdurre un “fondo europeo di solidarietà”.[7] Il dibattito all’interno del Consiglio europeo è invece proseguito fino al dicembre 2013, quando si è deciso di rinviare ogni decisione in merito all’ottobre di quest’anno, dopo che la Spagna, nonostante abbia un numero di disoccupati pari a quelli di Francia ed Italia sommati insieme, ha rifiutato l’ipotesi di ricevere aiuti che limitassero la propria “sovranità nazionale”.[8] Certamente, il fatto di essere concepito come un meccanismo fondato sulla pura volontarietà e non nel quadro dei trattati, quindi al di fuori del normale funzionamento delle istituzioni europee, ne scoraggia oggettivamente l’impiego. La sua istituzionalizzazione, sia per quanto riguarda il finanziamento e, soprattutto, per quanto riguarda i pagamenti, che non possono essere puri e semplici trasferimenti senza condizioni, comporterebbe una modifica dei trattati.

 

La politica di stabilizzazione macroeconomica.

Quanto prefigurato da Van Rompuy in merito alla concessione di sussidi alla disoccupazione – intesi come “integrazione o parziale sostituzione di indennità nazionali” e come una delle modalità di attuazione di una politica di tipo assicurativo – potrebbe essere attivato solo se compatibile con i sistemi di sicurezza sociale in vigore negli Stati membri. Un’indennità europea di disoccupazione non potrebbe però essere introdotta sulla base dei trattati esistenti perché questi, nel caso specifico, ammettono solo l’uso dello strumento della Direttiva, che necessita la trasposizione nella legislazione sociale nazionale e un’armonizzazione di fatto in un settore, quello dei sistemi nazionali di sicurezza sociale, che i trattati non consentono. Per l’introduzione di queste misure finanziarie, secondo il documento del PE, è necessario il cambiamento dei trattati, oppure occorrerà ricorrere ad un trattato a parte.

Nel caso, invece, di una politica di trasferimenti finanziari a compensazione di uno shock asimmetrico, se si tratta di trasferimenti incondizionati, e in cui la spesa ultima è competenza del livello nazionale, essi sarebbero incompatibili con i trattati in quanto ostacolerebbero il perseguimento di politiche finanziarie sane (art. 125 TFUE). In ogni caso, sarebbe possibile attivare finanziamenti UE, solo se questi sono indispensabili ai fini del mantenimento della stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e purché soggetti a strette condizioni. I finanziamenti condizionati sarebbero pertanto più in linea con quanto previsto dagli art. 125 e 136.3 TFUE, ma la loro gestione richiederebbe una profonda modifica della struttura istituzionale dell’UE, come potrebbe essere l’istituzione formale di un Tesoro europeo. In questo caso, se si vuole rispettare un normale equilibrio istituzionale tra Commissione e PE e l’equilibrio tra UE e paesi dell’eurozona plus, solo per i quali verrebbe istituito il Tesoro europeo, sarebbe necessaria una modifica dei trattati.

 

Il finanziamento del “fondo”.

Per quanto riguarda il finanziamento di questo “fondo” non sembra possibile, secondo il documento, ricorrere all’introduzione di una vera e propria “imposta europea”. L’articolo sulle risorse proprie dell’UE (311 TFUE) non fornisce una base giuridica sufficiente, mentre gli articoli successivi regolerebbero solo l’armonizzazione fiscale a livello europeo. Diverso è il caso degli articoli relativi all’ambiente ed all’energia (192 e 194 TFUE) che consentirebbero l’adozione di “misure” di natura fiscale, ma solo in base ad una decisione del Consiglio con una decisione all’unanimità e con un ruolo solo consultivo del Parlamento europeo: una procedura di questo tipo in materia fiscale altererebbe però i rapporti tra le principali istituzioni europee e tra l’UE e gli Stati membri e, soprattutto, violerebbe il principio “no taxation, without representation” (ma anche “no representation, without taxation”). Il documento ipotizza anche il ricorso al gettito dell’imposta sulle transazioni finanziarie, ma non spiega se su questa destinazione deve intervenire il PE, o se avviene unicamente in base ad una decisione unilaterale dei paesi che l’hanno introdotta.

Il documento prende anche in considerazione la possibilità di finanziare il “fondo” a debito. Dopo aver ricordato che i trattati esistenti non ammettono il ricorso al debito, se non in casi particolari (un paese con difficoltà di bilancia dei pagamenti), il documento fa presente la possibilità di ricorrere a questo strumento nel caso dei “project bonds”, ma solo se l’entità di questi finanziamenti non supera una certa percentuale del bilancio UE: in caso contrario, si tratterebbe di un aggiramento di fatto di quanto previsto dai trattati e quindi della loro incompatibilità con questi ultimi.

L’istituzione formale di un tesoro europeo come condizione per l’attuazione di una politica di stabilizzazione.

Se la “capacità di bilancio” dovesse avvalersi di risorse raccolte a debito o del gettito di una vera e propria imposta europea, secondo il documento deve essere istituito un Tesoro europeo. Questo è vero soprattutto nel caso in cui si dovessero attivare aiuti condizionati, sottoposti a controllo parlamentare. In questo caso, infatti, ci si troverebbe di fronte a due alternative. Se della funzione di responsabile del Tesoro fosse investito un Commissario europeo, senza modificare i trattati, a fronte di una mozione di sfiducia del PE la Commissione risponderebbe collegialmente per gli atti compiuti dal Commissario a ciò delegato e decadrebbe nel suo insieme. La responsabilità collegiale della Commissione porrebbe quindi un problema, in quanto l’eventuale mozione di sfiducia relativa a decisioni che coinvolgono solo i paesi dell’eurozona plus romperebbe l’equilibrio istituzionale tra Commissione UE e PE e, soprattutto, tra UE e eurozona plus. La stessa difficoltà si avrebbe nel caso in cui la Commissione dovesse prendere a maggioranza una decisione che riguarda solo i paesi dell’eurozona plus. Se, invece, il Tesoro fosse affidato ad un’istituzione specifica, rappresentata da uno dei Commissari, ma scelto e votato dal PE, l’eventuale mozione di sfiducia riguarderebbe solo il Commissario incaricato della funzione di Ministro del tesoro, ma questa innovazione istituzionale richiede una modifica dei trattati.

 

La Risoluzione del PE sull’integrazione differenziata[9]

 

Il PE attuale si è dimostrato ben consapevole dei problemi cui sopra si è fatto riferimento ed in particolare del suo ruolo nel caso di iniziative che riguardassero solo i paesi dell’eurozona. Infatti, il 12 dicembre dello scorso anno ha approvato una Risoluzione con la quale, per la prima volta, prende una posizione esplicitamente a favore all’integrazione differenziata. Il PE si preoccupa però di precisare che la differenziazione deve avvenire in base ad un atto giuridico che si rivolga, inizialmente, a tutti gli Stati membri, anziché con un atto che escluda a priori alcuni Stati.In particolare, per quanto riguarda l’integrazione differenziata in campo economico, la Risoluzione ricorda che il coordinamento delle politiche economiche, occupazionali e sociali appartiene "alla categoria delle competenze concorrenti”, e precisa che esso può essere oggetto di un’iniziativa che coinvolge solo una parte dei paesi membri dell’UE e che l’articolo 136 del TFUE consente “al Consiglio, su raccomandazione della Commissione e con il voto dei soli Stati membri la cui moneta è l’euro, di adottare orientamenti di politica economica vincolanti per i paesi della zona euro nel quadro del semestre europeo”. Il PE si esprime, però, negativamente sulla differenziazione formale del diritto di partecipazione parlamentare. Esso si limita a ricordare che il suo Regolamento “offre un margine di manovra sufficiente per organizzare forme specifiche di differenziazione sulla base di un accordo politico tra i gruppi politici e al loro interno, al fine di assicurare un adeguato controllo dell’UEM”, senza precisare se, nelle materie di interesse della sola eurozona, potrebbero votare unicamente i rappresentanti dei paesi interessati.

Per quanto riguarda gli “accordi contrattuali” che dovrebbero dar vita ad un nuovo strumento di convergenza e di competitività, nell’ambito del semestre europeo, secondo la Risoluzione, oltre ad essere basati sulla condizionalità e la convergenza, essi dovrebbero tener conto anche dell’obiettivo dellasolidarietà. In particolare, essa considera l’istituzione di questo strumento come una fase iniziale del rafforzamento della capacità fiscale dell’UEM e precisa che le risorse finanziarie che dovranno sostenerla devono essere parte integrante del bilancio dell’UE, ma al di fuori dei massimali del QFP, in modo da rispettare i trattati e il diritto dell’Unione europea e garantire il coinvolgimento del Parlamento europeo come autorità di bilancio. Il grave limite della Risoluzione del PE riguarda il finanziamento della capacità di bilancio aggiuntiva. Secondo il PE, esso dovrebbe avvenire con una nuova risorsa propria costituita da contributi erogati dagli Stati membri che partecipano allo strumento di convergenza e di competitività, in virtù di una modifica della decisione sulle risorse proprie. Il ricorso all’utilizzo del gettito dell’imposta sulle transazioni finanziarie, cui la Risoluzione fa riferimento, inoltre, è visto come strumento sostitutivo, e non aggiuntivo, dei contributi degli Stati.

Infine, la Risoluzione ribadisce la sua richiesta di convocazione di una Convenzione europea incaricata della modifica dei trattati e definisce anche il quadro all’interno del quale dovrebbe muoversi: qualsiasi modifica dovrà confermare l’ ”integrazione differenziata” come strumento per raggiungere un ulteriore grado di integrazione europea, salvaguardando al contempo l’unità dell’Unione. La Risoluzione evidenzia inoltre che il PE è consapevole del fatto che, in questa fase, il salto istituzionale da fare è il passaggio al voto a maggioranza (qualificata) in materia di bilancio, anche se non affronta il problema di un vero e proprio potere fiscale europeo. In effetti, essa si limita ad invitare la futura Convenzione europea a esaminare la possibilità di introdurre una procedura legislativa speciale che richieda i quattro quinti dei voti in Consiglio e la maggioranza dei membri che compongono il Parlamento per l’adozione del regolamento che fissa il QFP e della decisione sulle risorse proprie. È vero che, secondo il PE, la Convenzione dovrebbe discutere la possibilità che gli Stati membri la cui moneta è l’euro prevedano risorse proprie specifiche nel quadro del bilancio dell’UE. Ma sembrerebbe che, al momento, l’unica strada percorribile per dotare di risorse proprie l’eurozona sia l’ipotesi avanzata a suo tempo da Mario Albertini di un voto europeo sulla ripartizione del gettito delle imposte tra il livello europeo e nazionale.

 

Conclusioni: un “Meccanismo europeo di solidarietà” per una politica europea di “grants-in-aid

 

Il Blueprint della Commissione e il documento del Presidente del Consiglio europeo prevedono due fasi per l’attuazione di una “capacità di bilancio aggiuntiva”. In una prima fase, la “capacità di bilancio” finanzia la politica di aiuti volontari ma condizionati all’attuazione di riforme strutturali, mentre nella seconda fase la “capacità di bilancio” evolverebbe in una vera e propria politica di stabilizzazione macroeconomica di tipo assicurativo, con l’erogazione di sussidi europei alla disoccupazione, oppure con il parziale assorbimento a livello centrale di shock asimmetrici attraverso aiuti condizionati. Nel primo caso, trattandosi di un accordo volontario, potrebbe essere attuato all’interno dei trattati attuali, ma al prezzo di alterare sensibilmente l’equilibrio istituzionale tra governi nazionali e istituzioni europee, accrescendo in misura grave il deficit di legittimità che già caratterizza l’attuale costruzione europea. Inoltre, come si è visto sopra, questa soluzione, privilegiando i rapporti di forza tra Stati piuttosto che una politica sovranazionale europea, viene rifiutata. D’altro lato, l’istituzionalizzazione degli “accordi contrattuali” e degli aiuti condizionati richiederebbe una modifica dei trattati, avvicinando l’Unione ad una politica in vigore negli Stati federali. In questi ultimi, infatti, la politica degli aiuti condizionati (i cosiddetti “grants-in-aid”) è prassi corrente, e nel contesto europeo essa presupporrebbe, a termine, l’introduzione di imposte europee e l’istituzione di un “ministro europeo del tesoro” responsabile di fronte al PE.

Nel breve termine, i federalisti possono accettare, come prima tappa verso una politica di bilancio dell’eurozona, la politica degli “accordi contrattuali”, ma essa dovrà essere attuata in termini che evidenzino un’inversione di tendenza rispetto alle politiche di solo rigore, avviando politiche sovranazionali di solidarietà. Occorrerà quindi provvedere alla istituzione formale di un “meccanismo (o fondo) europeo di solidarietà” che finanzi le riforme dei paesi dell’eurozona plus con lo strumento dei “grants-in-aid”. Questo “meccanismo”, a sua volta, dovrà essere finanziato con una quota del gettito dell’imposta sulle transazioni finanziarie, in modo che le risorse attivate siano effettivamente aggiuntive a quelle del bilancio UE. Sulla decisione in merito all’entità di questa quota dovranno esprimersi il PE ed i parlamenti nazionali, in base ad una proposta formulata dalla Commissione. Pertanto, non si dovrà fare ricorso ad accordi volontari, bensì a quanto prevedono i trattati. È più che verosimile attendersi che la Germania pretenda garanzie sul corretto impiego di questi fondi aggiuntivi. Recentemente, il ministro delle finanze Schäuble, nel quadro di proposte volte a rafforzare l’eurozona, oltre all’istituzione di un parlamento dell’eurozona, ha suggerito di attribuire ad un Commissario europeo al bilancio il potere di respingere i bilanci nazionali dei paesi che non rispetteranno le regole europee.[10] Questo potere potrebbe essere limitato ai paesi dell’eurozona plus, in modo da lasciare aperta la strada ad una revisione semplificata dei trattati, anche se la Germania non ha ancora precisato la procedura che si potrebbe seguire. In ogni caso, si può pensare ad una soluzione che preveda la realizzazione congiunta del “meccanismo europeo di solidarietà”, finanziato dall’imposta sulle transazioni finanziarie, e il conferimento del potere di respingere un bilancio nazionale in capo alla Commissione. Ma questo non basta. I federalisti dovranno infatti chiedere che, contemporaneamente, si apra un grande dibattito europeo sul conferimento della competenza di una vera e propria politica di bilancio in capo all’eurozona plus, su un calendario preciso per la sua realizzazione e, soprattutto, sul fatto che questa politica sia finanziata da un’imposta europea o, in alternativa, come esito di un voto congiunto del Parlamento dell’eurozona e dei parlamenti nazionali, sulla ripartizione del gettito, tra livello europeo e nazionale, di un’imposta comune.

Domenico Moro

 


[1] Il concetto di “capacità di bilancio” che qui si utilizza è quello cui fa riferimento il documento del Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy: Verso un’autentica unione economica e monetaria, Bruxelles, 5 dicembre 2012.

[2] Commission of the European Communities, Report of the study group on the role of public finance in European integration, Bruxelles, aprile 1977; http://ec.europa.eu/archives/emu_history/documentation/chapter8
/19770401en73macdougallrepvol1.pdf
.

[3] Il documento è consultabile al seguente indirizzo: http://http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/note/join/2013/474397
/IPOL-AFCO_NT(2013)474397_EN.pdf

[4] Risoluzione del Parlamento europeo del 12 dicembre 2013, P7_TA(2013)0598.

[5] Il precedente è costituito dall’istituzione dell’imposta sulle transazioni finanziarie: l’iniziativa è stata assunta dalla Commissione europea che, in assenza dell’unanimità dei paesi UE, su richiesta degli Stati favorevoli ha avviato una cooperazione rafforzata.

[6] La base giuridica per l’attivazione dello strumento è data dall’articolo 121 TFUE relativo alla sorveglianza multilaterale.

[7] EUbusiness, Merkel says open to future eurozone “solidarity fund”, 27 giugno 2013, in: http://www.eubusiness.com/news-eu/germany-finance.pgt.

[8] Philippe Ricard, Angela Merkel: “Tôt ou tard, la monnaie explosera, sans la cohésion nécessaire”, Le Monde, 21 dicembre 2013.

[9] La Risoluzione precisa che "l’integrazione differenziata assume due forme: a più velocità, dove gli Stati puntano a raggiungere gli stessi obiettivi con tempi di attuazione differenti, e a più livelli, dove gli Stati concordano di differenziarsi nei loro obiettivi”.

[10] Wolfgang Schäuble, Strategy for European recovery, intervento alla “Fifth Bruges European Business Conference”, 27 marzo 2014.

 

 

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