Anno XXXVII, 1995, Numero 2, Pagina 116
L’UNIONE EUROPEA E’ LEGITTIMA?
Un saggio comparso su uno degli ultimi numeri de Il Federalista, contenente un ampio esame dello stato attuale dell’integrazione europea, afferma che l’Unione europea non è legittima.[1] Questa affermazione, così semplice in apparenza, ha delle implicazioni molto ampie.
Io propongo di esaminarla alla luce di due osservazioni, ognuna delle quali renderà chiaro un aspetto della strategia federalista in vista della Conferenza intergovernativa del 1996.
Per cominciare, è necessario definire il significato del termine «legittima». In un certo senso, naturalmente, solo un vero sistema federale di governo può pretendere di essere legittimo. Tuttavia, asserire che sempre solo una situazione perfetta è accettabile significa rendere inutile il dibattito politico.
In una società che può andare incontro ad errori, stiamo cercando il modo in cui i problemi possano essere affrontati il meglio possibile. Un medico non rifiuta di usare una potenziale cura perché essa non renderà i suoi pazienti immortali. Dunque, la legittimità può essere trovata in qualcosa di meno compiuto di una federazione.
La legittimità è comunemente definita in modo empirico, ossia tentando di accertare se un sistema ha o non ha in concreto l’appoggio del popolo. Questo approccio è utile, ma non è ancora del tutto sufficiente, perché non lascia nessuno spazio all’ideologia. Dato che io stesso credo in una ideologia, considererò legittimo un sistema politico a cui il popolo deve dare consenso.
Quel «deve» riguarda un sistema politico che sia il più possibile simile al federalismo o che lo renda realizzabile (non necessariamente attraverso la federazione) in qualsiasi momento nel corso del tempo.
Un tale sistema politico dovrebbe essere distinto dai partiti e dai governi che all’interno di esso si susseguono. E’ al sistema politico che si attribuisce la legittimità, basata sulle regole, scritte o non scritte, fondate principalmente su una costituzione.
E’ stato da tempo riconosciuto che il solo mezzo moderno per creare una nuova costituzione è una Assemblea costituente, e che l’elaborazione da parte di essa è il solo modo per attribuire legittimità a un tale documento.[2]
La Convenzione di Filadelfia del 1787 può costituire il nostro modello per un tale processo, sia perché essa è stata il primo esempio, sia perché ha avuto come sbocco una federazione. E’ di una Convenzione come quella che scrive Tom Paine e il fatto che una tale Convenzione non sia stata alla base dello sviluppo della Costituzione inglese lo portò a denunciare il governo del paese nei seguenti termini: «Mancando in Inghilterra una costituzione che ponga restrizioni e regoli lo sfrenato impeto del potere, molte leggi sono irrazionali e tiranniche, e la loro applicazione vaga e problematica».[3]
Questa concezione del sistema di governo britannico non può essere ignorata. Dello stesso Tom Paine è uno scritto in risposta alle Riflessioni sulla rivoluzione francese.[4] Esso era, e rimane, una classica espressione del conservatorismo inglese e dal punto di vista costituzionale ha ancora molto da dire.
Ritornando alla mia definizione di legittimità — la migliore possibile fin qui — il corrente conservatorismo costituzionale gioca un ruolo rilevante nel definire ciò che è possibile.
La costituzione britannica è cambiata in modo significativo dal 1790 in poi, eliminando molti degli aspetti criticati da Tom Paine, ma senza un processo costituzionale definito. E’ sconfortante, perlomeno in termini costituzionali, che molti preferiscano ciò che conoscono a ciò che non conoscono, nonostante siano consapevoli degli evidenti difetti:
«And always keep a hold of Nurse
For fear of finding something worse».[5]
Ciò che vale per la costituzione britannica vale anche per quella europea. Se la Germania ha fornito all’Unione europea un modello per la Banca centrale, e la Francia un modello per la pubblica amministrazione, la Gran Bretagna lo ha fornito per la costituzione. Il Trattato di Roma ha stabilito le linee guida sulla base delle quali il governo dovrebbe funzionare, ma esso non descrive nei particolari il modo in cui l’Unione funziona ora. L’Atto Unico europeo ha infatti introdotto il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio e ha negato il diritto di veto agli Stati nazionali, e il Trattato di Maastricht ha conferito nuovi importanti poteri al Parlamento europeo.
Questi sono enormi e significativi passi avanti, ma non sono il risultato di altrettanto grandiosi e significativi processi. Le Conferenze intergovernative non hanno attirato la stessa attenzione di cui sarebbero state oggetto delle Conferenze costituenti e nemmeno lo meritano.
I passi avanti verso il federalismo che sono possibili attraverso una Conferenza intergovernativa sono molto meno incisivi di quelli che potrebbero imporsi attraverso una Assemblea costituente. I problemi causati dall’eccessiva influenza degli Stati nazionali in Europa non sono così evidenti per chi detiene il potere in quegli Stati come per coloro che ne sono le vittime. La considerazione riduttiva della dimensione del problema è naturalmente rispecchiata nei limiti della soluzione proposta. L’esclusione del popolo dal processo costituzionale inevitabilmente pone dei limiti al possibile successo del processo stesso e gli estensori del Trattato di Maastricht lo hanno reso evidente. I risultati dei referendum in Danimarca e in Francia sono la prova che dalle due Conferenze intergovernative del 1991 non ci si poteva aspettare un maggiore avanzamento verso il federalismo.
Ma torniamo al problema da cui siamo partiti. E’ legittima l’Unione europea? La mancanza di un momento costituente ben definito non significa di per sé stessa che non lo è. Il sistema politico inglese, che per qualsiasi osservatore razionale presenta parecchie falle ed è virtualmente degenerato, purtuttavia mantiene la sua legittimità. Sta crescendo l’importanza dei partiti che invocano una riforma costituzionale (un importante partito sta lentamente adottando tale programma), ma la ferma legittimità del sistema ha due conseguenze.
Primo, gli oppositori del sistema continueranno a contestarlo senza uscire dalla sua logica: il sistema elettorale è l’esempio più famoso, ma non è certo l’unico. Secondo, le proposte di riforma sono tuttora condizionate da situazioni alle quali la gente è abituata.
Per coloro che in Gran Bretagna sono democraticamente orientati questi due ostacoli sono argomenti di recriminazione, ma essi indicano la legittimità del sistema di governo. Il popolo inglese, come si sa, è conservatore per quanto riguarda i problemi costituzionali e sarebbe del tutto sbagliato presumere che il popolo europeo nel suo complesso abbia necessariamente gli stessi orientamenti. Ma le differenze a questo proposito non hanno rilevanza. Il punto è che il popolo è largamente soddisfatto di ciò che ha. Il sistema di governo è ancora ritenuto legittimo: si obbedisce alle sue leggi e si pagano le tasse da esso imposte.
E’ interessante notare che laddove nell’Unione europea non esiste tale consenso, ciò è dovuto a un dispregio per l’esercizio di ogni potere politico e non di quello delle istituzioni europee.
I partiti che vogliono mantenere lo status quo, o qualcosa di simile, predominano nelle elezioni sia a livello europeo che a livello nazionale nella maggior parte dell’Europa. Gli emendamenti al Trattato che essi elaborano in genere sono ratificati da una schiacciante maggioranza parlamentare e da ristrette maggioranze in occasione di referendum. Senza dubbio è sbagliato ritenere che lo status quo sia accettabile, ma questo è lo stato di fatto in cui si trova l’opinione pubblica con cui i federalisti hanno a che fare. E non esiste fra le loro schiere un Lenin che possa tentare di fondare la Federazione europea senza tener conto dell’opinione pubblica.
La prima conclusione che si può trarre da questo esame della legittimità dell’Unione europea è quindi che i federalisti non dovrebbero eccedere nelle loro aspettative: la Conferenza intergovernativa del 1996 non avrà come risultato riforme radicali. Se fosse stato verosimile farle, i governi nazionali non l’avrebbero convocata; se essa le facesse, l’opinione pubblica potrebbe rifiutarle.
Richieste di un cambiamento radicale saranno avanzate da coloro che sono esclusi dal processo costituente piuttosto che da coloro che vi partecipano. Qualsiasi strategia dei federalisti deve sfruttarli al massimo, facendosi cassa di risonanza delle loro voci, poiché è a partire da costoro che potranno affermarsi le richieste di un avanzamento significativo.
A questo punto bisognerebbe notare che si sta mettendo in discussione la legittimità dell’Unione europea a causa dell’estensione dei suoi poteri. Il fatto che molte delle sue politiche non siano efficaci è secondario rispetto al fatto che essa comunque le mette in atto. L’Unione europea sta cercando di creare una coscienza «europea» tra i suoi cittadini, sperando di ottenere una nuova legittimazione legata a una struttura politica che giochi un ruolo maggiore nella loro vita, come ha notato Jürgen Habermas.[6]
La maggior parte del Movimento federalista stesso ha fatto propria questa posizione, sulla base delle potenzialità dell’Unione europea. Questa è stata storicamente una questione controversa, ma il processo verso il federalismo negli ultimi dieci anni ha vinto a scapito di coloro che hanno continuato a manifestare dubbi.
Questo processo — soprattutto l’Atto Unico europeo e il Trattato di Maastricht — ha avuto come risultato una sostanziale riduzione della sfera della sovranità nazionale e il trasferimento di un potere considerevole alle istituzioni sovranazionali. Nessun federalista può guardare a tutto ciò senza vedere il germe di future riforme. Il problema da affrontare ora è come ottenerle. Inoltre, entra in gioco il concetto del percorso più breve per ottenere il federalismo.
Lo sviluppo recente più notevole nel dibattito in vista della Conferenza intergovernativa è stato il famoso documento elaborato da Wolfgang Schäuble e Karl Lamers.[7] La pubblicazione di questo documento ha trasformato il dibattito. Esso ha proposto un avanzamento significativo verso un sistema sovranazionale di democrazia parlamentare e, cosa più importante, ha suggerito che esso sarà possibile solo coinvolgendo un numero ristretto di paesi. L’attuale Unione di quindici paesi ha raggiunto la fine della sua utile esistenza.
La proposta di una democrazia parlamentare sovranazionale è certamente interessante per i federalisti. Tale sistema politico sarebbe il fondamento di una Federazione europea. In parte, la reazione dei federalisti al documento Schäuble-Lamers è stata di sollievo per il fatto che una significativa forza politica in Europa ha fatto sua l’idea di una democrazia parlamentare sovranazionale. Ma ciò che essa non ha fatto suo è il federalismo.
Questo è il secondo punto da sottolineare. La discussione su quali paesi dovrebbero essere inclusi nel «nucleo duro» e quali no — per riconoscimento generale di notevole interesse — ha forse posto in secondo piano la più importante questione relativa ai principi sui quali sarà basato il «nucleo duro». E’ chiaro che quei principi non includeranno il federalismo.
Il vero significato di un «nucleo duro» che crei un sistema di democrazia parlamentare sovranazionale è che quegli Stati che non ne fanno parte perderanno influenza e controllo su alcuni settori di interesse comune. Questo fatto non dovrebbe in sé stesso essere un problema. Tuttavia, ciò che in effetti viene proposto è un radicale cambiamento di direzione. Come abbiamo visto, c’è stato un largo consenso per l’Unione europea così come è attualmente organizzata. E l’Unione europea che ha ottenuto questo consenso incarna due principi: un cammino graduale verso la democrazia (basandosi in generale sul modello inglese), da una parte, e un graduale allargamento, dall’altra.
Le proposte fatte da Schäuble e Lamers accettano il primo principio a spese del secondo. In sostanza, essi concludono che la strategia di progressivo allargamento dell’Unione europea nel corso degli anni è stata un errore. Ancora una volta, ciò non è di per sé stesso un problema. E’ un problema invece il modo in cui questa proposta è emersa.
La precedente conclusione, che cioè la Conferenza intergovernativa del 1996 non avrà come risultato proposte radicali, vale anche in questo caso. Una proposta che muti radicalmente l’Unione europea e crei qualcosa di nuovo non sarebbe il risultato di un pubblico dibattito e di un accordo: essa nascerebbe dall’incapacità dei politici di trovare un accordo. Essa vedrebbe la luce in un clima di scontro tra i diversi paesi e sarebbe un disegno tratteggiato con il metodo intergovernativo.
Ciò non può acquistare legittimità. Non è in alcun modo un processo costituente e non possiederà la legittimità acquisita col tempo, come è avvenuto per l’attuale Unione. Un Conferenza intergovernativa non può decidere una soluzione radicale accettabile. Le proposte di Schäuble e Lamers non possono rappresentare la prospettiva accettabile più vicina al federalismo, e devono quindi essere rifiutate.
Ciò significa che la questione relativa alla legittimità o meno dell’Unione europea porta a quella del modo in cui può essere creata una federazione. E’ inevitabile. Dopotutto, i federalisti non hanno mai accettato l’Unione come fine in sé stesso: il suo valore consiste soprattutto nelle possibilità che essa apre.
Il problema fondamentale è una errata corrispondenza fra fini e mezzi. I fini che noi desideriamo non sono raggiungibili con i mezzi che ci si offrono. (Le richieste avanzate dall’UEF al Congresso tenutosi nell’ottobre del 1994 evidenziano questo problema: la Conferenza intergovernativa è solo un passo intermedio prima del lancio del processo costituente).[8]
Gli autori della proposta del «nucleo duro» si sono forse scontrati con il problema fondamentale della legittimità nel contesto dell’Unione europea. Questa ha una certa legittimità che le deriva da ciò che ha offerto ai suoi cittadini e, soprattutto, da ciò che potrà offrire in futuro. In questo senso, pertanto, l’Unione ha una legittimità che le Conferenze intergovernative che le hanno dato vita non hanno.
Richard Laming
[1] Guido Montani, «Cittadinanza europea e identità europea», in Il Federalista, XXXVI (1994), pp. 95-126.
[2] Cfr., per esempio, Lucio Levi, «Recenti sviluppi della teoria federalistica», in Il Federalista, XXIX (1987), pp. 105-144.
[3] Tom Paine, Rights of Man (1792), Harmondsworth, Penguin Books, 1969.
[4] Edmund Burke, Riflessioni sulla rivoluzione francese (1790), Bologna, Cappelli, 1930.
[5] [E tieniti sempre attaccato alla balia/nel timore di trovare di peggio] (trad. del curatore). Hillaire Belloc, «Jim», da Cautionary Tales, 1907.
[6] Jürgen Habermas, Legitimation Crisis, 1975.
[7] Wolfgang Schäuble e Karl Lamers, Riflessioni sulla politica europea, 1994 (documento pubblicato a cura del MFE nel Quaderno n. 1 della Campagna per la democrazia europea dal titolo Le proposte sul «nucleo federale»).
[8] UEF, «La riforma della Costituzione europea», in Il Federalista, XXXVII (1995), pp. 80-62.