Anno XLII, 2000, Numero 3, Pagina 199
UNA COSTITUZIONE FEDERALE
PER L’EUROPA*
Grazie al discorso del 12 maggio del Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer all’Università Humboldt di Berlino e a quello del 27 giugno del Presidente francese Jacques Chirac al Bundestag i problemi cruciali del processo di unificazione europea sono stati all’attenzione dell’opinione pubblica. Si è incominciato a prendere coscienza del fatto che senza una radicale trasformazione delle istituzioni dell’Unione questa non sarà in grado di reggere all’urto dell’allargamento e rischia di fallire, con conseguenze catastrofiche per la pace, la democrazia e il benessere in Europa. I temi del punto d’arrivo del processo e dei suoi tempi vengono ormai ampiamente dibattuti. Termini come «federalismo» e «costituzione» hanno cessato di essere dei tabù. Il dibattito è ancora viziato dalla presenza di ambiguità e di contraddizioni. I federalisti hanno dunque il dovere di cercare di dare un contributo alla chiarificazione dei termini dei problemi sul tappeto per rendere più spedito, nei limiti del possibile, il processo di presa delle decisioni. Questi problemi si possono raggruppare in tre capitoli: I) la natura e il punto d’arrivo del processo costituente, II) i principi generali della Costituzione europea e III) le istituzioni e la ripartizione delle competenze.
I) La natura e il punto d’arrivo del processo costituente
Il metodo intergovernativo.
La radice dell’impotenza dell’Europa e della estraneità delle sue istituzioni ai cittadini sta nell’essenza del metodo intergovernativo, cioè nel fatto che le decisioni che vengono prese a Bruxelles non sono il punto d’arrivo di un dibattito democratico a livello europeo, ma faticosi compromessi tra governi di Stati sovrani, ognuno dei quali si propone di perseguire (anche se all’interno di un quadro di compatibilità europeo) i propri interessi nazionali. Questo vale a maggior ragione ogniqualvolta si pone il problema di una riforma delle istituzioni dell’Unione, che viene sempre affrontato dai governi nazionali nella prospettiva di adeguare le forme della collaborazione intergovernativa all’evolversi delle circostanze senza intaccare il principio della sovranità nazionale. Si tratta di un vizio che è presente anche nelle proposte di alcuni dei politici più avanzati sul terreno europeo, e che si manifesta oggi con particolare frequenza nella convinzione che la riforma radicale della quale l’Unione europea ha urgente bisogno si esaurisca in un miglioramento del meccanismo della cooperazione rafforzata. La verità è che il problema da risolvere per consentire all’Unione di uscire dalla grave situazione di impasse in cui si trova — e che sarà ulteriormente aggravata dall’allargamento — è quello del superamento del metodo della cooperazione intergovernativa in quanto tale (rafforzata o no) e della sua sostituzione con il metodo della formazione democratica della volontà politica, cioè con la creazione di un potere che, nei settori di sua competenza, venga controllato dai cittadini ed agisca direttamente su di essi, senza lo schermo degli Stati membri.
La sovranità.
Un’opinione motivata su quale possa e debba essere l’esito del processo di unificazione europea si può fondare esclusivamente sull’attualità che si attribuisce all’idea di sovranità. Bisogna ricordare a questo proposito che, se per sovranità si intende il potere di decidere in ultima istanza, se quindi la sovranità è il fondamento del diritto, e in quanto tale la condizione di possibilità della convivenza civile, l’assenza di sovranità comporta una situazione di anarchia, come quella che si è prodotta nel corso del Medio Evo, quando il conflitto per la supremazia tra molteplici poteri concorrenti impediva la formazione dei presupposti politici della certezza del diritto e della pace sociale. Eppure oggi molti ritengono che quella di sovranità sia un’idea ormai superata. Costoro accettano la prospettiva che quella che sta per aprirsi sarà un’epoca nella quale la convivenza civile sarà regolata assai più da rapporti contrattuali di tipo privatistico che da norme emanate da un potere irresistibile superiore agli individui e nella quale comunque più ordinamenti — più ampi o più ristretti di quello statale — si intersecheranno senza essere subordinati l’uno all’altro in una precisa gerarchia, determinando una situazione nella quale ogni organizzazione, e al limite ogni singolo individuo, dovrà farsi carico da sé del problema della propria sicurezza. L’umanità starebbe quindi entrando in una sorta di secondo Medio Evo tecnologico nel quale lo Stato di diritto, la cittadinanza e la solidarietà diventerebbero evanescenti fino a scomparire, per essere sostituiti da rapporti sociali eminentemente incerti, a metà tra la pace e la guerra, fondati sull’autodifesa e sulla prevaricazione dei più forti sui più deboli.
Federazione e confederazione.
In questo quadro molti sostengono, ispirandosi a una dottrina diffusa in certi ambienti accademici europei, che l’obiettivo della Federazione europea è superato dai fatti perché la mondializzazione ha ormai reso obsoleto lo Stato come fondamento e garanzia della convivenza civile. E’ questa la tesi che è alla base della negazione, sempre più frequentemente ripetuta, dell’attualità dell’opposizione tra federazione e confederazione — nella quale il criterio discriminante è appunto costituito dalla sede della sovranità — e della sua applicabilità al processo di unificazione europea. Si sostiene che l’Unione europea costituisce una forma di aggregazione politica sui generis per la cui comprensione le categorie tradizionali del pensiero politico e costituzionale non avrebbero più alcun valore. Ed è vero che l’Unione europea presenta elementi di novità rispetto a qualsiasi modello di unione di Stati che ha preso forma nella storia passata, e che in essa a caratteristiche confederali si accompagnano caratteristiche federali. Il problema che si tratta di risolvere è quello di capire se l’Unione europea nella sua forma attuale costituisce una forma di aggregazione politica stabile o non è piuttosto la precaria espressione istituzionale di una fase di transizione.
Lo Stato federale europeo.
Se si ritiene che l’idea di sovranità, e con essa quelle di Stato di diritto, di cittadinanza e di solidarietà, non siano superate, e nello stesso non si vogliono chiudere gli occhi di fronte alla realtà del processo di progressivo allargamento dell’interdipendenza dei rapporti tra uomini, la soluzione di questo problema appare chiara. L’attuale assetto istituzionale dell’Unione è un assetto fragile e destinato a sfociare nella creazione di uno Stato federale europeo, dotato in quanto tale dell’attributo della sovranità, oppure a dissolversi facendo ripiombare l’Europa nel caos degli opposti nazionalismi. Quella della creazione di uno Stato federale europeo è la sola strada per riaffermare il primato della politica e dei suoi valori, per riprendere il controllo del processo di globalizzazione, per immaginare le istituzioni necessarie all’organizzazione della convivenza civile in spazi più vasti e all’estensione della democrazia e delle sue istituzioni a livello internazionale e per suscitare le motivazioni senza le quali questo progetto non potrebbe essere perseguito. Si deve comunque sottolineare con forza che negli Stati federali la sovranità non è una prerogativa del livello centrale di governo, ma della Federazione intesa come insieme delle sue articolazioni territoriali, e quindi è compatibile con il più ampio decentramento e con la più rigorosa applicazione del principio di sussidiarietà.
Il popolo europeo.
Molti euroscettici sostengono che la Federazione europea non può venire ad esistenza perché non esiste un popolo europeo. Altri per contro affermano che un popolo europeo non può nascere se non dal confronto politico che si svolgerebbe nel quadro delle istituzioni di una Federazione europea. La verità è che popolo e Stato nascono insieme, in quelle eccezionali occasioni storiche nelle quali la società civile esce dalla sua passività, acquisisce una nuova fisionomia, mette da parte gli egoismi e le contrapposizioni che caratterizzano la sua vita normale e impone con una irresistibile manifestazione di volontà un nuovo assetto istituzionale e una nuova idea dell’interesse generale. In Europa occorrerà quindi che tante opinioni pubbliche nazionali si trasformino in un unico popolo europeo che, per il fatto stesso della sua nascita, trasferirà la sovranità dagli Stati nazionali ad uno Stato federale europeo. E’ opportuno sottolineare che il popolo europeo, per nascere, ha bisogno, oltre che di circostanze favorevoli, di una guida, cioè di alcuni leaders che si trovino ai massimi livelli di responsabilità politica nei paesi più profondamente coinvolti nel processo e che sappiano capire la gravità del momento storico e lanciare le parole d’ordine adeguate.
La procedura costituente: le sue due fasi.
In questa prospettiva si pone il problema della via per giungere alla approvazione e alla proclamazione della Costituzione europea. Dato per scontato che il momento eccezionale nel quale si aprirà la fase costituente non potrà essere previsto né programmato, resta la necessità di tentare di definire le possibili procedure attraverso le quali, una volta che se ne siano verificate le condizioni di possibilità, si realizzerà il processo costituente. Queste procedure comunque si articoleranno in due fasi: quella della decisione di alcuni governi di fondare la Federazione europea e quella della elaborazione, da parte di un organo legittimato dall’elezione popolare, di un documento costituzionale.
Il nucleo federale.
Il trasferimento della sovranità dipenderà in primo luogo da una decisione dei governi. Il problema principale che si porrà in questa fase del processo sarà costituito dal fatto che la consapevolezza della necessità di rinunciare alla sovranità non si porrà con la stessa urgenza a tutti i dell’Unione europea, e a maggior ragione a tutti quelli dell’Unione allargata. D’altra parte un rinvio sine die della decisione, nell’attesa che la relativa consapevolezza maturi in tutti gli Stati dell’Unione, non costituirebbe una risposta al problema, perché il processo di unificazione europea è ormai giunto di fronte al bivio tra la federazione e la dissoluzione. Il solo modo per uscire da questa impasse è la formazione, all’interno dell’Unione, di un nucleo federale, costituito dai più avanzati sulla strada dell’integrazione e della maturità europea delle coscienze dei politici e dei cittadini e destinato ad allargarsi col tempo fino a comprendere tutti i paesi membri dell’Unione. La formazione del nucleo federale consentirà ai paesi che ne faranno parte di prendere la decisione dell’abbandono della sovranità senza essere bloccati dal veto di quelli che vorranno o dovranno rimanerne fuori. Il nucleo potrà nascere da una trattativa al termine della quale gli Stati membri dell’Unione raggiungeranno un accordo sul come far convivere le nuove istituzioni del nucleo federale con le precedenti istituzioni dell’Unione, oppure da un’azione di rottura condotta al di fuori dei Trattati dai paesi decisi a formarlo. Così come è ipotizzabile, almeno in astratto, che la sola minaccia della rottura consenta il raggiungimento di un accordo unanime di tutti gli Stati dell’Unione su di un progetto federale. In ogni caso un esame approfondito delle disposizioni attraverso le quali potrebbe essere realizzata la compatibilità tra l’ordinamento del nucleo federale e quello dell’Unione costituirebbe un importantissimo strumento in questa fase decisiva del processo. Si tratta di norme che dovrebbero prevedere la partecipazione del nucleo federale all’Unione come uno dei suoi Stati membri, la possibilità di aderire al nucleo da parte dei che lo vorranno e che ne accetteranno senza riserve la Costituzione e la garanzia agli Stati che non faranno parte del nucleo fin dall’inizio di preservare, se lo vorranno, l’acquis communautaire.
L’Assemblea costituente.
Per quanto riguarda la redazione della Costituzione, il problema principale riguarda la natura dell’Assemblea che dovrà esserne incaricata. Le alternative attualmente pensabili sono: il Parlamento europeo, un’Assemblea composta dal Parlamento europeo e da rappresentanze dei Parlamenti nazionali o un’Assemblea costituente eletta per l’occasione. Quest’ultima opzione sembra la più realistica, se si tiene conto del fatto che verosimilmente il problema si porrà in un quadro più ristretto di quello dell’Unione attuale, e che quindi il Parlamento europeo, in quanto istituzione di quest’ultima, non sarà legittimato ad elaborare un documento costituzionale riguardante una diversa compagine di Stati; nonché del fatto che il Parlamento europeo, malgrado l’episodio del Progetto di trattato elaborato sotto l’impulso di Spinelli all’inizio degli anni ‘80, rimane pur sempre un organo di natura legislativa, come tale privo di una vocazione costituente. Con questo non si vuole comunque escludere che il mandato costituente possa venire attribuito ai soli parlamentari europei eletti nei paesi facenti parte del nucleo federale, da soli o con l’aggiunta di parlamentari nazionali.
II) I principi generali della Costituzione europea.
La Costituzione europea.
Resta il fatto che la procedura, qualunque essa sia, dovrà comunque concludersi con la redazione, da parte di un’Assemblea che rappresenti democraticamente il popolo europeo, di un documento costituzionale. Si tratta quindi di esaminare i problemi più importanti che riguardano il suo contenuto e di presentare una serie di proposte. Alcune di esse sono da considerare irrinunciabili, in quanto condizioni necessarie di un effettivo trasferimento di sovranità, mentre altre hanno la funzione di mettere in vista l’esistenza di un problema e di predisporre una piattaforma per il dibattito. Esse riguardano, da una parte, i principi generali che devono ispirare la costituzione e, dall’altra, le istituzioni della Federazione e le relative competenze.
Il Preambolo.
Il Preambolo del documento costituzionale dovrebbe contenere un riferimento alla linea di sviluppo storico nella quale si collocherà la fondazione della Federazione europea, che sarà quella del progressivo superamento delle barriere tra i popoli per la promozione della pace. A questo scopo dovrebbe essere espressamente dichiarata la disponibilità della Federazione europea ad operare per la trasformazione in senso democratico e sovranazionale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e a trasferirle poteri a parità di condizioni con gli altri Stati membri.
Diritti e doveri.
Un tema che normalmente viene affrontato nel Preambolo e nei primi articoli delle costituzioni moderne è quello dei diritti (e dei doveri) dei cittadini. Si tratta di un problema che non può essere da disgiunto da quello delle istituzioni e delle loro competenze. Qualunque dichiarazione dei diritti separata dal documento costituzionale nel quale si definisce la struttura di uno Stato serve soltanto come artificio retorico per non occuparsi del problema decisivo della sovranità. Peraltro un elenco di diritti deve essere inserito nella Costituzione non tanto perché esista un problema grave ed attuale di rispetto dei diritti umani all’interno attuali Stati membri dell’Unione, quanto perché una delle caratteristiche distintive della Federazione europea sarà quella di essere aperta verso l’esterno, sia perché l’Unione sarà destinata ad allargarsi con l’adesione di nuovi Stati, sia perché essa continuerà ad essere terra di immigrazione. Dalla sua apertura dipenderà la sua forza di irraggiamento e la sua capacità di diffondere nel mondo i valori del federalismo. Ma si dovrà trattare di un’apertura subordinata a rigorose condizioni. Alcune di esse —realisticamente — non potranno non essere di contenuto economico. Altre saranno invece di natura politica. E queste dovranno riguardare essenzialmente il rispetto delle regole della democrazia e il riconoscimento, nell’ordinamento giuridico degli Stati candidati all’adesione e nella realtà quotidiana della convivenza con le comunità di immigrati, dei diritti fondamentali (e dei relativi doveri) che si sono venuti definendo nel corso dello sviluppo della civiltà giuridica europea. Il fatto di ancorare alcuni principi fondamentali, come — per esempio — quello della parità tra i sessi e della dignità della donna, nella Costituzione metterebbe in chiaro al di là di ogni dubbio quali saranno gli standards di comportamento irrinunciabili ai quali qualunque Stato o individuo che vorrà diventare membro o cittadino della Federazione europea dovrà adeguarsi. Il rispetto del pluralismo religioso e la laicità dello Stato non devono infatti significare neutralità dello Stato rispetto ai valori di fondo della convivenza civile, che di fatto costituiscono la condizione stessa della sua sopravvivenza.
La cittadinanza.
Un tema strettamente legato a quello dei diritti e dei doveri è quello della cittadinanza. Essa dovrà essere unica per tutta la Federazione. Ciò significa che la cittadinanza europea non dovrà essere, come quella sancita dal Trattato di Maastricht, un puro addentellato di quella nazionale. La conseguenza di questo principio sarà che il regime giuridico al quale i cittadini europei saranno sottoposti, per le materie di competenza degli ordinamenti giuridici nazionali (nonché di quelli regionali e locali) dipenderà esclusivamente dal loro luogo di residenza, che essi potranno liberamente scegliere.
Il servizio civile.
Dovrebbe essere costituzionalmente sancita l’introduzione di un servizio civile obbligatorio, i cui compiti siano essenzialmente quelli di contribuire all’espletamento delle funzioni legate alla tutela del territorio e dei beni culturali, alla gestione dei servizi sociali, alla collaborazione con i paesi meno sviluppati. Il servizio civile avrebbe un’importante funzione di legittimazione della nuova comunità politica federale, consentendo ai giovani di entrare in contatto profondo con la realtà sociale di regioni della Federazione diverse dalla loro regione di nascita e di rappresentare la Federazione al di fuori dei suoi confini. In questo modo il lealismo nei confronti della Federazione europea verrebbe fondato nell’animo dei giovani più sulla solidarietà sociale e sull’apertura verso l’esterno che sul dovere, prevalente nello Stato nazionale, di difendere la patria in armi.
Il diritto di secessione.
Un ultimo problema che rientra nell’ambito dei principi fondamentali è quello del diritto di secessione. Il diritto di secessione costituisce uno degli elementi discriminanti tra la federazione e la confederazione. Soltanto un’entità che abbia mantenuto la propria sovranità (che quindi si fondi su di un popolo distinto) conserva il diritto di sciogliersi da un patto che abbia stipulato con altri Stati sovrani. In una federazione invece gli Stati membri rinunciano definitivamente alla propria sovranità e la nuova entità che deriva dal patto di unione non si fonda più su popoli distinti, ma su di un unico popolo. Gli Stati membri perdono quindi definitivamente il diritto di sciogliersi dalla Federazione. Nel caso dell’Europa una secessione sarebbe la negazione di quella identità del popolo europeo sulla quale si fonderà la validità dell’ordinamento costituzionale della Federazione. Essa configurerebbe quindi un evento eminentemente e intrinsecamente anticostituzionale.
III) Istituzioni e ripartizione delle competenze.
La forma di governo.
Per iniziare un’analisi sommaria della problematica strettamente istituzionale, si deve osservare che il punto essenziale dal quale dipende il trasferimento della sovranità dalle nazioni all’Europa è quello di fare della dimensione europea il quadro fondamentale della lotta politica e della formazione della volontà politica, e non un ambito nel quale si confrontano posizioni che si sono già formate nella lotta politica nazionale. A questo fine il problema principale da risolvere sarà quello di creare le condizioni istituzionali grazie alle quali un esecutivo europeo possa poggiare sul consenso democratico dei cittadini. Questo obiettivo può essere raggiunto grazie all’istituzione di un governo di tipo americano, di un governo parlamentare o di un governo di tipo svizzero. La formula svizzera — che prevede un esecutivo di natura sostanzialmente tecnica — non sembra potersi applicare ad uno Stato di dimensioni continentali, che avrà grandi responsabilità internazionali e nel quale non potranno non manifestarsi forti tensioni interne. Rimane la scelta tra formula presidenziale e formula parlamentare. Si tratta di un’opzione che deve essere fatta tenendo conto della circostanza che la Federazione europea costituirà una comunità politica nuova, che fonderà in un unico popolo pluralistico popoli nazionali diversi per lingua, cultura e tradizioni, e il cui lealismo nei confronti della Costituzione federale sarà inizialmente debole. Il compito delle istituzioni della Federazione dovrà quindi essere quello di non accentuare le contrapposizioni, ma al contrario di attenuarle, convogliando verso di sé il grado più elevato possibile di consenso. Sembra che questo obiettivo potrebbe essere raggiunto più facilmente attraverso l’adozione della formula parlamentare che attraverso quella della formula presidenziale. Questa infatti metterebbe l’uno di fronte all’altro, nella competizione per l’elezione alla carica di Presidente, singoli candidati di nazionalità diverse, incoraggiando pericolose contrapposizioni nazionalistiche. Al contrario, la valorizzazione del Parlamento grazie all’attribuzione allo stesso del compito di dare e di togliere la fiducia all’esecutivo (anche se questo potere dovrà comunque essere accuratamente regolato per garantirne un uso responsabile) otterrebbe l’effetto opposto, perché nel Parlamento le contrapposizioni nazionali sarebbero temperate dalla collegialità dell’istituzione e dalle affinità di orientamento tra le grandi famiglie politiche europee che in essa sarebbero rappresentate. Non si deve inoltre dimenticare che un sistema parlamentare sarebbe più facilmente accettabile in quanto è già prefigurato dall’attuale struttura istituzionale dell’Unione.
Potere legislativo e potere esecutivo.
Decisa questa opzione, si possono dare indicazioni più precise circa la forma che dovranno assumere, nell’Unione federale, il potere legislativo e il potere esecutivo. Si tratta di togliere al Consiglio dei Ministri il cumulo dei poteri legislativi ed esecutivi che ne fanno attualmente il simbolo del carattere autoritario dell’Unione, trasformando questo organo in una Camera degli Stati; di affidare tutto il potere legislativo al Parlamento europeo perché lo eserciti su di un piano di parità con la Camera degli Stati; di fare dell’attuale Commissione il governo dell’Unione, responsabile di fronte alla Camera bassa, attribuendole la pienezza del potere esecutivo. Le due Camere dovrebbero deliberare a maggioranza, tranne che in materia di revisione costituzionale, dove sarebbe necessaria una maggioranza qualificata oltre a qualche genere di partecipazione al processo degli organi legislativi dei livelli inferiori di governo o all’intervento diretto degli elettori attraverso lo strumento del referendum. La Camera degli Stati dovrebbe essere eletta dai parlamenti degli Stati membri (con preferenza rispetto all’elezione a suffragio universale e alla rappresentanza diretta dei governi degli Stati membri per non trasformare la Camera degli Stati in un doppione del Parlamento e insieme per consentire che ogni Stato membro sia rappresentato non soltanto dai partiti di governo, ma anche dalle opposizioni). La rappresentanza degli Stati membri in seno alla Seconda Camera dovrebbe dare un maggior peso relativo ai piccoli Stati rispetto ai grandi, senza giungere alla rappresentanza paritetica in vigore negli Stati Uniti, per non penalizzare oltre misura gli Stati maggiori. In questo quadro l’attuale Consiglio europeo dovrebbe assumere la funzione di Presidenza collegiale dell’Unione, con il potere di nominare il Capo del governo e di sciogliere la Camera bassa. Le istituzioni della Federazione dovrebbero essere investite — eventualmente alla scadenza di un periodo transitorio, purché di una durata predeterminata — delle competenze della politica estera e della difesa.
La molteplicità dei livelli di governo.
Una menzione particolare merita il problema dell’articolazione della Federazione in più livelli di governo. La molteplicità dei livelli sarebbe già realizzata all’atto della nascita della Federazione limitatamente a quelli tra i suoi Stati membri che hanno già una struttura federale o quasi-federale, come la Germania, il Belgio, l’Austria, la Spagna e, domani, l’Italia e la Gran Bretagna. Non è certo pensabile che, per contro, Stati come la Francia adeguerebbero immediatamente a questo modello le loro istituzioni interne. La Costituzione dovrà comunque contenere una norma programmatica che prescriva le grandi linee di una suddivisione in più ambiti di diversa dimensione dell’intero territorio della Federazione, sulla base della quale dovranno essere ripartite le funzioni di governo. Questa suddivisione non si dovrebbe fermare al livello regionale, perché l’accentramento regionale è più pericoloso e soffocante di quello nazionale, ma dovrebbe estendersi a quello locale, che costituisce il vero luogo della democrazia partecipativa. Si deve sottolineare che soltanto nell’ambito di una vero e proprio Stato federale articolato in più livelli di governo è possibile dare un senso al cosiddetto principio di sussidiarietà, in forza del quale ogni decisione deve sempre essere presa al livello di governo più vicino ai cittadini che sia compatibile con la sua efficacia: mentre oggi questo principio viene utilizzato in modo surrettizio come alibi per giustificare il rifiuto da parte degli Stati nazionali di fondare uno Stato federale. Sempre in questo contesto si deve mettere l’accento sulla totale infondatezza della pretesa di rappresentare a livello europeo i governi regionali e locali (come accade oggi con il Comitato delle Regioni). Agli organi regionali e locali di governo deve essere assegnata dalla Costituzione un’ampia sfera di competenze, il cui esercizio deve essere garantito, oltre che dalla Corte di giustizia, dalla loro presenza nelle Seconde Camere dei livelli di governo immediatamente superiori; mentre una rappresentanza dei governi regionali e locali a livello continentale porterebbe soltanto (sempre che non fosse del tutto simbolica, cioè inutile) ad uno spostamento al centro di decisioni di interesse regionale e locale, con la confusione dei poteri e la paralisi deliberativa che ne conseguirebbero.
Il potere giudiziario e il primato della Costituzione.
Il potere giudiziario dovrebbe far capo alla Corte di giustizia. Questa dovrebbe avere insieme la funzione di Corte costituzionale e di Corte di cassazione, data la difficoltà di separare chiaramente i compiti dell’interpretazione delle leggi e del giudizio sulla loro costituzionalità. Vi dovrebbe essere un unico sistema giudiziario (e non due come negli Stati Uniti) che applicherebbe le norme degli ordinamenti federale, statale, regionale e locale; e questo sia per evitare conflitti di giurisdizione, sia per non creare un apparato pesante e dispendioso. Si deve peraltro notare che il sistema giudiziario non apparterrebbe ad uno specifico livello di governo, ma sarebbe del tutto indipendente dalle articolazioni territoriali dei poteri legislativo ed esecutivo, proprio in quanto esso avrebbe la funzione di dirimere i conflitti di competenza tra i vari livelli applicando le norme della Costituzione. Nulla impedirebbe che il sistema giudiziario europeo risultasse dalla fusione e dall’adattamento dei sistemi giudiziari nazionali attualmente esistenti, purché tutti si riferissero in ultima istanza alla Corte di giustizia come tribunale di ultima istanza e fosse garantita la circolazione dei magistrati, subordinatamente al possesso delle necessarie competenze linguistiche, da uno Stato all’altro. Dal punto di vista disciplinare e della gestione delle carriere, il sistema giudiziario europeo dovrebbe far capo ad un Consiglio superiore nominato dagli stessi magistrati. Il trattamento finanziario dei giudici dovrebbe essere assicurato pro-quota da tutti i livelli di governo e determinato da un organo nel quale tutti i livelli di governo siano rappresentati su di un piede di parità. Si deve notare che in questo quadro verrebbe a cadere qualsiasi giustificazione del cosiddetto primato del diritto comunitario su quello nazionale. Le sole norme che prevarrebbero su tutte le altre sarebbero quelle della Costituzione. Le norme applicabili ad ogni singolo caso secondo i criteri stabiliti dalla Costituzione nell’interpretazione datane dal sistema giudiziario, siano esse federali, statali, regionali o locali, sarebbero valide ad esclusione di tutte le altre e sottratte a qualunque gerarchia. Verrebbe in questo modo eliminata un’anomalia dell’attuale ordinamento giuridico comunitario che è una diretta conseguenza della mancanza di una Costituzione federale.
La ripartizione delle competenze.
Rimane il complesso dei problemi legati alla ripartizione delle competenze tra i vari livelli di governo e degli strumenti per il loro esercizio. Qui non si può che tentare di dare alcune sommarie indicazioni. Lo stretto grado di interrelazione tra tutti gli aspetti della vita politica, economica e sociale, determinato dal ritmo incalzante del progresso tecnologico, mette in questione il criterio stesso con il quale vengono divise le competenze tra i livelli di governo negli Stati federali tradizionali. La divisione delle competenze per materia non sembra più rispondere alle esigenze alle quali deve far fronte uno Stato federale moderno perché ormai non vi è più alcun settore della convivenza civile che possa essere regolato ad un solo livello territoriale. Il criterio della ripartizione per materia dovrebbe quindi essere sostituito dal criterio di ripartizione per territorio, in forza del quale tutti i livelli di governo si occupano di tutti gli aspetti della vita economica, sociale e culturale, ma nei limiti geografici della loro giurisdizione. Ciò implica la necessità di una stretta interazione tra i diversi livelli di governo, e quindi di un’interpretazione cooperativa del federalismo, e rende più difficile e delicata la funzione del potere giudiziario, la cui funzione è, tra le altre, quella di dirimere i conflitti di competenza.
Bilancio federale e ripartizione dei tributi.
L’ammontare complessivo delle entrate e delle spese dei vari livelli di governo dovrebbe quindi essere determinato da uno strumento finanziario facente parte di un programma pluriennale — rettificabile di anno in anno — approvato dalle due Camere federali in seduta comune con l’aggiunta di rappresentanti dei livelli inferiori di governo, tenendo conto dei programmi dei livelli di governo di dimensione statale, e locale. L’imposizione fiscale non dovrebbe essere lasciata alla libera competizione tra i vari livelli di governo, che porterebbe, a seconda delle circostanze, ad un accumulo eccessivo di imposte a carico del cittadino o a forme di dumping fiscale. Il gettito delle imposte dovrebbe essere ripartito tra i vari livelli di governo di comune accordo, e comunque nel rispetto di quote minime spettanti a ciascun livello. A questa struttura del meccanismo decisionale in materia finanziaria dovrebbe fare riscontro un’amministrazione fiscale unica, con a capo un’autorità indipendente nominata e revocabile da un organo nel quale siano rappresentati tutti i livelli di governo. I funzionari dovrebbero essere pagati con lo stesso criterio suggerito per i magistrati.
Publius
* Testo della Lettera Europea n. 16 (ottobre 2000), pubblicata dalla Fondazione europea Luciano Bolis a sostegno della «Campagna per una Costituzione europea», promossa dall’Unione europea dei federalisti e dagli Young European Federalists e diffusa in italiano, inglese, francese e tedesco.