Anno LVi, 2014, Numero 3, Pagina 323
IL FEDERALISMO COME
NUOVO COMPORTAMENTO POLITICO*
Il processo di unificazione europea è il primo tentativo, nella storia dell’umanità, di costruire democraticamente un potere sovranazionale.
Gli unici precedenti storici cui ci si può richiamare, ma con profonde e sostanziali differenze, sono quello della nascita degli Stati Uniti d’America sul piano istituzionale, e quello del Risorgimento italiano per quanto riguarda l’intervento di una forza di ispirazione democratica esterna al potere. Ma, fatte salve queste due parziali eccezioni, la politica è sempre stata l’arte della conquista del potere e/o l’arte di governare. Questo è vero anche per la politica rivoluzionaria che, anche laddove si proponeva di cambiare il regime, ha sempre avuto come obiettivo quello di conquistare il potere esistente utilizzando gli strumenti normali del voto e/o della violenza.
La radicale novità del processo europeo è invece quella di non coincidere con una battaglia per conquistare un potere, bensì di avere come obiettivo la nascita di un potere che ancora non esiste e che deve unificare poteri statali dalla fortissima identità politica e storica; e deve farlo democraticamente, portando quegli stessi poteri a cedere sovranità e a trasferirla ad un potere statuale comune. Gli strumenti normali della politica (voto o violenza), quindi, non servono; e le forme finora sperimentate della vita politica non possono avere un ruolo propulsivo. Infatti, così come il corso normale della vita politica non presenta processi di fusione/unificazione di più Stati, ma solo l’evoluzione degli Stati stessi e delle loro relazioni, così la partecipazione alla vita politica, da parte delle forze politiche, si organizza nel quadro del potere esistente, dove si esercita la sovranità, contribuendo al consolidamento di tale potere e non al suo superamento.
Tutto questo fa sì che la forza rivoluzionaria che si fa carico della battaglia per la nascita della Federazione europea debba avere caratteristiche del tutto particolari (“il nuovo modo di fare politica” teorizzato da Albertini); come scrive Spinelli già nel Manifesto di Ventotene del ‘41, “poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi: del MOVIMENTO PER L’EUROPA LIBERA ED UNITA”.
Prima di analizzare quali debbano essere le caratteristiche di questa nuova forza politica, bisogna ancora soffermarsi sulle peculiarità del processo europeo e sulle componenti determinanti per il suo sbocco federale; premettendo che bisogna sempre tenere presente che non esiste il potere di fare l’Europa e che la conquista di un potere nazionale, poiché dà il consenso in un solo paese, non è un fattore determinante.
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Le condizioni necessarie per lo sviluppo del processo di unificazione europea sono tre: la crisi storica degli Stati nazionali europei; il verificarsi, nel quadro di questa crisi storica, di crisi acute (impasse, situazioni di assoluta impotenza dei poteri nazionali, in cui esiste solo l’alternativa tra il disastro e l’approfondimento dell’integrazione europea — fino alla vera e propria cessione di sovranità); la presenza attiva di una forza federalista autonoma, su scala europea. Questa forza, per svolgere un ruolo attivo, deve però essere capace: i) di mantenere sul campo l’obiettivo della Federazione europea nei momenti in cui il potere nazionale, anche grazie al livello di integrazione raggiunto tra i paesi europei, sembra essere in grado di governare; ii) di individuare gli obiettivi in grado di far avanzare il processo di unificazione politica dell’Europa, prevedendo il tipo di crisi acuta che si verificherà a causa della parzialità dell’integrazione europea (ossia, quali sono le debolezze nazionali che il livello di integrazione raggiunto non riesce a coprire e che prima o poi esploderanno) e preparando — attraverso campagne politiche che investono i governi, le forze politiche e l’opinione pubblica — le soluzioni politico-istituzionali che gli Stati saranno costretti ad adottare per uscire dall’impasse, nel momento in cui questa si scatenerà; e, nel corso delle crisi acute, avere la lucidità di orientare governi e forze politiche verso la soluzione europea, anche evidenziando il sostegno dell’opinione pubblica; iii) mantenere viva nel dibattito politico, e saper riproporre e difendere, la natura federale, sovranazionale, statuale dell’obiettivo europeo.
La forza federalista, per essere tale, deve quindi essere capace di elaborare gli strumenti culturali e politici di cui i governi e le forze politiche avranno bisogno per rispondere alla crisi acuta in cui ciclicamente gli Stati nazionali ricadono a causa dell’esaurirsi della loro capacità politica nella nuova fase storica e nel nuovo quadro mondiale; e deve riuscire a tenerli sul campo nel tempo, finché non maturano le condizioni che permettono ai governi nazionali e alle forze politiche di comprenderne la portata e il valore. A causa dei compiti e della natura nazionali che le caratterizzano, infatti, le classi politiche non sono in grado di pensare autonomamente a tali strumenti. D’altro lato, la forza delle proposte federaliste deriva dal processo e dai fatti: man mano che aumenta l’interdipendenza tra i paesi europei per l’approfondirsi del processo di integrazione, la spinta ad imboccare la soluzione europea diventa più forte, perché l’alternativa nazionale (che sempre, ogni volta, porterebbe con sé la fine del processo europeo) diventa di volta in volta più catastrofica.
Questa spinta che deriva dal processo stesso, tuttavia, non comporta una gradualità in qualche modo scontata dell’avanzamento dell’unità europea. È invece vero che anche nei passaggi parziali, come quelli che abbiamo sperimentato finora, il trasferimento di competenze è il frutto di una battaglia politica il cui esito non è mai stato scontato; e che il trasferimento di sovranità, e la relativa nascita di un potere politico europeo, che ancora non sono avvenuti — e che sono in realtà oggi per la prima volta, dopo il fallimento della CED, in discussione in Europa — implicano un salto politico-istituzionale che deve essere sostenuto, oltre che dai fattori oggettivi del processo, anche dalla volontà politica cosciente del passo che ci si accinge a compiere (come ricorda sempre al governo tedesco la Corte di Karlsruhe).
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Dato questo quadro diventano più chiare le caratteristiche che deve avere la forza federalista per poter essere all’altezza del proprio ruolo storico e politico. Quelle più immediate sono legate alla necessità di avere la forma di un movimento e la dimensione europea. La formula del movimento è quella che permette di non collocarsi tra i partiti, ma di rimanere esterni al loro quadro, e al quadro della politica nazionale, potendo svolgere la funzione di interlocutore di tutte le forze politiche che possono essere utili alla causa europea. Poiché i federalisti non hanno il potere di agire direttamente per far evolvere il quadro europeo (e non lo ricercano, per definizione, perché nessuna singola forza può averlo, e la strategia deve necessariamente essere diversa); ma dato che, al tempo stesso, i federalisti devono dare a tutte le forze politiche gli strumenti e indicare loro gli obiettivi per portarle ad usare la loro parte di potere nazionale a favore dell’unità europea, la sola formula che funziona è quella di un movimento politico, capace di agire esercitando un potere di iniziativa per spingere chi detiene il potere ad agire correttamente. Il “potere” dei federalisti è quindi in ultima istanza quello delle loro idee.
La dimensione europea si spiega da sé, in relazione all’obiettivo europeo. E infatti i federalisti sono organizzati su scala europea (il MFE è la sezione italiana dell’Unione europea dei federalisti, UEF, e la GFE è la sezione nazionale della JEF). Anche se non è semplice far funzionare un’organizzazione politica con caratteristiche sovranazionali e anche se la storia del federalismo europeo organizzato non è sempre stata semplice, e vede anche molte asimmetrie nello sviluppo delle sezioni nazionali, ciò non toglie che la capacità politica ed organizzativa europea dei federalisti sia la più alta mai sperimentata tra le forze politiche democratiche.
Un’altra caratteristica fondamentale dell’organizzazione federalista è il fatto di fondarsi sul lavoro delle sezioni. Anche qui è abbastanza facile intuire la ragione dell’importanza del livello locale: sul piano politico, il confronto a livello locale è la base delle campagne federaliste, proprio perché permette più facilmente di creare legami e di influenzare i partiti, ma anche la società civile in tutte le sue diverse componenti, e questa capacità dei federalisti costituisce anche gran parte della base della loro capacità e della loro influenza politiche a livello nazionale e nei confronti dell’europeismo diffuso; mentre sul piano organizzativo interno il gruppo può costituirsi — e il nuovo militante formarsi — solo con la pratica dell’attività politica e del confronto teorico regolari e frequenti. Sono poi questi gruppi che si formano a livello locale a costituire l’ossatura del Movimento.
La struttura del movimento non si limita però a queste prerogative organizzative. La stessa autonomia organizzativa si fonda infatti prima di tutto sulla capacità di essere totalmente autonomi dal quadro di potere nazionale sia sul piano finanziario sia su quello politico-culturale. Sul piano finanziario questo implica l’autofinanziamento a tutti i livelli e il lavoro totalmente volontario dei militanti; e su quello politico-culturale l’aver sviluppato, grazie all’opera di precursore di Altiero Spinelli e di approfondimento teorico di Mario Albertini, una teoria del pensiero federalista come pensiero politico con una propria tradizione culturale, una propria specificità valoriale, una propria visione della storia e un progetto innovativo sul piano istituzionale e politico.
Il riuscire a mettere a fuoco queste caratteristiche, a realizzarle e a far vivere in base ad esse l’organizzazione, è alla radice del grande valore storico dell’esperienza del federalismo organizzato. Come ogni esperienza fortemente innovativa della storia dell’umanità inciderà profondamente sui comportamenti sociali futuri se il progetto cui è associata (nel nostro caso la Federazione europea) avrà successo; in questo caso sarà il riferimento politico, culturale e, per molti aspetti, morale per comprendere e vivere il cambio di paradigma politico che la nascita della Federazione europea affermerà nella storia. Se invece la Federazione europea non vedrà la luce, questa esperienza rimarrà — quanto sotterranea è difficile dirlo — come testimonianza di un impegno nobile e di una visione di progresso, forse recuperabile in futuro, come accaduto ad alcune delle anticipazioni di pensatori e gruppi che non sono riusciti ad affermarsi nel proprio tempo, o forse destinata a perdersi. Non lo sappiamo. L’unica cosa che, come federalisti, sappiamo con certezza, è che non abbiamo alternative al tentativo di cercare di portare avanti al meglio la nostra battaglia.
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Alla luce di questa analisi, possiamo fare due riflessioni finali. La storia del processo di unificazione europea ha dimostrato che il ruolo dei federalisti è stato davvero cruciale nella costruzione europea, che senza la loro azione l’idea federale sarebbe ciclicamente scomparsa dal processo, e non sarebbe stata “disponibile” nel momento in cui la crisi rendeva possibile utilizzarla, da parte de governi, per orientare la propria azione; e che analisi e strategia del Movimento sono state quasi sempre preveggenti e incisive, anche in riferimento agli sviluppi più recenti del processo. Questo conferma che i federalisti hanno compiuto le scelte fondamentali giuste, e che i limiti che si sono accompagnati a queste loro scelte sono in qualche modo strutturali. Mi riferisco in particolare ai numeri esigui della forza federalista attiva — senza scordare che nel disastro delle forze politiche il MFE è l’unica che vive ininterrottamente da oltre 70 anni e che continua ad attirare giovani desiderosi di dare il proprio contributo nella battaglia per il progresso — e alla sua scarsa, o scarsissima, visibilità mediatica. La natura di avanguardia — inevitabile quando ci si colloca al di fuori del quadro di potere, della sua luce riflessa, dei suoi giochi, della sua influenza e dei suoi finanziamenti — è connaturata alla nostra battaglia e al nostro ruolo, e, al di là dei limiti soggettivi di ciascuno di noi, inevitabile. Di fatto, i federalisti hanno una funzione diversa rispetto alla politica normale, sono necessariamente un’altra cosa, e possono essere davvero un elemento cruciale del processo solo nella misura in cui comprendono e accettano questo limite.
La seconda riflessione deriva dalla precedente. Le caratteristiche dell’impegno federalista fanno sì che si debba accompagnare ad un atteggiamento morale molto solido. Come ricordava Albertini, il primo compito del militante è “uccidere la propria vanità”, che impedisce di confrontarsi oggettivamente con la natura del compito rivoluzionario che la forza federalista deve svolgere. È in realtà una lezione che vale in generale nella vita, ma nella politica federalista diventa decisiva: non si possono avere la pazienza e la perseveranza che la battaglia federalista per l’Europa necessita se si lascia che il desiderio di mettersi in evidenza abbia la meglio su di noi. La militanza federalista deve quindi sforzarsi di essere anche, e forse prima di tutto, un esercizio morale, che si riflette anche nella struttura dei rapporti all’interno del Movimento. Il gruppo federalista funziona al meglio se, e solo se, questo atteggiamento di uguale partecipazione ad una causa comune, che costituisce per tutti il punto di riferimento ed impedisce il formarsi di gerarchie e di leadership nel senso tradizionale, vale nella testa e nel comportamento di tutti, a partire dal dibattito e dal confronto di idee, che devono essere totalmente liberi; cioè affrontati con spirito razionale e costruttivo, e mai usati per cercare di emergere. In questa ottica le stesse cariche organizzative diventano espressione di responsabilità temporanee, necessarie per garantire la divisione dei compiti a rotazione e per il funzionamento dell’organizzazione, ma non hanno mai carattere personale. Non a caso nel MFE sono sempre espressione di una sezione e di un gruppo, e mai responsabilità individuali.
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Date queste particolari prerogative dell’organizzazione e dell’impegno federalista, per dare un senso alla propria scelta politica la domanda alla quale ogni militante deve cercare di dare una risposta riguarda ancora una volta il valore ed il futuro dell’ “eccezionalità” di tale esperienza: se l’obiettivo della Federazione europea verrà raggiunto e quindi il ruolo rivoluzionario del federalismo organizzato si esaurirà, al di là delle battaglie che saranno ancora importanti per consolidare il quadro europeo, e al di là del valore che assumerà la cultura politica federalista, questa concezione dell’impegno politico che ha accompagnato la battaglia federalista esaurirà a sua volta la propria funzione o potrà diventare un riferimento importante per la politica del XXI secolo?
La politica nell’era post-industriale è, e sarà, caratterizzata dalla fine della divisione della società in classi organizzabili e portatrici di interessi che, pur essendo specifici, hanno coinciso anche con il progresso dell’intera comunità. Questo è stato valido per l’alta borghesia che, pur perseguendo innanzitutto i propri interessi, ha combattuto per l’affermazione delle prime libertà fondamentali contro l’assolutismo; e lo è stato per le battaglie democratiche della media borghesia e per quelle sociali del proletariato. È la fine di questo paradigma — paradigma che ha guidato la politica moderna fino al recente passato e che si è esaurito perché, con l’evoluzione del modo di produzione industriale e con il passaggio, in corso, al modello post-industriale legato all’affermarsi delle nuove tecnologie, è cambiata radicalmente la composizione della società — che spiega in larga parte la crisi dei partiti tradizionali, i quali sono nati e hanno sviluppato sia la loro organizzazione, sia la loro azione politica, come espressioni delle vecchie classi sociali. Oggi, invece, ci si deve confrontare con una società atomizzata (e il processo sembra profondo e strutturale, legato ai radicali cambiamenti del mondo produttivo, i quali comportano una strutturale “individualizzazione” della società — ossia la tendenziale scomparsa di identità precostituite di appartenenza a tutti i livelli, nella sfera della produzione e dell’economia, fino alla sfera privata); una società in cui il progresso non coincide più con la difesa degli interessi specifici, perché, se individuali, troppo parcellizzati e se di gruppo, troppo corporativi e particolari, nel senso negativo del termine. Una società, pertanto, che deve affrontare il problema di promuovere l’impegno politico dei cittadini non più come difesa dei propri interessi, ma nell’ottica del perseguimento del bene comune, e quindi su una base fortemente etica. Diventa così cruciale trovare le formule organizzative capaci di promuovere e valorizzare questo nuovo atteggiamento.
Oggi, in fase di crisi e cambiamento, la politica non riesce ancora a rispondere a questa esigenza, e infatti reagisce a quella che è, nella sostanza, la crisi del sistema democratico ereditato dal passato, rivalutando modelli di democrazia immatura, ossia la leadership carismatica e il rafforzamento, anche personale, di chi guida il potere. Si tratta forse di un passaggio inevitabile, ma che non risponde alla necessità di approfondire la partecipazione consapevole dei cittadini. La democrazia post-industriale non vivrà in questo modo, viceversa dovrà saper individuare e costruire un sistema per rafforzare la coscienza civica e promuovere il contributo democratico di ciascuno; e forse, in questo, l’esperienza dei federalisti potrà tornare utile.
* Schema della relazione svolta da Luisa Trumellini il 4 settembre 2014 al XXXIII Seminario federalista “Il federalismo in Europa e nel mondo. Dall’Unione Monetaria agli Stati Uniti d’Europa” organizzato dall’Istituto Spinelli sull’isola di Ventotene.