Anno LXIII, 2021, Numero 2-3, Pagina 123
A PROPOSITO DI ESERCITO
E CORPO DI PACE EUROPEI
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Dopo l’Afghanistan fioccano articoli e saggi di diverso orientamento e valore, che concordano tutti sull’irrilevanza dell’Europa nella complessa e indispensabile geostrategia, risvolto militare della geopolitica, tornata di moda. La necessità, l’urgenza e insieme la difficoltà di un esercito europeo sono diversamente esposti.
È tema non nuovo, anche lasciando stare la vicenda della CED. Le massime autorità dell’UE si sono pronunciate chiaramente. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha ipotizzato, per cominciare, una forza di primo intervento di 5 mila uomini. Thierry Breton, Commissario per il mercato interno, gli ha dato manforte. Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo è per l’autonomia strategica dell’Europa. Anche David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, pensa sia ora di un esercito europeo. Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione, parla di unione della difesa per dare stabilità al nostro vicinato e nelle altre regioni, poiché «se non si interviene in tempo nelle crisi all'estero, le crisi arrivano da noi».
L’integrazione europea, il suo avanzamento verso un modello federale — non uno Stato monolite, ma neppure l’imperfetta confederazione attuale — appaiono sempre più legati alla sicurezza interna ed esterna. La questione di una forza armata europea si pone in questo contesto.[1]
Dell’esercito europeo si è in passato vantata la maggior efficienza a costo minore. David Sassoli, si dice favorevole alla prospettiva “se non altro risparmiare in inutili spese militari nazionali”. Queste portano duplicazioni e repliche nelle dotazioni, con uno spreco enorme. Il sito del Parlamento europeo riporta un’infografica del 2017 che stima lo spreco in 26.4 miliardi all’anno.[2] L’inefficienza è evidente: nel 2019 un articolo, sempre nel sito del Parlamento europeo, ricorda che in Europa c’erano sei volte più sistemi di difesa che negli Stati Uniti.[3] 27 eserciti, 23 forze aeree e 21 forze navali e cattiva spesa militare producono una situazione evidenziata da un confronto con gli Usa:178 sistemi d’arma in Europa, 30 negli USA; 17 i modelli di carri armati rispetto a 1 solo; 20 veicoli da combattimento della fanteria contro 2; 29 tipi di cacciatorpediniere e fregate contro 4; 20 tipi di caccia contro 6; 12 tipi di missili antinave contro 2; 13 missili aria-aria contro 3.[4]
Secondo altri, invece, la spesa militare degli Stati europei andrebbe moltiplicata. Gli europei spendono infatti per il capitolo difesa e armamenti una quota del Pil compresa tra l’1 e il 2 %, mentre gli americani dedicano alle spese militari anche l’8/9% del PIL, garantendo anche la sicurezza degli europei. Oggi, tuttavia, questi meccanismi non funzionano più, e quindi si sottolinea come l’Europa dovrebbe chiedersi se è disposta a rinunciare a una parte della spesa per il welfare a favore di spese militari.[5] In Italia, sette decreti ministeriali sono già pronti per iniziare a spendere di più.[6] Le spese, da affrontarsi in più tranche, sarebbero almeno di 3,5 miliardi per 1.600 blindati “Lince”, 1,9 miliardi per droni, 800 milioni per missili e radar sulle navi Andrea Doria e Caio Duilio, 165 milioni per altri “mezzi tattici” e 187 milioni per 33 nuovi elicotteri per i Carabinieri, 111 milioni per sensori ottici e radar.
In realtà, è stato giustamente notato[7] che “il costo della Nato è di circa 1.100 miliardi di dollari pari al 56% della spesa militare globale, che è di circa 1.900 miliardi annui. Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Canada rappresentano insieme il 90% (circa 995 miliardi di dollari) della spesa totale della Nato e il 50% della spesa militare globale. La spesa complessiva (inclusa quella extra Nato) dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea è stata di 232,8 miliardi di dollari. Quindi in modo diretto e indiretto la spesa militare dei Paesi della Ue è notevole anche se non paragonabile a quella degli Usa che è di 778 miliardi. Da varie parti si stima che una maggiore integrazione tra le spese militari dei vari paesi europei ed in particolare tra Francia (53 miliardi), Germania (53 miliardi) e Italia (26 miliardi) — arrivano al 58% — ridurrebbe notevolmente i costi (si stima tra 25 e 100 miliardi!) legati alle duplicazioni a parità di capacità difensiva”.
Ma il tema della difesa europea non può essere affrontato in modo costruttivo se non è collocato in una prospettiva politica e legato ai valori — Stato di diritto, economia di mercato, libertà di movimento e diritti della persona — sui quali l’integrazione europea si fonda.[8] È dunque questo recinto civiltà che va difeso e migliorato, reso capace di espandere il suo messaggio e la sua esperienza.
L’importanza dei valori, è testimoniata dal fatto che, come sottolineato da David Sassoli, i regimi autoritari si preoccupano dell’Europa, anche se questa non è una forza militare, perché “i valori europei mettono paura, perché le libertà consentono uguaglianza, giustizia, trasparenza, opportunità, pace. E se è possibile in Europa, è possibile ovunque”.[9]
In ogni caso la pace dell’Europa e la sua capacità di diffonderla non sono affidati alla forza militare, esclusivamente o principalmente. Noi avvertiamo tutti limiti, ma chi è fuori ne percepisce bene l’attrattiva e la positiva differenza. Lo abbiamo visto nei conflitti della ex-Jugoslavia. I contendenti non avevano ancora finito di scannarsi che bussavano alla porta dell’UE. Occorre dunque uno sguardo più ampio di quello che vede nella difesa europea solo una necessità dettata dallo spostarsi dell’attenzione USA da un oceano all’altro. Un’Europa capace di una strategia nei confronti di aree vicine e vitali — Mediterraneo, Nord-Africa, Medio Oriente — risponderebbe intanto alla crescente influenza russa e turca. Permetterebbe anche agli Usa di perseguire le loro attuali priorità, che riguardano principalmente il confronto con la Cina.[10]
Quanto alla prospettiva politica nella quale il tema della difesa europea va posto, perché in Europa si possano conciliare la creazione di una difesa e la vocazione strutturale dell’Unione alla pace, e dunque perché l’Europa possa costituire un esempio e un impulso per l’affermazione di relazioni pacifiche a livello mondiale, essa deve divenire pienamente federale.[11] Un continente capace di difendersi ed impegnato assieme nel disarmo generale sarebbe una novità altamente positiva. In particolare, l’Europa potrebbe costituire il laboratorio per il varo contemporaneo di un Corpo europeo di pace e di un nucleo di esercito europeo.
Quanto al primo, Numerose proposte a tale scopo sono presentate al Parlamento europeo, soprattutto da Alex Langer, senza essere adottate. L’idea fa la sua prima comparsa ufficiale il 17 maggio 1995 nella Relazione sul funzionamento del trattato dell’unione di Bourlanges e Martin: “Un primo passo per contribuire alla prevenzione dei conflitti potrebbe consistere nella creazione di un Corpo Civile europeo della Pace (che comprenda gli obiettori di coscienza) assicurando la formazione di controllori, mediatori e specialisti in materia di soluzione dei conflitti.” Langer, ispiratore della citazione, con l’assistenza di Ernst Gülcher redige dettagliati appunti Per la creazione di un corpo civile di pace dell’ONU e dell’Unione Europea. Alcune idee, forse anche poco realistiche. Ipotizza almeno un migliaio di persone, tra professionisti e volontari, adeguatamente formati e con le dotazioni necessarie per intervenire nei conflitti prima dell’esplosione della violenza, capaci di permanervi utilmente anche nella fase acuta e di operare per restaurare e ricomporre le relazioni al termine della fase più cruenta. Sono operazioni necessarie impossibili ai militari.[12] Langer, convinto dell’urgenza della proposta, programma per il 7 luglio 1995 a Bruxelles un incontro tra esponenti dei movimenti di pace ed esperti internazionali, per una risoluzione parlamentare di istituzione dei Corpi civili europei di pace. Il 3 luglio rinuncia alla vita, quasi schiacciato dalle troppe vicende delle quali si è fatto carico. Dopo la morte di Langer, il tema viene ripreso in più occasioni fino a due studi di fattibilità a cura del Parlamento europeo il primo, nel 2004, e della Commissione il secondo, nel 2005.
Quanto alla difesa, come accennato, essa presuppone il contemporaneo affermarsi di un’unione politica: una piccola, effettiva, forza federale, federalmente finanziata, potrebbe avere una non trascurabile capacità attrattiva.[13] Se un simile passo appare difficile a 27, la prospettiva è quella di un’Europa a due velocità, e dunque della creazione di un nucleo federale all’interno dell’Unione. Come scrive Armellini, “lo strumento per farlo ci sarebbe ed è quello della ‘Conferenza sul futuro dell’Europa’, che sarebbe dovuta servire a ridisegnare l’Ue e si è trasformata, di rinvio in rinvio, in un esercizio burocratico per aggiustare qualcosa qua e là, mentre attorno la terra brucia. Forse c’è ancora tempo per cercare di riportarla sui binari originari; sarebbe una priorità degna di un’Italia che recuperi la sua storica capacità di innovazione della politica europea.”[14]
Daniele Lugli
[1] Un’utile ricostruzione dei tentativi operati finora all’interno dell’UE, dei loro limitati successi e fallimenti, si può trovare in: Maddalena D’Aquilio,Verso un esercito europeo? (1) e (2), Unimondo del 17 e 18 settembre 2021 (https://www.unimondo.org/Guide/Guerra-e-Pace/Nuove-guerre/Verso-un-esercito-europeo-2-213746), che rinvia a un documento della SPD di un anno fa e dunque non effetto del trauma afghano (http://www.csfederalismo.it/images/commenti/SPD_Diskussionspapier-28.-Armee_IT-non-ufficiale.pdf). La tesi è chiara: “L’Unione europea, per quanto riguarda la sicurezza, è ancora un arcipelago di iniziative. Non abbiamo bisogno solo di più cooperazione, ma dobbiamo anche iniziare a costruire immediatamente su un terreno solido. La nostra terraferma è costituita dal 28° esercito”.
[2] Parlamento europeo, PESCO: per una difesa europea più efficiente https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/security/20171208STO89939/pesco-per-una-difesa-europea-piu-efficiente.
[3] Parlamento europeo, Difesa: l’UE sta creando un esercito europeo?, https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/security/20190612STO54310/difesa-l-ue-sta-creando-un-esercito-europeo.
[4] Umberto Morelli, La politica di potenza. L’Unione europea e il sistema internazionale, Il Federalista, 62 n. 3 (2020). Lucio Levi (I benefici della riduzione della spesa militare, Il Federalista, 26 n. 3 (1984), sottolinea che “Il costo degli apparati militari sta diventando sempre più assurdo e inaccettabile se si considerano le conseguenze militari ed economico-sociali della corsa agli armamenti.” Non era ancora caduto il Muro di Berlino. Non vi era alcun dividendo della pace da impiegare e l’autore riportava una previsione che appariva quasi incredibile: “se si proiettano nel futuro le attuali tendenze economiche, nel 2.000 la spesa militare raggiungerà i 646 miliardi di dollari.” Sappiamo che le stime indicano ora una cifra tripla.
[5] Ernesto Galli della Loggia, Mentre la Cina agisce, l’Europa non c’è e sa solo discutere, Il Giornale, 9 settembre 2021. Galli della Loggia, si interroga anche sulla necessaria qualità degli eserciti per essere all’altezza delle sfide attuali. È una qualità che manca decisamente alle forze USA impegnate in Afghanistan: “un’armata mista di soldati regolari e di mercenari”, i cosiddetti contractor, utilizzati dagli Stati Uniti a partire dagli anni Novanta in tutti i teatri di operazione (dai Balcani all’Irak).
Il ruolo dei mercenari nelle guerre attuali è di grande interesse, ma non provo neppure a sfiorarlo se non per consigliare la lettura di un saggio di Orsetta Giolo, Traffico di armi e “privatizzazione della forza”. Quali scenari?, Rivista di studi e ricerche sulla criminalità organizzata, 4 n. 2 (2018), https://riviste.unimi.it/index.php/cross/article/view/10460. Sulla necessità di operazioni di polizia internazionale, con corpi composti di specialisti, v. L. Ferrajoli, Perché l’ONU non può promuovere né autorizzare la guerra all’Iraq, La rivista del Manifesto, n. 34, dicembre 2002 (www.larivistadelmanifesto.it), secondo il quale “nei confronti di un’organizzazione criminale, per quanto vasta e militarmente potente, non si muove guerra, ma si mettono in atto le misure di polizia, certamente più difficili ma più efficaci, in grado di neutralizzarla (…), non dunque i raid e i bombardamenti aerei, tipicamente propri della guerra, che provocando morte e terrore tra le popolazioni civili servono solo ad accrescere l’odio per l’Occidente e le capacità di proselitismo delle bande terroristiche, bensì le azioni di polizia sul terreno, attuate naturalmente con mezzi militari adeguati, ma dirette soltanto all’identificazione e alla neutralizzazione delle organizzazioni terroristiche (…). Servirebbe quella forza di polizia internazionale che è stata prevista dal capo VII della Carta dell’Onu e che certamente, se fosse stata per tempo istituita, sarebbe intervenuta in tutte le crisi degli anni passati con maggior credibilità e senza le inutili devastazioni provocate dalle guerre scatenate dall’Occidente in violazione del diritto internazionale”.
[6] Shopping militare: ecco quanto ci costa la spesa di blindati e droni voluta dal ministro della Difesa Guerini, The post internazionale, 1° Ottobre 2021, https://www.tpi.it/cronaca/quanto-costa-spesa-blindati-droni-guerini-20211001830269/.
[7] Alberto Quadrio Curzio, Una difesa comune. Perché nella Nato l’Ue paga molto e pesa poco, Huffington Post, 2 settembre 2021, https://www.huffingtonpost.it/entry/una-difesa-comune-perche-nella-nato-lue-paga-molto-e-pesa-poco_it_6130d45ee4b0df9fe272f873.
[8] In questo senso v. Antonio Armellini, Per la difesa europea serve flessibilità, il Corriere della Sera, 29 settembre 2021.
[9] Davide Sassoli, Building a new European humanism, https://www.comune.carpi.mo.it/comunicazione/eventi-da-ricordare/visita-presidenti/90867-11-luglio-2021-visita-dei-presidenti-von-der-leyen-e-sassoli al minuto 11 del discorso di David Sassoli.
[10] Molta è l’attenzione a che la prospettiva di una difesa europea comune non significhi emancipazione politica dagli USA; in particolare, viene messa in luce la tentazione degli europei di assumere un ruolo neutrale simile a quello della Svizzera. Secondo F. Fubini, La tentazione tedesca (ed europea): diventare la Svizzera del mondo, Il Corriere della sera, 28 settembre 2021, “La conosciamo, la Svizzera: una democrazia solida, aperta, dinamica. È irrilevante. Gode dei benefici della globalizzazione senza essere coinvolta negli affari del mondo (…). I segni di quest’assenza di ambizione del resto non sono solo in Germania, perché anche a noi italiani, francesi, spagnoli, olandesi, manca quella che un tempo si sarebbe definita la volontà di potenza”. E non si può essere, come è necessario, una potenza, se manca questa volontà. E aggiunge M. Panebianco (Ma l’Europa non è la Svizzera, Il Corriere della Sera, 3 ottobre 2021), “La Svizzera. Non solo è piccola e l’Europa non lo è. Non solo è stata, per secoli e secoli, protetta dalla conformazione del territorio e l’Europa non lo è. Lo è stata anche, per altrettanti secoli, dal fatto che gli uomini liberi dei suoi Cantoni erano pronti a fare pagare pesanti tributi di sangue a qualunque esercito che, molto faticosamente, si fosse addentrato fra i loro monti e le loro valli (…). La ricca, pacifica e indifesa Europa appare come una preda ambita e appetibile per i tanti pescecani che le girano intorno. Altro che Svizzera”. L’idea che una neutralità attiva possa essere un contributo alla pace propria, dei vicini e del mondo intero non è neppure presa in considerazione.
[11] Umberto Morelli, La politica di potenza. L’Unione europea e il sistema internazionale, op.cit.: “La UE ha una vocazione strutturale alla pace (nella dichiarazione Schuman, atto di nascita dell’Europa comunitaria, il termine pace è ripetuto sei volte in una pagina e mezza) e il suo processo di unificazione è decisivo come esempio e come impulso per l’affermazione di relazioni pacifiche a livello mondiale. Deve però diventare pienamente federale per realizzare l’auspicio indicato da un congresso del Movimento Federalista Europeo negli anni Ottanta: Unire l’Europa per unire il mondo.”
[12] Negli appunti di Langer (http://www.alexanderlanger.org/files/serviziocivile-ccpeuropei.pdf), che meritano un’integrale lettura, i temi sono enucleati con precisione: Perché dei corpi civili di pace; Organizzazione; Compiti; Quale professionalità; Qualità; Nazionale/internazionale, uomo/donna, anziani/giovani; Volontariato solidale; Professionisti/volontari; Addestramento; Come preparare le operazioni dei CCP; Finanziamento; Le relazioni con i militari. Langer sa che non vi è garanzia di successo nelle azioni. Nelle conclusioni scrive: “Un’operazione del Corpo di pace può fallire e nessuno si dovrebbe vergognare ad ammetterlo”. Un fallimento di un’azione di pace lascia però — credo di poter affermare — meno macerie di un riuscito intervento militare.
[13] I temi restano quelli enunciati da Morelli in La politica di potenza…, op. cit. Sulla questione attualissima dell’autonomia fiscale, e dunque della possibilità di finanziare la creazione di una difesa realmente europea, v. G. Rossolillo, Il modello CECA per l’attribuzione di un potere fiscale all’UE, Il federalista, 62 n. 1-2 (2020).
[14] Secondo Armellini, op.cit., “Se una politica di difesa comune per tutti i Ventisette non è al momento realizzabile, come venirne fuori? Scomponendo l’Unione Europea per renderla al tempo una e flessibile. Non so se un nucleo fatto di Germania, Francia, Italia, Spagna e forse Benelux e qualche altro potrebbe funzionare ad avere una capacità propulsiva…”.