Anno LXI, 2019, Numero 3, Pagina 174
RELAZIONE DI SANDRO GOZI *
AL COMITATO FEDERALE DELL’UEF
(Roma, 23-24 novembre 2019)
Sometimes the course of our
lives depends on what we do or
don’t do in a few seconds, a
heartbeat, when we either seize
the opportunity or just miss it.
Miss the moment and you never
get a chance again.
(Aidan Chambers, Dying to know you)
In Europa parliamo spesso di momenti di svolta; ma per quanto sia importante il fatto di parlarne, la realtà è che siamo capaci di riconoscerli con certezza solo quando sono ormai passati. Ecco perché in Europa ci siamo ritrovati così spesso a parlare di occasioni cruciali e preziose che sono state sprecate: la Comunità europea di Difesa, il Progetto Spinelli per la nascita degli Stati Uniti d’Europa o il Trattato per l’adozione di una Costituzione per l’Europa, solo per citarne alcune. Quante volte abbiamo detto: “abbiamo perso l’occasione, abbiamo perso il treno...”!
Non voglio rifare la storia. Ancor meno, credo che si possa cambiare totalmente la realtà europea di oggi; ma credo anche che non si debba perdere la prossima occasione, il prossimo treno. Come dicono i marinai “non possiamo cambiare la direzione del vento, ma possiamo governare le vele per raggiungere in ogni caso la nostra destinazione”.
Oggi, le nostre prossime occasioni sono: il nuovo ciclo politico che sta per iniziare e la Conferenza europea sul futuro dell'Europa.
Riguardo al nuovo ciclo politico, a luglio le premesse erano buone: il discorso di Ursula Von der Leyen prima della sua elezione era e rimane un buon manifesto. Ma il seguito non è stato brillante: ci sono state forti tensioni istituzionali, che erano iniziate già all’indomani delle elezioni europee. Oggi abbiamo l’opportunità di ripartire, ma dobbiamo mostrare di avere la forza e la determinazione necessarie.
Le priorità mi sembrano chiare e condivise. Solo per citarne alcune:
– l’Europa come potenza verde;
– la governance della zona euro e un nuovo ciclo di investimenti;
– la sicurezza e la difesa;
– lo sviluppo di un’unione sociale a livello europeo;
– nuove politiche in materia di migrazione e asilo;
– Stato di diritto e pari opportunità;
– innovazione e politiche giovanili.
Ma di per sé queste priorità non significano ancora nulla. Bisogna capire quando, quanto, con che ambizione: sono ancora tutte domande aperte.
Dal nostro punto di vista, sono convinto che il federalismo non sia mai stato così necessario e così adeguato. E’ davvero la risposta ai problemi del nostro tempo, perché il nostro tempo ha bisogno di un’Europa sovrana, potente e democratica:
– sovrana contro la crisi della politica nazionale;
– potente contro l’unilateralismo;
– democratica per sconfiggere i neo-nazionalismi.
1. La sovranità significa riprendere il controllo del nostro destino. E’ il punto centrale dell'impegno assunto, almeno a parole, nel suo discorso, da Ursula Von der Leyen. Adesso è arrivato il momento di trasformare le parole in azioni.
2. Un’Europa potente significa avere gli strumenti per opporsi all’unilateralismo e garantire la nostra sicurezza. Ma la sicurezza richiede anche una serie di condizioni.
Innanzitutto l’integrazione: bisogna sviluppare un approccio globale e imparare ad utilizzare tutti gli strumenti politici di cui disponiamo in modo coordinato. Questo significa: commercio estero, cooperazione allo sviluppo, aiuti umanitari, politica ambientale internazionale, polizia internazionale, cooperazione in materia di giustizia e intelligence, immigrazione, politica estera e promozione dei valori dell’UE.
Inoltre, la sicurezza richiede prevenzione. Ciò significa avere gli strumenti per affrontare i problemi appena si manifestano e richiede un impegno e una strategia coerenti a lungo termine. Significa anche garantire che gli scambi commerciali possano svilupparsi in tutto il mondo all’interno di un sistema condiviso, con le stesse regole valide globalmente; e significa creare le condizioni per la stabilità e il benessere generalizzati.
Ancora, la sicurezza, deve essere affrontata in ambito globale. Noi europei abbiamo il dovere di condividere la responsabilità per la sicurezza globale.
Infine, la sicurezza deve fondarsi su un nuovo multilateralismo basato sul dialogo e sulla cooperazione negoziale; ma senza escludere la logica di potenza. Perché non possiamo essere ingenui e dobbiamo agire nel mondo reale, dove ci confrontiamo con Stati e società che sono molto lontani dal cosiddetto approccio postmoderno.
E questo porta all’ultimo, e forse il più importante problema per l’Europa oggi e per l’Europa del 2030: la nuova definizione di potenza.
L’UE è stata concepita come un antidoto alla politica di potenza che ha caratterizzato gli Stati-nazione e i sistemi imperiali del XIX e del XX secolo. Ma oggi, l’UE deve accettare l’idea di sviluppare un nuovo modello di potenza politica.
Quando nel 1958, un giovane giornalista chiese al primo ministro britannico quale fosse stato il problema più difficile da affrontare nel suo primo anno a Downing Street, Harold Macmillan rispose: “Gli eventi, caro ragazzo, gli eventi!”. Dal 1989 e soprattutto dal 2001 ad oggi, gli eventi hanno superato di gran lunga la capacità degli statisti e dei politici – anche dei migliori fra loro – di determinarne il corso. E questo è stato particolarmente vero nella nostra Unione.
Ero a Berlino pochi giorni dopo la caduta del muro nel novembre 1989. Molto è già stato scritto. Per me, rimane impossibile trovare le parole giuste per descrivere l’euforia, la speranza, lo slancio che questo evento aveva suscitato tra i giovani europei di cui facevo parte. Abbiamo respirato la storia, abbiamo vissuto un cambiamento epocale. E il cambiamento è avvenuto, molto forte! Le nostre generazioni sono state le prime a vivere pienamente come europei e a vivere l’unificazione europea “viva”. Ma non tutto è andato come pensavamo.
Quindi credo che sia più utile oggi individuare che cosa non è successo, che cosa non è stato deciso e farci alcune domande difficili ma necessarie. Parliamo dell’Europa da oltre 65 anni e conosciamo tutti il prezzo pagato per l’errore storico dei gollisti e dei comunisti francesi, con la bocciatura della Comunità europea di difesa nel 1954. Da allora ci siamo mossi con lentezza. Negli ultimi cinque anni sono stati compiuti passi significativi: progetti di difesa congiunti, iniziative di gruppi di paesi e persino un fondo europeo di difesa. Molto bene, nessun dubbio; ma nel contesto esistente. Ed ecco il vero problema: è proprio il contesto che dobbiamo ripensare e cambiare.
Capisco che le parole usate da Emmanuel Macron “morte cerebrale della NATO” siano molto forti e che possano non piacere. Ma la realtà è che si risponde con parsimonia, per usare un eufemismo, a qualsiasi proposta di vera riforma dell’Unione. Nel frattempo, “l’alleato” Trump ha ormai lasciato soli gli europei nello sforzo di rinnovare il multilateralismo e l’idea di una società mondiale organizzata.
Allora, per celebrare un evento storico come il crollo del muro, dobbiamo provare ad avere senso della storia. E oggi la storia ci dice che noi europei siamo a rischio di estinzione politica nel mondo globale. Possiamo far finta che non sia così. Possiamo cullarci con vacui discorsi sulla sovranità nazionale. Ma la civiltà europea è a rischio di estinzione in un mondo che tende a reinventarsi tra Washington e Pechino e in cui l’unico modo per rimanere vivi e protagonisti è costruire una potenza europea. Intendiamoci bene: non perché l’alleanza con gli USA non sia più giusta; ma perché non è più sufficiente.
Per questo dobbiamo costruire una nuova architettura di sicurezza europea, in grado di rispondere al revisionismo russo, al neonazionalismo turco, alle sfide in Africa e nel Medio Oriente. Oggi la Turchia rappresenta uno dei principali problemi europei, sia che la si guardi dal punto di vista della NATO che da quello dell’UE. Eppure, la Turchia è membro della NATO e (almeno formalmente) ancora candidata ad aderire all’UE (anche se nessuno ci crede più veramente).
Abbandoniamo allora la falsa sicurezza dello status quo. E cominciamo a dibattere e a decidere di come cambiare per essere veramente sicuri e influenti nei prossimi 30 anni.
3. Un’Europa democratica contro il neo-nazionalismo implica che dobbiamo dotare di maggiori poteri il Parlamento europeo; scommettere realmente su una politica transnazionale con vere liste transnazionali; dotarci di una Commissione europea più piccola, più agile, più capace. Alla prossima Conferenza sul futuro dell’Europa dobbiamo lavorare per dotare il Parlamento europeo di una maggiore e vera centralità, per incentivare e incrementare la partecipazione diretta dei cittadini nei processi decisionali europei, per mobilitare la società civile, in modo da esercitare anche una maggiore pressione sugli eurodeputati. E per quanto riguarda noi dell’Unione dei federalisti europei, dobbiamo mostrare la nostra credibilità e la nostra determinazione.
Mi avete dato un mandato l’anno scorso a Vienna. Negli ultimi 12 mesi ho visitato molti Stati dell’UE, fatto sentire la nostra voce sui media, aperto nuove sezioni nazionali in Grecia, Macedonia settentrionale e Malta. Abbiamo avuto un ruolo attivo durante la campagna elettorale europea con “I Choose Europe”. L’UEF ha inoltre partecipato a varie gare e programmi dell’UE. Anche se ho ereditato una situazione finanziaria estremamente difficile per la nostra organizzazione lascio al vostro giudizio la situazione attuale.
Da parte mia, vorrei un ruolo più attivo da parte alcune sezioni nazionali, una crescita del sentimento di appartenenza di altre sezioni. Soprattutto vorrei avere il vostro parere su cosa dovrebbe essere l’UEF, sapere cosa secondo voi ha funzionato e cosa non ha funzionato. E perché.
Per concludere, lasciatemi fare qualcosa, diciamo, di insolito. Se, infatti, concludere con una citazione non è insolito, per un federalista concludere con Margaret Thatcher lo è. Lo ammetto, può sembrare un po’ strano; ma voglio rassicurarvi sul fatto che, certamente, questo non mi impegna a finire il mio prossimo discorso con una citazione di Boris Johnson.
“Puoi combattere una battaglia più di una volta per vincerla”, ha detto la Thatcher.
Bene, cari amici, combattiamo, ancora una volta, la nostra battaglia per un’Europa federale!
Sandro Gozi
[*] Presidente dell’Unione dei Federalisti Europei (UEF).