IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XLV, 2003, Numero 2, Pagina 117

 

 

CHARLES LEMONNIER
 
 
Dopo le guerre napoleoniche e la conclusione del di Vienna, nacquero diverse Società, Leghe e Unioni per la pace che si batterono in vario modo e a lungo per impedire il ritorno della guerra fra gli Stati del continente. La loro attività si sviluppò fino alla vigilia della prima guerra mondiale e costituì il terreno di coltura per la nascita di molte istituzioni e organizzazioni internazionali, come il Tribunale dell’Aja e l’Unione interparlamentare, che sono sopravvissute addirittura fino ai nostri giorni. Nell’Ottocento la popolarità e la diffusione del Movimento per la pace furono tali da suscitare campagne che ancora solo qualche anno prima dello scoppio della prima guerra mondiale riuscirono a mobilitare milioni di cittadini.[1] Ma tutto ciò non servì ad impedire la guerra.
Nel 1935 Lord Lothian spiegò chiaramente le cause di quell’insuccesso: «E’ l’anarchia delle sovranità statali la causa della guerra», ammonì Lord Lothian. «Fino a che il Movimento per la pace non comprende questo fatto basilare e non basa su di esso la sua politica a lungo termine, esso militerà nelle file dei signori di Sisifo. Ogniqualvolta riuscirà con un immenso e sacrosanto sforzo a spingere il macigno della sovranità nazionale vicino al culmine della collina della cooperazione internazionale, questo sfuggirà al suo controllo e precipiterà a valle schiacciando i suoi capi e, dietro a loro, i loro seguaci».[2] La soluzione per Lothian andava ricercata nella creazione per tappe di uno Stato federale mondiale. Una simile consapevolezza era sicuramente estranea alla grande maggioranza del Movimento per la pace nell’Ottocento, ma non a tutte le sue componenti.
E’ poco noto, ma storicamente documentato, che nel corso dell’Ottocento l’idea federalista ha avuto una concreta possibilità, anche se limitata, di anticipare la nascita di un Movimento federalista capace di battersi per la pace e per gli Stati Uniti d’Europa. Una testimonianza in questo senso viene dall’esperienza di lotta che Charles Lemonnier[3] ha condotto tra il 1860 e il 1891, anno della sua morte. Un’esperienza che, pur non costituendo ancora l’esempio di un’autentica militanza federalista come potremmo intenderla oggi, si iscrive nel quadro della storia dei precursori del federalismo europeo del ventesimo secolo.
In quale contesto nacque e si sviluppò una simile esperienza? Per cercare di rispondere a questa domanda vale la pena soffermarsi brevemente sulla situazione storica venutasi a creare dopo la definitiva sconfitta della Francia napoleonica e con la convocazione del Congresso di Vienna, i due avvenimenti storici che fecero da cornice alla nascita del Movimento per la pace e dei progetti ottocenteschi di riorganizzazione dell’Europa. Le terribili guerre che avevano insanguinato l’Europa per oltre vent’anni avevano segnato così profondamente le vite e le coscienze degli europei da indurre un numero crescente di individui a battersi per prevenire altri conflitti. Questa irruzione di larghi strati dell’opinione pubblica nella politica era il frutto tardivo ma durevole della rivoluzione francese, che aveva modificato in profondità il modo di pensare il potere, da parte sia dei governati che dei governanti. I manuali di storia mettono in evidenza soprattutto le spinte restauratrici all’indomani della caduta di Napoleone. Ma in realtà, proprio a partire dal Congresso di Vienna, il potere divenne consapevole della necessità di dare almeno un’apparenza di legittimità alle proprie scelte. La decisione dei plenipotenziari di Austria, Prussia, Gran Bretagna e Russia di restaurare le dinastie esautorate dalla rivoluzione francese e dalle campagne napoleoniche, doveva tener conto del fatto che non si potevano più ignorare le reazioni delle opinioni pubbliche: occorreva perlomeno fingere di coinvolgerle.[4] Il Congresso di Vienna cercò di dar vita ad un sistema di congressi semi-permanenti — a quello di Vienna ne seguirono altri quattro fino al 1822 — destinati a ridisegnare costituzioni, confini e zone di influenza. Per il numero di delegati e per gli obiettivi istituzionali che si prefiggeva, questo sistema è stato definito da alcuni studiosi americani addirittura la prima Convenzione costituzionale europea.[5] Resta il fatto che personaggi come Metternich e Talleyrand erano consapevoli — o forse più semplicemente temevano — che, dopo la rivoluzione francese, nessun potere sovrano avrebbe più potuto esistere ed agire ignorando l’opinione dei cittadini, al punto che Talleyrand aveva riconosciuto a Vienna che «lo spirito della nuova epoca richiede che la suprema autorità venga d’ora innanzi esercitata in concorrenza con le rappresentanze del popolo».[6] La prova che non si trattava di semplici enunciazioni propagandistiche ma di reali preoccupazioni è testimoniata dal fatto che il Congresso di Vienna impose prima al restaurato re di Francia di ricevere dal Senato francese il mandato di riassumere la corona e poi agli staterelli tedeschi di accettare il Parlamento federale di Francoforte. E’ in un simile contesto che si può meglio comprendere come diventasse del tutto ragionevole anche per un intellettuale dalle alterne fortune come Saint-Simon indirizzare direttamente al Congresso di Vienna un memorandum sulla riorganizzazione dell’Europa,[7] in cui si suggeriva di istituire un parlamento europeo formato dai rappresentanti dei vari popoli europei capace di controllare un vero governo europeo. Saint-Simon si rendeva conto dell’impossibilità di istituire immediatamente un simile parlamento a partire da stadi così diversi di sviluppo del parlamentarismo nei vari paesi, e per questo propose di incominciare con un nucleo di parlamento europeo formato dai rappresentanti di Francia e Gran Bretagna, cioè dei due paesi che più di altri avevano sperimentato il sistema parlamentare.
E’ dunque in una simile atmosfera che si assiste a quella fioritura di Leghe, Unioni e Società per la pace di cui si è fatto cenno all’inizio, che incominciarono ad organizzare la loro attività attraverso Congressi prima locali e nazionali e poi internazionali, che si tennero ad intervalli regolari dal 1816 fino alla vigilia della prima guerra mondiale, quando il Congresso della pace che avrebbe dovuto tenersi proprio a Vienna nel mese di settembre 1914 venne annullato.
Nel giro di pochi anni il problema della pace cessò di essere un semplice argomento di discussione e lotta di carattere morale e religioso ed incominciò a diventare terreno di confronto fra due diverse tendenze politiche: una di carattere meramente internazionalista che insisteva sulla necessità di creare un tribunale internazionale per gli Stati e di ricorrere all’arbitrato per risolvere i conflitti, l’altra che poneva il problema della creazione di una Federazione europea. Inizialmente questo secondo obiettivo fu sostenuto soprattutto dalle componenti americane del Movimento per la pace che, nel Congresso del 1844, proposero di sviluppare una campagna continentale per la creazione di un Congresso europeo. A quell’epoca i pacifisti europei sostenevano invece in larga parte l’obiettivo del tribunale internazionale.
Successivamente il Movimento per la pace in Europa si distinse in una componente dichiaratamente internazionalista, la Lega internazionale e permanente della pace guidata da Passy, e in un’altra, la Lega internazionale della pace e della libertà animata da Lemonnier, che si richiamava al Progetto di pace perpetua di Kant, all’iniziativa di Saint-Simon e al modello federale americano. Fu proprio la Lega di Lemonnier ad organizzare a Ginevra nel 1867 quella che alcuni delegati ribattezzarono «la grande Assise della democrazia europea».[8]
Come si evince dai testi che vi proponiamo, Lemonnier aveva chiaramente presente il problema di promuovere un Movimento politico per la pace capace di distinguersi da quello animato da generiche rivendicazioni moraliste, religiose o antimilitariste che caratterizzavano la Lega guidata da Passy. Lemonnier non credeva che sarebbe bastato creare un tribunale internazionale per risolvere il problema della guerra, come rivendicava invece il Movimento di Passy. Ma da solo Lemonnier avrebbe potuto fare ben poco. Per condurre la sua battaglia egli poté contare sulla collaborazione degli amici saint-simoniani e, a partire dal 1858, di Evariste Mangin, direttore del Phare de la Loire, al quale lo stesso Lemonnier attribuisce il merito di aver ideato il meccanismo di convocazione di quello che avrebbe dovuto essere, come vedremo, una sorta di Congresso dei delegati del popolo europeo.
Dopo il fallimento del sistema dei Congressi itineranti per governare la nuova Europa con un minimo di consenso, inaugurato a Vienna, per mantenere il sempre precario ordine europeo le grandi potenze attuarono politiche interne sempre più restrittive della libertà di espressione e repressive nei confronti dei Movimenti liberal-democratici e di carattere nazionale. Così, dopo gli avvenimenti del 1848 le possibilità di svolgere attività politica erano davvero ridotte un po’ dappertutto in Europa. La situazione non era molto cambiata nella Francia del 1867, quando il rischio di un conflitto franco-prussiano per risolvere la questione del Lussemburgo aveva suscitato forti preoccupazioni in gran parte dell’opinione pubblica. Quella crisi si risolse con il riconoscimento della neutralità del Lussemburgo, ma, sull’onda dello scampato pericolo, vi fu un generale ritorno di interesse per la pace. Fu in quel clima che maturò l’idea di organizzare un Congresso internazionale della pace a Ginevra in settembre. Nel manifesto di convocazione del giugno 1867 si leggeva tra l’altro: «Il Congresso di Ginevra si propone di determinare le condizioni politiche ed economiche per realizzare la pace tra i popoli, e in particolare per fondare gli Stati Uniti d’Europa. Esso aspira ad essere l’Assise della democrazia europea, in nome degli ideali della rivoluzione francese e del risveglio delle coscienze». L’idea concepita da Mangin per dare pubblicità e un carattere democratico ad un simile Congresso in condizioni di forte restrizione delle libertà individuali era semplice e rispettava le leggi dell’epoca: sfruttando una norma della legge francese, che consentiva a non più di venti persone di riunirsi in assemblea, propose a Lemonnier che in ogni grande città si riunissero venti cittadini per eleggere un delegato il quale in seguito, attraverso articoli e appelli sulla stampa, avrebbe chiesto l’adesione ed il parere dei suoi concittadini per rappresentarli al Congresso europeo. In questo modo Mangin sperava di realizzare il progetto saint-simoniano di giungere alla creazione di un Parlamento europeo.
La data del Congresso della pace del 1867 venne scelta tenendo anche conto del fatto che quasi contemporaneamente si sarebbero tenuti i lavori della Prima Internazionale. L’idea era quella di favorire la doppia partecipazione dei delegati alle due assemblee. Karl Marx era di parere opposto ed invitò esplicitamente i delegati della Prima Internazionale a non prender parte al Congresso della pace. Nonostante ciò questo ebbe un grande successo: oltre seimila i partecipanti, tra i quali Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Mikhail Bakunin e Armand Goegg, il democratico tedesco ex-ministro del Baden, che avrebbe coadiuvato per qualche anno Lemonnier nella pubblicazione del giornale Gli Stati Uniti d’Europa.
Le speranze ed i progetti del Congresso di Ginevra subirono un duro colpo con la guerra franco-prussiana del 1870, ridando slancio a componente del Movimento pacifista guidata da Passy che poneva l’accento sull’arbitrato internazionale. Proprio per cercare di riorganizzare il suo Movimento, nel 1872 Lemonnier scrisse l’opuscolo sugli Stati Uniti d’Europa, e nel 1878, intervenendo al Congresso della pace di Parigi organizzato da Passy, che aveva cercato di emarginare i Movimenti del 1867, criticò nuovamente la proposta di arbitrato internazionale e quella di coinvolgere la Russia zarista in un simile sistema. In quell’occasione rilanciò l’obiettivo della federazione, a partire da Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna. Il suo progetto prevedeva di chiedere a questi Stati di stipulare un primo trattato trentennale di collaborazione nell’ambito del quale far maturare un patto federale.[9] Ma la storia stava per imboccare un’altra strada, più vicina alle aspirazioni nazionaliste e alle rivendicazioni del movimento dei lavoratori. Nel giro di pochi anni, gli Stati Uniti, che venivano considerati dai pacifisti come il punto di riferimento per la costruzione di istituzioni internazionali capaci di garantire e promuovere la pace, ponevano le basi della loro ascesa come potenza mondiale. Goegg, co-editore degli Stati Uniti d’Europa, aveva da tempo scelto di privilegiare l’impegno nel movimento socialdemocratico tedesco.
Gli anni Ottanta videro la continua ascesa della popolarità di Passy, che sarebbe stato eletto per due volte alla Camera dei deputati, e il declino di Lemonnier. Ormai vecchio, al Congresso universale della pace di Parigi del 1889, per mantenere l’unità del Movimento Lemonnier accettò alla fine che il denominatore comune dei pacifisti fosse la battaglia per l’arbitrato internazionale. Dieci anni dopo il Movimento pacifista si era a tal punto impegnato in questa battaglia ed il tema dell’arbitrato era diventato così popolare, che furono raccolte centinaia di migliaia di firme in tutta Europa su appelli a favore dell’iniziativa dello Zar Nicola II, che proponeva la convocazione di una conferenza internazionale nell’ambito della quale istituire un tribunale internazionale (il che avvenne nel 1899 con la creazione della Corte permanente dell’Aja).
Quindici anni dopo, per usare l’immagine di Lothian, il macigno della sovranità nazionale si sarebbe abbattuto su queste fragili costruzioni e su quel che restava del Movimento pacifista.
 
 
GLI STATI UNITI D’EUROPA*
 
Introduzione.
 
Si è già detto tutto, e giustamente, contro la guerra. Ma la guerra c’è ancora.
Gli anatemi contro di essa si sono dissolti come fumo; i popoli si sono dimostrati sanguinari quanto i re e più folli dei re, perché è il sangue dei popoli che scorre quando c’è la guerra.
Non si tratta più di fare il processo contro la guerra. Essa è ancora fra noi: chi la distruggerà? La filosofia, l’economia politica, la morale non hanno più nulla da dire. Per quanto riguarda la religione poi, essa stessa è spesso fonte di guerre: la religione può al tempo stesso benedire e condannare, perdonare e biasimare, scomunicare o santificare tutte le bandiere fedeli al suo credo.
Proprio mentre scriviamo, il mondo è ancora sconvolto dalle conseguenze della guerra tra Francia e Germania. Entrambi questi paesi, dai quali dipendono la pace e la libertà dell’Europa, si sono miseramente macchiati del sangue dei loro figli, e sono tuttora uno desideroso di vendetta e l’altro orgoglioso della propria vergognosa vittoria.
L’Alsazia e la Lorena, espugnate, derubate, asservite, ma mai dome; la Francia, che ha pagato il suo contributo di sangue per vent’anni di cesarismo, la Germania sconvolta che si è sacrificata per il suo Cesare che la disonora; la forza che prevale sul diritto e si erge a giudice; l’Europa egoista che si riempie di soldati; il lavoro, la scienza, gli interessi che si mettono al servizio della distruzione: questo è lo spettacolo dell’Europa.
Cinque, presto sei, milioni di uomini in armi; cinque, sei miliardi di franchi all’anno spesi per la guerra, senza contare i danni di guerra richiesti dalla Germania alla Francia: questo è il bilancio della pace armata europea.
 
[…]
 
Le cose andranno sempre così? Perché questa utopia della pace — della vera pace, non della pace armata che altro non è se non una tregua, ma della pace definitiva e permanente — che è una realtà sull’altra sponda dell’Oceano, non può essere realizzata su questo continente? Siamo forse condannati a perseguire sempre il giusto senza riuscire mai a raggiungerlo? A vedere la verità senza poterla praticare? A rivoltarci nel sangue senza poterci mai liberare da questa schiavitù? Siamo delle belve o degli uomini? Pur vedendo ciò che è giusto, non avremo dunque mai la volontà di realizzarlo, né la forza di sottometterci ad esso? Perché l’esempio che ci offrono i popoli della Svizzera e dell’America è per noi vano? Che cosa è stato fatto finora per fondare la pace in Europa? Perché i tentativi per realizzarla sono falliti? Che cosa si fa oggi? Che cosa si può sperare? Ma soprattutto che cosa possiamo, che cosa dobbiamo fare affinché la speranza di ottenere la pace cessi di essere un sogno? Queste sono le domande alle quali dobbiamo cercare di rispondere.
 
[…]
 
[A questo punto del suo scritto Lemonnier presenta i vari progetti per la pace elaborati in passato da Enrico IV, dall’Abbé de Saint-Pierre, da Kant e Saint-Simon. Passa quindi a descrivere la struttura e l’organizzazione delle Società della pace in Inghilterra e in America, la natura della Lega internazionale e permanente della pace ed infine della Lega internazionale della pace e della libertà, della quale presenta i documenti politici guida. Da quest’ultimo punto riprendiamo parte del testo. Ndc]
 
[…]
 
La Lega internazionale della pace e della libertà si è distinta, fin dall’epoca della sua nascita, da tutte le altre società della pace per l’affermazione molto netta di un programma politico…
Non è nostra intenzione fare la storia del [suo primo Congresso, Ndc],[10] né dei Congressi successivi. Basti richiamare sommariamente le principali risoluzioni approvate in quell’occasione, in cui si afferma:
 
Considerato
 
che i grandi Stati dell’Europa si sono dimostrati incapaci di mantenere la pace e di assicurare lo sviluppo di tutte le energie morali e materiali della società moderna;
 
considerato
 
che l’esistenza e l’accrescimento degli eserciti permanenti sono il segno dell’esistenza di uno stato di guerra latente incompatibile con il mantenimento della libertà e del benessere di tutte le classi in primo luogo di quella operaia;
 
il Congresso, desideroso di fondare la pace sulla democrazia e la libertà,
 
decide
 
di fondare una Lega della pace e della libertà, vera federazione cosmopolita;
che sarà dovere di ciascun membro di questa Lega di lavorare per informare e formare l’opinione pubblica sulla vera natura del governo, esecutore della volontà generale, e sui mezzi per estirpare l’ignoranza ed i pregiudizi che sono alla base della guerra;
 
decide inoltre
 
l’istituzione di un Comitato centrale permanente e la fondazione di un giornale franco-tedesco: gli Stati Uniti d’Europa.
 
[…]
 
Successivamente il terzo Congresso (Losanna 1869), sotto la presidenza di Victor Hugo, si occupò soprattutto di definire le basi di un’organizzazione federale dell’Europa. Vale la pena citare la mozione votata su questo tema perché precisa con grande chiarezza l’obiettivo della Lega:
 
Considerato
 
che la causa fondamentale e permanente della stato di guerra in cui si trova l’Europa è l’assenza di qualsiasi istituzione giuridica internazionale;
 
che la prima condizione affinché un tribunale internazionale possa sostituire le proprie decisioni giuridiche alle soluzioni che la guerra e la diplomazia impongono con la forza e il sotterfugio, consiste nel fatto che un simile tribunale sia liberamente e direttamente eletto ed istituito grazie alla volontà dei popoli, e che esso agisca sulla base di leggi internazionali liberamente votate da quegli stessi popoli;
 
considerato
 
che, qualunque sia l’autorità morale di questo tribunale, l’esecuzione delle sue decisioni, per essere efficace, deve essere sanzionata da una forza coercitiva;
 
considerato
 
che tale forza non potrà esistere legittimamente se non quando verrà costituita, regolata e condotta dalla volontà diretta dei popoli;
 
considerato
 
che l’insieme di queste tre istituzioni (una legge internazionale, un tribunale che applica questa legge, un potere che assicura l’esecuzione delle decisioni di questo tribunale) costituisce un governo;
 
il Congresso decide
 
che il solo mezzo per fondare la pace in Europa è la formazione di una federazione dei popoli sotto il nome di Stati Uniti d’Europa;
che il governo di questa unione deve essere repubblicano e federale, cioè risiedere nel principio della sovranità del popolo, e rispettare l’autonomia e l’indipendenza di ciascuno dei membri della Confederazione;
che la costituzione di questo governo deve essere perfettibile…
che nessun popolo potrà entrare a far parte della Confederazione europea senza prima aver conquistato: il suffragio universale, il diritto di decidere le tasse, il diritto di dichiarare la pace e la guerra, il diritto di concludere o di ratificare alleanze politiche e trattati commerciali, il diritto di perfezionare la propria costituzione.
 
[…]
 
Gli Stati Uniti d’Europa.
 
Questo slogan, che è ancora una profezia, è già diventato un programma ed una formula, è entrato nel linguaggio politico in un giorno di lotta.[11] Il 17 luglio 1851, in occasione della discussione all’Assemblea legislativa francese su di un’insidiosa proposta di revisione della Costituzione, Victor Hugo prese la parola… Il grande poeta, indotto dalla natura della discussione e dall’animosità dei suoi avversari a riflettere sull’avvenire, esclamò: «Sì! Il popolo francese ha modellato in una pietra indistruttibile e ha posto in mezzo al vecchio continente monarchico la prima assise di questo immenso edificio che un giorno si chiamerà Stati Uniti d’Europa». In tre parole Victor Hugo aveva riassunto Kant!
 
[…]
 
[Prima di avviarsi alle conclusioni Lemonnier descrive la natura degli Stati Uniti d’America, il modello di Stato federale al dovrebbero ispirarsi gli europei. Ndc]
 
[…]
 
Conclusione.
 
Quanto siamo lontani, si chiederà il lettore, dalla realizzazione di questa bella utopia?
Risponderemo arditamente che la distanza è quella che vorremo. Dipende da ciascuno di noi trasformare questa utopia in realtà. Non limitiamoci a pensare che spetti al vicino agire, cerchiamo di capire ciò che dev’essere fatto, e facciamolo.
Se ci siamo fin qui spiegati bene, il lettore avrà capito che il principio sul quale si fonda la creazione degli Stati Uniti d’Europa, cioè la creazione sul piano giuridico di una federazione dei popoli, è il principio stesso della repubblica, che altro non è se non il principio stesso della morale.
Non possiamo dunque, né nelle nostre case, né nelle nostre scuole, dare una buona educazione ai nostri figli senza indicare loro implicitamente l’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa. Non possiamo essere giusti verso i nostri operai, verso i nostri padroni, verso i nostri maestri, verso i nostri servitori, senza far nascere gli Stati Uniti d’Europa.
Gli Stati Uniti d’Europa sono nel bel mezzo della strada tracciata dalla rivoluzione, non francese, ma europea, del 1789 e del 1791. Non si fa nulla per la libertà, per l’eguaglianza, per la fratellanza, o per l’emancipazione della donna e dei bambini, che non si faccia per gli Stati Uniti d’Europa…
Per fondare [gli Stati Uniti d’Europa] non è necessario distruggere le nazioni, indebolire il patriottismo. Al contrario la stessa concezione di una federazione contiene e suppone una pluralità di nazioni, una distinzione fra Stati, una diversità: quindi la patria, ma anche il proprio villaggio!
Possiamo ora considerare in che modo costruire giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi, con le nostre mani gli Stati Uniti d’Europa. Per ognuno di noi la questione è di avere oppure no la coscienza di ciò che facciamo.
Se viviamo in una nazione senza il suffragio universale, lavoriamo per ottenerlo. Se facciamo parte di un popolo che ha già conquistato questo diritto, esercitiamolo attivamente e saggiamente, aiutando i nostri compatrioti a comprenderlo e a servirsene, cercando di eleggere rappresentanti onesti, e prendendo coscienza di ciò che dobbiamo chiedere ed esigere da loro.
La federazione non si può instaurare se non tra popoli di una organizzazione politica molto avanzata. Ora, tra i popoli d’Europa un solo popolo, quello svizzero, è finora giunto a questo grado di sviluppo. Ma è evidente che la politica federativa è la sola che possa perseguire una Repubblica. Per questo, non appena in Europa esisteranno due Repubbliche abbastanza solide da poter offrire l’una all’altra sufficienti garanzie, la loro unione porrà le prime concrete fondamenta degli Stati Uniti d’Europa.
La difficoltà di creare un governo federale europeo deriva dal fatto che non riusciamo ad abituarci a concepire i governi in altro modo rispetto alla forma ispirata al principio dinastico. Le dinastie sono per natura gelose, egoiste, sospettose, ostili fra loro. Il bisogno di dominare i popoli e di ingannarli, come diceva La Boétie, può indurle a concludere solo false alleanze. Ma per le Repubbliche accade esattamente il contrario, perché per esse il principio fondatore è l’associazione. Pensate ad una Repubblica costituita da due popoli europei, pressappoco come accade già in Svizzera e in America e come potrebbe accadere domani per la Francia. Che cosa ci sarà di più naturale e semplice di un patto d’alleanza che unisce le due nazioni sotto la legge comune di una federazione creata grazie a loro stesse?
Si può quindi già prefigurare fin d’ora quale sarà il momento preciso in cui potranno nascere gli Stati Uniti d’Europa: il momento in cui due o tre grandi nazioni europee avranno maturato al loro interno, per il fatto stesso di aver raggiunto un sufficiente grado di sviluppo, quel grado di consapevolezza sociale e politica che consente ad un popolo, divenuto finalmente maggiorenne, di prendere coscienza di sé stesso e di costituirsi in Repubblica.
L’idea moderna della Repubblica è quella di un governo fondato sull’autonomia della persona umana, da cui segue che la creazione e l’affermazione della Repubblica non possono avvenire che pacificamente e per libero consenso della grande maggioranza dei cittadini. La Repubblica contraddice il principio su cui si fonda e si disgrega nel momento in cui cerca di basarsi sull’inganno o sulla forza.
Insegnare l’importanza della Repubblica è quindi insegnare la pace, invocare la pace significa invocare la Repubblica. Non sarebbe affatto inutile, ma sarebbe sicuramente troppo lungo e difficile indicare, in relazione all’obiettivo che ci proponiamo di realizzare per il progresso dei popoli, il grado di avanzamento finora raggiunto da ciascuno di essi su questa strada. Sarebbe perciò puerile pretendere di indicare l’ora esatta in cui vedremo la pace stabilirsi davvero in Europa attraverso la realizzazione della grande idea di cui abbiamo cercato di tracciare il primo disegno. Occorre saper attendere, lavorando, e saper lavorare senza stancarsi. Ogni giorno scorgeremo un po’ più d’orizzonte.
La storia ci insegna che dopo ogni guerra vi è sempre stata una grande voglia di pace. La conseguenza è evidente e suscita nuove speranze. Se la guerra non si è mai mostrata più orribile, crudele, sanguinosa e disumana di quella che abbiamo appena vissuto durante l’ultimo triste e terribile anno, forse ci è permesso credere che siamo oggi più pronti che mai all’instaurazione di una pace vera e definitiva, fondata con la libertà sulla giustizia, che metterà per sempre la forza al servizio del diritto.
 
(a cura di Franco Spoltore)


[1] Si veda in proposito: Sandi Cooper, Patriotic Pacifism, New York, Oxford University Press, 1991.
[2] Lord Lothian, Pacifism is not enough, nor Patriotism either (Londra, 1935). Trad. it., Il pacifismo non basta, Bologna, Il Mulino, 1986. Questa citazione è tratta da M. Albertini, Il federalismo, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 169.
[3] Charles Lemonnier (1808-1891), giovane insegnante di filosofia, abbandona ventunenne l’insegnamento per non sottostare alle regole del Collegio di Sorèze, e in particolare a quella di introdurre i giovani al cattolicesimo. Nel 1829 diventa un fervente seguace della dottrina saint-simoniana del progresso storico e dell’emancipazione del genere umano, svolgendo attività di agitazione a Montpellier, Parigi e Tolosa. Con la moglie Elisa, impegnata nel movimento per il riconoscimento dei diritti della donna, contribuisce per un certo periodo anche finanziariamente alla causa saint-simoniana, fino al 1831-32, data in cui i movimenti saint-simoniani vengono sciolti. A partire dal 1834 svolge l’attività di avvocato di diritto marittimo a Bordeaux, dove scrive un trattato sulle assicurazioni marittime. Nel 1845 ritorna a Parigi per ricoprire un incarico amministrativo presso le Chemins de Fer du Nord. Nel 1854 fonda la Revue religieuse et philosophique, subito soppressa dall’imperatore. Nel 1859 cura la pubblicazione delle opere di Saint-Simon. A partire dal 1867 il suo impegno si concentra principalmente sull’organizzazione e sull’attività della Lega della pace e della libertà, di cui si parla più diffusamente nell’introduzione, prendendo parte a tutti i Congressi fino al 1889 in qualità di vice-presidente e editore del mensile franco-tedesco Les Etats-Unis d’Europe – Die Vereinigten Staaten von Europa. (4) Philip Bobbit, The Shield oJAchilles, New York, Alfred A. Knopf, 2002.
[4] Philip Bobbit, The Shield of Achilles, New York, Alfred Knopf, 2002.
[5] Ibidem, p. 542.
[6] Ibidem, p. 554.
[7] Saint-Simon, «De la réorganisation de la société Européenne», in L’Europe de Saint-Simon, di Charles-Olivier Carbonelle, Tolosa, Privat, 2001.
[8] Sandi Cooper, op. cit., p. 36.
[9] Sandi Cooper, op. cit., p. 50.
* Charles Lemonnier, Les Etats Unis d’Europe, Parigi, Librairie de la Bibliothèque démocratique, 1872.
[10] Questo Congresso si aprì a Ginevra il 9 settembre 1867, sotto la presidenza di Giuseppe Garibaldi (Ndc).
[11] Mazzini aveva già da tempo visto ed affermato l’idea della Federazione europea, ma non l’aveva definita (Nda).

 

 

 

il federalista logo trasparente

The Federalist / Le Fédéraliste / Il Federalista
Via Villa Glori, 8
I-27100 Pavia