IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXIII, 1981, Numero 3-4 Pagina 171

 

 

DISCORSO PRONUNZIATO DA A. BANFI
IN PIAZZA DEL DUOMO, A MILANO, IL 25 SETTEMBRE 1981 A CONCLUSIONE DELLA MARCIA PER LA PACE
PROMOSSA DAL MFE*
 
 
La generazione alla quale appartengo è nata mentre infuriava quella che fu definita la prima guerra mondiale: è cresciuta nel clima della dittatura fascista che ha ucciso la democrazia utilizzando demagogicamente l’arma del nazionalismo. Eravamo appena ventenni ed al grido Italia! Italia! siamo stati mandati a combattere ed a morire in Africa per conquistare un paese, l’Etiopia, che non aveva fatto nulla contro di noi: tutto ciò in una ubriacatura generale di nazionalismo. Il nazismo ha aggiunto al nazionalismo il razzismo, formando una miscela esplosiva che ha sconvolto il mondo nel 1939 con l’invasione della Polonia, che ancora subisce le conseguenze di quei tragici avvenimenti. Noi giovani eravamo nauseati dalla propaganda nazionalista nazifascista, avevamo sperimentato sulla nostra pelle il significato di quelle frasi che Mussolini aveva fatto scrivere sui muri delle case, ovunque nel nostro paese, quali «la pace riposa sulle forze armate», «otto milioni di baionette per la grandezza della Patria», «non burro ma cannoni»: cominciavamo a cercare di sapere la verità sul fascismo ed a conoscere gli antifascisti che da anni marcivano nelle carceri od al confino.
E così quando nel 1941, dal confino di Ventotene, pervenne il Manifesto federalista di Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli fu, per alcuni di noi, la rivelazione di una nuova via per i popoli europei: ricopiammo quel manifesto e cominciammo a diffonderlo clandestinamente suscitando interesse nell’ambiente antifascista ma scarso entusiasmo. L’antifascismo militante era legato agli schemi della lotta politica degli anni 1917-1922: i partiti operai erano pro-sovietici, quelli borghesi pro-angloamericani: solo l’antifascismo li univa ma, col pensiero rivolto al futuro, ciascuno operava per soluzioni diverse: restaurazione e rivoluzione erano gli obiettivi degli schieramenti.
Caduto il fascismo, in quei quaranta giorni del 1943, che ora ricordo come allucinanti e frenetici, pieni di gioia per la caduta della dittatura, di angoscia per il futuro, liberati dal confino Rossi e Spinelli, abbiamo costituito in Italia il Movimento federalista, che per noi giovani rappresentava l’idea nuova per superare il passato nazionalista, portatore di conflitti, e costruire un’Europa unita e pacifica. La nostra idea era che l’Europa — storicamente culla di civiltà ma anche di tante guerre sanguinose e distruttrici — potesse divenire, invece, elemento di pace sicura e di stabilizzazione nei rapporti mondiali. La rottura, già un anno dopo la fine della guerra, dell’alleanza tra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica rappresentò un duro colpo alla nostra speranza sulla possibilità di unire l’Europa, tutta l’Europa geografica, in una organizzazione che già avevamo chiamato Stati Uniti d’Europa.
Poiché la politica è l’arte del possibile, senza rinunciare alla idea dell’Europa unita, ma con saggezza e determinazione i federalisti convinti lavorarono per porre le fondamenta dell’unità europea e queste fondamenta sono state poste nel corso degli anni ‘50, ma su di esse non si è riusciti a costruire l’unità europea che, per essere tale, deve essere politica e non solo basata su interessi economici, tanto labili e mutevoli quali l’esperienza ci ha insegnato essi siano. Con l’elezione del Parlamento europeo a suffragio generale le fondamenta dell’Europa unita si sono consolidate ma siamo sempre di fronte al problema di costruire sopra le fondamenta qualcosa che si veda, che i popoli sentano come cosa cui hanno contribuito con le loro battaglie democratiche. Questo è il vostro compito, giovani democratici dei paesi di questa Europa che deve essere ringiovanita se vuole sopravvivere ed avere nel mondo una sua funzione.
Ho ricordato il passato perché la coscienza storica è necessaria per capire il presente e costruire il futuro. Quando si leggono i giornali di tutto il mondo ci si accorge, drammaticamente, che i governi stanno ripetendo gli errori del passato, quelli che hanno causato milioni di morti e la distruzione di città e di industrie. Quando si sentono dichiarazioni che riecheggiano i vecchi schemi della forza militare quale garanzia di pace, dobbiamo reagire e gridare alto e forte che la pace è garantita dalla volontà dei popoli di vivere in pace e di creare strutture politiche coerenti per realizzare tale loro volontà.
In questa direzione si muove l’iniziativa del gruppo del Coccodrillo che ancora una volta vede il nostro Altiero Spinelli protagonista della battaglia federalista che ha conquistato tanti consensi da aver consentito di vincere una prima battaglia al Parlamento europeo e che sta influenzando la politica di alcuni governi europei.
Oggi la nostra lotta comune è contro la frenetica rincorsa alla superiorità degli armamenti strategici e convenzionali in cui sono impegnate le grandi potenze le quali pretendono di trascinare i loro rispettivi alleati. I popoli sono sottoposti ad un bombardamento di slogans propagandistici per convincerli a sopportare sacrifici per incrementare le spese per l’armamento. Dobbiamo gridare a tutti che non facciamo distinzione fra arma ed arma: non vi sono missili con l’emblema della colomba della pace e missili con impresso il teschio: i missili rossi, quelli neri e quelli grigi sono tutti uguali e noi siamo per la riduzione progressiva e continua di tutti gli arsenali militari, nessuno escluso e quindi non esclusi quelli che si vanno riempiendo in Libia o che sono già pieni in Israele ed in altri paesi o quelli che, pieni, si vanno svuotando perché hanno già seminato morte e distruzione, quali quelli dell’Irak o dell’Iran.
Questa marcia della pace è contro l’installazione dei Pershing e dei Cruise americani in Europa ma è anche contro l’installazione degli SS20 sovietici: di questi chiediamo la rimozione immediata, per gli altri, chiediamo che essi non siano installati né a Comiso né altrove in Europa: e così dicasi per quelli installati su navi di superficie o sottomarini. Le polemiche che, in Italia, accompagnano ogni iniziativa per fermare la corsa agli armamenti, per la riduzione degli stessi, è la prova di quanto ancora si debba lavorare per fare di questo paese un paese aperto al mondo, liberato dal provincialismo, dal nazionalismo che è il contrario dell’amore per la propria patria. In attesa di poter considerare quale nostra patria il mondo intero, vogliamo che la nostra patria sia l’Europa: l’Europa oggi possibile, quella occidentale, ma aperti, sempre, ad allargarne i confini ai paesi dell’Europa orientale i quali hanno gli stessi nostri problemi ed i cui popoli hanno le nostre stesse aspirazioni. Quando si conduce una battaglia democratica per la pace e la ripresa del processo di distensione internazionale, per il disarmo generale e controllato, quando si lavora, come il nostro Ministro degli esteri on. Colombo ha dichiarato ieri all’ONU, per un livello sempre più basso di armamenti, le polemichette di casa nostra appaiono ben piccola cosa, che dobbiamo tutti insieme far finire dimostrando, come questa manifestazione federalista dimostra, che la nostra volontà di pace e di disarmo non è a senso unico in alcuna direzione est-ovest-nord-sud, che non siamo strumento di nessuna delle grandi potenze né delle minori. Deve essere chiaro a tutti che il discorso che «bisogna essere più forti per indurre l’avversario a trattare» è un discorso senza sbocco perché prima della trattativa verrà la guerra atomica. Per questo insistiamo per la ripresa della trattativa senza perdere altro tempo: solo allora i popoli potranno capire chi vuole e chi non vuole la distensione.
Con la lotta antifascista e con la Resistenza cui ha partecipato il popolo e l’esercito dell’Italia rinnovata, abbiamo acquisito la coscienza dei valori di libertà e di democrazia che ci hanno portato a credere nella capacità degli uomini di vivere in pace, di superare anacronistiche frontiere, di creare una comunità internazionale a cominciare da quella in cui viviamo, l’Europa. La strada è lunga e faticosa, piena di ostacoli e di pericoli ma con la fiducia che hanno avuto coloro che, negli anni duri della dittatura, ci hanno insegnato la via dell’unità europea. Andate avanti, giovani, senza complessi, senza timori: l’idea è giusta ed essa supererà ogni ostacolo e contribuirà a rendere più sicuro l’avvenire dell’Europa e dei suoi cittadini.


* Arialdo Banfi è oggi presidente della Federazione dei resistenti europei. Ha fondato, con Altiero Spinelli e altri antifascisti, il MFE a Milano il 27-28 agosto 1943.

 

 

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