Anno XXV, 1983, Numero 4, Pagina 143
CONSIDERAZIONI SUL SENATO DELLE REGIONI*
1. Premessa.
Il problema della trasformazione del Senato italiano in una Camera delle regioni, sollevato da tempo dal MFE, è oggi più largamente dibattuto, dopo che è stato ripreso, anche se in termini radicalmente diversi, dal Gruppo di Milano.
Si tratta naturalmente di un problema che va visto nel contesto di una generale riforma istituzionale dello Stato italiano, dal quale sarebbe arbitrario isolarlo. Esso è infatti strettamente collegato (e questi collegamenti affioreranno nel corso dell’analisi che segue) con i problemi della riforma delle funzioni e della struttura della Presidenza della repubblica, della Camera dei deputati, del governo e degli Enti locali.
Inoltre, e soprattutto, si tratta di un problema che non può essere isolato da quello della riforma delle istituzioni della Comunità europea. Di questa connessione si farà cenno nell’ultima parte dello scritto.
Quella di cui ci troviamo oggi in presenza è infatti una crisi generale dei rapporti politici, che investe tutti i comparti dell’azione di governo in senso lato sia in Italia che in Europa. Questo scritto si propone soltanto l’obiettivo limitato di analizzare quell’aspetto particolare della crisi che concerne il processo di formazione delle leggi nel nostro paese.
2. La crisi del processo di formazione delle leggi in Italia.
2.1. Che il processo di formazione delle leggi sia in crisi oggi in Italia è un fatto riconosciuto da tutti. Ma per indicare il rimedio corretto alla crisi, bisogna richiamarne la natura e le cause.
2.2. La natura della crisi non deve essere ricercata nella lentezza del processo di formazione delle leggi in quanto tale. Al contrario la ponderatezza dell’attività legislativa è sempre stata, e rimane, un requisito essenziale del Buongoverno. La verità è che la produzione di leggi in Italia è pletorica, e che il suo carattere confuso e raffazzonato tradisce semmai la precipitazione, e quindi un’insufficiente riflessione.
2.3. La causa prossima della crisi va quindi ricercata nel sovraccarico delle due Camere. E questo a sua volta va imputato: a) alla presa in carico da parte del Parlamento di questioni di rilevanza locale, che in un sistema costituzionale ordinato razionalmente dovrebbero essere di competenza dei Comuni, delle Province e delle Regioni; b) all’impropria suddivisione dei compiti tra potere esecutivo e legislativo. in forza della quale quest’ultimo è costretto ad occuparsi di materie di natura regolamentare, anziché limitare la propria attività all’elaborazione delle sole linee generali della legislazione attraverso la formazione di leggi-quadro.
2.4. Ne consegue che ciò che è in discussione non è il bicameralismo in quanto tale, ma la definizione dei compiti e della struttura delle Camere. È quindi in questo quadro più ampio che va collocato il problema della riforma del Senato.
3. La crisi di legittimità del Senato.
3.1. Il Senato, nella sua forma attuale, appare inadatto a promuovere una più razionale definizione dei compiti del Parlamento e a svolgere correttamente la sua funzione anche qualora una più razionale definizione dei compiti del Parlamento fosse realizzata. Il bicameralismo infatti svolge correttamente la sua funzione di strumento di riflessione nella misura in cui ognuna delle due Camere ha una propria legittimità autonoma, cioè esprime una diversa articolazione della volontà generale. In caso contrario la seconda Camera è un semplice doppione della prima, e non può dare alcun contributo utile al processo di formazione delle leggi.
3.2. In passato il risultato è stato ottenuto limitando l’elettorato attivo e passivo della seconda Camera a quella parte della popolazione che, per età o per censo, si riteneva fosse meno condizionata dagli umori mutevoli e dalle emozioni irrazionali dell’opinione pubblica, e più attenta agli orientamenti di fondo della società civile. Oggi, la scomparsa delle gerarchie tradizionali che ancora esistevano nelle società europee prima del Secondo conflitto mondiale rende arbitrari quei criteri e priva di qualsiasi giustificazione le differenze nei requisiti relativi all’elettorato attivo e passivo richiesti dalla costituzione per la Camera ed il Senato.
3.3. Superati gli steccati tra le classi e le generazioni, l’articolazione della società civile oggi più rilevante per la determinazione dei temi principali della dialettica politica è quella territoriale. La maggior parte dei problemi cruciali della nostra epoca, sia a livello interno che a livello internazionale, si riducono infatti a quello di una più equilibrata distribuzione territoriale delle risorse e del superamento delle tensioni tra Nord e Sud, città e campagna, centro e periferia. La complessità della problematica territoriale è diventata tale da non poter essere più controllata con strumenti legislativi e amministrativi dalla cui formazione siano esclusi i livelli locali. Questo spiega la tendenza verso la regionalizzazione che si è sviluppata negli ultimi decenni, e si sta sviluppando tuttora, in tutti i paesi dell’Europa occidentale.
3.4. Se tutto questo è vero, ne consegue che, per quanto riguarda la struttura del potere legislativo in una democrazia moderna, la volontà generale non è oggi espressa correttamente da un meccanismo per la produzione delle leggi che non consenta di interpretare l’interesse della comunità nazionale alla luce degli interessi differenziati delle comunità regionali. Di qui la necessità di trasformare la seconda camera in una Camera delle Regioni.
3.5. Non avrebbe senso opporsi a questa riforma adducendo l’argomento che essa favorirebbe la disintegrazione della volontà generale in una miriade di istanze locali scoordinate. È vero il contrario. Gli interessi regionali e locali comunque esistono e, se si esprimono attraverso canali inadatti a contemperarli armoniosamente con quelli nazionali — come accade oggi — degenerano in disordinate rivendicazioni particolari e trasformano i deputati, da rappresentanti del popolo, in miopi portavoce di istanze campanilistiche e corporative.
4. Competenze, composizione e modo di elezione del Senato delle Regioni.
4.1. Per quanto riguarda le competenze, la composizione e il modo di elezione del Senato delle regioni, le alternative più ragionevoli parrebbero le seguenti:
4.2. Rispetto alla funzione, la scelta si pone tra l’attribuzione alla seconda Camera di un ruolo identico a quello svolto dalla prima (come nell’attuale costituzione italiana) e quella di una funzione più limitata di tutela degli interessi regionali nelle materie che investono i rapporti tra Stato e regioni (e altri enti locali). In questa seconda ipotesi le competenze del Senato delle regioni dovrebbero riguardare: a) la programmazione (che in uno Stato moderno non può essere concepita che come programmazione decentrata, e i cui orientamenti generali devono quindi essere definiti con la collaborazione di un organo in grado di valutarli alla luce delle articolazioni che riceveranno a livello regionale); b) il bilancio e la fiscalità (la programmazione decentrata diventa infatti una realtà soltanto se regioni ed enti locali dispongono dell’autonomia finanziaria, che a sua volta può essere garantita soltanto da un meccanismo decisionale, competente in materia di ripartizione del gettito dei contributi, che preveda la partecipazione delle regioni); c) i trasferimenti di competenze nei due sensi tra Stato e regioni o altri enti locali e tra enti locali; d) le materie che rientrano tra le competenze concorrenti tra Stato e regioni o altri enti locali.
Un problema che va affrontato in questo quadro è quello dell’opportunità o meno di attribuire al Senato delle regioni la facoltà di dare e ritirare la fiducia al governo. Si tratta di un problema che mi pare debba essere risolto positivamente qualora il ruolo della Camera delle regioni, per quanto riguarda la formazione delle leggi, venga messo sullo stesso piano di quello della Camera dei deputati. Nell’altra ipotesi invece la seconda Camera dovrebbe essere esclusa dal processo di formazione del governo e, parallelamente, dovrebbe essere sottratto al Presidente della repubblica il potere di decretarne lo scioglimento.
Per le ragioni che si indicheranno in seguito, la seconda opzione parrebbe da preferire.
4.3. La composizione del Senato delle regioni riguarda la proporzione nella quale le regioni vi debbano essere rappresentate. Le alternative sono tre: a) rappresentanza paritetica (un ugual numero di rappresentanti per ogni regione, come nel Senato degli Stati Uniti); b) rappresentanza proporzionale alla cifra di popolazione di ogni regione; c) rappresentanza ponderata (come nel Parlamento europeo).
La prima ipotesi sembra da scartare perché le regioni italiane sono troppo poche e di cifre di popolazione troppo disparate, talché la rappresentanza paritetica diverrebbe facilmente uno strumento di prevaricazione della minoranza nei confronti della maggioranza.
La rappresentanza proporzionale (se abbinata all’elezione a suffragio universale) sopprimerebbe il carattere innovativo del Senato delle regioni perché riprodurrebbe sostanzialmente le caratteristiche del Senato attuale.
Rimane l’ipotesi della rappresentanza ponderata (secondo una chiave che favorisca le regioni a bassa cifra di popolazione, senza però consentire la sistematica prevalenza della minoranza sulla maggioranza).
La terza alternativa sembra la migliore, anche se non si deve escludere a priori l’ipotesi della rappresentanza proporzionale (se abbinata all’elezione di secondo grado).
4.4. Per quanto riguarda il modo di elezione, le ipotesi ragionevoli sono due: a) elezione a suffragio universale, ma abbinata alle elezioni regionali; b) elezione di secondo grado, da parte dei Consigli regionali.
La prima ipotesi parrebbe preferibile qualora si optasse per la rappresentanza ponderata. La seconda parrebbe invece meglio conciliarsi con la rappresentanza proporzionale. Infatti l’elezione di secondo grado e la rappresentanza ponderata sono istituti che accentuano entrambi il carattere specificamente regionale della formazione della volontà politica all’interno della Seconda camera (la prima per ragioni di immediata evidenza e la seconda perché la tutela degli interessi regionali ha un senso solo in quanto si configuri come tutela degli interessi delle regioni meno popolate, poiché la tutela degli interessi delle regioni più popolate si realizza automaticamente in un Parlamento eletto su base proporzionale grazie al peso prevalente della loro rappresentanza).
È decisamente da respingere l’ipotesi della nomina da parte delle Giunte regionali, proposta dal Gruppo di Milano in analogia con il sistema in vigore per la nomina del Bundesrat nella RFdG. Questo sistema infatti non ha più nulla di democratico; in quanto un’elezione di terzo grado cancella qualsiasi rapporto di rappresentatività tra deputati e cittadini. Né si può più sostenere che una seconda Camera dalla quale siano escluse le opposizioni sia in grado di far valere gli interessi regionali in quanto tali: essa è solo in grado di far valere l’interesse degli esecutivi regionali che è tutt’altra cosa. In realtà il Bundesrat tedesco si configura a fatica come un ramo di un Parlamento democratico e non compromette il carattere democratico del sistema istituzionale della Repubblica Federale soltanto grazie all’estrema limitatezza dei suoi poteri.
Si noti infine che entrambi i modi di elezione indicati comportano due conseguenze: a) la possibilità di rinnovo parziale delle delegazioni regionali (in caso di scioglimento di uno o più Consigli regionali prima della scadenza delle rispettive legislature) e comunque la non coincidenza del rinnovo della Camera con quello del Senato; b) la soppressione del potere di scioglimento della Camera delle regioni da parte del Presidente della repubblica.
5. La prospettiva europea.
L’analisi che precede è stata condotta prescindendo — per semplificare l’argomentazione — dal dato di fatto costituito dall’inserzione dell’Italia nel contesto europeo. Ma, se si vuole giungere a conclusioni corrette in termini operativi, non si deve dimenticare che qualsiasi riforma istituzionale in Italia ha un senso soltanto se viene concepita come un progetto che faccia parte di un più vasto piano di riforma democratica della Comunità. Nella realtà dei rapporti politico-sociali dell’Europa di oggi, l’Italia non è più un livello di governo autonomo, e perciò è incapace a sua volta di garantire al livello regionale quel grado di autonomia effettiva senza il quale viene a cadere la ragione di fondo che giustifica la creazione del Senato delle regioni. Lo stesso concetto di interesse generale non può essere legittimamente riferito al quadro italiano perché l’interesse nazionale, se concepito non come un’articolazione dell’interesse europeo, ma come contrapposto agli interessi nazionali degli altri Stati del continente, non ha nulla a che fare con l’interesse del popolo italiano, ma serve soltanto di copertura ad una politica che non può che compromettere quell’interesse in modo irreparabile.
La creazione di un Senato delle regioni è, dal punto di vista istituzionale, perfettamente coerente con la prospettiva di una riforma democratica della Comunità, in quanto costituisce la logica estensione all’interno dello Stato dell’equilibrio federale sul quale quella dovrà necessariamente fondarsi. Si tratta quindi di due prospettive che si rafforzano a vicenda. Senza questo collegamento, la creazione del Senato delle regioni — come qualunque altra riforma istituzionale interna — sarà del tutto incapace di migliorare la qualità della vita politica e l’efficienza del Parlamento nel nostro paese.
* Si tratta di una nota di F. Rossolillo fatta circolare in occasione dell’inizio dei lavori della Commissione bicamerale del Parlamento italiano per la riforma delle istituzioni.