Anno XXII, 1980, Numero 1-2, Pagina 142
S. Nora, A. Minc, L’informatisation de la société, Ed. du Seuil, 1978 (trad. it. Convivere con il calcolatore, Bompiani, 1979);
Commissione delle Comunità europee, La società europea di fronte alle nuove tecnologie dell’informazione. Una risposta comunitaria, Bruxelles, 1979.
Il primo di questi due rapporti è stato redatto su invito del presidente della repubblica francese e costituisce il primo studio sistematico sul problema dell’informatica e delle sue conseguenze economiche e sociali.
I progressi spettacolari dell’informatica in questi ultimi anni sono stati resi possibili da una eccezionale riduzione dei costi. «Se il prezzo delle automobili avesse conosciuto una simile evoluzione, la più lussuosa delle Rolls-Royce costerebbe oggi un franco. Le conseguenze di questo cambiamento sono dello stesso ordine di grandezza. È stata resa possibile la produzione di calcolatori di piccole dimensioni, potenti e poco costosi, che sono ormai alla portata anche dell’operatore economico medio piccolo. D’altra parte tale evoluzione dei componenti ha portato a una riduzione del costo delle unità centrali degli elaboratori tradizionali tale che la loro produzione costa oggi mille volte meno di dieci anni fa» (p. 34).
Grazie a questi risultati, diventa ora possibile l’impiego di processi automatizzati praticamente in ogni settore e in ogni attività umana. L’intero settore dei servizi può venire rivoluzionato dai nuovi processi. Le banche, le assicurazioni, i servizi postali, i telefoni e il lavoro d’ufficio in generale sono tutti interessati alle nuove tecnologie dell’informazione. Ad esempio, «lo sviluppo sempre più rapido della telecopiatura e della stampa a distanza, prevedibile ormai a breve scadenza, e l’avvento a più lungo termine dell’edizione dei giornali a domicilio rappresentano altrettante cause di diminuzione dell’attività postale. In un primo periodo le poste vedranno contrarsi il traffico interno delle amministrazioni e delle aziende che rappresenta oggi il 60% della corrispondenza. Solo in un secondo tempo invece verrà toccata la corrispondenza tra privati… La sostituzione dei servizi postali con i servizi di telecomunicazione e i suoi effetti sull’occupazione appaiono ineluttabili» (p. 51).
Altrettanto impressionanti sono le modificazioni nel mondo del lavoro industriale. Ci troviamo ormai di fronte alla possibilità di produrre beni senza il lavoro operaio, con fabbriche completamente automatizzate. Le conseguenze di questo fenomeno sono profonde. In primo luogo, si può intravvedere la fine dell’epoca del gigantismo industriale, con grandi vantaggi per una programmazione più razionale del territorio. «L’officina avrà la meglio sul grande stabilimento, la consociata sul gruppo. Progressivamente l’industria occuperà dunque un posto sempre minore e molti suoi impianti si frazioneranno. Inoltre l’andamento generale della società richiederà una quantità di lavoro produttivo sempre minore. In termini quantitativi globali questa evoluzione è ineluttabile» (p. 134). Vi sono dunque riflessi di natura ancora più generale sui rapporti sociali. «La scena sociale tradizionale tenderà a disgregarsi col passaggio progressivo da una società industriale, di tipo organico, a una società dell’informazione, di tipo polimorfo. I rapporti di produzione non rimarranno l’unica matrice della vita sociale. Le rivalità non opporranno più due classi individuate dalla loro collocazione nel processo produttivo ma un’infinità di gruppi mobili, condizionati dalla diversità della loro appartenenza e dei loro progetti… il ‘valore-lavoro’ andrà incontro a una dissoluzione; il lavoro come valore regredirà» (p. 134).
Lo sviluppo dell’informatica consentirà ad ogni cittadino di diventare un polo attivo della rete di comunicazioni. In ogni casa sarà, ad esempio, possibile avere un «terminale» attivo collegato con una banca dei dati. Sono sviluppi che mettono potenzialmente in grado tutti di accedere alle notizie oggi più segrete e che privano i poteri centrali di ogni pretesto per nascondere o ritardare la diffusione delle informazioni di cui dispongono.
Ma queste reti «telematiche» diventeranno realtà solo con la messa in funzione di satelliti artificiali. In questo caso «la rete informatica diverrà simile alla rete elettrica». È questo l’aspetto tecnico-politico più interessante del rapporto. Oggi il mercato mondiale dell’informatica è dominato dall’impresa americana IBM. «La sua posizione sul mercato mondiale degli elaboratori, di cui detiene fra il 60 e il 70%, esprime le sue capacità tecniche e commerciali, e spiega la sua solidità finanziaria. Quest’ultima a sua volta fornisce i mezzi a una politica che riunisce in una stessa mano tutte le carte che condizionano, a monte e a valle, l’espansione dell’informatica: nessun’altra azienda, e neanche alcuno Stato, ha in pari misura il controllo della catena che va dal componente al satellite di telecomunicazione… L’IBM annette un’importanza eccezionale alle telecomunicazioni. Di questo interesse è segno l’accanimento messo nell’ottenere dall’amministrazione federale americana il permesso di lanciare un satellite… Come padrona di reti la società assumerà una dimensione che trascende la sfera propriamente industriale: essa parteciperà, che lo si voglia o no, al dominio del pianeta. Essa ha in effetti tutto per diventare uno dei grandi sistemi mondiali di regolazione» (pp. 81-2).
Nora e Minc denunciano con lucidità questo strapotere della IBM e avvertono la necessità che il controllo delle reti informatiche non resti in mano a imprese private. «Il controllo delle reti è un obiettivo irrinunciabile. Esso impone che la struttura delle reti venga definita in un’ottica di servizio pubblico. Ma occorre anche che sia lo Stato a stabilire le norme d’accesso, senza di che sarebbero i costruttori a imporle, permettendo l’utilizzo dei canali disponibili ma sottomettendo tale utilizzo ai loro propri protocolli. Per mantenere il vantaggio che avrà loro guadagnato questa politica i pubblici poteri devono fin da ora preparare l’avvento dei satelliti. In questa doppia prospettiva essi dovrebbero trovare dei potenziali alleati nella ‘internazionale delle telecomunicazioni’» (p. 84).
È veramente sorprendente come, dopo queste osservazioni che dovrebbero portare alla logica conclusione che nell’epoca della telematica e dei satelliti le dimensioni nazionali degli Stati non consentono più di controllare i processi produttivi d’avanguardia, gli autori del rapporto difendano a spada tratta la sovranità nazionale e non vedono altra dimensione della nuova società informatizzata che quella nazionale. «Gli scambi informatizzati — sostengono Nora e Minc — con i loro codici, devono ricreare un’‘agorà informazionale’ portata alle dimensioni della nazione moderna» (p. 146).
Questo paraocchi nazionalistico, che permea tutto il rapporto al presidente francese, per fortuna viene lasciato cadere nello studio della Commissione delle Comunità europee. L’Europa offre almeno un quadro continentale sufficiente a concepire uno sviluppo dell’industria informatica che possa rivaleggiare con quella statunitense o giapponese. Ma la situazione attuale è sconfortante. «L’industria europea… copre soltanto e in modo ineguale una parte del suo mercato. Nel settore della grande informatica essa copre praticamente il suo fabbisogno, ma la prima ditta di origine europea occupa l’ottavo posto e la sua dimensione è poco più di un ventunesimo dell’IBM. E l’Europa regredisce nel settore dei grandissimi calcolatori» (p. 6). Il mercato mondiale della grande informatica è per il 76% in mano alle ditte americane. Le imprese europee non possono competere con i giganti americani che possono contare su un vasto mercato interno ed internazionale. «Le strategie esclusivamente nazionali — sostiene la Commissione — sono state utili ma insufficienti per inserire le nostre imprese nei mercati mondiali. Le risorse e i mercati degli Stati europei sono inadeguati a questa rivoluzione tecnologica. Le politiche nazionali seguite sinora, specifiche e non coordinate, hanno perseguito obiettivi diversi e parziali; i mercati nazionali, di dimensione limitata, hanno determinato il mantenimento in vita di imprese troppo piccole per fare concorrenza alle imprese americane e giapponesi, un graduale ritardo degli sviluppi tecnologici che condizionano il futuro e un mercato occupato dalle ditte americane e giapponesi» (p. 9). La Commissione cita poi, a proposito dei danni provocati dalla divisione politica ed economica, un dato impressionante: «le commesse pubbliche nel 1978, per il solo materiale elettronico, avevano raggiunto in tutta la Comunità un importo equivalente agli acquisti dell’amministrazione americana» (p. 12). Così gli americani con un certo ammontare di risorse investite riescono ad alimentare un mercato efficiente, mentre gli europei, spendendo in egual misura, o non ottengono risultati o finanziano addirittura le imprese americane.
È urgente pertanto organizzare a livello continentale il mercato dell’informatica. «Lo sforzo principale deve rivolgersi allo sfruttamento delle dimensioni del mercato continentale attraverso l’unificazione normativa degli standard d’emissione dei satelliti… Per evitare il crescente ingombro nell’orbita geostazionaria a favore dei paesi industriali — a cui si oppongono sempre più accanitamente i paesi in via di sviluppo — l’Europa sarà costretta a limitare il numero di satelliti a ‘uso interno’ di cui dispone ed aumentare quindi il loro carico utile. Questa pressione politica dei paesi in via di sviluppo condanna, a più o meno lungo termine, i satelliti nazionali a copertura limitata a favore di piattaforme pesanti destinate a servire contemporaneamente numerosi paesi» (p. 33).
Le conclusioni di questo rapporto suggeriscono la messa in atto di una politica economica comunitaria anche nel campo dell’informatica. Secondo la Commissione «il contributo della Comunità allo sviluppo della telematica deve essere essenzialmente di natura politica e non finanziaria. Spetta anzitutto al settore privato investire nello sviluppo e nella commercializzazione dei prodotti, mentre i grandi investimenti per l’infrastruttura necessaria al settore delle telecomunicazioni e dell’istruzione saranno ovviamente di competenza dei singoli Stati. Gli unici casi che potrebbero eventualmente richiedere azioni specifiche per le quali si dovrebbe attingere, d’altronde in misura limitata, al bilancio comunitario, sono quelli di una tecnologia a lungo termine, per esempio la microelettronica, o delle esigenze interistituzionali della Comunità stessa. Non è quindi necessario creare nuovi strumenti finanziari dato che esiste tutta una gamma di possibilità per applicare gli attuali strumenti comunitari» (p. 40).
Guido Montani