Anno XVII, 1975, Numero 3, Pagina 173
UNA NUOVA TREGUA IN MEDIO ORIENTE:
LA PACE È ANCORA LONTANA
Dopo lunghe trattative, segnate da un’estenuante andirivieni di Kissinger fra Tel Aviv, Il Cairo e le altre capitali arabe, Israele ed Egitto hanno raggiunto un accordo per realizzare un nuovo disimpegno sul fronte del Sinai e compiere un nuovo passo verso la normalizzazione dei rapporti fra i due paesi.
Questo accordo è stato salutato come un importante successo statunitense e un decisivo passo in avanti verso la pace in Medio Oriente. I plausi tributati a Kissinger per la sapiente regia e la tenacia con cui è riuscito a portare a termine la propria opera di mediazione sono senza dubbio proporzionali alle difficoltà incontrate e superate dal Segretario di Stato americano; essi tuttavia non corrispondono al reale valore di questo accordo, la cui precarietà è conseguenza inevitabile della instabilità della situazione del Medio Oriente.
Il fatto è che nessun accordo parziale o mutamento locale potrà rappresentare un passo decisivo verso la pace in Medio Oriente, fin tanto che non saranno risolte le contraddizioni di fondo che hanno impedito a questa regione di trovare fino ad oggi un assetto stabile.
Il problema medio-orientale ha radici lontane. Esso può essere fatto risalire alla dissoluzione dell’impero ottomano, che aveva garantito un certo grado di ordine fondato sulla supremazia turca. Più recentemente, le modalità con cui si è realizzato il processo di decolonizzazione nel dopoguerra hanno contribuito a creare un vuoto di potere nel Medio Oriente, che risulta in contraddizione con l’importanza strategica che questa regione riveste nell’equilibrio internazionale.
Il Medio Oriente, per le sue ricchezze petrolifere e per la sua posizione di cerniera fra l’Oriente e l’Occidente, era destinato a trovarsi al centro delle tensioni internazionali. Ma da questo scontro nessuno aveva la possibilità di uscire vincitore. Nessuno Stato medio-orientale ha la possibilità di aspirare a imporre la propria leadership sul Medio Oriente, e nessuna superpotenza ha la forza di stabilire la propria egemonia, in modo stabile, su tutta questa regione. Del tutto improbabile, a breve termine, risulta inoltre la possibilità che gli Stati medio-orientali riescano a stipulare un patto federale, fondando un unico Stato in grado di difendere la propria autonomia e di garantire l’ordinato sviluppo economico, sociale e politico dei popoli che abitano questa regione.
In questo modo si comprende la profonda instabilità che ha caratterizzato la situazione medio-orientale negli ultimi 20 anni. Le superpotenze hanno costantemente strumentalizzato, rinfocolandole, le rivalità locali per ampliare la propria influenza; gli Stati medio-orientali, a propria volta, hanno ricattato le superpotenze per strappare aiuti economici e militari e alimentare in tal modo le proprie ambizioni micro-nazionalistiche. Così si comprende il fatto che l’Egitto abbia potuto transitare dall’area di influenza statunitense a quella sovietica, per riavvicinarsi nuovamente, negli ultimi mesi, agli Stati Uniti.
In questo quadro, risulta evidente come il problema palestinese sia solamente uno degli elementi che hanno acuito la tensione nel Medio Oriente. È certo che in assenza del conflitto arabo-israeliano più difficile sarebbe risultato l’inserimento dell’Unione Sovietica nell’equilibrio del Medio Oriente; ma la presenza russa era comunque destinata ad aumentare di importanza.
La precarietà dell’accordo raggiunto fra Israele ed Egitto risulta evidente anche se si considera in che misura esso abbia risolto il problema cruciale della sicurezza delle frontiere. Nella situazione di disordine in cui si trova il Medio Oriente, in cui lo scoppio di una guerra è una eventualità che deve essere sempre tenuta in considerazione, l’esigenza prioritaria di ogni Stato è di garantirsi frontiere sicure. Ciò ha condannato Israele, lo Stato con confini più insicuri, ad assumere la figura del popolo dominatore con una insaziabile fame di territori nuovi; più in generale, questa esigenza ha posto in conflitto gli Stati medio-orientali per il possesso delle zone militarmente strategiche e ha alimentato gli imperialismi americano e russo, rendendo in un circolo vizioso ancora più drammatico il problema dei confini.
Il problema dei confini sicuri è stato risolto nell’accordo fra Egitto e Israele con la presenza di 50 osservatori statunitensi sul confine del Sinai. Questa soluzione, che rappresenta la novità più importante dell’accordo, rende automaticamente l’aggressione di uno dei due Stati un attacco agli Stati Uniti. In tal modo gli Stati Uniti hanno accettato di garantire essi stessi la difesa della tregua, sdrammatizzando il problema delle frontiere sicure.
Questa soluzione è tuttavia debole, perché la garanzia statunitense risulta poco credibile. La capacità degli Stati Uniti di mantenere gli impegni internazionali che su di essi gravano è in crisi perché questi ultimi sono divenuti troppo gravosi anche per la più grande potenza economica e militare del mondo. La crisi greco-turca per Cipro sta a dimostrare che gli Stati Uniti hanno perso il controllo dei propri stessi alleali. Gli Stati Uniti non sono riusciti ad impedire l’intervento armato turco a Cipro perché qualsiasi ritorsione da loro decisa avrebbe semplicemente ottenuto l’effetto di spingere la Turchia a ricercare l’aiuto sovietico. Per la stessa ragione la Grecia ha potuto uscire dalla N.A.T.O., denunciando la politica statunitense nel Mediterraneo.
L’intesa per la presenza statunitense sul confine del Sinai è stata raggiunta perché rappresenta l’unica soluzione oggi possibile. Gli Stati Uniti banno dovuto accettarla perché non possono ritirarsi dal Medio Oriente, come invece hanno potuto in Estremo Oriente. Il disimpegno americano dal Vietnam è stato reso possibile perché la Cina, se pur con difficoltà, è in grado di svolgere una funzione di argine all’espansionismo sovietico. Nel Medio Oriente, stante l’attuale vuoto di potere europeo determinato dalla divisione dell’Europa in Stati nazionali, il ritiro degli Stati Uniti porterebbe inevitabilmente all’espansione dell’area di influenza sovietica. D’altro lato, una maggiore presenza statunitense nel Medio Oriente è oggi interesse sia di Israele che dell’Egitto, interessati entrambi a ridurre la tensione e i pericoli di guerra; in secondo luogo, solo l’Occidente può offrire a questi paesi l’aiuto necessario per il loro sviluppo economico e sociale. Questo è il motivo per cui la garanzia statunitense può oggi bastare a difendere la frontiera del Sinai. La debolezza di questa soluzione è tuttavia destinata a rivelarsi, non appena venisse meno la coincidenza di interessi fra Egitto e Israele. Essa inoltre non ha la possibilità di estendersi a tutto il Medio Oriente, che continuerà ad essere terreno di scontro fra l’imperialismo russo e quello americano.
Il fatto è che un assetto stabile nel Medio Oriente potrebbe essere garantito solamente dalla Federazione Europea. È dovere ed interesse dell’Europa garantire la pace e la stabilità nel Medio Oriente e in tutto il Mediterraneo. Raggiunta la propria unità politica, l’Europa potrebbe garantire la sicurezza di Israele e promuovere l’unità araba, in modo da liberare le forze del progresso civile e sociale e sconfiggere la reazione nazionalistica in tutti i paesi medio-orientali. Sul piano economico, l’Europa potrebbe garantire gli aiuti economici e la collaborazione indispensabili per il decollo economico dei paesi arabi, aiutandoli ad estromettere le società multinazionali che oggi sfruttano le loro ricchezze petrolifere.
Ciò sarebbe possibile perché la nascita della Federazione Europea è destinata a determinare una inversione di tendenza in tutti i rapporti internazionali. Assumendo le responsabilità internazionali che le competono, l’Europa permetterebbe agli Stati Uniti di proporzionare i propri impegni alle proprie possibilità; ciò equivale a rendere nuovamente gli Stati Uniti un fattore di stabilità, con carattere evolutivo, a livello internazionale. Riempiendo il vuoto di potere esistente in Europa, la Federazione Europea è destinata a indebolire la spinta imperialista sovietica in Asia e a rafforzare le aspirazioni di libertà di tutti i popoli orientali. Questi profondi mutamenti nei rapporti internazionali, realizzando un assetto più stabile a livello mondiale, sarebbero destinati a ripercuotersi favorevolmente sull’evoluzione sociale e politica interna in tutti i paesi a cui il disordine internazionale oggi impone di anteporre le esigenze militari alla volontà di progredire lungo la strada della libertà e della giustizia sociale. Tutto ciò dipende solo dall’Europa.
Dario Velo
(settembre 1975)