IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXII, 1980, Numero 4, Pagina 266

 

 

ALCUNE CONSIDERAZIONI IN MARGINE AL CONGRESSO
DEL MOVIMENTO EUROPEO BRITANNICO
 
 
Un congresso che inizia alle 10 con un «coffee party», ascolta in piedi l’inno europeo, prosegue con gli interventi di quattro personaggi illustri ma estranei all’organizzazione, interrompe i lavori dalle 13 alle 14.30 per il pranzo, li riprende con una versione britannica di «Acquario», la nota trasmissione televisiva di Maurizio Costanzo, gli stessi personaggi «starring» sino alle 15.30, apre il dibattito generale su tre progetti di risoluzione, li approva e chiude trionfalmente il tutto alle 16. Quando il cronista abbia ancora detto che ha presieduto con maestria tipicamente britannica Basil de Ferranti, che le «vedettes» erano il commissario Tugendhat e i parlamentari europei Tindemans, Dankert e Von Alemann, che non uno di loro ha sostenuto l’iniziativa di Spinelli o vi ha fatto cenno (e il tema del congresso era «Governing the European Community»), che una buona parte dei lavori (si fa per dire!) se n’è andata in sorrisetti o risate di fronte al fuoco di fila di «jokes», «calambours» o «bons mots», potrebbe ritenere di aver esaurito il suo compito.
Può apparire strano, ma non è così. Le tre mozioni approvate,[1] che qui pubblichiamo, testimoniano che le cose sono andate anche diversamente. La prima, che illustra la linea politica generale dell’organizzazione, risponde al tema del congresso nella maniera federalisticamente più ortodossa, rifacendosi apertamente all’iniziativa costituzionale di Spinelli e alla risoluzione approvata del Bureau exécutif dell’UEF di Ostenda. La seconda, proposta da Norman Hart con accenti accorati («da quarant’anni mi batto nel Labour e per il federalismo perché so che l’internazionalismo si realizza solo con il federalismo»), ma sostenuta con «sympathy » anche dai liberali e dai conservatori, impegna tutte le forze del Movimento per sconfiggere lo squallido nazionalismo cui è tornato, e impudicamente, a ispirarsi il Labour con la svolta di Blackpool. La terza, presentata dall’ala liberale del Movimento, ma pur essa ispirata dal federalismo costituzionalista, prende vigorosamente posizione per una sollecita legge elettorale uniforme ispirata a rigorosi criteri di proporzionalità.
Questo duplice ordine di rilievi, apertamente contradditori, descrive abbastanza fedelmente la natura del Movimento europeo britannico. E una riflessione al riguardo può rivelarsi di un qualche interesse per i nostri lettori, perché gli iscritti individuali al Consiglio britannico del Movimento europeo che, a differenza di quello italiano e di svariati altri Consigli nazionali, prevede anche questo tipo di adesione, sono eo ipso iscritti all’UEF. Questo congresso era pertanto, in qualche modo, anche quello della nostra associazione consorella nel Regno Unito. Orbene, come ogni Consiglio nazionale del Movimento europeo, quello britannico è strutturalmente un comitato di notabili, ciascuno responsabile di fronte alla propria organizzazione (quando e come lo è. I partiti non sono soliti porre al centro del dibattito nei loro comitati centrali l’atteggiamento di questi loro rappresentanti!). Vada sé, pertanto, che nessuna parte può essere messa in minoranza. L’unanimità è qui legge di sopravvivenza per l’organizzazione. Le decisioni vanno pertanto meticolosamente concordate nell’anticamera del Congresso e qui plebiscitate. Questo, quindi, si riduce necessariamente a una farsa democratica e così vuota di contenuti propri da doverne mutuare ad altre formule di «happening» politico più o meno serie, ma che comunque nulla hanno a che fare con il dibattito, aperto e democratico, che conclude un processo precongressuale, aperto e democratico, con divisioni e decisioni congressuali, aperte e democratiche.
Ciò che spiega, per converso, il carattere federalisticamente ortodosso e audace delle risoluzioni adottate è la forte e autorevole presenza nel Movimento di una vigorosa avanguardia federalista, che, nell’UEF riunificata, ha sempre giuocato un ruolo di rilievo apportandovi contributi sempre seri ed impegnati e ricevendone efficaci stimolazioni. Parlo di Ernest Wistrich, di John Pinder, di Norman Hart, di Ernest Thomson, di Beryl Goldsmith e degli altri amici di più o meno anziana milizia, cui tutti i federalisti sono debitori per la meravigliosa azione condotta per l’adesione britannica alla CEE e che non hanno tardato un solo istante a rispondere al richiamo che l’iniziativa di Spinelli lanciava a tutti i federalisti. Questi connotati dell’avanguardia federalista britannica, insieme con la relativa disattenzione delle forze politiche e sociali che aderiscono al Movimento, forse ancor più accentuata qui che in altri paesi, concorrono a fornire la chiave del nostro problema.
Verrebbe spontaneo a un cronista federalista di privilegiare la soddisfazione per il risultato politico cospicuo, comunque ottenuto, rispetto al disagio di chi ha famigliarità con differenti costumi di lotta politica democratica. Ma, al riguardo, un minimo di cautela appare doveroso. Certo Spinelli e i suoi amici nel Parlamento europeo si sentiranno confortati da una risonanza ottenuta anche al di là del Canale, certo i federalisti più tiepidi di questo o quel paese troveranno nei documenti approvati a Londra una conferma della linea politica dell’UEF cui è pertanto opportuno offrire una adesione meno reticente e, soprattutto, concreti supporti organizzativi, certo la linea, che il Consiglio italiano del Movimento europeo si batte per affermare nel Movimento europeo internazionale, ne esce considerevolmente rafforzata.[2] Sembra esservene a sufficienza per rallegrarsene.
Non è così. La battaglia costituente non è purtroppo qualcosa che si possa guadagnare con un colpo di mano o con una serie di colpi di mano. Già l’atteggiamento delle quattro «vedettes» londinesi sta a dire quanto l’impresa di Spinelli sarà difficile. Di gran lunga ancor più difficile si presenta il compito dei federalisti che pretendono di essere il centro di iniziativa e di propulsione sul fronte nazionale del processo generale del potere sino a farlo coincidere con le posizioni costituenti che matureranno in seno al Parlamento europeo. Si tratta di impresa destinata a non esaurirsi né in giorni, né in mesi, che implica capacità di influire sull’opinione pubblica, sulle forze sociali, politiche e culturali, sui governi. Difficile concepire di portarla a successo senza un numero cospicuo e crescente di militanti. Ancor più difficile concepire di costruire questi militanti al di fuori di un’organizzazione democratica in cui siano privilegiati il lavoro e la dedizione degli iscritti piuttosto che lo status dei notabili.
Siamo certi che l’avanguardia federalista nel Regno Unito ne è perfettamente consapevole. Ed è perciò che tanto l’ammiriamo per ciò che è riuscita e riesce a fare, quanto poco la invidiamo per l’enorme e difficile compito che l’aspetta.
 
Luigi Vittorio Majocchi
(novembre 1980)


[1] Ne riproduciamo qui integralmente il testo nella nostra traduzione:
Mozione n. 1
Il Congresso del Movimento europeo, riunito a Londra il 22 novembre 1980, dopo aver considerato e discusso la situazione della Comunità europea, le sue politiche e le sue istituzioni nel contesto della critica situazione mondiale, ritiene che l’Europa deve unirsi e parlare con una voce sola per difendere gli interessi dei suoi popoli e la pace nel mondo.
Su alcune gravissime questioni che riguardano la Comunità, quali l’aumento della disoccupazione, l’accentuarsi della recessione, il profilarsi della crisi energetica, l’approfondirsi degli squilibri economici tra i paesi membri e tra le sue regioni, le istituzioni europee appaiono sempre più incapaci di adottare politiche comuni e di agire nell’interesse generale dei loro popoli.
La maggiore responsabilità di questo stallo è da attribuirsi al Consiglio dei Ministri che interpreta il proprio ruolo come se fosse non un organo del governo della Comunità, ma un foro in cui si concludono affari a vantaggio dei singoli Stati e sovente a discapito del più generale interesse della Comunità.
Se la Comunità vuole rispondere alle sfide cui è confrontata in questi tempi cosi gravidi di minacce, è chiaro che i meccanismi istituzionali esistenti e le stesse istituzioni debbono essere adattati e, se necessario, riformati al fine di attribuire alle istituzioni poteri reali per agire all’interno e all’esterno della Comunità al servizio degli interessi economici e politici dei popoli europei.
Il Congresso del Movimento europeo si appella al Parlamento europeo, che è stato eletto per sottoporre a esame le istituzioni e la condotta della Comunità, perché lo stesso formuli proposte sulle modificazioni istituzionali che sono necessarie e le sottoponga ai governi degli Stati membri e ai parlamenti nazionali.
Mozione n. 2
Il Congresso del Movimento europeo, profondamente preoccupato per la decisione presa al Congresso del partito labourista favorevole all’uscita del Regno Unito dalla Comunità europea, esprime vivo apprezzamento per l’impegno assunto dal proprio membro, Comitato labourista per l’Europa, di battersi vigorosamente all’interno del partito per capovolgere questa decisione.
Il Congresso impegna il Movimento europeo e i suoi membri a promuovere con rinnovata determinazione una campagna tesa a informare e persuadere i britannici dei benefici e delle possibilità che offre l’appartenenza alla Comunità, nella convinzione che la conoscenza dei fatti porrà termine ad ogni disegno per trarre il Regno Unito fuori dalla Comunità.
Mozione n. 3
Questo Congresso annuale del Movimento europeo sottolinea l’urgente necessità che la Commissione politica del Parlamento europeo formuli una proposta di sistema elettorale uniforme su base proporzionale perché venga rimosso ogni dubbio sul suo impiego in occasione dell’elezione europea del 1984.
[2] Il consiglio italiano del Movimento europeo ha approvato un testo dal titolo «Per una rifondazione morale e politica del Movimento europeo» sul quale intende impegnare la futura presidenza del Movimento europeo internazionale. Questo testo, preparato da una commissione composta da Luigi V. Majocchi, Gianfranco Martini, Giampiero Orsello, Umberto Serafini e Angelo Lotti, riprende ampiamente il rapporto presentato da Mario Albertini al Comitato federale dell’UEF svoltosi al Lussemburgo il 28 e 29 giugno 1980 (cfr. Il Federalista, anno XXII, n. 3, luglio 1980, pp. 179-182) e, in particolare, individua la linea strategica dell’europeismo organizzato nella Campagna per il governo federale europeo. Il CIME ha già raccolto vaste adesioni a questa sua iniziativa in occasione di un incontro con diversi Consigli nazionali (britannico, tedesco, olandese, spagnolo, belga) e associazioni membre svoltosi a Milano il 30 e 31 ottobre 1980. Se l’iniziativa del «gruppo di Milano» avrà successo, i federalisti autonomisti potranno ritenere conseguito l’obiettivo di istituzionalizzare la propria egemonia sull’europeismo organizzato. Per l’illustrazione di questo concetto e un abbozzo di previsione storica, che i fatti hanno confermato, cfr. «La stratégie de la lutte pour l’Europe» in Le Fédéraliste, VII année, n. 3-4, décembre 1965, pp. 196-209, e, in particolare, p. 209.

 

 

 

il federalista logo trasparente

The Federalist / Le Fédéraliste / Il Federalista
Via Villa Glori, 8
I-27100 Pavia