Anno XXIII, 1981, Numero 3-4, Pagina 154
ROSSI E COLORNI A VENTOTENE
Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni: un economista di tendenza liberal-radicale e un filosofo socialista, protagonisti entrambi, con Altiero Spinelli, di quella straordinaria avventura culturale, politica e umana che fu la nascita del primo nucleo federalista tra i confinati di Ventotene. Di quella vicenda manca ancora una ricostruzione storica completa; ma due volumi di recente pubblicazione[1] ci offrono parecchi elementi di grande interesse, che vanno ad aggiungersi a quelli faticosamente rintracciabili in varia stampa federalista e non federalista.
Le lettere di Rossi da Ventotene, benché limitate ai parenti più stretti (moglie e madre) e spesso scritte in un linguaggio allusivo o per accenni in quanto soggette alla censura poliziesca, lasciano trasparire per un lettore attento una messe di notizie preziose, non solo sulla figura dello scrivente e sulla vita quotidiana dei confinati, ma anche sullo sviluppo e il dibattito delle idee in quella eccezionale comunità. D’altronde, per chiarire e completare gli accenni delle lettere quando essi presuppongono la conoscenza di determinati fatti o persone, viene in aiuto il curatore Manlio Magini con note assai utili e opportune (salvo qualche interpretazione meno convincente, come quella a p. 144). Gli atteggiamenti di pensiero che emergono dalle lettere di Rossi sono caratteristici: un continuo desiderio di analisi concrete (pp. 137, 142, 153-154); il fastidio per etichette e «chiese» ideologiche (p. 143-144, 154); la consapevolezza che la «nazione» è un frutto storico dello Stato e non viceversa (pp. 125-126), e un irritato disgusto per chi, come Croce nelle Pagine sulla guerra, dava veste di cultura all’ideologia nazionale considerando tutti gli altri paesi come potenzialmente nemici del proprio (p. 179); una confessata incapacità personale di ambire al potere politico (pp. 121, 143), ma al tempo stesso una cognizione realistica dei meccanismi di potere e di forza che muovono — e non sempre ingiustamente — la storia, perfino in certe fasi come il Risorgimento che alcune correnti avevano idealizzato (pp. 122 e segg., pp. 110-111). Alcune di queste posizioni urtavano altri compagni di confino, come il crociano Bauer (v. nota a pp. 159-160) che ancor oggi, chiamato a stendere l’introduzione al volume, ha ribadito la propria ostilità alle concezioni politiche di Rossi e allo stesso Manifesto federalista (pp. 8-9).
Accanto a Rossi, passano nelle lettere numerose figure interessanti; si vede sorgere e grandeggiare l’amicizia con Spinelli e Colorni; sfilano, tra gli altri, quei confinati che aderirono al federalismo di Ventotene, come Giorgio Braccialarghe, Arturo Buleghin, Enrico Giussani, Dino Roberto; si assiste alla nascita della famosa «mensa» dei federalisti (pp. 168-169); ma soprattutto si trova conferma di un fatto che merita un’attenta riflessione: in piena guerra, tra persone imprigionate da dieci o più anni come Rossi e Spinelli, in un’isoletta strettamente sorvegliata e tagliata fuori dal mondo, il pensiero federalista non nasceva affatto isolato. Gli studi d’economia avevano creato un legame tra Ernesto Rossi e Luigi Einaudi (antesignano del federalismo sin dal 1918) che è citato frequentemente nel volume, e spingevano Rossi a leggere libri di economisti liberali inglesi come Robbins e Beveridge, che erano anche uomini di punta di «Federal Union». In particolare, in una lettera del marzo 1940 (p. 44), sentiamo Rossi lodare il volume di Robbins Economic Planning and International Order, di cui oggi tutti conosciamo almeno i brani riportati nell'antologia federalista di Albertini; nel gennaio 1941 Rossi accenna allo sviluppo di queste idee (p. 95): «cerco anche di chiarire più che posso il mio pensiero sul problema degli Stati Uniti d’Europa che ritengo oggi più importante di tutti gli altri problemi politici e sociali»; e nell’aprile 1942 (p. 149) parla della sua traduzione d’un altro libro di Robbins, The Economic Causes of War: «È un libretto di poche pagine, ma che io reputo molto importante per chiarire le idee sui principali problemi internazionali. Critica, dal punto di vista liberistico, la tesi socialista e comunista secondo la quale le guerre imperialistiche sarebbero una conseguenza necessaria dell’ordinamento capitalistico, e dimostra che esse sono invece il risultato della sovranità assoluta degli Stati indipendenti europei, per cui è necessario pensare ad una organizzazione federale degli Stati Uniti d’Europa. È l'idea che ha avuto i suoi più validi sostenitori anche nel nostro paese fra gli scrittori politici di maggior valore, da Carlo Cattaneo a Luigi Einaudi. Ma è presentata con nuovi argomenti in modo molto convincente». Queste lettere documentano dunque il legame tra inglesi e italiani nella nascita e sviluppo del pensiero federalista moderno; ed è emozionante vedere come i confinati di Ventotene riuscissero a captare ed elaborare le voci dei rari federalisti dispersi in un’Europa divisa e in fiamme, per diffondere a loro volta il Manifesto federalista in giro per l'Europa (se è vero che già nel 1942 lo avevano fatto pervenire in Svizzera e in Francia, come si legge nei Trent'anni di vita del MFE di Levi e Pistone).
Il volume su Colorni, curato da Leo Solari, ricostruisce alcuni frammenti di quest’altra grande figura di studioso e di resistente. Come è noto, la sorte di confinato di Colorni fu parzialmente diversa da quella di Spinelli e Rossi, perché alla fine del 1941 egli fu trasferito da Ventotene a Melfi, e da qui evase nel maggio 1943 recandosi a Roma, dove poi doveva trovare la morte nel maggio 1944 in uno scontro con la polizia fascista. Solari, che gli è stato vicino nelle ultime lotte, illustra vari aspetti delle concezioni di Colorni, ne riporta alcuni scritti politici (oltre a due dialoghi filosofici «sull’azione» e «sulla morte» composti al confino), e conclude con una nota biografica ed una bibliografia. Il volume, che appartiene alla collana «Socialismo oggi», presenta numerosi motivi d’interesse per i federalisti. Già nella parte scritta da Solari viene illustrato con viva partecipazione il cammino culturale e morale di Colorni verso «l’approdo nel federalismo», che «ha contrassegnato la stagione più calda, e conclusiva, della sua lotta politica e della sua vita»; e non mancano notizie sulla impronta federalista lasciata nella Resistenza e in alcuni settori — lungamente emarginati — del socialismo italiano. La raccolta delle pagine politiche di Colorni, poi, contiene quella vera gemma che è la «prefazione» all’edizione del gennaio 1944 dei testi federalisti di Ventotene: una pagina che non ci si stanca di rileggere e che è tuttora di una sorprendente attualità. Non meno rilevanti, per la storia del Movimento federalista, sono la «Lettera ai federalisti di Ventotene» scritta da Roma prima del 25 luglio 1943 (dunque prima ancora che cadesse il regime fascista e che i reduci dal confino costituissero ufficialmente il Movimento nell’agosto di quell’anno) e la «Lettera agli amici federalisti della Svizzera» del novembre 1943.
In conclusione, due libri che non possono passare inosservati, e che accrescono nei lettori il desiderio di conoscere più a fondo la storia del movimento federalista e dei suoi inizi.
Enrico Brugnatelli
(novembre 1981)
[1] Ernesto Rossi, Miserie e splendori del confino di polizia (lettere da Ventotene 1939-1943), a cura di M. Magini, Feltrinelli, Milano 1981; Leo Solari, Eugenio Colorni, Marsilio, Venezia 1980.