Anno XXIV, 1982, Numero 4, Pagina 198
RIUNIFICAZIONE TEDESCA E UNIFICAZIONE EUROPEA
Nel dibattito ininterrotto che si svolge nella Repubblica Federale di Germania sul problema della riunificazione nazionale è riemersa negli ultimi tempi con una certa insistenza l’opzione neutralista, non mancando di suscitare allarmi nei partners europei e occidentali del governo di Bonn e in particolare, come di consueto, nella Francia. La tesi che l’uscita dei due Stati tedeschi dai rispettivi blocchi contribuirebbe in modo decisivo a una duratura distensione e nello stesso tempo aprirebbe la strada al superamento della divisione nazionale ha avuto in effetti importanti e qualificati sostenitori all’interno del movimento tedesco per la pace. Basta per tutti ricordare l’«appello di Krefeld», una lettera aperta inviata a Breschnew in occasione della sua visita a Bonn nel novembre 1981 e sottoscritta dal noto dissidente tedesco-orientale Havemann e da numerosi intellettuali tedesco-occidentali, tra i quali Böll, oltre che da alcuni deputati della SPD, da sindacalisti e da ecologisti.[1] Un’espressione molto importante di questo orientamento, che è stato denominato «nuovo patriottismo tedesco», è inoltre costituita dal libro, a cui la stampa estera ha dato un discreto rilievo, «Die deutsche Einheit kommt bestimmt», pubblicato nell’aprile 1982 dall’editore Lubbe di Bergisch Gladbach e contenente scritti di Wolfgang Venhor (che ne è il curatore) e di altri autori appartenenti ai diversi settori dello spettro politico tedesco, che vanno dal democristiano Harald Rüddenklau a Peter Brandt, figlio dell’attuale presidente della SPD e schierato nettamente a sinistra di questo partito.
La linea di ragionamento comune agli autori di questo libro, nonostante le differenze che pur esistono fra le loro posizioni, si riassume efficacemente nell’affermazione del curatore secondo cui non è l’unificazione europea che crea le premesse dell’unità tedesca, ma è al contrario l’unificazione tedesca che costituisce la condizione imprescindibile per l’unità dell’Europa. Alla base di questa tesi c’è la convinzione che l’opzione a favore dell’integrazione atlantica ed europeo-occidentale compiuta da Adenauer e che la SPD finì poi per fare propria a cavallo fra gli anni ‘50 e ‘60 ha contribuito in modo decisivo a irrigidire il sistema dei blocchi contrapposti in Europa ed ha quindi operato in senso del tutto contrastante rispetto all’obiettivo della riunificazione nazionale oltre che alle esigenze della distensione e della pace. Nell’attuale fase, in cui il sistema dei blocchi sta producendo una acutizzazione della corsa agli armamenti che, se non bloccata, finirà inevitabilmente per sboccare in uno scontro nucleare avente l’Europa e la Germania in particolare come fondamentale campo di battaglia, è diventato d’altra parte sempre più improcrastinabile un mutamento radicale della politica estera tedesco-occidentale. In sostanza, per fare della Germania una reale zona di distensione che avvii un’inversione di tendenza nell’attuale crisi internazionale e nello stesso tempo metta concretamente in moto il processo di riunificazione tedesca, occorre impegnarsi a fondo a favore dell’obiettivo transitorio di una confederazione fra le due Germanie, la quale (secondo il Venhor, ma non viene affatto chiarito come) sarebbe compatibile con la loro permanenza rispettivamente nella NATO e nella CEE e nel Patto di Varsavia e nel Comecon, e non porrebbe quindi nell’immediato problemi troppo complessi. Da qui prenderebbe avvio uno sviluppo in direzione di un progressivo superamento dei blocchi e quindi dell’unità di tutta l’Europa, intesa però chiaramente come cooperazione fra Stati che resterebbero sovrani, fra i quali avrebbe il suo posto una Germania pienamente riunificata.
Di fronte all’emergere di posizioni così devianti deve essere registrata con grande soddisfazione la pubblicazione, pure essa avvenuta nell’aprile del 1982 ad opera dell’Europa-Union Verlag di Bonn, del libro di Eberhard Schulz (vicedirettore del Forschungsinstitut der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik), «Die deutsche Nation in Europa». Quest’opera costituisce in effetti uno strumento di eccezionale valore per riportare chiarezza nel dibattito sulla questione tedesca (ma la stampa estera non ne ha ancora parlato, poiché come sempre le voci irrazionali hanno almeno all’inizio sempre più spazio di quelle razionali). Ciò perché non solo dimostra con estremo vigore l’inconsistenza delle tesi del «nuovo patriottismo tedesco», ma mette altresì in luce i limiti della stessa linea ufficiale sul tema della riunificazione nazionale delle fondamentali forze politiche di Bonn e quindi del governo, i quali limiti hanno anche una parte di responsabilità rispetto al periodico riaffiorare di posizioni irrazionali e pericolose rispetto a tale questione cruciale della politica tedesca.
Per quanto riguarda la critica all’opzione neutralista, l’autore si sofferma in particolare a chiarire che l’URSS mai potrà rinunciare — a meno che un radicale mutamento dell’equilibrio di potere la costringa a ciò — al controllo su uno Stato di importanza così vitale, come la RDT, per la preservazione delle sue posizioni imperiali in Europa e quindi nel mondo, e precisa che, al limite, essa non potrebbe neppure vedere di buon occhio una Germania unificata comunista, poiché una simile entità politica, data la sua forza, le creerebbe problemi ancor più gravi di quelli derivanti dalla rottura con la Cina. Se talvolta il governo sovietico sembra lasciare intravvedere prospettive di avvicinamento alla riunificazione tedesca a prezzo di una scelta più o meno marcatamente neutralista, ciò non può essere interpretato altrimenti che come un espediente tattico volto a cercare di indebolire il legame di Bonn con la NATO e la CEE. Al di là dell’argomento relativo alla totale mancanza di realismo dell’opzione neutralista, la critica decisiva di Schulz si rivolge all’arretrato orientamento nazionalistico che sta alla base delle tesi del «nuovo patriottismo tedesco» e che impedisce ai suoi esponenti di comprendere che lo Stato nazionale è ormai da lungo tempo una forma politica storicamente superata e che pertanto l’obiettivo prioritario della politica tedesca deve essere il completamento dell’unificazione europea e non la ricostituzione dello Stato nazionale tedesco distrutto in seguito all’esito della seconda guerra mondiale.
Se nel criticare l’opzione neutralista l’autore difende la validità di fondo della politica estera seguita dalla RFdG nel dopoguerra, egli non manca d’altro canto, come si è accennato prima, di sottolineare molto nettamente — ed è questa la parte più nuova e interessante di questo lavoro — anche i limiti che a suo avviso caratterizzano nell’attuale fase la linea ufficiale del governo tedesco-occidentale sul problema della riunificazione nazionale. L’aspetto centrale di questa linea è, come è noto, la tesi, condivisa ufficialmente da tutte le forze politiche fondamentali di Bonn, nonostante le loro divergenze a proposito della «Ostpolitik», secondo cui la questione tedesca resterà aperta fino a quando non verrà riconosciuta al popolo tedesco nel suo complesso la possibilità di realizzare la propria riunificazione statale attraverso l’esercizio del diritto di autodeterminazione e quindi attraverso la stipulazione di un trattato di pace che definisca in modo accettabile per tutte le parti i confini del ricostituito Stato nazionale tedesco. Questa tesi, occorre precisare, ha per gli organi costituzionali della RFdG il suo fondamento giuridico nella Costituzione del 1949, la quale indica nel suo preambolo quali finalità fondamentali del nuovo Stato sul piano internazionale la preservazione dell’unità nazionale e statale del popolo tedesco, oltre che la partecipazione ad un’Europa unita. Per quanto riguarda la «Ostpolitik» del governo Brandt-Scheel, ciò significa concretamente che il governo di Bonn considera provvisori, in quanto vincolano la RFdG, ma non lo Stato che dovrà nascere dall’esercizio del diritto di autodeterminazione del popolo tedesco, sia il trattato con la Polonia del 1970, contenente il riconoscimento della linea Oder-Neisse fra Polonia e RDT, sia il trattato del 1972 fra le due Germania, relativo al loro reciproco riconoscimento. Ed è significativo, a questo proposito, che la Corte costituzionale con una sentenza del 1973 ha affermato il carattere costituzionalmente legittimo del trattato del 1972 (contestato dal governo bavarese), ma ha nello stesso tempo ribadito che la Costituzione vincola gli organi costituzionali della RFdG a perseguire la riunificazione statale della nazione tedesca.
Orbene, secondo lo Schulz, se appare storicamente comprensibile la proclamazione di questa tesi all’epoca della nascita della RFdG, data l’incertezza circa le linee di sviluppo del quadro europeo e mondiale, essa appare nella situazione attuale del tutto superata e produttrice di conseguenze fortemente negative.
Il suo limite più grave riguarda i rapporti con i partners dell’Europa occidentale. In questo contesto è chiaro che, finché Bonn continuerà a proclamare ufficialmente come suo obiettivo la riunificazione delle due Germanie, rimarrà in piedi un ostacolo di grandissima rilevanza all’avanzamento del processo di integrazione europea, poiché le tendenze nazionalistiche presenti nei partners di Bonn nella CEE, e in particolare in Francia e in Gran Bretagna, potranno sempre utilizzare a loro vantaggio la preoccupazione per il ruolo egemonico che la Germania unificata avrebbe oggettivamente nella Comunità, date le sue dimensioni economiche e demografiche. Ciò, oltre a indebolire la credibilità della politica europeistica di Bonn verso l’esterno, apre all’interno degli spazi alle tendenze favorevoli a indebolire i legami europei e occidentali di Bonn nel perseguire l’obiettivo della riunificazione nazionale.
Il fatto di considerare ancora aperta la questione tedesca ha delle implicazioni negative anche nei rapporti con l’Est europeo. Se la prospettiva, sia pure estremamente teorica, che un domani possa essere rimessa in discussione la linea Oder-Neisse contribuisce a rafforzare in Polonia le tendenze più filosovietiche e antiliberalizzatrici, che possono sempre evocare il fantasma del revanscismo tedesco, ancor più negativamente influenza lo sviluppo dei rapporti con la RDT il continuare a proclamare ufficialmente l’obiettivo della riunificazione nazionale, che significa oggettivamente che si è pronti ad assorbire, non appena vi sarà una occasione favorevole, questo Stato, e a fare di Berlino la capitale del nuovo Stato nazionale tedesco. Anche se si tratta di una prospettiva assai irrealistica, il mantenimento di questa posizione ha non solo l’effetto di rafforzare le tendenze più filosovietiche di Berlino Est, ma fornisce anche un importante alibi al rifiuto sia di alleggerire le barriere ai rapporti umani fra le popolazioni delle due Germanie, sia di favorire un miglioramento della situazione sempre precaria di Berlino Ovest. In tal modo viene bloccato ogni sviluppo degli aspetti più positivi della «Ostpolitik».
La linea ufficiale del governo della RFdG sulla riunificazione nazionale produce infine degli effetti negativi non trascurabili anche nei confronti della propria opinione pubblica. Il fatto di persistere da decenni nel proclamare come compito fondamentale della politica estera di Bonn un obiettivo di fatto politicamente irrealizzabile, a meno di sconvolgimenti imprevedibili e comunque estremamente pericolosi per il mantenimento della pace, non può che contribuire a creare sfiducia nella classe politica democratica tedesco-occidentale e quindi a indebolire la coscienza democratica della popolazione. Il che apre indubbiamente spazi all’emergere, soprattutto fra le giovani generazioni, di tendenze politiche irrazionali anche in riferimento al problema della divisione nazionale.
Sulla base di queste considerazioni lo Schulz propone apertamente la revisione dell’attuale linea ufficiale tedesco-occidentale sulla questione tedesca e suggerisce pure, implicitamente, di non trascurare l’eventualità di una modifica delle prescrizioni della Costituzione a questo riguardo, se esse dovessero rivelarsi un ostacolo insormontabile su tale strada. In termini concreti le forze politiche fondamentali della RFdG e quindi il governo, partendo da una più coerente affermazione che l’obiettivo prioritario della politica estera di Bonn è l’unificazione europea, dovrebbero, in riferimento alla questione tedesca, giungere a proclamare ufficialmente che il perseguimento del sacrosanto compito di eliminare le barriere oggi esistenti ai contatti fra le popolazioni delle due Germanie non si propone quale sbocco ultimo la ricostituzione dello Stato nazionale tedesco, bensì la possibilità per i tedeschi dell’Est di esercitare l’autodeterminazione democratica, cioè di darsi un regime democratico, che aprirebbe loro la prospettiva di aderire alla Comunità europea, conservando però la personalità statale della RDT.[2]
Una simile posizione — verso cui le più importanti personalità politiche tedesche, da Strauss a Scheel a Brandt, hanno fatto chiaramente intendere di propendere in varie prese di posizione, senza però avere avuto ancora il coraggio, anche a causa dell’orientamento della Corte costituzionale, di giungere a una precisa proposta di revisione formale della linea ufficiale del governo —, oltre a togliere di mezzo uno dei più importanti ostacoli all’avanzamento del processo di integrazione europea, aprirebbe anche rilevanti spazi alle tendenze distensive e liberalizzatrici nella RDT e più in generale nell’Europa orientale e, mentre contribuirebbe a breve termine al raggiungimento di una maggiore permeabilità delle frontiere fra i blocchi, contribuirebbe a più lungo termine, in connessione con il rafforzamento dell’integrazione europea, a far emergere prospettive di cambiamenti decisivi all’interno del blocco sovietico.
L’analisi svolta nel libro di Schulz e le sue conclusioni non possono che trovarci pienamente consenzienti, non fosse altro per il semplice fatto che esse convergono con tesi che da molto tempo appartengono al patrimonio politico dei federalisti europei. Basta qui ricordare la risoluzione del MFE sulla questione tedesca del 1963, la dichiarazione dell’Europa-Union Deutschland approvata a Baden-Baden nel 1966 e le dieci tesi approvate nel 1980 dall’Hauptausschuss di Europa-Union, una delle quali contiene la formula: «Due Stati in Germania – sotto un tetto europeo».[3] Al di là della legittima soddisfazione per il fatto che uno studioso di prestigio conferma, sulla base di una indagine assai completa e approfondita, la validità di una delle posizioni più significative della linea politica dei federalisti, occorre d’altra parte sottolineare l’estrema attualità politica del discorso svolto da Schulz, date le scelte cruciali di fronte a cui si trova in questo periodo la Comunità europea. Ci riferiamo evidentemente al problema della rifondazione istituzionale della Comunità posto all’ordine del giorno dal Parlamento europeo, e che affronterà la sua prova cruciale — la ratifica da parte degli Stati membri — nel periodo delle prossime elezioni europee nella primavera del 1984. Per inciso si deve osservare che proprio per carenza di informazioni aggiornate sull’azione del Parlamento europeo le considerazioni di Schulz sulle prospettive concrete di sviluppo del processo di integrazione europea costituiscono l’unico punto debole del suo lavoro, poiché si limitano a registrare l’attuale fase di profonda crisi della Comunità senza inserire adeguatamente nel quadro le tendenze evolutive messe in moto dall’elezione diretta del Parlamento europeo. Ciò precisato, si deve osservare che nel quadro della battaglia per la rifondazione istituzionale della Comunità potrà avere un peso molto importante ai fini di un suo esito positivo in Francia — il paese in cui si giocheranno le sorti dell’intera impresa e dove, non va dimenticato, all’epoca della battaglia perduta per la CED il fantasma del pericolo egemonico tedesco fu il principale cavallo di battaglia dei nemici della costruzione europea — l’emergere a Bonn di chiare indicazioni di distacco dall’attuale linea ufficiale sulla questione tedesca. Nella misura in cui le proposte di Schulz saranno in grado di suscitare un ampio e produttivo dibattito in Germania sui limiti di tale linea — e qui sarà decisivo l’impegno politico e culturale dei federalisti tedeschi — ciò potrà contribuire in maniera non irrilevante a produrre sviluppi positivi a questo riguardo.
Sergio Pistone
(ottobre 1982)
[1] A proposito della presenza — ritenuta nel complesso marginale da questo autore — del tema della riunificazione nazionale nel movimento tedesco per la pace e delle reazioni — giudicate sproporzionate — da ciò suscitate al di fuori della Germania si veda Wilfried von Bredow, «Zusammensetzung und Ziele der Friedensbewegung in der Bundesrepublik Deutschland», in Aus Politik und Zeitgeschichte, inserto nella rivista Das Parlament, 19 giugno 1982.
[2] Una tesi del genere era già contenuta implicitamente nel libro di Karl Kaiser, German Foreign Policy in Transition. Bonn between East and West, Oxford University Press, London, 1982, ma mai finora, almeno a nostra conoscenza, era stata formulata in modo così esplicito e argomentato (a parte le prese di posizione delle organizzazioni federaliste europee che verranno viste più avanti) come nel libro di Schulz. La contestazione da parte di quest’autore dell’obiettivo della ricostituzione dello Stato nazionale tedesco, è utile ricordare, costituisce un orientamento diametralmente opposto a quello di Rosario Romeo, il quale nel suo libro Italia mille anni, Firenze, Le Monnier, 1981, considera un grave errore politico e morale la rinuncia aperta o mascherata, sia da parte della maggioranza dei tedeschi occidentali, che dei loro alleati, alla riunificazione nazionale. Una assai lucida critica di questo aspetto del libro di Romeo è svolta da Dino Cofrancesco, «Riflessioni sul nazionalismo. La Germania e l’Europa», in Storia contemporanea, 1982, n. 4.
[3] I primi due documenti sono pubblicati in S. Pistone, La Germania e l’unità europea, Napoli, Guida, 1978, il terzo (a cui fa riferimento positivamente lo Schulz) è pubblicato nel numero di settembre del 1980 dell’organo ufficiale dell’Europa-Union Deutschland, Europäische Zeitung.