Anno XXV, 1983, Numero 4, Pagina 131
LE RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA
DI FRONTE ALL’INSTALLAZIONE DEGLI EUROMISSILI E ALLE CRISI LIBANESE E CARAIBICA
Il sistema bipolare, che governa il mondo dal secondo dopoguerra, mostra ogni giorno di più la sua nuova natura di equilibrio precario tra super-potenze in declino che, avendo esaurito ogni capacità di promozione storica nelle rispettive zone di influenza, assolvono sempre più marcatamente ad una funzione conservatrice, con un crescente ricorso agli strumenti della repressione militare. La ragione sta nel fatto che la politica russo-americana, che aveva reso possibili, con la distensione, la primavera di Praga, il soprassalto liberale in Polonia e processi di emancipazione politica e sociale in America latina, non è più in grado di attivare un processo di allentamento obiettivo delle tensioni reali. In effetti, la transizione al multipolarismo si è arrestata e si è riaffermata la logica dei blocchi; e, con essa, la corsa al riarmo, l’accendersi di crisi locali che coinvolgono direttamente o indirettamente le grandi potenze, il profilarsi della minaccia della catastrofe nucleare. È venuta l’ora di capire che il dialogo coincide con la distensione solo a patto di essere l’espressione di un atteggiamento volto a promuovere o, quanto meno, ad accettare modificazioni dell’attuale equilibrio delle forze, e, in primo luogo, a riconoscere che sulla scena mondiale si sono affacciati nuovi popoli, che intendono, a giusta ragione, non solo governare se stessi, ma anche partecipare, e attivamente, al governo della Terra.
L’Europa è la principale responsabile di questo nefasto corso degli avvenimenti. Divisi e impotenti, gli Stati della Comunità perpetuano il governo russo-americano del mondo, sollecitando apertamente nei fatti, anche quando si afferma di rifiutarlo, il protettorato americano e offrendo così giustificazione a quello, ben più odioso, dell’Unione Sovietica sui paesi dell’Europa orientale. I nostri governi nazionali, incapaci di emanciparsi dall’egemonia americana sul terreno monetario, con gravi responsabilità della Repubblica Federale di Germania che vanno denunziate apertamente, a maggior ragione subiscono la subordinazione sul terreno della sicurezza. La loro decisione concorde di piegarsi alla installazione dei cosiddetti euromissili, tanto europei quanto lo sono gli eurodollari e tanto tattici e di teatro quanto lo può essere un vettore capace di raggiungere Mosca in sette minuti (il che modifica sostanzialmente la bilancia strategica a favore degli USA), ben lungi dal garantire la nostra sicurezza, da un canto, comporterà il consolidarsi della nostra subordinazione a livello atlantico, renderà così più fragile la nostra democrazia e aggraverà le tensioni tra Europa e America con pregiudizio non solo della prosperità, ma della stessa sicurezza; d’altro canto, comporterà, il che è ancor più grave, l’accentuarsi della subordinazione dei popoli europei dell’Est al patto di Varsavia. Solo una presenza autonoma dell’Europa, anche sul terreno militare, potrebbe sia sconfiggere la logica bipolare e la ricerca dell’equilibrio al livello più alto, sia identificare nel teatro europeo non più il campo possibile di un confronto limitato fra le grandi potenze, ma quello di una prima grandiosa pacificazione che, a partire dalla Comunità, si apra agli altri paesi europei dell’Est, a quelli del Mediterraneo, dell’Africa, etc.
È in questa prospettiva che avrebbe senso la richiesta, da più parti avanzata, non solo di una moratoria nei negoziati di Ginevra, ma anche dell’unificazione di questi negoziati con quelli di Vienna sulle armi strategiche e di una diretta partecipazione agli stessi degli europei e dei cinesi. Ciò consentirebbe già di dare alla trattativa una visione globale dei problemi della sicurezza, superando così le difficoltà derivanti sia dalla valutazione dell’armamento nucleare francese e britannico, sia dall’eventualità dello spostamento dei missili sovietici dal teatro europeo a quello asiatico. Ma ben maggiore sarebbe il peso della richiesta se contestualmente si assumessero iniziative per una definizione comunitaria del controllo dell’arsenale atomico franco-britannico e per una politica di standardizzazione, integrazione e riduzione concordata degli armamenti; in altri termini, per l’estensione alla sicurezza delle competenze della Comunità, come indicato dal Consiglio europeo di Stoccarda. Va tenuto presente al riguardo che la difesa europea, proprio perché romperebbe la logica dei blocchi e segnerebbe l’avvento di un equilibrio multipolare più articolato e flessibile, più aperto al gioco diplomatico, più sensibile alle istanze del Terzo mondo e dei non allineati, potrebbe garantire la sicurezza dell’Europa — e favorire quella di tutti gli altri paesi — con il massimo di dialogo e con il minimo di armamenti. Non c’è altro modo per invertire il corso nefasto e cieco delle cose che colloca la sicurezza nella superiorità militare rispetto all’avversario.
Su questa premessa i federalisti, impegnati da sempre nella lotta per la pace, mentre registrano con profonda soddisfazione il successo delle imponenti manifestazioni del 22 ottobre, ribadiscono che questa mobilitazione popolare costituirà davvero la prima espressione di una politica di superamento dei blocchi se si orienterà verso la rivendicazione dell’indipendenza europea e della funzione innovativa e pacificatrice dell’Europa libera dal protettorato russo e americano e quindi dell’Europa «terza forza», non al servizio di un disegno egemonico, ma della pace e della libertà di tutti i paesi. In questa prospettiva i federalisti propongono sin d’ora al Movimento per la pace una grande manifestazione a Strasburgo, nel luglio 1984, all’apertura della II legislatura del Parlamento europeo, per un’Europa unita, indipendente e al servizio della pace.
Questa funzione innovativa e pacificatrice dell’Europa potrebbe cominciare a esprimersi nel Libano e, più in generale, nel Mediterraneo, che è divenuto il teatro di più marcata instabilità nell’equilibrio mondiale. L’adesione dei tre paesi della Comunità all’invio di un contingente militare di pace, se era urgente e doverosa di fronte al possibile annientamento del popolo palestinese, deve essere posta oggi in discussione perché il compito di questa forza europea si è trasformato oggettivamente, nel corso di questi mesi, in sostegno ad una politica di parte. Italia, Francia e Regno Unito si trovano oggi al servizio di una soluzione americana del problema libanese, e più in generale di quello medio-orientale, che ha sempre più scarse possibilità di successo e che comunque perpetuerebbe anche in questa regione, e con conseguenze che potrebbero essere disastrose, il confronto di forza con l’Unione Sovietica. I federalisti invitano i governi d’Italia, Francia e Regno Unito a subordinare il loro impegno militare in Libano ad una autonoma iniziativa comunitaria che, nello spirito del Consiglio europeo di Venezia, sia intesa a istituire nuovi rapporti globali tra Europa e mondo arabo, nella prospettiva di un ordine multipolare, nel cui quadro soltanto può iscriversi non solo la pacificazione del Libano, ma anche la soluzione del problema palestinese e la sicurezza di Israele, con salde garanzie internazionali di tutte le parti.
Una precisa e immediata assunzione di responsabilità europea sulla scena internazionale è urgente perché la passiva gestione della politica atlantica indebolisce l’Europa, rafforza l’Unione Sovietica e la sua avventurosa politica imperiale, consolida atteggiamenti americani ispirati alla rivincita e alla demonizzazione dell’avversario. Il caso di Grenada è sotto questo profilo esemplare. Al di là della grottesca insipienza britannica, che ha liquidato il Commonwealth con la creazione di una miriade di piccoli Stati sovrani che, a cominciare da Malta, con spirito bottegaio, offrono la propria sovranità alle grandi potenze mettendo così arbitrariamente a repentaglio l’equilibrio delle forze sul pianeta, resta il fatto che un paese ACP, legato alla Comunità dalla Convenzione di Lomé, subisce, prima, la conquista, per intermediazione cubana, dell’Unione Sovietica e, quindi, l’invasione militare americana. I federalisti denunziano l’atteggiamento farisaico di chi, tacendo o avendo taciuto sull’infiltrazione sovietica, che pure ha portato a spargimento di sangue, si limita a condannare l’intervento armato americano e non propone un diverso e più giusto assetto del potere mondiale e i mezzi adeguati a instaurarlo.
Questa evocazione delle responsabilità europee non ha più oggi il senso di un messaggio lanciato alla storia, ma quello, ben più cogente, di un richiamo a responsabilità politiche. L’Europa, di fronte a un mondo in marcia verso la barbarie, non solo deve ma finalmente può indicare la strada verso la salvezza del genere umano e portare al mondo la sua parola di pace. Il progetto di Trattato per l’Unione europea, approvato dal Parlamento europeo il 14 settembre, prospetta una Comunità democratica, pacificata, aperta: un modello proposto al mondo intero. Ma il progetto di Trattato offre anche alla Comunità una capacità di agire, di parlare con una voce sola nell’arengo mondiale. I federalisti chiedono alle forze politiche, sociali, culturali, al governo, al parlamento di esprimersi senza indugio al riguardo e di intraprendere tutte le iniziative per promuovere il successo dell’impresa negli altri paesi. Ma chiedono anche che, nella prospettiva di questa grande trasformazione costituzionale, destinata a trasformare l’Italia in uno Stato membro della federazione europea, si cominci sin d’ora a identificare i comportamenti politici, sul terreno del rinnovamento economico, della riforma istituzionale, ma anche della politica internazionale, che siano compatibili con questa scelta di fondo. E che si cominci, sin d’ora, a comportarsi così.
Luigi Vittorio Majocchi
(ottobre 1983)