IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXV, 1983, Numero 1-2, Pagina 13

 

 

A PROPOSITO DEL PROGETTO MI-TO
 
 
Quale giudizio dare del progetto Mi-To in un’ottica federalista? Un giudizio, credo, nettamente negativo.
Valgano a questo proposito alcune brevi considerazioni, che riguardano esclusivamente la filosofia della proposta e non i dettagli del suo contenuto.
1. Il territorio della Comunità europea, pur nella sua infinitamente varia articolazione, ha acquisito un tale grado di’ interdipendenza da rendere assai discutibile l’idea di proporre un progetto così ambizioso, e che richiederebbe un impegno colossale di risorse, senza inserirlo in uno schema — anche se per ora soltanto ipotetico — di piano di riequilibrio territoriale che riguardi l’intera Europa occidentale. Questo respiro europeo manca al progetto Mi-To, che prende in considerazione i rapporti tra le aree metropolitane milanese e torinese prescindendo dal contesto più vasto in cui essi si collocano.
2. Se si assume un punto di vista europeo, si constata che il problema cruciale della pianificazione del territorio è oggi quello di contrastare un processo di polarizzazione che interessa l’intero continente e che spinge alla crescente congestione delle zone intasate del centro geografico del territorio della Comunità e alla desertificazione delle aree periferiche. Le aree metropolitane di Milano e di Torino fanno parte delle prime, mentre il Sud dell’Italia è una delle periferie europee più gravemente sottosviluppate. Di fronte al problema dell’allocazione più razionale di risorse scarse, e quindi dell’individuazione di precise priorità, sembra indubbio che ad un progetto che si propone, attraverso imponenti misure di «razionalizzazione», di far affluire una quantità ancor maggiore di risorse nell’area più congestionata d’Italia sarebbe da preferire un’ipotesi di lavoro che si proponesse di valorizzare la vocazione naturale di cerniera che hanno le aree lombarda e piemontese tra il Nord-Europa e la parte meno sviluppata del nostro paese. In questa ottica sarebbero da privilegiare la costruzione — o il completamento — di grandi assi tangenziali che, tagliando fuori le aree metropolitane vere e proprie, potenzino le correnti di traffico tra i paesi europei a nord e a ovest dell’Italia e le regioni del centro-sud, realizzando il duplice obiettivo di decongestionare le porzioni di territorio più intasate e di far affluire risorse verso la parte della penisola minacciata dalla desertificazione.
3. Nel quadro più ristretto dell’Italia settentrionale non sembra comunque da condividere la prospettiva di favorire l’ulteriore afflusso di risorse verso il centro, accentuando l’espansione urbana radiale di Milano e di Torino, ma parrebbe piuttosto opportuno puntare su di uno sviluppo urbano «circolare» che, secondo gli studiosi del territorio più attenti al problema, è prefigurato dal tracciato autostradale Torino-Piacenza-Modena-Verona-Brennero.
4. In un’epoca nella quale il progresso tecnologico — e dell’informatica in particolare — consente di ridurre le dimensioni sia delle unità produttive che delle istituzioni che forniscono servizi senza comprometterne l’efficienza — ed anzi diminuendo fortemente i rischi di colossali paralisi nei meccanismi di produzione e distribuzione di beni e servizi — appare paradossale ispirare un progetto di pianificazione territoriale alla filosofia della specializzazione delle funzioni (cioè quella stessa che ha causato l’attuale grado di degenerazione della civiltà urbana) con il suo seguito di violenza e sradicamento sociale, quando, per la prima volta dall’inizio della Rivoluzione industriale, si manifesta una concreta possibilità di invertire la tendenza e di ridare ad ogni porzione del territorio quell’elevato grado di multifunzionalità che costituisce il presupposto fondamentale di qualunque miglioramento effettivo della qualità della vita e del riformarsi di comunità socialmente sane e radicate nel territorio. Un uso corretto degli strumenti messi oggi a disposizione degli uomini dai progressi della tecnologia comporta la massima dispersione delle funzioni (dove possibile fino al livello del quartiere) e non la loro massima concentrazione.
Per questo è difficile sottrarsi all’impressione che il progetto Mi-To sia il tentativo di impiegare la tecnologia dell’era postindustriale per realizzare una filosofia dell’organizzazione del territorio sorpassata da mezzo secolo.
 
Francesco Rossolillo
(gennaio 1983)

 

 

 

 

 

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