IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno I, 1959, Numero 3, Pagina 154

 

 

L’INCONTRO KRUSCEV-EISENHOWER
 
 
La visita di Kruscev negli Stati Uniti d’America ha segnato l’apertura ufficiale della distensione. Per comprendere il carattere della nuova fase della politica mondiale, bisogna prima di tutto stabilire quale fosse la posta in gioco tra le due potenze egemoniche. Prendendo alla lettera il vocabolario politico, le parole «guerra fredda» e «pace», con le quali si formula comunemente l’alternativa, ci dovrebbero far pensare che stavamo fra la guerra mondiale o la pace. La realtà è diversa. In effetti la guerra mondiale non era possibile. Le due potenze egemoniche non potevano, come non possono ora, ricorrere alla guerra, perché l’impiego dei loro mezzi distruttivi renderebbe impossibile la vittoria dell’uno o dell’altro contendente, e certa la fine di entrambi. Tuttavia, anche se la guerra non era possibile, i capi russi ed americani si sono comportati per molto tempo come se la guerra fosse un mezzo possibile di risoluzione del loro contrasto. E’ questo comportamento che era in gioco. Si trattava di vedere se era possibile passare da una pace imposta dalla forza delle cose ad una pace consapevolmente accettata dai circoli dirigenti degli U.S.A. e dell’U.R.S.S. Sembra nulla, ed è moltissimo. A dir brevemente, ciò comportava nella politica internazionale il trasferimento del conflitto tra gli U.S.A. e l’U.R.S.S. dal piano militare a quello politico, economico e sociale, e quindi: a) la capacità di mantenere il controllo delle due rispettive zone di influenza senza la tensione internazionale, b) un mutamento di indirizzo politico ed economico interno di grave entità per la diminuzione degli impegni militari, c) la possibilità di fare tutto questo senza che i circoli dirigenti perdessero nei rispettivi paesi la loro base di potere. Il fatto che la distensione sia cominciata ufficialmente sembra dimostrare che tutti questi cambiamenti sono almeno per ora possibili, e sono già in corso.
Naturalmente un mutamento così ampio nella politica delle potenze egemoniche avrà grandi ripercussioni nel mondo. Noi vorremmo analizzare in particolare quali potranno essere le ripercussioni nell’Europa occidentale, che ci riguarda da vicino, e mette in causa la nostra responsabilità politica. Come è noto le sinistre, soprattutto socialiste, dell’Europa occidentale, puntavano da tempo sulla distensione. Il loro ragionamento era superficialmente corretto. E’ naturale che in tempi di grave tensione internazionale prevalgano i problemi della sicurezza dello Stato — delle istituzioni, come si dice spesso — e che di conseguenza in tal caso gli indirizzi economico-sociali vengano subordinati ai problemi della forza militare e della compatta disciplina nazionale. Ciò comporta situazioni di potere che danno molte opportunità alle destre, e nessuna opportunità alle sinistre. Ed è altrettanto naturale che in tempi di distensione internazionale l’ordine di preminenza dei problemi si rovesci, e che di conseguenza in questo secondo caso si producano situazioni di potere più favorevoli alle sinistre che alle destre. Sulla base di questo dato da molto tempo i socialisti italiani mettevano in evidenza il «filo rosso» che a loro parere avrebbe legato la distensione alla vittoria laburista in Gran Bretagna, ed alla ripresa del socialismo in Francia, Germania ed Italia. L’avvento di De Gaulle, che mise definitivamente a terra il socialismo francese distrutto dalla colpa coloniale, diede un grave colpo a queste speranze. Ma ciò accadde prima dell’apertura della distensione, e quindi si poteva mettere questo evento nel bilancio della guerra fredda, mentre, sia pure con qualche difficoltà in più, si poteva continuare a sperare che, se la distensione avesse cominciato a produrre i suoi effetti, un socialismo rinnovato, e rafforzato da Mendès-France, avrebbe potuto avere ancora delle chances in Francia.
Oggi tutto fa pensare che queste speranze siano tramontate. Il primo fatto seguito all’apertura ufficiale della distensione tra gli U.S.A. e l’U.R.S.S. è stata la gravissima sconfitta del laburismo. Si tratta di un evento post-distensione, e per di più nel punto cruciale: la Gran Bretagna. Il «filo rosso» si è spezzato, e non si vede più ormai come sia possibile rappezzarlo. Un nuovo ciclo politico si apre ed i socialisti sono di nuovo, come quasi sempre, fuori gioco. Naturalmente questi fatti propongono un interrogativo: c’è veramente una incompatibilità tra la distensione e la presenza delle forze conservatrici al potere? Dal punto di vista concettuale no: le equazioni pace=dominio delle forze progressiste, tensione=dominio delle forze conservatrici, si sono rovesciate spesso nella storia, perché pace e conservazione, in certe situazioni, possono benissimo andare d’accordo. Si può soltanto dire che, in presenza di altri dati indispensabili, il dato della pace offre grandi possibilità alle forze progressiste, mentre il solo dato della guerra toglie loro tali possibilità. L’errore dei socialisti fu quello di aver scambiato una possibilità per una necessità, e di aver fatto una analisi molto superficiale perché incompleta. L’analisi avrebbe dovuto in realtà essere completata con l’esame della possibilità dei conservatori di inserirsi nel ciclo distensivo, e con l’esame delle reali alternative di potere in ciascun paese. In questo caso si sarebbe potuto prevedere, come prevedevano i federalisti,[1] che la spinta della distensione non sarebbe stata sufficiente per produrre una alternativa politico-sociale in Francia, Germania ed Italia; o meglio che questa spinta si sarebbe infranta contro un ostacolo insormontabile: l’equilibrio politico-sociale di ciascuno di questi Stati, che permette maggioranze «immobilistiche» e rende impossibili maggioranze di sinistra. Questo dato, familiare ai federalisti, è stranamente estraneo ai politici nazionali, che pretendono di fare politiche di espansione civile, economica e sociale con i vecchi Stati nazionali, pressoché privi di potere nel campo internazionale, e dotati di dimensioni assolutamente insufficienti per uno sviluppo pieno ed armonico dell’economia moderna. Ad ogni modo questa previsione si sta ormai traducendo nei fatti, ed i fatti si impongono da se stessi. L’equazione distensione=conservazione è già stabilita in Gran Bretagna. Essa si imporrà perciò anche in Francia, in Germania ed in Italia perché il flusso di reazioni a catena verso sinistra, interrotto prima ancora di partire in un punto-chiave, non sembra avere alcuna possibilità di riaccendersi in questi paesi.
Ma proprio questa costatazione è grave. Avremo la pace — entro certi limiti perché si spara ancora in Algeria ed in molte altre parti del mondo — ma non avremo una svolta politico-sociale nell’Europa occidentale. Questo fatto mette in chiara evidenza i limiti attuali della distensione. Una sistemazione dei rapporti internazionali può essere considerata stabile solo se realizza un equilibrio mondiale che non comprime quanto di nuovo si affaccia nel mondo. Per quanto riguarda l’Europa occidentale, il rapporto conservazione-distensione garantisce il contrario. Un lungo periodo di conservazione non sarebbe pericoloso se l’Europa avesse un assetto politico, economico e sociale soddisfacente, ed ordinate possibilità di sviluppo. Purtroppo la realtà è ben diversa, e la conservazione manterrà questa realtà, accumulando nel sottosuolo politico veleni che presto o tardi daranno il loro frutto. Ciò non riguarda la sola Europa occidentale ma il mondo intero. L’Europa occidentale, che appare così spregevole dal punto di vista politico, ha in realtà una importanza cruciale per lo stabilimento di un equilibrio mondiale positivo, perché possiede uno dei primi potenziali economici del mondo. Questo potenziale è uno dei fattori decisivi dell’equilibrio internazionale, e l’Europa occidentale lo utilizza male economicamente e politicamente mantenendo le divisioni nazionali,[2] mentre dovrebbe espanderlo anche per contribuire a dare uno sviluppo sano al grandioso moto di emancipazione dell’Africa e dell’Asia.
La distensione tra gli U.S.A. e l’U.R.S.S. può togliere di mezzo la guerra fredda, ma può svilupparsi, per quanto riguarda il resto del mondo, tanto in direzione conservatrice quanto in direzione evolutiva. Che si pigli una strada, o che si pigli l’altra, dipende ormai dal resto del mondo. Per l’Europa occidentale la scelta tra queste due vie corrisponde alla scelta tra il mantenimento delle divisioni nazionali, e la creazione di un potere federale unitario. Solo in questo caso infatti gli europei potrebbero fare una efficace politica internazionale, e potrebbero disporre di mezzi economici pari ai gravi problemi da affrontare.
 
 Mario Albertini


[1] Cfr. ad esempio Altiero Spinelli, La «politica-ombra» dell’Europa, «Il Federalista», Anno I, n. 1.
[2] E’ banale costatare che il rendimento dei fattori della produzione sarebbe molto maggiore se essi fossero impiegati in un grande mercato piuttosto che nei piccoli mercati nazionali. Ma le sinistre, che pur pretendono di battersi per lo sviluppo economico, non ci pensano mai. Una lodevole eccezione è Mario Zagari. Dopo la stesura del nostro scritto abbiamo letto il suo articolo La lezione dell’Inghilterra (vedi «Critica Sociale» del 20 ottobre 1959). In questo articolo Zagari esamina i rapporti tra la distensione e la sconfitta del laburismo; mette in evidenza la divergenza tra il «conservatorismo della guerra fredda» dell’Europa occidentale e il «conservatorismo illuminato» degli U.S.A. e della Gran Bretagna; e riferisce questa divergenza al fatto che i «campi» degli U.S.A. e della Gran Bretagna consentono l’espansione neocapitalistica anche in fase di distensione, mentre i «campi» degli Stati dell’Europa occidentale non la consentono. In conseguenza di ciò, egli formula per il movimento socialista la seguente alternativa (che noi predichiamo da un pezzo): «sopravvivere ai margini della distensione» e «scomparire come un residuo lentamente assorbito», o agire «in un campo di lotta dove il socialismo possa manifestarsi originalmente»: il campo unitario europeo, adatto ad uno sviluppo scientifico, tecnico ed economico moderno. D’accordo: però, dato che in questo senso un «campo» è uno Stato, ciò che dice Zagari ha senso solo se si tira questa conseguenza politica: l’obiettivo pregiudiziale è la disponibilità del campo, cioè la fondazione della Federazione Europea, perché gli attuali rapporti della produzione non permettono la realizzazione di un campo unitario di sviluppo economico su un’area organizzata da parecchi Stati sovrani. Ciò equivale a dire che il movimento socialista dovrebbe abbandonare l’azione in campi separati nazionali; e dovrebbe proporsi, come primo ed assoluto obiettivo, la Costituente Europa, perché non ci sono altri mezzi democratici per fondare uno Stato.

 

 

 

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