Anno III, 1961, Numero 2, Pagina 76
1961, IN ITALIA
NON C’È POSTO PER LO STRANIERO
Ritorniamo ancora una volta sul problema dell’«Alto-Adige». In sé il problema non è molto importante, e se ne parla tanto solo perché in uno Stato-nazione i problemi piccoli diventano grossi, capovolgendo sia la scala di importanza dei problemi sia la scala civile dei valori. Che la scala di importanza dei problemi sia, nel caso, invertita, ce lo attesta la dichiarazione del presidente del Consiglio il tre febbraio in Parlamento: «A titolo di assicurazione e garanzia al Parlamento e alla Nazione, devo dichiarare che il governo non perde mai di vista nella sua azione la ragione essenziale della sua presenza: la garanzia nazionale ed assoluta dei confini del Paese». Noi viviamo in un’epoca in cui, liberamente o meno, gli Stati nazionali sovrani in Europa sono destinati a sparire e nella quale, comunque, i governi dei «Sei» si sono impegnati, con i trattati «comunitari», ad abolire le frontiere. Ma l’on. Fanfani, così attento all’onore dell’Italia quando la TV lo calpesta sparlando del fascismo o lasciando dire, ohibò, che la «repubblica italiana è fondata sulle cambiali», pensa al confine del Brennero come ad una «garanzia assoluta». Buon per lui, mal per noi, che non potremmo certo difenderci da pericoli reali schierando al Brennero, contro l’Austria, le truppe italiane.
Che anche le scale di valori vengano invertite ce lo ha invece dimostrato il presidente della Camera, prof. Leone. Leggiamo il resoconto sommario del dibattito parlamentare sull’Alto-Adige (il resoconto stenografico non è ancora stato pubblicato).
Mitterdorfer: …Dopo aver rilevato che la perquisizione operata dagli organi di polizia nella sede centrale della Volkspartei denota il fermo proposito di mettere sotto accusa questo partito per atti di violenza cui il partito stesso è estraneo e che, anzi, sono stati da esso condannati da qualunque parte provenienti, afferma che la mancata risonanza data alle affermazioni in tal senso rese da esponenti della Volkspartei è frutto di una atmosfera di sospetto che denota la mentalità diversa che caratterizza il suo popolo rispetto al popolo italiano.
Presidente: rileva che vi è un solo popolo italiano di cui l’oratore fa parte. (Vivissimi applausi).
Mitterdorfer: Rivendica il diritto della sua gente ad avere una mentalità diversa e di essere fedele a se stessa, laddove sarebbe obbligo dello Stato italiano di rendersi interprete di tale diversità di fronte alla pubblica opinione. E’ stata proprio questa incomprensione che ha creato il clima in cui la perquisizione ha avuto luogo, nel corso della quale nulla si è trovato, perché la Volkspartei è un partito democratico, che democraticamente svolge la sua azione, ecc.».
A questo proposito non c’è dubbio che dovrebbe essere un vanto per uno Stato cristiano e democratico avere una struttura tale che gli permetta di farsi interprete e portatore dei valori del cosmopolitismo, essere uno Stato plurinazionale in un’epoca in cui lo Stato mononazionale è una pesante e sanguinosa eredità di un passato da cancellare. Invece no, non c’è altra logica che quella nazionale: se all’interno di uno Stato mononazionale esiste una minoranza etnica questa è un’anomalia da eliminare con la violenza o, almeno, con le parole. L’on. Mitterdorfer è dell’«Alto-Adige» (Sud Tirolo), l’«Alto-Adige» è dell’ Italia (per diritto di conquista), dunque l’on. Mitterdorfer è «italiano», «italiano» anche se si chiama Mitterdorfer. Bisogna non pensare che un Mitterdorfer possa essere tirolese (patria), o tedesco (lingua), perché questo pensiero terribile farebbe vacillare l’Italia!
Questa strana logica è di tutta l’Europa da quando essa è stata sistemata, con l’esito che sappiamo, a nazioni (ottenendo anche il risultato di comprimere proprio le vecchie nazionalità spontanee). Il 26 agosto 1946, protagonista un algerino, allora senza alcun dubbio «francese», all’Assemblea Nazionale successe la stessa cosa, corsero lo stesse parole.
Leggiamole nel resoconto del «Journal Officiel» citato da Herbert Lüthy[1] (si riferiscono al discorso d’ingresso del deputato algerino Hagi A. Saadan).
H. Saadan: «Mi trovo un poco sperduto perché, rivolgendomi a un’assemblea composta in maggioranza da francesi… (vive interruzioni a destra e al centro) temo di non farmi capire…
…Sono veramente confuso da queste interruzioni perché, fino ad ora, io non so quello che sono (grida a destra e al centro). Sono un suddito francese? Sono un cittadino francese?» (Nuovi schiamazzi sui medesimi banchi, all’estrema sinistra si grida «Benissimo»).
Il Presidente: «Sig. Saadan, siete alla tribuna del Parlamento Francese!» (Applausi a destra e al centro).
André Maroselli (rad.): «Non ci possono essere a questa tribuna che deputati francesi, dunque voi siete francese!».
Voci a destra: «Se non lo sapete andatevene» (proteste all’estrema sinistra).
H. Saadan: «Se la Francia non ci concede quei diritti, che essa è tenuta a darci perché conformi alla sua tradizione filosofica e alla sua storia, noi ce ne andremo. Voglio dire che parlando da questa tribuna francese a un’assemblea, in cui ci sono dei Bretoni, degli Alsaziani… (Vive esclamazioni a sinistra, al centro, a destra. Grida da molti seggi «Francesi»).
Patrice Bougrain (rep.) «Non ci sono che francesi in questa assemblea!».
André Le Troquer: «I Bretoni sono francesi», «Questo linguaggio è inaudito».
Presidente: «Sig. Saadan, vi ho già rammentato che parlate da una tribuna francese. Vi invito ora a parlare francese!» (Applausi a sinistra, al centro, a destra).
Il lettore attento avrà notato come le parole del Presidente «Sig. Saadan siete alla tribuna del Parlamento Francese» furono ripetute due volte, che la prima volta vi furono applausi solo a destra e al centro e che la seconda volta vi furono applausi a sinistra, a destra e al centro. Il nazionalismo, lo sapevamo, non conosce più frontiere di partito, e qualche volta è più acceso a sinistra che altrove: dove si battono per il potere i socialisti sono in realtà più nazionalisti dei conservatori. Ad esempio i socialdemocratici tedeschi, per affrontare le elezioni, hanno tirato fuori Willy Brandt, che deve la sua fortuna politica allo sfruttamento nazionalistico — dalla grande politica alle adunate oceaniche — della questione di Berlino. Ma questo sarebbe un altro discorso. Per quanto riguarda il caso dell’«Alto Adige» dobbiamo dare atto ai socialisti del P.S.I. di aver salvato il decoro con l’astensione, e di aver tenuto una posizione non nazionalistica. Naturalmente una astensione è poco, sia per il caso in questione, sia per le radici del male: la sovranità assoluta dello Stato, che i socialisti del P.S.I. non banno saputo mettere in discussione.
Alessandro Cavalli