Anno XXII, 1980, Numero 3, Pagina 189
IL X CONGRESSO DELL’UEF
(STRASBURGO 14-16 MARZO 1980)
DISCORSO DI ALFRED KASTLER AL CONGRESSO
Signor presidente dell’Unione europea dei federalisti, signor sindaco di Strasburgo, signore e signori;
La nostra ambizione è quella di rappresentare l’Europa, l’Europa che cerca se stessa, l’Europa che si va formando. Sappiamo bene che tra i due grandi la cui rivalità domina il mondo il peso politico dell’Europa non è quello che potrebbe essere se l’Europa si esprimesse con una sola voce.
Poniamo mente alla situazione demografica: contro gli Stati Uniti d’America con i loro 210 milioni di abitanti, contro l’Unione Sovietica, la cui popolazione nell’area europea è di 190 milioni di abitanti, ed arriva ai 250 comprendendo la zona asiatica, l’Europa della sola CEE, l’Europa dei nove, rappresenta anch’essa 250 milioni di anime; e quando la Grecia, la Spagna e il Portogallo si saranno associati, essa potrà parlare a nome di 300 milioni di uomini e di donne. Malgrado questa predominanza demografica, la voce dell’Europa in confronto a quella dei due grandi non è quella che potrebbe essere o quella che dovrebbe essere.
Se noi completiamo il confronto demografico con quello dei fattori culturali ed economici, scientifici e tecnici, la nostra convinzione che l’Europa debba divenire un partner alla pari dei grandi nel concerto delle potenze mondiali si rinforza. Prendiamo un esempio nel settore delle scienze: il nostro centro europeo per le ricerche nucleari, il CERN a Ginevra, è ad un livello scientifico pari al centro americano di Brookhaven o a quello sovietico di Doubna.
Ma sul piano politico, l’Europa non ha la parte che le spetta perché non è ancora in grado di esprimersi con un’unica voce. Se vogliamo che essa diventi forte, non è per orgoglio o per vanità, ma perché abbiamo la coscienza che nella corsa, assurda e insensata, all’ampliamento degli armamenti nucleari che sta avvenendo fra i due grandi e che costituisce la maggiore minaccia per l’avvenire della specie umana, l’Europa potrebbe essere un elemento di ragione e di pace, un fattore di stabilità in un mondo che al giorno d’oggi non conosce altro equilibrio che quello del terrore. Io non so se ci rendiamo conto di che cosa rappresenti l’attuale accumulo di armi nucleari nella nostra sola Europa occidentale. Oltre all’armamento francese che raggiunge oggi 80 megatonnellate di TNT, l’armamento NATO assegnato all’Europa (i sottomarini inglesi e quelli americani stazionanti nei porti europei, più le 7000 armi tattiche americane sul suolo europeo), rappresenta una potenza di fuoco equivalente a più di 10.000 bombe di Hiroshima, di quella bomba che, ricordiamolo, ha causato la morte di 100.000 esseri umani. Moltiplicate 100.000 per 10.000 e prevedete il numero delle vittime!
E purtuttavia questo arsenale è stato giudicato insufficiente per assicurare la difesa dell’Europa dalla direzione della NATO, che ha recentemente deciso di rinforzarlo con nuove armi, inaugurando così una nuova rincorsa nella competizione e lanciando una sfida all’Unione Sovietica che ha risposto con l’inqualificabile aggressione in Afghanistan.
Le deboli speranze che ci aveva dato la conferenza sul disarmo delle Nazioni unite si sono dileguate. Così è iniziata una nuova tappa del riarmo, che inghiottirà nuove somme e accaparrerà un potenziale di lavoro umano che mancherà terribilmente per l’aiuto al Terzo mondo. Infatti non è possibile fare le due cose contemporaneamente: intensificare il riarmo e continuare ogni giorno a spendere più di un miliardo di dollari per perfezionare gli strumenti di distruzione e sottrarre il Terzo mondo al suo sottosviluppo. Bisogna scegliere, e oggi si insiste nella cattiva scelta. I principi che governano questo mondo non hanno ancora capito che il problema principale al quale sono confrontati gli uomini in questa fine del ventesimo secolo non è più la competizione fra l’Est e l’Ovest ma il problema Nord-Sud, cioè il problema dei rapporti fra nazioni industrializzate e nazioni sottosviluppate.
A noi Europei il compito di dare l’esempio della solidarietà tra Europei in primo luogo e col Terzo mondo in secondo luogo, a noi dimostrare che l’Europa che noi vogliamo non è un’Europa egoista chiusa su se stessa, ma un’Europa aperta al mondo, una Europa che capisce che intorno al lago interno che si chiama Mediterraneo si stende il continente euro-africano e che noi siamo particolarmente responsabili di un’Africa saldata alla nostra penisola europea.
Il mondo industriale è in crisi, e poiché è così bisogna trovare un capro espiatorio. Allora si mettono sotto accusa la scienza e la tecnica. È colpa della scienza se l’inquinamento si estende dai nostri continenti al mare, se distruggiamo a un ritmo inquietante le foreste del nostro globo, se esauriamo in due secoli le riserve sotterranee di energia che la terra ha messo miliardi di anni ad accumulare grazie ai raggi solari?
È colpa della scienza anche se il 30% degli abitanti del globo accaparra l’80% delle risorse della terra? È colpa della scienza se, prima della fine di questo secolo, noi 2 miliardi di fortunati ci troveremo di fronte a 5 miliardi di affamati?
Sì, la scienza ha qualcosa da dire! Ed essa ci dice che, se volessimo utilizzare il potenziale tecnico che essa ha creato per il bene e non per il male, noi potremmo in un quarto di secolo trasformare un Terzo mondo che si trascina ai confini della miseria in un mondo il cui avvenire materiale sarebbe assicurato insieme al nostro.
Che non si dica che non si sa come fare, che il problema è complicato. Se non facciamo è perché non vogliamo fare, perché non ne vogliamo pagare il prezzo. Eppure questo prezzo è ben modesto, se paragonato al prezzo che continuiamo a pagare sotto la spinta dei due grandi per preparare l’Apocalisse. Di fronte alle superpotenze che continuano a riarmare, mostriamo il cammino della riconversione: col nostro acciaio, invece di carri armati, costruiamo delle carriole, col nostro azoto sintetico invece di esplosivi fabbrichiamo dei concimi; con l’esercito di scienziati e di tecnici addetti a sofisticare gli strumenti di morte teleguidati sviluppiamo le ricerche sulle nuove forme di energia e in particolare sulla energia solare; così domani il problema dell’energia e quello del Terzo mondo si avvieranno verso la soluzione. Ma se non lo facciamo, se non riusciamo a spezzare la spirale del riarmo impostaci dai due grandi, se la sola cosa che riusciamo a fare, anche noi, è di vendere i nostri surplus di armi al Terzo mondo, allora aspettiamoci il peggio. Infatti le potenze nucleari non riusciranno a mantenere più a lungo il loro monopolio. Domani l’Argentina, il Brasile, l’India, l’Iran, il Pakistan possiederanno l’arma nucleare. Che cosa nascerà dall’unione ella potenza nucleare e della miseria? Che cosa diverrà quest’arma nelle mani dei desperados? Ve lo lascio immaginare!
Ecco che cosa attende le nazioni industrializzate se i loro governanti non sapranno cambiare rotta per tempo, ed è ormai ora! Ecco che cosa un’Europa unita e forte dovrà dire ai grandi. Una volta garantita la sua unità, l’Europa dovrà intervenire nel concerto delle nazioni per rinforzare un’organizzazione mondiale in grado di assicurare agli uomini una vita degna di essere vissuta in una pacifica cooperazione.
LA MOZIONE DI POLITICA GENERALE
Il X Congresso dell’UEF, riunito a Strasburgo il 14-16 marzo 1980, nell’intento di rafforzare la Comunità, di rendere più efficace la sua influenza sulla politica concreta e più attiva la presenza dell’Europa nel mondo, per dare alle speranze espresse dagli elettori il 7-10 giugno 1979 le risposte che essi attendono, ricorda che un certo numero di problemi devono essere risolti con decisione nell’immediato futuro, pena la paralisi della Comunità e la progressiva disaffezione di cittadini nei confronti dell’Europa.
In particolare 1) Per progredire lungo la via dell’Unione economico-monetaria, bisogna che siano prese le disposizioni necessarie per consentire l’attuazione nei termini previsti del Fondo monetario europeo e l’attribuzione allo scudo di una funzione reale, quantomeno nelle transazioni internazionali. Bisogna altresì che le risorse proprie della Comunità siano aumentate in modo che il suo bilancio raggiunga almeno la soglia del 2,5% del prodotto interno lordo comunitario, necessaria per consentire alla Comunità stessa di prendere le misure indispensabili per garantire uno sviluppo equilibrato dell’economia dei Nove. Soltanto in questo modo sarà possibile rafforzare e riformare le politiche agricola, industriale, sociale e regionale. 2) Il rinnovo della Commissione non deve avvenire senza che sia affermato il principio della sua responsabilità di fronte al Parlamento. Per questo la nuova Commissione dovrà presentarsi davanti al Parlamento per esporre il suo programma, in modo che il Parlamento possa valutarne le intenzioni, controllarne l’esecuzione e, in caso di conflitto, fare eventualmente uso dell’arma della censura. 3) Il Parlamento deve affrontare senza indugio il problema della procedura per la seconda elezione, attenendosi ai criteri della proporzionalità, del minor contrasto possibile con i sistemi in vigore per le elezioni nazionali della Comunità e di una dimensione delle circoscrizioni tale da favorire il contatto più stretto possibile tra candidati ed elettori. 4) Bisogna risolvere il problema della creazione di una agenzia europea del petrolio sul modello dell’Euratom. Questa agenzia deve essere autorizzata a pagare in scudi le importazioni di petrolio. Senza questa misura il problema dell’energia in Europa non potrà avere una soluzione europea, e quindi una soluzione tout-court. 5) La Comunità deve fare ogni sforzo per rafforzare la sua presenza nel mondo, per stabilire un rapporto d’equal partnership con gli Stati Uniti e per favorire l’emergenza d’un nuovo equilibrio mondiale multipolare, più flessibile e più pacifico di quello attuale, che sia veramente in grado di dare un impulso sostanziale allo sviluppo dei paesi del Terzo mondo. In particolare, bisogna che la Comunità si impegni su una soluzione pacifica e giusta del problema del Medio oriente.
LA MOZIONE DELLA JEF
Il Bureau exécutif della JEF, cosciente del fatto che i federalisti devono svolgere un ruolo politicamente e culturalmente importante nella costruzione di uno Stato e di una società federalista in Europa; cosciente del fatto che tale ruolo dovrebbe essere svolto sia dalla JEF che dall’UEF; richiama l’attenzione del Congresso europeo sugli importanti sviluppi e sulle azioni della JEF negli ultimi anni con l’adozione del Manifesto JEF e l’organizzazione di campagne europee (campagne antinazionaliste, azioni-frontiera, azioni per una cooperazione paneuropea ecc.); approva il rapporto del professor Albertini che sottolinea l’importanza del ruolo della JEF per lo sviluppo e l’incentivazione dell’azione federalista nei suoi aspetti politico-culturali e organizzativi; chiede al Congresso dell’UEF di adottare il seguente testo:
Il Congresso dell’UEF sottolinea l’importanza, per i federalisti, del compito di cooperare con le forze sociali e politiche, compresi i nuovi movimenti, come affermato nella relazione del Presidente, soprattutto quando essi (movimenti degli ecologisti, organizzazioni dei lavoratori emigrati, ecc.) affrontano problemi che non possono essere risolti nel quadro degli esistenti Stati nazionali, ma richiedono una soluzione europea. Tali movimenti possono essere alleati dell’UEF nello sviluppo di una politica culturale transnazionale e nella lotta per la democratizzazione delle istituzioni europee.
Tale strategia può essere anche il modo di applicare il federalismo a problemi concreti, rendendo così il nostro movimento più mobilitante per il popolo europeo e in particolare per i giovani. In tale contesto il Congresso dell’UEF riconosce in particolare l’importanza di lavorare insieme alla JEF nel quadro proposto dalla relazione del professor Albertini, nella quale si sottolinea che l’UEF deve instaurare la più stretta collaborazione possibile con la JEF, in assenza della quale non potrebbe assicurare la propria sopravvivenza. L’UEF dovrebbe incoraggiare i giovani federalisti a svolgere un ruolo sempre più importante ad ogni livello per assicurare lo sviluppo dei futuri quadri dell’organizzazione.
IL NUOVO COMITATO FEDERALE UEF
Membri effettivi.
Otto Bardong (D), Bernard Barthalay (F), Luciano Bolis (I), Günter Bruer (D), Teresa Caizzi (I), Henri Cartan (F), Louis Ceulemans (B), Manfred Däuwel (D), Rudolf Dumont du Voitel (D), Jean-Claude Eggimann (CH), Gerhard Eickhorn (D), Franz Fromm (A), Rainer Giesel (D), Christian Glöckner (D), Beryl Goldsmich (GB) Jean-Pierre Gouzy (F), Norman Hart (GB), D.G. Hemmes (NL), Walter Kunnen (B), Thomas Jansen (D), Georg Jarzembowski (D), Ernst Johansson (D), Lucio Levi (I), Ortwin Lowack (D), Luigi V. Majocchi (I), Massimo Malcovati (I), Bernard Mercier (B), Carlo E. Meriano (I), J.H.C. Molenaar (NL), Annemarie Peus (D), John Pinder (GB), Sergio Pistone (I), Grete Rhomberg (A), P.J. de Rooy-Janse (NL), Francesco Rossolillo (I), Gerhard Schmich (D), Claus Schöndube (D), Jürgen Schöning (D), A.R.A. Theunissen (NL), Ernest G. Thompson (GB), Angèle Verdin (B), Ernest Wistrich (GB), Max Wratschgo (A), Rudolf Wyder (CH).
Eletti dalle delegazioni nazionali.
Mariano Abad (E), Max Ambühl (CH), C.L. Balje (NL), Vittorio Cidone (CEE), Peggy Crane (GB), Marion van Emden (NL), Arno Krause (D), Christoph Lutl (A), Alfredo Liriero (E), Theo M. Loch (D), Arnoldo Mellone (CEE), Jean Ordner (F), Giampiero Orsello (I), G.B. Patterson (GB), Hans Pawlik (A), Roger Schmal (L), Jean-Claude Sebag (F), Umberto Serafini (I), Christiana Torelli (CH), Tharci Vanhuysse (B).
Membri supplenti.
Ota Adler (GB), Walburga Beutl (A), Noël Colman (B),Dana Corvin (CH), Anna Costa (I), André Darteil (F), Otto Freitag (D), Filip Goemans (B), Werner Hennig (D), Gerd Jans (D), F. Micklinchoff (NL), Guido Montani (I), René Montaut (F), Hartmut Osterburg (D), Fritz Petermann (D), Derek Prag (GB), Renate-C. Rabbethge (D), Margot Rathey (D), Gianni Ruta (l), Bernard D. Scheer (D), T.H.B. Schoenmakers (NL), Giovanni Vigo (l).
Il Comitato federale ha eletto il Bureau exécutif. Ne fanno parte, oltre al presidente Albertini, i vice presidenti Pinder, Schöndube, Wratschgo, il tesoriere Dumont du Voitel, ed inoltre Rossolillo, Jansen, Wistrich, van Schendel, Cartan, Kunnen, Balje.